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Autore: Pervinca95    03/10/2014    8 recensioni
Gea è una ragazza come tante... o almeno così ha sempre creduto. La sua vita viene stravolta in una notte da un ragazzo dai taglienti occhi cobalto, estremamente pericoloso quanto affascinante.
Ogni giorno sarà messa davanti a dure prove, e avrà solo due scelte: affrontarle o farsi annientare.
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Dal testo:
La ragazza si rizzò in piedi e fulminò Deimos con lo sguardo. "Prima o poi, io ti ucciderò" sentenziò con decisione.
Il giovane alzò un sopracciglio ed avanzò di un passo, bloccandola con le spalle al muro. "E come pensi di riuscirci? Hai appena sprecato un'occasione a causa della tua debolezza."
"Non penso a come ci riuscirò. Sono sicura che mi verrà tutto molto naturale."
Deimos si avvicinò ancor di più ed abbassò la testa per guardarla negli occhi. Un sorriso divertito si affacciò sulle sue labbra. "Ah sì?" sussurrò posandole le mani sui fianchi.
Il battito cardiaco della ragazza cominciò ad aumentare. "Sì."
Il giovane ancorò le mani sotto le cosce di lei e con una leggera pressione la sollevò da terra. "Mm" mugugnò con un mezzo sorriso, posando le labbra chiuse sul collo di Gea. "Allora sarà interessante" alitò sulla sua pelle prima di darle un piccolo morso.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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I raggi del sole le riscaldavano il volto, producendo un gioco di luci e ombre sulla sua pelle. 
Intorno imperava il silenzio, solo un debole vento muoveva l'aria stagnante. 
Le palpebre di Gea tremarono per un breve istante. Si sentiva persa in un mondo diverso da quello che era abituata a vedere. Lì tutto era nero, oscuro, pericoloso. 
Improvvisamente tutto le sembrò dissolversi; il buio che prima aleggiava davanti ai suoi occhi fu sostituito da una debole luce che man a mano diveniva sempre più intensa.  
Solo quando si ritrovò a strizzare gli occhi si rese conto che fino a quel momento era stata addormentata, e che quella luce altro non era che il sole.
Aprì gli occhi e fu subito costretta a portarsi una mano sul volto per ripararsi dai raggi luminosi e caldi. 
Una folata di vento le scompigliò i capelli raccolti in una coda e alcuni ciuffi le si posarono sulle labbra, per poi ricadere dolcemente sul petto. Si sollevò a sedere per capire dove si trovasse e gemette per il dolore che aveva provato nel compiere quel piccolo gesto. Si guardò subito le mani e le trovò piene di tagli. Rabbrividì schifata; aveva sempre odiato la vista del sangue, fin da quando era piccola. Le dava la nausea anche solo vederlo. 
Le braccia versavano nelle stesse condizioni delle mani, anch'esse ricolme di ferite più o meno brutte... o almeno quello era ciò che riusciva a scorgere dagli strappi sulla sua felpa nuova di zecca. Le veniva una rabbia omicida se pensava che proprio due giorni prima aveva fatto i salti mortali per potersela permettere e che ora era ridotta ad un cumulo di brandelli informi. 
Mosse il braccio destro per sfilarsela dalle spalle, ma dovette fermarsi immediatamente e strabuzzare gli occhi. Il dolore che le si era propagato in tutto il corpo, come miriadi di scariche elettriche, le bastò per farla arrestare. 
<< Oh cavolo >> sussurrò con la bocca secca. Adesso ricordava tutto. Nella sua mente riaffiorò l'immagine di lei sospesa nel precipizio e le sue orecchie riprodussero quel sonoro strappo che aveva accompagnato uno dei suoi tanti gridi disperati. E ora ricordava anche un altro particolare... Deimos. Il maledetto. 
Si guardò intorno per cercarlo con lo sguardo, ma anche lì dovette bloccarsi e sgranare gli occhi. Quello era un incubo, e Deimos una bestia. 
L'aveva lasciata nell'esatto punto in cui era svenuta, fregandosene altamente del fatto che avrebbe potuto benissimo cascare nel precipizio. 
