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Autore: misslegolas86    24/09/2014    2 recensioni
Un re ha il dovere di apparire imperscrutabile e fermo in ogni sua scelta, deve portare il peso della responsabilità e dare sicurezza al suo popolo. Ma questo non significa che non provi paure, emozioni e ansie come chiunque altro. Vi va di entrare nella mente dell'unico Re Sotto la Montagna nell'impresa di riconquista di Erebor? Eccovi serviti...
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thorin Scudodiquercia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~La terra tremò sotto i piedi della compagnia. L’intera montagna sussultò scossa fin dalle  fondamenta. Thorin si guardò intorno all’allarmato, pronto a fronteggiare qualsiasi nuovo pericolo in arrivo ma, dopo l’intensa scossa, tutto tornò tranquillo.
Cos’è stato? Un terremoto.”
“Quello amico mio era un drago.”
“Che ne è di Bilbo?”
“Diamogli altro tempo.”

Thorin udì la propria voce come se a parlare fosse stato qualcun altro. Per la prima volta da quando era cominciata quell’avventura sentì la paura lambire il suo cuore. Il drago era ancora lì, vivo e potente come decenni prima. In quel momento di silenzio assoluto della montagna risentì nitidi nella mente i fragorosi colpi alle porte di Erebor il giorno in cui Smaug era penetrato nel regno dei Nani. L’odore di morte, di fiamme, di distruzione tornò a stuzzicare il suo naso. Per un attimo i suoi occhi non videro la notte illuminata dalle stelle nella valle ai suoi piedi ma la porta squarciata da una tempesta di fiamme e l’imponenza del drago incombere su di lui.
“Tempo per fare cosa. Per essere ucciso?”
La voce di Balin lo riscosse dalla visione di un’intera legione di Nani morti ai suoi piedi, la sua compagnia ultimo baluardo schierato a difesa dell’enorme porta di Erebor. Thorin si voltò fissando l’attenzione sul vecchio nano.
“Tu hai paura.” Gli disse cercando di caricare le sue parole di sarcasmo per nascondere il suo turbamento. 
“Sì, ho paura. Ho paura per te. Una malattia grava su tutto quel tesoro. Una malattia che portò tuo nonno alla pazzia.”
Concluse Balin, sincero come sempre. Era uno dei pochi che aveva sempre osato contrastare l’erede al trono, l’unico che cercava di far ragionare Thorin senza temere il suo carattere e la sua cocciutaggine. Infondo era cresciuto con Dwalin che era molto simile per tempra e atteggiamento al figlio di Thrain.
“Io non sono come mio nonno.” Scattò Thorin sentendo la rabbia crescere in lui.
“Non sei te stesso. Il Thorin che conosco non esiterebbe ad entrare.”
“Non metterò a rischio questa impresa per la vita di uno scassinatore.” Nonostante l’astio palese in ogni sillaba Thorin sapeva che non era rabbia quella che provava contro Balin in quel momento ma semplicemente paura. Sentiva quanto vere erano le parole del vecchio nano. Temeva la follia legata a quell’oro più della morte ma, allo stesso tempo, ne era attratto in modo fatale. Il desiderio di entrare in possesso del tesoro e in particolare dell’Arkengemma era cresciuto nel suo animo con l’avvicinarsi della Montagna Solitaria in modo costante. Ed ora lì, sulla porta dell’antico dominio dei suoi avi, Thorin capì di non avere la forza di opporsi al quel desiderio ancestrale che aveva segnato la rovina della dinastia di Erebor.  
“Bilbo. Il suo nome è Bilbo.”
Thorin fissò lo sguardo su Balin. Vide sul volto del compagno di una vita delusione e sgomento. Non c’era l’orgoglio riservatogli nello sterminio di Azanulbizar né l’affetto dell’amico. Riconobbe la stessa amarezza che tanti anni prima lui aveva riservato a suo nonno pazzo per l’oro di Erebor.
Sguainò la spada e senza guardare i suoi compagni varcò la porta correndo giù per le scale di pietra.
Un vento caldo gli sferzò il viso ma Thorin continuò ad avanzare, un’unica voce gli risuonava nella mente come un mantra “Io non sono come mio nonno”.
Il bagliore di pura luce dorata colpì i suoi occhi prima di giungere alla base delle scale. Sbucò sul pianerottolo trattenendo il respiro e fissando l’immensa distesa di tesori ai suoi piedi. Tutto era suo di diritto. Finalmente avrebbe ottenuto ciò per cui era nato, ciò che il fato aveva riservato alla sua stirpe.
Un rumore alle spalle lo costrinse a voltarsi
“Sei vivo” esclamò Thorin sorpreso vedendo l’hobbit tutto intero.
“Non per molto ancora” ribattè Bilbo fremendo per scappare.
“Hai trovato l’Arkengemma?”
“Sta arrivando il drago.”
“L’Arkengemma. L’hai trovata?”

