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Autore: Vale11    21/09/2014    3 recensioni
Una chiazza di blu scuro su una panchina, un cappello calato sulla testa, capelli più lunghi che mai che ormai hanno passato le spalle. Non vede le gambe, ma immagina siano rannicchiate contro il petto per ripararsi dal freddo. Gli da le spalle. Steve vede che ha addosso la solita felpa blu, i soliti jeans e Dio, si congela e quell'uomo non ha nemmeno una giacca addosso.
p.s. anche Steve Rogers è uno dei personaggi principali, ma il mio computer ha deciso che non sono degna di selezionare due voci nemmeno con il ctrl. E sia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando si sveglia, il Soldato d'Inverno non ha paura. Non sente niente. E' abituato a uscire dalla sua tomba criostatica e a ricevere ordini, a eseguirli e a lasciarsi seppellire di nuovo. Aprire gli occhi al buio, però, è una novità. Aprire gli occhi al buio, al caldo e con un mal di testa feroce lo è ancora di più. Aprire gli occhi al buio, al caldo, con un mal di testa feroce e una fame assassina, il tutto contornato dalla sensazione di non essere solo e di non conoscere chi ha vicino è una novità assoluta.
Ed è li che arriva, la paura. 
Lo colpisce come un pugno allo stomaco e lo lascia senza fiato per i primi cinque secondi, poi lo obbliga a cercare di respirare in qualche modo.
Sta andando in iperventilazione.  Ed è li che si rende conto che i suoi polmoni fanno un rumore strano, e gli viene voglia di aprirsi per controllare cos'è che lo fa respirare come se avesse ingoiato una maracas. Ma non lo fa. Piuttosto, si rende conto di avere qualcosa di caldo sul petto, e gli arriva al naso un profumo di pulito che il suo cervello non registra subito, ma poi gli fornisce una definizione che non sa bene come ricollegare.
Semi di lino. Sua madre usava sempre quegli impacchi caldi quando uno di loro stava male. Steve era quello che ci finiva sotto più spesso.
Gli torna in mente un viso scavato, capelli biondi e occhi azzurri. Un ragazzino più basso di lui di tutta una testa che non capiva mai quando era il caso di tirarsi indietro. 
Steve.
Fa per passarsi la mano destra sugli occhi, ma si rende conto che non può alzare il braccio più di una manciata di centimetri. Qualcuno glielo ha immobilizzato contro la cassa toracica. A parte la sensazione sgradevole di essere praticamente immobilizzato, fa molto meno male di prima. Finchè non inizia a tossire. E Dio, la schiena gli fa malissimo, i polmoni si aggiungono al coro e anche la spalla non è esattamente felice di essere maltrattata così. 
Una volta c'era finito lui a letto con una bronchite che lo lasciava senza fiato ogni volta che cercava di riempirsi i polmoni. Aveva praticamente obbligato Steve a infilarsi la sua giacca per evitare che prendesse una broncopolmonite, cosa che comunque riusciva a fare spesso, e se n'era andato in giro per l'inverno newyorkese con addosso solo un maglione di lana, perchè lui era Bucky Barnes, e figuriamoci se Bucky Barnes si ammalava.
Lui era Bucky Barnes.
E Steve era stato con lui tutto il tempo, proprio come succedeva quando i ruoli si invertivano, a preparargli impacchi caldi di semi di lino da appoggiargli sul petto e costringerlo a bere brodo di pollo fatto con tanto affetto ma nessuna esperienza, perchè il sapore aveva qualcosa di decisamente sbagliato, ma non gliel'aveva mai detto. 
Lui era Bucky Barnes.
E comunque, quel brodo era caldo. Si ricordava di mani magre sulla schiena ogni volta che tossiva in quel modo, perchè Steve ci era passato decine di volte e sapeva quanto faceva male. E anche quando gli diceva di allontanarsi per non attaccargli la febbre, la tosse o qualsiasi altra cosa, Steve rimaneva li a guardarlo come fosse un cretino per aver anche solo pensato che potesse lasciarlo solo in un momento simile. Non gli dava mai retta. Ma, d'altronde, lui faceva esattamente la stessa cosa.
Lui era Bucky Barnes.
Lui è Bucky Barnes.
E i capelli gli si stanno incollando alla fronte, e sta tossendo come un dannato, e la porta della stanza che non sa nemmeno che stanza sia e Dio, il panico che rischia di esplodere di nuovo, si apre per far entrare una lama di luce che neanche a farlo a posta lo colpisce in pieno nell'occhio sinistro. Stinge le palpebre. Ha un mal di testa furioso. Ma chiudere gli occhi ora significa essere impreparato a cosa sta per succedere, quindi li riapre per paura di essere riportato via, di avere di nuovo il cervello ripulito da cima a fondo, e non vuole, non vuole nemmeno pensarci, e Dio, il panico che sta per fargli esplodere la testa e…
"Bucky"
Steve.
L'ombra che gli si avvicina cauta è più grossa dello Steve che si ricorda, ma le mani che aspettano il permesso di poterglisi posare sulla schiena mentre tossisce sono decisamente le stesse. Annuisce tendendo i muscoli, preparandosi a una carezza come a un colpo violento, ed è piacevolmente sorpreso di sentire la prima e non il secondo. Non è più abituato a considerare il tocco di un essere umano come qualcosa da ricercare piuttosto che da rifuggire. Steve dev'essersene accorto, perchè inizia a rassicurarlo sottovoce.
Va tutto bene, Buck. E' tutto a posto. Va tutto bene. Ci sono io. Sei al sicuro. Va tutto bene. Mi sei mancato, Buck. 
E Bucky cerca ancora di capire perchè Steve sia così grosso, com'è che lo è diventato, perchè questa stanza è così diversa da quella di Brooklyn dove sono cresciuti, dov'è che si trova, perchè il tavolo su cui è sdraiato è così morbido, e…
Non è un tavolo, è un letto.
E il tavolo è quello dei russi, che gli riempiono la testa di cose che non capisce ma che è obbligato a credere. E il tavolo è quello dell'Hydra, con aghi, elettricità e fibbie che lo costringono a stare fermo, e un coso di gomma da mordere per non staccarsi la lingua mentre gli passano volt su volt nel cervello. E Steve è così grosso per il siero di Erskine, che lo ha trasformato da ragazzino gracile a immagine perfetta del soldato americano. Ma l'eroismo no, quello ce l'aveva già di suo.
E cade. Cade, sta cadendo. E sente qualcosa che si strappa. Quando guarda giù si rende conto che il suo braccio sinistro non c'è più. Ed è di nuovo su un tavolo, e gli stanno attaccando addosso qualcosa fatto di metallo, e fa male. 
Urla il suo nome, ma più lo urla più lo obbligano a dimenticare, gli infilano in testa quel casco e gli ripuliscono il cervello dalle poche cose che riesce a ricordare ogni tanto.
E le mani di Steve ora lo stanno stringendo di più, mentre si rende conto che le urla che sente sono le sue.