Gea chiuse gli occhi ed inspirò a fondo nel tentativo di non farsi prendere dal panico a causa della sua paura dell'altezza. Cominciò a slittare all'indietro per raggiungere una zona di terra più centrale, calibrando il peso del corpo e tastando il terreno con le mani. 
Ogni volta che i suoi palmi toccavano il suolo, un bruciore nuovo le incendiava i tagli, riaprendo alcune ferite e creandone di nuove. 
Espirò pesantemente e riaprì gli occhi per vedere quanto lontana si trovasse dal punto di partenza. Fece una smorfia non appena si rese conto che si trattava solo di circa un metro. Doveva sforzarsi di più se voleva riposarsi e sospirare di sollievo. 
<< Dai Gea, ce la puoi fare >> s'incoraggiò. Un ultimo sforzo e poi avrebbe potuto tornare a vivere, invece che stare sul filo del rasoio. La sua vita non le era mai stata così cara come da quando aveva cominciato quella specie di allenamento/ tortura con il pazzo. 
Chiuse gli occhi nuovamente, riempì i polmoni di aria pulita e, facendo appello a tutto il suo coraggio, si alzò in piedi. 
Le pareva di avere ancora meno equilibrio del solito, e la raffica di vento che l'aveva fatta inizialmente vacillare non aiutava di certo. 
Si costrinse ad aprire gli occhi e, senza sprecare tempo ad osservare quanto profondo fosse il baratro, corse fino ad una zona di terra più piana e centrale. 
Si gettò malamente a sedere su una roccia e strinse le mani su di essa, ancorandosi come se temesse che da un momento all'altro quella potesse scomparire. 
Gea si guardò attorno, col fiatone e un sorriso a colorarle il volto. Ce l'aveva fatta, ci era riuscita. Una risata le sfuggì dal cuore. Adesso poteva anche godersi lo spettacolo di quelle infinite montagne rosse che aveva sempre e solo visto in cartolina. Dovette constatare che erano davvero bellissime, nonostante non ci fosse un briciolo di vegetazione ad arricchirle apparivano perfette così com'erano. La cartolina che aveva visto non aveva reso giustizia alla loro meraviglia. 
La ragazza sorrise ed alzò la testa al cielo. Il sole s'imbatté sul suo viso e fu costretta a chiudere gli occhi. Nella sua mente tornarono a galla i ricordi sepolti di quando aveva sette anni e andava al mare in Florida con i suoi genitori. Amava stendersi sul suo delfino gonfiabile di nome Elba e rivolgere il viso al sole, per poi vedere tutto blu una volta riaperti gli occhi. Le piaceva immaginare che fossero tutti dei grandi Puffi. 
Ma ormai quei bei tempi erano passati. Adesso non vedeva una spiaggia da... forse l'ultima volta era stata proprio quando aveva sette anni. I suoi genitori non si erano mai minimamente curati dei suoi desideri, come di tutto il resto, per questo non avevano battuto ciglio quando lei aveva deciso di andare a vivere da sola. 
Gea sospirò ed abbassò la testa per riaprire gli occhi. Oh, un grande Puffo era proprio davanti a lei a braccia conserte. 
<< Che bello rivederti >> sputò Gea con rabbia. Lo odiava dal profondo del cuore, sia per cosa le aveva fatto sia per i suoi modi rudi, ed era sicura che più in là lo avrebbe odiato per molti altri innumerevoli motivi.
Deimos continuò a fissarla con uno sguardo imperscrutabile e privo di emozioni. << Se pensi che per oggi il tuo addestramento sia concluso ti sbagli di grosso >> le disse freddo. << Ho già dovuto aspettare che tu ti svegliassi. >> Voltò la testa di lato e fece una smorfia disgustata con la bocca. 
