Mi scuso per il ritardo ma la scuola è pesante e non poco, purtroppo.
Allora, anticipo che questo (e il prossimo che sarà solo un mezzo capitolo) saranno con buone probabilità gli ultimi - o quasi - in cui si fa forte riferimento al fattore politico, che però ho tentato di smorzare parlando sempre a lungo della nostra caaaara protagonista!
Sempre riguardo a lei - anche se non voglio anticipare nulla - posso dire che la confusione che, ho l'impressione, trasparirà dal capitolo è voluta e serve a far intendere i suoi tormenti.
Niente, io non anticipo altro e ringrazio con un enorme abbraccio tutte le persone che seguono - recensiscono - leggono - mi piacciano la storia, per me è davvero importantissimo!
Vi abbraccio davvero fortissimo e alla prossima! :D
La
stazione di Roma Termini alle sette meno un quarto del mattino era
quasi considerabile vivibile.
Claudia vi si era avviata da sola
con un taxi da casa sua dopo aver salutato Davide e dato un bacio al
piccolo Guido che ancora dormiva.
Non avendo più grosse cariche
se non quella di parlamentare aveva potuto fare tutto in completa
solitudine, portando comunque un paio di occhiali scuri anche a
quell'ora per evitare incontri spiacevoli e non desiderati.
Si
fermò dal giornalaio per comprare “Il
Manifesto”, il quotidiano
che per ovvi motivi preferiva, e si mise al bar per aspettare la
partenza e fare una seconda colazione di certo più
abbondante
rispetto al caffè preso di corsa e con gli occhi ancora
pieni di
sonno nella cucina di casa.
Il treno sarebbe partito, se
puntuale, alle otto precise, per arrivare poi alla stazione di Torino
Porta Nuova poco dopo le undici e trenta.
Lì ci sarebbero stati
due compagni ad attenderla. Sarebbe stata portata in albergo per
darsi una sciacquata dopo il viaggio e poi avrebbe pranzato con
alcuni dirigenti locali.
Nel pomeriggio avrebbe visitato la sede
provinciale del partito e si sarebbe trovata nuovamente a cena con
dei colleghi.
Il giorno seguente, invece, la mattinata sarebbe
stata libera per avere così il tempo di riposare e preparare
l'intervento al comizio del pomeriggio prima del quale, sempre in
compagnia, avrebbe fatto un pranzo leggero.
Per l'ultima serata
aveva educatamente declinato l'invito a cena e aveva proposto di
salutare tutti con un aperitivo, sicura che si sarebbero rivisti o
comunque sentiti dopo le elezioni, a prescindere dal loro risultato.
Il mercoledì mattina sarebbe partita di nuovo presto, nella
speranza di riuscire a tornare a Montecitorio nel pomeriggio.
Sì,
sarebbero stati tre giorni molto pieni.
Si accomodò nella prima
classe del treno dieci minuti precisi prima della partenza, con in
mano una bottiglietta d'acqua e il giornale che non aveva ancora
terminato di leggere.
In viaggio non dormiva mai, forse per
l'assurda paura di essere derubata o, forse più
razionalmente,
perché non ci riusciva, come in fondo capitava a molti.
Aveva con
sé praticamente tutti i suoi dispositivi elettronici,
durante quel
viaggio; il computer, il tablet, lo smarphone e il lettore musicale,
l'unico che non aveva attinenza alcuna con il suo lavoro ma di certo
quello che, come donna e non come deputata, considerava il
più
importante.
Se qualcuno avesse guardato dentro a quello non
avrebbe mai immaginato che potesse appartenerle, tra le canzoni
vecchie di anni – talvolta decenni – e quelle
più moderne che
molti dei suoi colleghi più anziani avrebbero potuto
considerare
solo rumore.
Inoltre, ben nascosta, teneva una playlist di
canzoni per bambini. Le faceva ascoltare a suo figlio quando dovevano
affrontare un lungo viaggio e ogni tanto, benché se ne
vergognasse e
non lo avesse mai detto a nessuno, quando stava lontano da casa per
parecchi giorni le ascoltava anche lei, per sentire in qualche modo
il suo piccolo più vicino.
