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Autore: Matih Bobek    24/09/2014    2 recensioni
Brevi ma intensi spaccati di vita familiare ambientati nei giorni nostri. Simpatici, allegri e solari, questi piccoli racconti vertono su una voce narrante, il giovane figlio, nato e cresciuto nella periferia romana, e la protagonista indiscussa della casa, nonché della storia, la madre: personaggio stereotipato, a tratti assurdo, tanto da sembrare quasi... un alieno.
le storie affrontano, di volta in volta, momenti tipici della quotidianità familiare, prendendosi beffa, in modo ironico e sottile, dell'idea maschilista della donna casalinga.
Lo stile utilizzato è fresco, colloquiale, giovanile e numerosi sono i riferimenti alla cultura popolare, comunemente nota, al fine di rendere più partecipe il lettore.
All'interno del singolo episodio, i cambi di narrazione sono frequenti, pur mantenendo fissa la focalizzazione interna: ogni storia è costruita su uno schema fisso, che vede una breve premessa della situazione, in cui la voce narrante è direttamente coinvolta nel racconto, poi una dettagliata narrazione, da vicino, guidata da una seconda persona, per facilitare la personificazione, e infine il dialogo, in cui il narratore spesso interviene come voce fuori campo.
Spero che vi piacciano, o perlomeno che vi lascino un sorriso, e che lascerete consigli e opinioni, per me utili al fine di perfezionare stile, trama o personaggi.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Il telefono. Il dannatissimo telefono. Questa tragedia non finirà mai. E’ qualche parente della Calabria, sicuro, considerando il volume della voce. Eh già, esiste infatti un’interessante legge matematica che permette di capire, all’incirca, il luogo di residenza dell’interlocutore: prendendo in considerazione una serie di accorgimenti, come ad esempio il sangue che scende dalla tue orecchie, puoi intuire che:
1) l’interlocutore non è di Roma
2) Abita lo stesso in Italia.
 Se fosse stato uno dei tanti parenti americani, avresti perso l’udito.
Quindi, il volume della voce è direttamente proporzionale alla distanza dell’interlocutore. E lo sai fin troppo bene, dato che il muro che divide camera tua dalla cucina, il luogo prediletto delle chiacchierate dell’alieno, è fine e delicato come il tuo sistema nervoso ogni volta che parli oppure, semplicemente, rivolgi il pensiero a tua madre. 
Aspettare che finisca la chiamata? meglio di no: rischieresti di divenire sordo, o peggio, di morire di vecchiaia. Interromperla brutalmente mentre blatera felice con il parentame?
 Un po’ scortese. Tanto quanto il suo molesto chiacchiericcio. Si potrebbe fare. Poi però, nella conversazione si tocca un punto interessante: te (cioè ME). Muori dalla voglia di sapere cosa dice tua madre ai parenti del sud: le boiate che si inventa, le storie che tira fuori dal nulla, i pettegolezzi succulenti, insomma, tutte quelle cose che dice solo quando pensa ingenuamente di non essere sentita da nessuno. Non c’è nemmeno bisogno di appostarti al muro e origliare, tanto lo spettacolo è aperto a tutti. Anche ai signori sulla Cassia.
 “… Eeh niente *nome a caso*, Matteo studia cinese all’università, è bravo, non disturba.” Be’ questo è vero, non le do troppi problemi. Comunque meno di quanti ne dà lei a me. 
”Sì sì ormai è grande, ha ventitrè anni.” Ma perché cavolo mi deve alzare gli anni? Ne ho compiuti ventuno manco un mese fa!
” No, forse di meno… insomma io ne ho poco più di cinquanta, fatti il conto.” Poco più di cinquanta, o poco meno di sessanta? 
”Sì sì, si cucina da solo, fa tutto da solo.” Anche perché se ti chiedo qualcosa, rischio il linciaggio.
 “Eh, vorrei scendere giù in Calabria…” Io vorrei che restassi in Calabria, pensa un po’ le coincidenze!
 “… ma poi Matteo a chi lo lascio?” In santa pace. Lo lasci in santa pace. Fidati.
 “eeh ma da solo poi mi brucia a casa.” Sai, mamma, questo è un reato: si chiama DIFFAMAZIONE! 