<< Di solito non svengo per divertimento >> ribatté Gea con risentimento. << Probabilmente qualcuno non ha tenuto conto di trovarsi davanti ad una ragazza. >> 
<< Il che è del tutto irrilevante >> tagliò corto il ragazzo, tornando a guardarla. << Forse tu non hai capito cosa c'è in gioco, o forse... >> Un sorriso diabolico si fece largo sul suo volto. << Forse sai di essere troppo debole per farcela, e su questo ti dò pienamente ragione. Non ce la farai mai, verrai uccisa ancor prima di capirci qualcosa in tutta questa storia. >> 
Gea rimase spiazzata dalla crudeltà del ragazzo. Non poteva davvero essere così subdolo e meschino, ed invece più lo conosceva più si rendeva conto che Deimos era esattamente come appariva.
<< Sta' zitto >> fu tutto ciò che Gea si sentì di dire. Stava cominciando a credere che, in fondo, quel pazzo assassino avesse ragione. Lei era solo una ragazza di diciotto anni, come poteva reggere tutta quella situazione? Prima o poi avrebbe ceduto, lo sapeva... o almeno credeva di saperlo. 
<< La verità è, per voi umani, un tallone d'Achille >> asserì Deimos con un sorriso divertito. << Fate davvero pena. Vi fate sopraffare dalle emozioni, dalle parole... Non siete degni di esistere >> sputò infine. 
<< Parli come se tu fossi tanto diverso dagli esseri umani >> disse Gea, seria come poche volte lo era stata. Si era stufata di quel tipo indisponente e che soprattutto la faceva sentire una nullità; voleva metterlo a tacere una volta per tutte. << Dopotutto anche tu hai ereditato il tuo potere, proprio come me >> concluse aprendosi in un sorriso beffardo. 
Deimos la fissò per un minuto interminabile, senza proferire parola. Poi le si avvicinò lentamente e si fermò proprio quando il suo braccio destro non si ritrovò difronte al viso della ragazza. Alzò la manica della maglietta e le mostrò un tatuaggio che gli percorreva tutto l'avambraccio. Era formato da spesse linee nere che, in alcuni punti si riunivano in vortici, in altri si allungavano verso il basso o verso l'alto. 
Se da un lato Gea trovava quel tatuaggio completamente assurdo, dall'altra lo riteneva irrimediabilmente affascinante. Era incredibile come quelle linee precise si assemblassero per dare vita ad una strana figura senza forma e come riuscissero a stimolarle l'immaginazione nel vano tentativo di conferirgli un significato. 
Avrebbe tanto voluto seguire con un dito il percorso di una di quelle linee, ma era fuori discussione toccare Deimos. 
<< Il mio potere viene tramandato di padre in figlio, e questo è il marchio che contraddistingue la mia famiglia >> le spiegò, abbassando la manica della maglia. La fulminò con i suoi occhi blu notte ed incrociò le braccia al petto. << Non posso essere paragonato ad un umano. Chi detiene un potere come il mio, indipendente da qualsiasi altro, non è un semplice umano come te al quale viene conferita per caso una facoltà che non sa nemmeno gestire. >> 
<< Grazie molte >> commentò sarcastica Gea. << Anche se ci terrei a specificare che 
adesso pure io sono provvista di un potere, o meglio, più d'uno, quindi faresti meglio a non considerarmi una 'semplice umana'. >>
<< Fatto sta che continui a comportarti come tale >> la freddò il ragazzo, con uno sguardo gelido. << Non sai tenere a freno le emozioni, ti lasci sopraffare, sei debole mentalmente... Tutte caratteristiche degli umani. >> 
<< Tu invece non hai emozioni? Zero sentimenti? >> 
<< Sono stato educato in modo diverso >> rispose soltanto, freddo e distaccato come sempre. 
Gea tacque e il silenzio calò su di loro, pesando come un macigno sulle spalle della ragazza. Non sapeva perché, ma Gea si sentiva come se avesse appena posto una domanda scottante, facendo riaffiorare brutti ricordi nella mente di Deimos. Probabilmente, però, era solo una sua sciocca sensazione. 
<< Posso farti una domanda? >> si ritrovò a chiedere d'un tratto. 
Deimos sollevò un sopracciglio. << Che vuoi sapere? >> 
<< Quanti anni hai? Non sembri tanto più grande di me >> 
Il ragazzo sorrise sprezzante e Gea pregò di poterlo incenerire con uno sguardo. Dopotutto aveva fatto una domanda come un'altra, non c'era bisogno di essere tanto maleducati anche solo con un sorriso. 