Passò il viaggio con le cuffie nelle
orecchie, tentando comunque di riposare un minimo e dando talvolta
uno sguardo al tablet per i soliti motivi, controllare la mai e
sistemare qualche appunto.
Stava leggendo, in quel periodo, un
libro di antropologia molto interessante sulle conquiste operate tra
i vari popoli nei secoli – invasioni, guerre e
così via -, volume
consigliatole da un'amica.
Lo aveva con sé anche in
quell'occasione, ma durante il viaggio di andata non lo
aprì.
Verso
Milano, quando ormai all'arrivo mancava poco più di un'ora,
sentì
di nuovo quello strano e violento dolore al fianco che tanto l'aveva
stranita il giorno precedente, anche se questa volta le fu
risparmiato il mal di schiena.
Tentò di mettersi più comoda sul
sedile ma tutti i suoi gesti furono rallentati da una improvvisa
assenza di respiro.
Aveva letteralmente fame d'aria, le pareva di
annaspare in mare dopo essersi trattenuta troppo a lungo sotto
l'acqua.
E se la situazione fosse stata quella non ci sarebbe
stato nulla di strano.
Ma era su un vagone di un Frecciarossa
Roma-Torino e tutta quella mancanza di fiao non era facilmente
spiegabile, come non lo era stato il pomeriggio della domenica,
quando per la prima volta aveva fatto i conti con quella che le
pareva l'inizio di una crisi respiratoria.
Nuovamente dovette
attendere diversi minuti prima che la situazione tornasse alla
normalità, provando a fare respiri lunghi e profondi come
quando
dopo aver corso molto a lungo le doleva la milza.
Appena si
riprese del tutto fu proprio pensare a quell'organo che le mise quasi
una pulce nell'orecchio, facendole aprire in fretta il tablet per
andare a fare una ricerca su internet.
Arrivó su Google e iniziò
a digitare ciò che desiderava trovare, ma si
fermò dopo poche
lettere.
Cosa stava facendo? Formulava diagnosi sulla base di ciò
che si sentiva e controllava su internet i sintomi per non far altro
che accrescere un'ansia che tutto le faceva meno che bene?
Quello
lo facevano gli ipocondriaci o comunque quelli che di medicina non
sapevano molto. Lo avrebbero potuto fare suo marito o suo padre,
arrivando alla drammatica conclusione che avesse chissà che
terribile malattia.
Ma lei no, lei era un medico e di stupidi
siti in rete non aveva bisogno.
Era semplicemente stanca, e
presto avrebbe avuto tempo per riposare e tornare in forze.
Quando
il treno arrivò a Torino Porta Nuova, naturalmente con
cinque minuti
di ritardo, Claudia stava meglio e aveva anche scacciato tutti i
pensieri che l'avevano portata, poco prima, ad accendere
così
repentinamente il tablet.
Riconobbe subito le due persone che
erano andate a prenderla, perché facevano parte di quel
gruppo di
colleghi che nel corso del tempo erano diventati anche qualcosa di
simile a degli amici.
Li salutò calorosamente e poi rispose in
modo positivo alle canoniche domande sul viaggio, omettendo
ovviamente ciò che le era accaduto.
Andarono subito in albergo,
una bella struttura del centro città, e la donna fu lasciata
sola
per sistemarsi e riposarsi un attimo prima del pranzo.
Ne
approfittò per inviare un messaggio a Davide chiedendogli se
fosse
impegnato o potessero parlare.
Per risposta ricevette una
telefonata dal marito.
- Amore! Come è andato il viaggio?-
-
Bene, tutto a meraviglia. Tu come stai?-
-Io bene, ma non è per
me che sono preoccupato ultimamente. - Dall'altro capo del telefono
Claudia sorrise, con Davide era inutile tentare di non farlo
impuntare, se pensava una cosa quella era.
- Sto bene, te l'ho
detto. E poi lo sai; sono un medico, se qualcosa non andasse bene lo
saprei.-
Il tono di Davide si fece più serio e preoccupato. - Il
problema è proprio questo, Cla'; sei un medico, se qualcosa
non
andasse bene saresti perfettamente in grado di nasconderlo.-
La
donna lasciò perdere, tanto non l'avrebbe avuta vinta contro
i
pensieri negativi del suo amato.