”Manco sa accendere il gas.” 1) Quattro minuti fa appena, ha detto che cucino da solo 2) Gode a farmi fare la figura dell’idiota. E’ evidente.
 “Sì certo, ce l’ha Facebook, inviagli la richiesta!” Ma manco so chi cacchi’ è! Perché non si fa gli affaracci suoi?
 “Sì, sì con la Z, Zandri” Dagli pure le mie cartelle cliniche no?
 “Non mi assomiglia, no no. Fisicamente è il padre.” Il male minore.
 “Eeh, le gambe corte, la tendenza ad ingrassare, poi se guardi la foto…” Aaah, non lo avevo capito che era un identikit!
” … si vede che diventerà pelato. “In poche parole, ha detto che sono Shrek! 
”No no di carattere è Emiliano”. Ovvero te. Mai una volta che lo ammette.
 “Sì… un pò strano.” Dimmi a chi sei figlio, ti dirò a chi somigli… grande verità.
 “No no, ma di cuore è buono, è dolce e tenero.” … mi sta descrivendo come un piatto prelibato. 
”ma invece tua figlia…” Ok, la parte divertente è finita.
 Infastidito dalla descrizione assolutamente irrealistica data da tua madre al parente sconosciuto, chiudi i libri, ti alzi, vai in cucina e disturbi la conversazione:
 “Chi è?” 
”Scusa *nome a caso* si è svegliato Matteo. Non la conosci, che vuoi?” svegliato… stavo studiando, al massimo “è stato infastidito dal mio blaterare insensato”. 
”Dimmi il nome, magari la conosco.”
 ” * Nome a caso*! La conosci?” 
”No.” Dannazione. 1 a 0 per te, cocca.
 “Insomma scusa, dicevo…” 
”Mà, il caffè è rimasto?” 
”Scusa ancora * nome a caso* (che d’ora in poi sarà Carmela, perché tanto si chiamano tutti così) Che vuoi ancora?”
 “Il caffè? Te lo sei iniettato nelle vene o ci sta?” 
”Tiè.” Non lo so, lanciamelo addosso.
 “Il dolcificante?” Prima o poi ti arrenderai.
 “Oh sto al telefono, lo vedi? Scusa Carmela, oggi rompe.” Eh certo. Io rompo, lei che ha il megafono incorporato, no.
 “…Me la saluti?” 
”Ariscusa Carmela, mi sposto un attimo e lascio la cucina a Matteo sennò questo bla bla bla…” 1 pari, cocca. O forse no. Anche se sta in giardino, è lo stesso una fonte di fastidio. Magari non più tanto per te, ma per tutti gli animali nei paraggi, i cani dei vicini, i cavalli nel recinto, i gatti randagi che si sono allontanati. O per tuo padre, oggi stranamente simile ad Heathcliff, che fa il fuoco con una strana luce assassina negli occhi. 
Poi, finalmente, la telefonata finisce. Nel frattempo si è fatta notte eh, ma almeno, dici, non sta più starnazzando al telefono. Vero. Ma sono le nove meno un quarto, l’ora di “un posto al sole, rinominata “l’ora della morte”. Se normalmente tiene il volume a cinquanta, con la sua telenovela preferita lo tiene almeno almeno a sessantacinque. 
Perciò ogni sera, ogni dannata sera, con le lacrime agli occhi, con le mani strette in una morsa spietata, preghi Dio che lo abbiano soppresso, che abbiano deciso di non mandarlo più in onda per decenza, che quella sia l’ultima, l’ultimissima puntata, preghi una qualsiasi cosa. Qualsiasi. Ma tanto c’è poco da fare, dopo ti ritrovi con il sangue che cola dall’estremità delle due guance, lo sguardo fisso, perso nel nulla, vuoto di ogni speranza, con tuo padre accanto, affranto dal destino comune, che ti posa delicatamente la mano sulla spalla, in segno di conforto, e poi ti sussurra: “mezz’ora, solo mezz’ora.” 
”Sì, papà, lo so.”
 “STATE ZITTI, NON SENTO!” 
”Noi sì però… noi sì.”
   
 
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