<< Evidentemente questo è un argomento tabù per te, dato che è ben la seconda volta che non vuoi rispondere >> attaccò Gea, scrollando le spalle. << O forse sei come le donne e non vuoi rivelare la tua età >> concluse con un'ultima frecciatina. 
La ragazza abbassò la testa, ma fu subito costretta a rialzarla per via della mano di Deimos che, con una velocità strabiliante, si era chiusa intorno alla sua gola. Fu sospinta all'indietro e finì distesa sulla roccia, mentre Deimos continuava a tenerle la mano stretta al collo e le veniva sopra. 
Gea aprì la bocca per respirare e il ragazzo pose una mano vicino alla sua testa per sorreggersi. Sorrise maligno mentre la giovane cominciava a scalciare per liberarsi dalla sua presa. << Non ti conviene metterti contro di me >> le disse aumentando la pressione delle dita. 
Gea richiuse la bocca e strinse i denti. Lo odiava con tutta se stessa, e non tollerava che lui la facesse sentire così debole. Lei non era affatto una rammollita, se voleva avrebbe potuto... staccargli la testa. Forse. 
<< Non sai nemmeno reagire ad un attacco così elementare >> sputò Deimos con disgusto e divertimento. << È addirittura inutile che io ti addestri, non sarai mai capace di arrivare al pari degli altri tre elementi. Sarai sempre un gradino sotto a tutti. >> 
Basta, era ciò che la mente di Gea ripeteva ad ogni tagliente parola del ragazzo. Per troppo tempo le avevano fatto credere di essere inferiore a qualsiasi essere vivente sulla faccia della Terra. Ma adesso tutto questo doveva finire. 
Portò una mano intorno al polso di Deimos e gli occhi ambra in quelli del ragazzo. 
Lei non era debole, non era inferiore a nessuno, non era lenta, e soprattutto, non era un'incapace.
Delle piccole scariche blu saettarono intorno alla mano di Gea. Deimos se ne accorse, ma decise di non spostarsi di un millimetro. Voleva vedere fin dove la ragazza era capace di spingersi, fin dove la rabbia la conduceva. 
Dannazione, lei ci aveva sempre creduto, aveva sempre ritenuto di essere un gradino sotto a tutti. A volte non aveva nemmeno provato a dare il meglio di sé perché sapeva di non potercela fare. Le avevano fatto perdere la fiducia in se stessa, nessuno aveva mai creduto nelle sue potenzialità... nemmeno i suoi genitori. 
Quel pensiero le aprì una voragine di dolore nello stomaco. Una nullità, un'incapace, ecco cosa rappresentava per i suoi. 
Strinse gli occhi e un fulmine cadde vicino alle loro teste. Deimos si voltò di scatto e sorrise compiaciuto nel notare il cratere che il fulmine blu aveva lasciato sul suolo. 
Odiava tutte quelle sensazioni, le aveva sempre odiate. Aveva cercato di sotterrarle con strati e strati di terra, di dimenticarle, ma ora si presentava questo ragazzo e faceva riemergere tutto. No, non glielo avrebbe permesso. Né ora né mai. 
Le saette blu intorno alla mano di Gea avvolsero quella di Deimos come lingue di fuoco, senza però procuragli dolore. 
Il ragazzo sollevò un sopracciglio e le rivolse un sorriso arrogante. << Tutto qui quello che sai fare? >> la stuzzicò stringendo ancor di più le dita attorno alla sua gola. 
<< Basta! >> gridò a quel punto Gea, stanca delle sue parole. E fu proprio con quell'ultima esplosione di rabbia che le scariche presero vita e rilasciarono la loro energia devastante. Deimos sgranò gli occhi un secondo prima di essere sbalzato a metri di distanza, la terra tremò pericolosamente e un secondo fulmine colpì il suolo. 
Il ragazzo atterrò con leggiadria su un piede e si fermò a guardare la conca prodotta dal secondo dardo cascato dal cielo. Stavolta era profonda metri ed assomigliava ad un pozzo, ma la cosa più sorprendente era la sua ampiezza. Era sicuro che in larghezza raggiungesse addirittura i quattro metri. 
