Gli incubi
Irina si svegliò di soprassalto posandosi una mano sul cuore e cercando di tranquillizarne i battiti impazziti. Si guardò attorno, cercando di realizzare dove si trovasse, certo non era nel suo appartamento a Boston, dato che le tende tirare a coprire la finestra erano di tessuto pesante e scuro e tutta la stanza era permeata di antichità (tanto per non dire vecchiume), ora si ricordava era nella nuova casa di Chantestonville, riconosceva quasi i mobili dagli intarsi barocchi che arredavano la propria camera. Lanciò uno sguardo all'orologio: le 2.40 a.m. rabbrividì, ma invece di rintanarsi sotto le coperte e cercare di riaddormentarsi, scese dal letto e afferrato il lungo cardigan nero che usava come vestaglia, lo indossò, stringendoselo addosso.
Un bel latte era quello che le serviva in quel momento per traquillizzarsi così si accinse a prepararselo e tornò nella camera da letto, sedendosi poi sul divanetto-davanzale quasi accucciata, con le gambe piegate che quasi a fisarmonica facevano un tutt'uno col petto, mentre si scaldava le mani con la tazza calda e assaporava lentamente il liquido fumante.
Era sempre lo stesso incubo che la scegliava a ore diverse della notte, impedendole di riaddormentarsi, era sempre nello stesso posto... credeva di essersi ormai liberata da quei ricordi, erano passati anni, allora era solo un'adolescente ribelle e testarda, mentre ora era una donna a volte anche troppo cinica e indipendente. Allora i suoi capelli erano biondoscuro, visto che non aveva ancora imparato che esisteva la tinta, e i suoi occhi erano nascosti da pesanti occhiali da vista, ma lui l'aveva amata lo stesso, anche se era un'invisibile e anonima studentessa, con un gene particolare certo, ma questo lui non poteva saperlo.
Era buio nella gattabuia, neanche un timido raggio di Luna o di Sole penetrava dalle inferriate dell'unica finestrella che si apriva sull'esterno: non sapeva che giorno fosse e che ora fosse. Era stata una stupida. Nel sogno non piangeva, ma aveva pianto molto e il ricordo di quelle lacrime amare ancora le lasciava l'anima a pezzi quando ricordava che era lei quella che aveva pianto. Poi la porta della cella si era aperta ed era entrato quel gigante. Nel sogno tutto si bloccava e come se la nebbia si diradasse Irina era a terra e piangeva sul corpo dell'uomo che aveva amato tanto da giurare che avrebbe usato pochissimo i suoi poteri da quel giorno in poi.
Si sentì osservata così scostò le tende e fuori dalla sua abitazione stavano quattro persone: tre uomini e una donna, molto anziani, decisamente indiani d'America, uno, quello che portava una penna sul capo ingrigito dal tempo le fece un cenno e lei si sentì quasi costretta a seguire l'ordine muto di raggiungerli fuori, posò la tazza sul comodino, indossò una paio di scarpe da ginnastica e prese le chiavi uscì. Faceva molto più freddo di quanto non pensasse. Raggiunte le quattro figure si voltarono e cominciarono a incamminarsi del bosco dandole il tacito ordine di seguirli e così lei fece. Il suo istinto di strega così le imponeva.
Eccoci qua! Si lo so è corto ma è solo un capitoletto introduttivo alla storia che andrà delineandosi... Chi sono questi quattro indiani d'America e cosa vogliono dalla nostra strega preferita? Lo scopriremo nel prossimo capitolo!! Alla prossima e come sempre fatemi sapere che cosa ne pensate! Baci!
Un bel latte era quello che le serviva in quel momento per traquillizzarsi così si accinse a prepararselo e tornò nella camera da letto, sedendosi poi sul divanetto-davanzale quasi accucciata, con le gambe piegate che quasi a fisarmonica facevano un tutt'uno col petto, mentre si scaldava le mani con la tazza calda e assaporava lentamente il liquido fumante.
Era sempre lo stesso incubo che la scegliava a ore diverse della notte, impedendole di riaddormentarsi, era sempre nello stesso posto... credeva di essersi ormai liberata da quei ricordi, erano passati anni, allora era solo un'adolescente ribelle e testarda, mentre ora era una donna a volte anche troppo cinica e indipendente. Allora i suoi capelli erano biondoscuro, visto che non aveva ancora imparato che esisteva la tinta, e i suoi occhi erano nascosti da pesanti occhiali da vista, ma lui l'aveva amata lo stesso, anche se era un'invisibile e anonima studentessa, con un gene particolare certo, ma questo lui non poteva saperlo.
Era buio nella gattabuia, neanche un timido raggio di Luna o di Sole penetrava dalle inferriate dell'unica finestrella che si apriva sull'esterno: non sapeva che giorno fosse e che ora fosse. Era stata una stupida. Nel sogno non piangeva, ma aveva pianto molto e il ricordo di quelle lacrime amare ancora le lasciava l'anima a pezzi quando ricordava che era lei quella che aveva pianto. Poi la porta della cella si era aperta ed era entrato quel gigante. Nel sogno tutto si bloccava e come se la nebbia si diradasse Irina era a terra e piangeva sul corpo dell'uomo che aveva amato tanto da giurare che avrebbe usato pochissimo i suoi poteri da quel giorno in poi.
Si sentì osservata così scostò le tende e fuori dalla sua abitazione stavano quattro persone: tre uomini e una donna, molto anziani, decisamente indiani d'America, uno, quello che portava una penna sul capo ingrigito dal tempo le fece un cenno e lei si sentì quasi costretta a seguire l'ordine muto di raggiungerli fuori, posò la tazza sul comodino, indossò una paio di scarpe da ginnastica e prese le chiavi uscì. Faceva molto più freddo di quanto non pensasse. Raggiunte le quattro figure si voltarono e cominciarono a incamminarsi del bosco dandole il tacito ordine di seguirli e così lei fece. Il suo istinto di strega così le imponeva.
Eccoci qua! Si lo so è corto ma è solo un capitoletto introduttivo alla storia che andrà delineandosi... Chi sono questi quattro indiani d'America e cosa vogliono dalla nostra strega preferita? Lo scopriremo nel prossimo capitolo!! Alla prossima e come sempre fatemi sapere che cosa ne pensate! Baci!