Quando Steve l'aveva sentito tossire si era costretto ad avvicinarsi il più lentamente possibile. non sapeva se quello fosse Bucky o il Soldato D'Inverno; non voleva spaventare il primo ne prendersi un pugno in bocca dall'altro. Meglio essere cauti, in ogni caso.
La penombra fitta l'aveva costretto a muoversi lentamente, e invece di appoggiargli subito le mani sulla schiena aveva aspettato che glielo permettesse. La schiena di Bucky era calda,  fin troppo calda, e sudata: super soldato o meno, l'inverno di Washington non era pietoso con qualcuno che dorme per strada con addosso solo una felpa di cotone e una maglietta raccattata chissà dove. Stava iniziando a pensare di cercare di fargli prendere qualche medicinale oltre agli impacchi caldi quando lo sentì tendersi sotto le dita. 
E, dopo pochi secondi, Bucky aveva iniziato a urlare.
Dopo uno shock iniziale di una certa importanza, Steve si trovò con entrambe le mani piene di Bucky Barnes, che gli si era lanciato addosso agganciando dita in carne e ossa e dita metalliche al maglione, appoggiando la testa contro il suo stomaco. Un tremore continuo si era sostituito alle urla e, quando Steve aveva fatto per passargli le mani dietro la schiena, Bucky aveva cercato di respingerlo col braccio metallico.
La resistenza era debole, troppo debole. Steve si chiese se lo facesse di proposito o se davvero non avesse la forza di allontanarsi. 


Faceva caldo, troppo caldo. L'impressione era che il caldo gli venisse da dentro, ma era impossibile: non era caldo, lui. Era gelido, freddo, fatto di ghiaccio. Era talmente abituato al gelo che tutto quel caldo rischiava di soffocarlo, di non lasciarlo respirare. E poi c'era quel rantolo continuo a confonderlo. Si rese conto solo fino a un certo punto che si era lanciato fra le braccia di Steve, ma non gli interessava: l'aver smesso di urlare non lo faceva sentire meglio, ora alla carrellata di immagini che gli passavano per il cervello si era aggiunto un tremore fastidioso. La sua memoria passava senza soluzione di continuità dalle strade di Brooklyn a un omicidio, da un vecchio negozio di alimentari dove cercava sempre di tirare sul prezzo alla sua mano metallica stretta intorno alla gola di qualcuno, da un tramonto visto di straforo camminando sul ponte a un'esplosione che gli aveva fatto avvampare il viso. E, di nuovo, il panico che saliva, e il respiro che si strozzava ma, soprattutto, la certezza che Bucky Barnes e il Soldato D'Inverno fossero la stessa persona. Che le sue mani avevano fatto cose grandiose e cose terrificanti, e che il numero delle cose terrificanti superava di gran lunga quello delle cose grandiose. D'un tratto, si vergognò di se stesso. E decise che non si meritava l'affetto di nessuno, tantomeno quello di Steve. Non aveva mai odiato qualcuno come odiò se stesso in quel momento. Non si meritava quell'abbraccio, ne quelle mani fra i capelli appiccicati di sudore che cercavano di calmarlo. Non si meritava qualcuno che si prendesse cura di lui. Non si meritava di essere vivo, in sintesi. 
"Oi, oi. Bucky. Lascia stare, va tutto bene"
Non si era nemmeno reso conto che stava respingendo Steve col braccio metallico, l'unico che poteva usare. Ne che Steve non avesse la minima intenzione di lasciarlo andare.
Si rese conto di aver aperto bocca ed ha parlato inglese per la prima volta in decenni solo dopo averlo già fatto, e il sorriso che ricevette bastava e avanzava.
"Non mi hai mai lasciato andare nemmeno quando te lo chiedevo".


Steve resta incantato a guardare quegli occhi confusi coperti da una cortina di capelli che avrebbero avuto bisogno di una seconda lavata a breve. Ma dopo che la febbre gli fosse passata, solo quando fosse guarito. Quando gli sorride, Bucky scoppia a piangere come se aspettasse di poterlo fare da sempre.
Lo stringe. C'è una discreta possibilità che non lo lasci più andare.

  
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