Un lieve dolore gli salì dalla mano fino ad irradiarsi su per la spalla. Sollevò la manica della maglietta e scorse delle piccole, ma molteplici abrasioni che ricoprivano la mano e l'avambraccio. Finalmente era riuscito a scalfirlo. Deimos sorrise compiaciuto e rivolse lo sguardo alla ragazza, che adesso stava contemplando i due crateri sul terreno. 
Non era sicura di essere stata proprio lei a crearli e, anche se così fosse stato, non se ne era accorta. Forse avrebbe dovuto imparare davvero a controllare i suoi poteri. Se solo si fosse trovata in mezzo a della gente avrebbe potuto fare del male a qualcuno o addirittura... uccidere. 
Portò gli occhi su Deimos, che si teneva il braccio destro ricoperto di piccole ferite con una mano, e rimase inorridita. Era stata davvero lei a fargli quello? Lo detestava, d'accordo, ma non voleva di certo ucciderlo. 
Gea alzò un braccio ed indicò con l'indice quello del ragazzo. << Sono... sono stata io? >> chiese deglutendo a vuoto. 
<< Secondo te? >> rispose Deimos sollevando un sopracciglio. Quella risposta le bastò per congratularsi con se stessa per ciò che gli aveva fatto. Era di un'antipatia fuori dal comune il tipo; non solo lei si preoccupava per il male che gli aveva fatto, ma lui rispondeva pure con arroganza. 
<< Ben ti sta >> borbottò Gea, sollevandosi in piedi. Adesso le dispiaceva soltanto di non averlo incenerito con un bel fulmine assestato sulla testa. Doveva imparare ad avere più mira. << Ah, e un'altra cosa >> aggiunse inchiodandolo con lo sguardo, << non ti azzardare mai più a mettermi le mani addosso. >> 
Deimos rimase a fissarla impassibile, poi sorrise con cattiveria. << Pensi che lo faccia volentieri? Preferirei evitare qualsiasi tipo di contatto con una rammollita come te. >>
Gea strinse per la rabbia i pugni doloranti. << Allora siamo in due, perché io preferirei evitare qualsiasi tipo di contatto con un pazzo assassino come te. >> 
<< Pazzo assassino? >> ripeté il giovane, con un velo di scetticismo sul volto. << Se non sbaglio sei ancora viva. >> 
Gea per poco non gli saltò alla giugulare per sbranarlo come un cane feroce. Dovette inspirare a fondo per calmarsi, oppure avrebbe commesso una pazzia. 
<< Ora capisco perché dicevi di non essere umano >> asserì lei, incrociando le braccia al petto. << Evidentemente non sei dotato di un cuore. Non ti potrebbe stare accanto nemmeno un cane >> concluse con un'alzata di spalle.
Deimos sorrise divertito ed inclinò la testa di lato, permettendo al sole di creare delle ombre sul suo viso. << Eppure tra le ragazze umane riscuoto molto successo. >>
<< Non è possibile >> lo lapidò sicura. << Nessuna pazza potrebbe avere il coraggio di stare con te. È impossibile che tu abbia la ragazza. >>
<< Eppure così è >> tagliò corto guardandola dall'alto con un che di superiorità. 
Un sopracciglio di Gea scattò in alto. << Pensavo tu non avessi sentimenti. >> 
<< Il che non m'impedisce di avere le mie avventure >> rispose il ragazzo, sorridendo sfacciato. 
Sul volto di Gea si fece largo un'espressione disgustata. Le dava la nausea immaginarsi Deimos in atti... intimi con una ragazza. 
L'attenzione della giovane fu presto carpita dal sole che man a mano moriva dietro l'orizzonte, oltre le spalle di Deimos. Il paesaggio intorno a lei si tinse di sfumature rosse e arancioni. Una sensazione di calore e tranquillità le si diffuse per il corpo, facendola sorridere e voltare di trecentosessanta gradi per ammirare la bellezza di quel posto da ogni angolazione possibile. 