Thorin sollevò la spada bloccando l’uscita. L’hobbit non avrebbe fatto mezzo passo senza una parola sull’Arkengemma. Che interesse poteva avere la vita di un insignificante hobbit in confronto al potere, all’oro e al dominio che la pietra di Erebor gli avrebbero assicurato? Lo avrebbe trapassato da parte a parte se fosse stato necessario.
“Dobbiamo andarcene. Thorin. Thorin.” La voce flebile di Bilbo giungeva al nano da una lunga distanza anche se l’hobbit era a pochi passi da lui. Il desiderio di potere aveva ottenebrato la mente del figlio di Thrain spingendolo in una visione di gloria a lungo sognata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ottenere di nuovo il trono di Erebor.
Fu il cavernoso rumore che solo un drago poteva provocare a scuotere il nano dalla sua follia.
Si voltò.
Smaug avanzava sulle piccole montagne d’oro facendo tintinnare i mille preziosi.
Thorin assunse la posizione di combattimento. “Io non sono come mio nonno” ripetè a se stesso scacciando via gli ultimi residui di quei pochi minuti di pazzia. Era un guerriero, un eroe, non un avido codardo. Sarebbe morto affrontando l’usurpatore spada in pugno. Aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai diventato come suo nonno negli ultimi anni di regno ad Erebor, roso dal desiderio dell’oro, folle di paura per la perdita dei suoi tesori. Avrebbe invece vissuto e forse sarebbe addirittura morto restando fedele agli insegnamenti che Thror e Thrain gli avevano impartito per anni quando era un piccolo nano, quando la maledizione della sua stirpe era ancora lontana. Fiero, indomito e coraggioso, un faro per il popolo di Durin.
L’intera compagnia si schierò rapida al suo fianco, armata. Thorin incrociò lo sguardo orgoglioso di Balin. I nani avevano ritrovato il loro re e lo avrebbero seguito ovunque persino nella suicida lotta contro Smaug. Onore, lealtà, un cuore volenteroso erano queste le virtù in cui aveva sempre creduto Thorin non potere, avarizia e crudeltà.
“Scappate!” urlò ai suoi uomini spingendoli giù per le scale. Il sinistro bagliore rosso aveva preannunciato la fiammata del drago che li avrebbe inceneriti tutti. Vide i compagni correre a perdifiato nell’immenso corridoio e infilarsi in un’apertura sulla destra. Thorin chiudeva la fila per assicurarsi che tutti riuscissero a mettersi al sicuro perfino il lentissimo Bombur.
E fu così che le fiamme di Smaug lo colpirono.
Avvertì sulle spalle il calore di un fuoco così intenso che nessuna fornace nanica sarebbe stato capace di produrre. Si rotolò a terra urlando di dolore. Ma non appena le fiamme furono spente strinse i denti per la sofferenza delle bruciature e si mise alla testa della compagnia senza battere ciglio.
Aveva una missione da compiere.
Salvare i suoi compagni e riconquistare Erebor. Non si sarebbe mai arreso perché lui era Thorin figlio di Thrain figlio di Thror della stirpe di Durin.  

SPAZIO AUTRICE
Rieccomi ad aggiornare questa storia.  Questo capitolo è stato particolarmente ostico. E’ stato difficile scrivere di un Thorin debole, vittima della follia di famiglia. Di gran lunga preferisco il Thorin coraggioso guerriero. Ma c’è anche questo aspetto in questo fantastico personaggio e dovrò abituarmi a convivere anche con questa sua parte visto che nell’Hobbit the Battle of Five Armies sarà molto presente la sua follia per l’Arkengemma.
Questa volta ci tengo davvero tanto ai vostri giudizi. Fatemi sapere se sono riuscita ad esprimere il turbamento di Thorin davanti all’oro di Erebor.
Ringrazio naturalmente tutti coloro che mi hanno seguito, hanno recensito o solo letto fin qui la mia storia.
Ci vediamo al prossimo capitolo

 

  
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