Cambiò discorso, chiese del
figlio, raccontò del viaggio e parlò degli
impegni che aveva in
quei due giorni, senza però far capire quanto fossero
pesanti per
non farlo tornare alla discussione di partenza.
- È ora di
andare, amore, devo salutarti.- Disse una decina di minuti dopo
Claudia accorgendosi di essere quasi in ritardo.
- Sì, anche io
tra poco ho un'udienza. Ci sentiamo questa sera? -
- Sì. Ti
chiamo dopo cena così saluto anche Guido.-
- Va bene, amore. Ti
amo.
- Ti amo anche io.-
Si salutarono e a Claudia venne
subito voglia di buttarsi sul letto, distrutta dal viaggio e da
quella stanchezza cronica che da settimane la perseguitava.
Ma
ovviamente non ebbe che il tempo di riposare qualche attimo,
perché
l'orologio non perdonava e in breve si sarebbe dovuta trovare nella
hall dell'albergo per andare a pranzo.
Si dette una sistemata
cercando di apparire al meglio e abbandonò la stanza.
Il pranzo
fu piacevole, conosceva di vista o nome tutti i dirigenti regionali,
era vero, ma trovarsi a tavola con loro fu tutt'altra cosa.
Benché
l'occasione fosse abbastanza formale per Claudia condividere un pasto
significava, da sempre, abbattere un poco il muro di serietà
che
tipicamente esisteva tra gli uomini in giacca e cravatta.
Uomini
metaforicamente parlando, ovviamente, perché per fortuna era
sempre
maggiore il numero di donne come lei.
Non parlò molto, l'ex
ministro, ma ascoltò tutto ciò che si discuteva
tra i commensali,
rispondendo solo quando veniva interpellata o si sentiva in dovere di
dire la sua su qualche argomento.
Poteva non sembrare, a leggere
la sua biografia, ma in realtà era una donna molto timida,
sempre
attenta a non dire una parola di troppo o rischiare di offendere
qualcuno.
Aveva un buon carisma, a dire il vero, e spesso in
quegli anni si era trovata a fronteggiare colleghi anche più
anziani
tendendogli sempre testa con fermezza, educazione e anche un pizzico
di eleganza tipicamente femminile, dimostrando costantemente come non
ci fosse bisogno di volgarità e insulti per avere la meglio
in una
discussione.
Malgrado quello, però, preferiva sempre ascoltare
ed intervenire raramente, solo a proposito e con poche parole
corrette.
Mangiarono fresco anche quel giorno, nulla di troppo
cucinato o elaborato visto che il caldo si faceva sentire anche
lì,
e si trattò di piatti appartenenti alla tradizione
piemontese che
lei non aveva mai sentito nominare. Fu però felice di
poterli
assaggiare, questo era uno dei lati positivi del suo lavoro.
Appagata dal pranzo ebbe la possibilità di tornare per un
paio
d'ore in albergo e finalmente riposare davvero.
Non dormì per
paura di non svegliarsi poi in tempo, ma rimase sdraiata sul letto
appoggiando comodamente la schiena sul materasso nella speranza di
dare un po' di conforto ai dolori che da giorni la colpivano sempre
meno sporadicamente.
Si mise in piedi poco prima delle
diciassette per prepararsi nuovamente ad uscire.
Non era mai stata
una di quelle donne così fissate con l'aspetto fisico da
passare ore
davanti allo specchio, né tanto meno capace di fare trucchi
esagerati e vistosi così da essere sempre al centro
dell'attenzione.
No, lei ci teneva ad essere curata il giusto e solo per se
stessa, per non vedersi mai come appena sveglia.
Uno spettacolo,
quello, che aveva sempre considerato poco gratificante, malgrado
Davide le ripetesse da anni quanto considerasse dolce l'aria da
bambina che aveva nel momento in cui apriva gli occhi alla mattina.