Le ombre cominciarono ad avanzare da dietro le sue spalle, ricoprendo le rocce rosse e stendendo un velo scuro come se fosse stata una coperta. Presto anche su di lei sarebbe stata gettata quella coperta fredda. Rabbrividì per una folata di vento e si strinse nelle spalle. Mai come in quel momento si sentì sola al mondo. Sola in mezzo alla natura incontaminata, sola in quella situazione surreale, sola in mezzo al buio. 
Il sole scomparve oltre una montagna e la temperatura calò con esso. 
<< Attaccati a me >> le ordinò Deimos, avvicinandosi. Gea si voltò a guardarlo ed allungò un braccio per afferrare la sua maglietta. Lanciò un'ultima occhiata carica di nostalgia attorno a sé; perché, nonostante fosse stata una giornata dura e dolorosa, aveva amato quel posto, il più bello che avesse mai visto. 
Un secondo dopo lo scenario roccioso fu sostituto dal suo salotto malmesso e disordinato. 
Avrebbe dovuto dare una ripulita al più presto, perché di certo un coltello piantato nel muro e altri sparsi per terra non rientravano nella normalità. 
Gea abbandonò la maglietta di Deimos per dirigersi in cucina. << Se vuoi ho del disinfettante >> gli disse fermandosi a guardarlo, sperando che la degnasse di una risposta.
<< Cosa dovrei farmene? >> le chiese brusco. 
La ragazza incrociò le braccia sul petto ed appoggiò il peso su una gamba. << Be', fai te, solitamente lo si usa per pulirsi le ferite, ma se non vuoi puoi anche farti venire un'infezione. >> Fece spallucce e proseguì verso la cucina. 
La penombra faceva da padrona in tutta la casa. Come la sera prima, solo la luce proveniente dai lampioni rischiarava l'ambiente e rendeva possibile camminare per la casa senza rischiare d'inciampare. 
Accese la luce della piccola cucina e si tolse la felpa con solo il braccio sinistro, cercando di sforzare il meno possibile l'altro. Gettò quel cumulo di brandelli sul tavolo e aprì il frigorifero per prendere uno sformato di verdure da mettere in microonde. 
Si sentiva senza forze tanta era la fame che aveva. Non ricordava nemmeno più cos'era stata l'ultima cosa che aveva mangiato. 
<< Credo che tu ti sia presa troppe libertà >> sentì dire alle sue spalle. Si volse a guardare Deimos e sgranò gli occhi. Teneva i coltelli di quella mattina tra le mani e li stava osservando con un sorriso maligno. 
<< Posa quei coltelli >> gli ordinò con un tono di voce perentorio. 
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei e i suoi occhi blu come la notte luccicarono in modo sinistro. << Tu dai ordini a me? >> le domandò quasi divertito. << Evidentemente ci sono molte cose che non hai ancora capito. >> Il suo sguardo si fece improvvisamente duro e letale. Gea retrocesse di svariati passi fino a ritrovarsi con le spalle contro la portafinestra; adesso sì che aveva paura. Era in trappola, a meno che non si fosse lanciata dal terrazzo per abbracciare la morte.
Il flebile fischio del microonde le fece voltare la testa, ed un secondo dopo un coltello le sfiorò il collo. 
Sgranò gli occhi nel rendersi conto che quel pazzo le stava lanciando i coltelli addosso, proprio come quella mattina. 
<< Numero uno: mai prendersi gioco di me >> sibilò afferrando un secondo pugnale. Scagliò anche quello con una velocità sorprendente, piantandolo nel legno della portafinestra, ad un millimetro dal suo fianco destro. << Numero due: mai osare darmi ordini >> proseguì con uno sguardo gelido, facendo rabbrividire Gea dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli.
Aspettò che le arrivasse addosso un terzo coltello, ma nulla si mosse nell'aria. Evidentemente il pazzo aveva finito le armi a sua disposizione. La ragazza fece un passo in avanti sulle gambe tremolanti ed appoggiò una mano sul tavolo per sorreggersi. 
Aveva gli occhi sgranati e delle gocce di sudore le scendevano dal viso per ricadere sulla superficie di legno. Era stanca, sfinita, esausta, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente, e quel maledetto le lanciava coltelli contro. 
Uno schianto ed un urlo risuonarono per la casa. 
Gea adesso si trovava mezza distesa sul tavolo, con il braccio destro piegato dietro la schiena e la faccia premuta sulla superficie legnosa. Deimos le stava dietro, con la bocca a pochi centimetri dal suo orecchio. << E numero tre: mai abbassare la guardia >> sussurrò spietato, conficcando il terzo coltello a un millimetro dal naso della ragazza. 
Subito dopo diede uno strattone al braccio di Gea, facendole liberare un grido straziato che riempì l'appartamento. La giovane annaspò per il dolore lancinante al muscolo, che man mano le stava facendo informicolare l'intero arto.
<< Lasciami >> bisbigliò, mordendosi un labbro per evitare di urlare nuovamente. 
In risposta il ragazzo le tirò ancora di più il braccio. << Urla pure, magari qualcuno verrà a salvarti >> le disse sorridendo con cattiveria. 
Gea espirò tremolante e chiuse gli occhi per impedire alla sua mente di focalizzarsi sul dolore lancinante. Non avrebbe urlato per nulla al mondo, tutto pur di non dargliela vinta. 
<< Alla tua ragazza riservi lo stesso trattamento quando ti ordina qualcosa? >> si ritrovò a chiedere con rabbia. << Oppure uno ancora più violento di questo? >>  
Gea riaprì gli occhi nel momento in cui il petto del ragazzo entrò in contatto con la sua schiena. << Regola numero uno? >> le domandò divertito. 
<< Stammi lontano >> ringhiò lei.
<< Sbagliato >> rispose Deimos con un sorriso beffardo stampato in faccia. Le strattonò di nuovo il braccio e Gea emise un verso strozzato carico di patimento. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla pressione che il ragazzo continuava a compiere. Avrebbe tanto voluto richiamare a sé quei benedetti poteri che si ritrovava, ma era troppo stanca anche solo per respirare. 
<< Se non vuoi che ti rompa il braccio, chiedi perdono >> le sibilò all'orecchio. 
Gea riaprì gli occhi e sollevò un sopracciglio. << Piuttosto preferirei morire >> fu la sua lapidaria risposta. 
Deimos sorrise divertito e la lasciò andare, senza però allontanare il suo corpo da quello della ragazza. << La prossima volta non ti andrà così di lusso, tienilo bene a mente >> sussurrò minaccioso, prima di scomparire nel buio.


                                                                      * * *

Indossò dei pantaloncini elasticizzati blu ed una maglietta a maniche corte bianca. Sollevò il lenzuolo con l'unico braccio con cui le era possibile compiere movimenti, e s'immerse nel letto. Sciolse i capelli e chiuse gli occhi, sfinita. 
Dopo la sparizione di Deimos, si era lasciata scivolare tutta tremolante per terra. Aveva avuto paura che quel folle le potesse davvero spezzare il braccio. "Piuttosto preferirei morire", no, piuttosto avrebbe dovuto stare zitta. Non sapeva nemmeno lei come le fosse uscita quella frase, sapeva solo che non era riuscita a fermarla. Se solo Deimos non l'avesse lasciata... Rabbrividì d'istinto e si raggomitolò su un fianco. Non voleva pensare a cosa sarebbe successo se il pazzo maledetto non si fosse fermato. 
Quella giornata poteva essere catalogata tra le più faticose della sua vita. E forse svettava persino in prima posizione. Probabilmente avrebbe dovuto catalogarla anche tra le più brutte, ma le era impossibile dal momento che aveva amato il Grand Canyon. 
Sorrise al ricordo di quelle immense distese rosse, del sole che baciava e riscaldava le rocce, del vento freddo e inebriante, del cielo azzurro che sembrava possibile toccare con un dito, degli uccelli che volavano liberi. Quello sì che era il paradiso. 
Con quest'ultima immagine stampata nella mente e un piccolo sospiro, Gea finalmente si addormentò. 
  
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