Fu rapidamente pronta e si trovò, ancora una volta, nella
hall
con un leggero anticipo.
“Sempre meglio essere in anticipo che
in ritardo”, pensò accomodandosi su una delle
poltroncine rosse
che si trovavano lì nell'atrio.
Poco meno di due minuti dopo fu
raggiunta da un collega piemontese che conosceva da parecchio tempo,
Martino Ozzano.
- I sondaggi non sono positivi.- Le disse
sbattendo la copia di un giornale, che Claudia non riconobbe, sul
piano formato dall'unione dei braccioli delle due poltroncine.
-
I sondaggi non sono mai generosi con chi ha appena governato,
figuriamoci se lo sono con chi il governo l'ha fatto pure cadere.-
Sospirò la donna.
Sì, non si prospettava un buon risultato per
le elezioni in vista, era già tanto se si fosse arrivati a
percentuali definibili decenti senza risprofondare nel buio di alcuni
anni prima.
- Tu pensi di tornare in Parlamento, immagino.-
-
Sì, se si entra dovrei farcela. E tu? So che ti hanno
proposto la
candidatura qui nelle liste del Piemonte ma hai rifiutato,
perché?-
L'uomo sorrise. - Qui abbiamo un ottimo bacino
elettorale, è vero, e mi era stato proposto di essere
capolista,
praticamente sarei stato certo di entrare. Ma non ho trent'anni, e
anche in Senato c'è gente molto più capace di me.
No, io è tutta
la vita che mi occupo del piccolo, del locale, e non voglio cambiare
adesso.
E poi Roma è così caotica-
Risero entrambi.
In
effetti aveva ragione, anche se Claudia era troppo affezionata alla
sua città per ammettere tutti gli svantaggi che poteva avere
vivere
nella Capitale.
Mentre
parlavano non si accorsero dell'arrivo delle ultime persone che
aspettavano per uscire, ma ci misero poco a recuperare il gruppo.
La
sede provinciale del Partito non era molto distante dal punto del
centro di Torino dove era sito l'albergo, e ci arrivarono a piedi in
pochi minuti.
Ad aspettarli vi erano altri colleghi e parecchi
ragazzi iscritti alla giovanile del partito.
Claudia era sempre
affascinata dai giovanissimi che si avvicinavano alla politica, a
prescindere dal loro orientamento.
Vedeva in loro una speranza e,
malgrado non fosse poi così grande di molti di quelli, li
guardava
con fare quasi materno, senza però mai sentirsi in qualche
modo
superiore o migliore solo per la rapida carriera che aveva fatto.
Per
quei ragazzi, inoltre, lei rappresentava un esempio, soprattutto per
quelli che smanettando un po' con internet erano riusciti a scoprire
qualcosa in più sulla vita della donna.
Fu
un bel pomeriggio; ci furono discussioni sul futuro del partito e del
paese, molte domande su cosa sarebbe accaduto nel momento in cui
sarebbero andati all'opposizione e qualche uccello del malaugurio che
chiedeva quale comportamento avrebbero dovuto tenere se non avessero
superato la soglia di sbarramento.
I più anziani, memori degli
scarsi risultati dei decenni passati, consideravano quello che era
accaduto tre anni prima un miracolo che non sarebbe mai più
ricapitato.
Qualche ragazzo, invece, era molto più positivo e
diceva che, non quella volta ma di certo quella successiva, sarebbero
tornati al governo.
- E chissà, forse proprio qui c'è qualche
futuro ministro.- Aveva scherzato Martino Ozzano.
Claudia si era
messa a ridere e in breve si era trovata di nuovo a combattere contro
il dolore al fianco e la mancanza di fiato, facendo come al solito il
possibile per non mostrare nulla.
Solo l'uomo si accorse della
strana smorfia comparsa sul volto della donna, e la guardò
cercando
di capire cosa le stesse accadendo.
Ma ottenne come risposta un
normale sorriso, sincero ed educato, che lo spinse a non fare altre
occhiate o domande.
Salutarono tutti quando mancavano pochi minuti
alle sette, e tornarono verso l'albergo per prepararsi alla
cena.
Sarebbe stato un pasto molto meno formale di quello
precedente; avrebbero mangiato sushi in un noto ristorante giapponese
del centro e sarebbero state davvero poche persone, forse neanche una
decina.
La donna si diede una rapida sistemata e telefonò a casa,
dove con sua grande sorpresa trovò anche il padre.
Se era
riuscita a calmare il marito quella mattina, quando ancora una volta
lui si era preoccupato per la sua salute, con il signor Oreste non
era stato facile porre fine alla discussione che andava avanti dalla
mattina precedente.
Lo capiva, era vero, anche lei era sempre
attenta alle condizioni di Guido, e non avrebbe di certo smesso il
giorno in cui – già sapeva che sarebbe successo
troppo presto –
il suo bambino sarebbe diventato un uomo, ma trovava eccessivo quel
suo continuare a pressarla.
Anche perché non le faceva bene, la
portava a porsi domande che non voleva farsi e ad agitarsi, senza
contare che non le piaceva discutere con quella che era una delle
persone più importanti della sua vita.
Fortunatamente riuscì a
non alzare troppo la voce e a dargli la buonanotte senza nuovi
screzi, per poi passare a salutare il bambino, che le
domandò se ci
sarebbe stata a fine mese per la festa del suo diplomino alla scuola
materna.
Lei disse che sì, a prescindere dai suoi impegni ci
sarebbe stata quella sera, e fu contenta di sentirlo felice, almeno
lui che non nutriva nessun tipo di preoccupazione per lei se non
quella che non ci fosse nei momenti dei suoi piccoli ma importanti
traguardi.
Chiuse la telefonata col sorriso sulle labbra.
Aveva
una famiglia splendida, dopo tutto, e anche quel loro continuo
preoccuparsi per lei eri un modo per manifestare affetto.
Guardò
l'orologio e si accorse di avere ancora diversi minuti liberi,
così
sospirò e decise di accendere il tablet e fare la ricerca
che aveva
iniziato quella mattina sentendosi sciocca.
Più il tempo passava
più iniziava, segretamente e facendo il possibile per
ostentare il
contrario, a pensare che forse stava davvero male, forse non era solo
stanca e, sempre forse, avrebbe dovuto fare qualcosa.
Ma era
davvero impegnata, in quel periodo, e per quanto la salute potesse
essere importante non aveva proprio il tempo di preoccuparsene.
Né
tanto meno avrebbe avuto il tempo di mettere in pausa tutta la sua
vita per una cosa simile.
Lasciò perdere quei pensieri assurdi,
stava decisamente fantasticando.
Sì, poteva essere che fosse
malata se lo stress fosse stato classificato come una vera e propria
malattia organica, altrimenti non vi potevano essere altre
spiegazioni logiche.
Quando quella mattina aveva di colpo spento
il tablet considerandosi una stupida aveva sentito uno strano brivido
freddo, come se avesse davvero paura di qualcosa.
In quel
momento, invece, i sentimenti che provava erano totalmente opposti;
la ricerca che stava per fare le serviva per stare tranquilla,
confermare che le sue farneticazioni non fossero altro che tali.
Mentre si caricava il sito che cercava accese la televisione per
guardare il telegiornale e aggiornarsi su ciò che era
accaduto nel
paese durante il giorno, compito oltretutto necessario dato il suo
lavoro.
Pochi attimi dopo sentì bussare alla porta della sua
stanza e, aprendola, si trovò davanti Ozzano.
- Scusa, è che
non ti vedevo scendere e ho pensato che ti fossi scordata di guardare
l'orologio.- Sorrise alla donna.
Claudia ricambiò il sorriso e
ammise il suo essere in ritardo.
Si scusò un attimo e finì
rapidamente di prepararsi.
Prima
di uscire dalla stanza spense il televisore e guardò il
tablet sul
letto.
Ancora una volta non era riuscita a fare quella ricerca, e
si convinse che fosse un segno di qualcosa che le diceva di stare
tranquilla.
Scese chiacchierando assieme al collega pensando a
tutt'altro, e allo stesso modo fecero la strada verso il ristorante.
Claudia aveva raramente mangiato Giapponese, benché non
fosse
mai stata restia ad assaggiare cibi di tradizioni diverse dalla
sua.
Non le dispiacque, tanto che si promise di trovare un
ristorante simile a Roma e portarci una volta Davide e il piccolo
Guido.
Come aveva immaginato erano pochi, sette persone totali di
cui tre donne, e questo aveva facilitato il nascere di una
discussione unica e non di tanti piccoli discorsi tra due o tre
commensali.
Inoltre erano stati fatti accomodare in un tavolo di
forma circolare che di certo aiutava a parlare con poco ordine, ma
almeno tutti assieme.
Forse anche grazie a quello Claudia aveva
parlato più che a pranzo, talvolta iniziando anche lei
qualche
discussione.
Verso le dieci, quando ormai avevano tutti finito di
cenare e molti non avevano ancora voglia di tornare a casa, uscirono
dal locale e fecero quattro passi per il centro, in direzione Piazza
Vittorio Veneto.
Si sentirono lievemente a disagio nel mischiarsi
alla folla dei giovani che, benché fosse lunedì
sera, giravano
senza meta per le vie della movida torinese.
Quando però
superarono il ponte sul Po e si trovarono davanti al piazzale della
Gran Madre si sentirono come se fossero in pace col mondo, lontani da
ogni preoccupazione.
Martino Ozzano indicò a Claudia la Basilica
di Superga, che lei già di nome conosceva per la tragedia
dei
giocatori del Torino accaduta diversi anni prima, e le disse che, a
parer suo, sarebbe dovuta tornare a visitare la città con
più
calma, una volta o l'altra.
- È bella davvero, potresti venire
su con tuo marito e tuo figlio, prima o poi. Se non ricordo male hai
un bambino piccolo, vero?-
- Sì, ha quasi sei anni.- Rispose
pensando a Guido e a come ne sentisse la mancanza.
- In
effetti Torino è una bella città, elegante.
Chissà, forse quando
il bimbo sarà più grande e io avrò un
po' più di tempo potremmo
tornare davvero.- Commentò.
Le piaceva viaggiare, e se avesse
potuto scegliere un'altra vita avrebbe fatto la viaggiatrice o
qualcosa del genere.
Tra una cosa e l'altra si era ormai fatta
quasi mezzanotte quando Claudia salì sul taxi che l'avrebbe
riaccompagnata in albergo.
Ozzano le aveva proposto di
accompagnarla ma lei aveva cortesemente rifiutato; l'uomo viveva
dall'altra parte della città e sarebbe rincasato troppo
tardi. Il
giorno seguente si prospettava impegnativo e non sera il caso ci
arrivassero stanchi.
Inoltre
la Deputata aveva preferito rimanere sola per fare un'ultima
telefonata al marito e augurargli la buonanotte.
In camera rivide
il tablet ancora pronto a chiarire i suoi dubbi ma lasciò
perdere,
era troppo stanca.
E vista la giornata appena trascorsa fu felice,
per una volta, di poter giustificare tutta quella stanchezza.
Ripensò, prima di dormire, a quegli ultimi giorni; il
dolore, il
sudore notturno, la stanchezza, la febbre, le discussioni in casa e
le sue strane ricerche incompiute.
Rifletté a lungo su ciò che
le stava succedendo e su cosa dovesse pensare a riguardo, fino a che
il sonno non ebbe il sopravvento su ogni pensiero.
Sognò poco,
quella notte, e furono sogni agitati che non ricordò
mai.
Quando era più piccola, all'università o ancora
prima, al
liceo, le capitava spesso di avere periodi di notti convulse,
soprattutto in momenti della sua vita molto pieni.
Crescendo,
forse anche grazie alla vicinanza costante di Davide, erano man mano
sfumate, e quando alle sei del martedì mattina si
svegliò ancora
con il cuore in gola sentì dentro di sé la voglia
di piangere e
maledirsi per le sue scelte di vita.
Avrebbe voluto buttare tutto
all'aria, lasciar perdere ogni cosa, dal suo lavoro a quella laurea
in medicina tanto sudata.
Sudata come quelle lezioni in cui si
rigirava desiderosa di riaddormentarsi il prima possibile e
risvegliarsi in un'altra vita.
Andò in bagno e si buttò sotto
la doccia fredda, cercando di ragionare e scindere i suoi incubi e le
sue paure dai suoi reali pensieri.
Si sentì confusa, persa,
sola.
Come se tutto quello fosse un oscuro presagio di qualcosa
che non capiva e non voleva capire.
Stava forse impazzendo?
Magari la ragione era davvero in chi le diceva di prendersi una
pausa?
Ma da cosa? In quella notte terribile avrebbe voluto
prendersi una pausa dal vivere, non dal lavoro o dalle sue
occupazioni di moglie e madre.
Dalle persiane chiuse si
intravedeva l'alba pronta a risvegliare Torino.
La luce soffusa
le parve la speranza di riprendere in mano il suo essere, annientato
dalle quelle ore buie molto più della notte appena passata.
Ma
ricadde addormentata in accappatoio poco dopo, stringendo il cuscino
come da bambina stringeva il pupazzo senza il quale non dormiva.
Erano passate da poco le nove quando aveva riaperto
definitivamente gli occhi.
Si
era sentita immediatamente più tranquilla, come se quello
che era
successo fino a poche ore prima fosse stato un incubo anche nei
momenti in cui era sveglia.
Fece una seconda doccia e si preparò
con calma, fortunatamente aveva la mattinata libera.
Uscì verso
le dieci, fece colazione fuori e si concesse un giro per i negozi di
via Roma, una tra le vie più commerciali di Torino.
Non acquistò
quasi nulla ma si rilassò molto, e dopo una nottata simile
ne aveva
davvero bisogno.
Tornata in albergo sentì Davide, omettendo
ovviamente quello che era accaduto, e poi sai concentrò sul
discorso
del pomeriggio.
Si mise ad abbozzarlo sul suo tablet stando
sdraiata sul letto, cercando quindi di riposare ancora un poco senza
però togliere tempo al lavoro.
Nel corso degli anni era
diventata bravissima a fare più cose contemporaneamente o a
dividersi le ore del giorno così meticolosamente da riuscire
a
svolgere tutti i suoi compiti per bene e senza tralasciare nulla.
Era stato solo grazie a quei metodi che non aveva smesso di fare
la mamma per fare il ministro o viceversa, e anche in quelle ultime
settimane, mentre le forze le venivano meno, la sua organizzazione
era stata il punto forte della sua vita, ciò che le aveva
permesso
sempre di quadrare il cerchio.
Non avrebbe parlato che pochi
minuti, e doveva essere precisa, andare dritta al punto.
Iniziò
facendo una scala dei contenuti, buttando giù un testo come
bozza,
correggendone la forma e ripetendolo davanti allo specchio calcolando
i tempi.
Per sua fortuna non era poi così fuori dalla tempistica
prevista, e ci mise meno di mezzora a mettere tutto a posto.
Nel
ripeterlo per perfezionarlo si trovò nuovamente a doversi
fermare a
causa della mancanza di fiato e per un attimo riprovò la
sensazione
della notte e della giornata appena passati, la paura di qualcosa che
non capiva.
Lasciò che il momento passasse provando a pensare ad
altro e poi andò a farsi l'ennesima doccia per prepararsi
per il
pomeriggio.
Come la sera precedente decise di accendere il
televisore sul notiziario mentre sistemava le ultime cose, ma quella
volta stette ben attenta all'ora, perché non voleva ripetere
l'imbarazzante incontro con Martino Ozzano avuto prima della cena
Giapponese, quando l'uomo aveva bussato alla porta della sua
camera.
Si
guardò allo specchio subito dopo essersi truccata e sorrise.
Si
trovò bella, riposata, non di certo ammalata.
Spense
la televisione ascoltando distrattamente la notizia di un suicidio
avvenuto a Roma.
Uscì
dalla stanza pensando a quanto fosse fortunata ad avere una famiglia
e un lavoro così soddisfacenti da non farle mai credere che
valesse
la pena smettere di vivere.