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Autore: Pervinca95    03/10/2014    8 recensioni
Gea è una ragazza come tante... o almeno così ha sempre creduto. La sua vita viene stravolta in una notte da un ragazzo dai taglienti occhi cobalto, estremamente pericoloso quanto affascinante.
Ogni giorno sarà messa davanti a dure prove, e avrà solo due scelte: affrontarle o farsi annientare.
*******************
Dal testo:
La ragazza si rizzò in piedi e fulminò Deimos con lo sguardo. "Prima o poi, io ti ucciderò" sentenziò con decisione.
Il giovane alzò un sopracciglio ed avanzò di un passo, bloccandola con le spalle al muro. "E come pensi di riuscirci? Hai appena sprecato un'occasione a causa della tua debolezza."
"Non penso a come ci riuscirò. Sono sicura che mi verrà tutto molto naturale."
Deimos si avvicinò ancor di più ed abbassò la testa per guardarla negli occhi. Un sorriso divertito si affacciò sulle sue labbra. "Ah sì?" sussurrò posandole le mani sui fianchi.
Il battito cardiaco della ragazza cominciò ad aumentare. "Sì."
Il giovane ancorò le mani sotto le cosce di lei e con una leggera pressione la sollevò da terra. "Mm" mugugnò con un mezzo sorriso, posando le labbra chiuse sul collo di Gea. "Allora sarà interessante" alitò sulla sua pelle prima di darle un piccolo morso.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1 


























Il cielo appariva come un quadro di un pittore che aveva ricoperto la tela di sfumature calde e rassicuranti. 
Il rosso faceva da padrone all'intera volta celeste, mentre al di sopra danzavano frustate di colori secondari e terziari. Ma senza alcuna logica, dando così l'impressione di un'opera incompleta. 
Nonostante la loro sequenza disordinata, quei colori donavano a Gea Hush un senso di pace interiore mai saggiato prima. Li trovava perfetti, come se ogni gradazione fosse stata meticolosamente elaborata perché non stonasse.
Mentre percorreva la strada, al margine di un giardino rigoglioso, sentì gli angoli delle labbra incresparsi in un sorriso estasiato. 
Non riusciva nemmeno lei stessa a comprendere da dove provenisse quella gioia che percepiva divamparle nel corpo. Sapeva solo che le metteva in fibrillazione ogni molecola. 
Alcuni raggi caldi le sfiorarono la pelle col tocco delicato di una carezza. Per un attimo chiuse le palpebre ed inspirò a pieni polmoni per abbandonarsi a quella piacevolezza. 
Si sentiva parte della natura, in perfetta simbiosi. Come se l'avesse potuta governare, come se l'avesse potuta ascoltare col corpo. 
Un alito di vento le smosse dolcemente i lunghi capelli, s'insinuò tra le fessure del suo giubbotto di pelle.
Una forte emozione le si espanse nel cuore. Strisciò lenta sulla sua pancia, trasmettendole la sensazione di avere le farfalle nello stomaco. E poi, come una nube di vapore, risalì fino agli occhi, per un attimo le appannò la vista come se ciò servisse a ripulirli di un velo ostruente.   
Di colpo arrestò il passo, s'irrigidì come una statua. 
Aveva avuto una visione o i suoi occhi erano appena riusciti a mettere a fuoco una minuscola gemma sul ramo di un pesco che si trovava a circa un chilometro di distanza? 
No, non era possibile. Si era sicuramente sbagliata.
Sbatté rapidamente le palpebre, confusa. 
Subito dopo riprese a camminare tenendo la testa bassa, evitando di guardare nella direzione di quell'albero. Magari aveva solo bisogno di riposare; di certo la sua idea di andare a studiare in biblioteca dopo sei sfiancanti ore di scuola non era stata tra le più brillanti. Tornare a casa e mangiare un boccone l'avrebbe certamente aiutata a rilassarsi. Poi si sarebbe distesa sul divano ed avrebbe guardato qualche film d'azione fin quando il peso della stanchezza non l'avrebbe costretta a rifugiarsi sotto le coperte.
La sua serata era già programmata. 
Con la discesa del sole dietro l'orizzonte, le sue spalle vennero percorse da un fremito. 
Gea si decise a sollevare la testa mentre lo sfondo caldo veniva sostituito dal colore freddo della notte. Le stelle si affrettavano a ricoprire il cielo coi loro mille sfavillii, ricordandole delle lucciole rimaste incollate al soffitto celeste. 
Inspirò a fondo l'aria fresca ed emise un lungo sospiro che le svuotò i polmoni. 
La sensazione di serenità che aveva provato era svanita insieme alla visione della gemma. Adesso le sembrava quasi di avvertire il peso degli occhi di qualcuno addosso. 
Per debellare ogni dubbio, lanciò una rapida occhiata alle spalle. La strada era vuota. Non un'anima. 
Scosse la testa, dandosi della sciocca per quell'assurdo pensiero, e svoltò in un'altra via, più stretta e buia. La percorse stringendosi nel giubbotto di pelle, poi accelerò il passo per curvare in una nuova strada simile alla precedente. 
Gli alberi sporgenti dai piccoli giardini recintati di alcune abitazioni smossero l'aria con deboli fruscii. Le sue orecchie trasformarono quei suoni in ululati grotteschi. 
Dei brividi gelidi le scesero lungo la spina dorsale, le mani presero a sudarle.
Non aveva mai avuto così tanta paura di camminare da sola al buio. Per quanto conoscesse bene ognuna di quelle vie, in quel momento le apparivano estranee. 
C'era qualcosa, quella pressante sensazione di essere osservata, che le rendeva alieno tutto ciò che un tempo era familiare. E lei si sentiva quasi inghiottire da quelle strade cupe, da quegli alberi che gridavano. 
La luce di un lampione si affievolì improvvisamente, per poi rianimarsi con la medesima velocità non appena il suo sguardo impaurito si posò su di esso. 
Un nuovo brivido le percosse la schiena. Perché non era possibile che fosse stata lei. Era solo una coincidenza, solo una sciocca ed assurda coincidenza. 
Ripiombò con gli occhi sulla strada e deviò ancora, prima di trovarsi di fronte a casa sua. Estrasse le chiavi in tutta fretta, maledicendo quella che le serviva e che non riusciva a trovare. Aprì la porta centrale dello stretto condominio e salì rapidamente le scale. 
Quell'angosciante presentimento era ancora lì, pesante sulle spalle; eppure nessuno l'aveva seguita, ne era sicura. Altrimenti avrebbe sentito i passi del suo inseguitore, o lo avrebbe visto nel momento in cui si era girata verso il lampione.
Entrò dentro casa con una furia che non pensava di possedere. Sigillò la porta con più mandate, accese la luce e lanciò le chiavi sul tavolino a muro dell'ingresso. 
Tutta quella storia era assurda. Era il primo anno che viveva da sola, ma non aveva mai temuto la solitudine. Invece, adesso, la consapevolezza di dover passare la notte per conto proprio la terrorizzava. Il buio era diventato un nemico, e lei aveva la folle paura che potesse risucchiarla tra i suoi tentacoli invisibili. 
Si tolse il giubbotto, colpita da un'asfissiante ondata di calore, e lo gettò sul divano con noncuranza. 
Aveva bisogno di acqua. Sì, un disperato bisogno di bere. 
Corse in cucina e si riempì due volte il bicchiere, poi passò una mano fra i lunghi capelli ondulati e notò che la sua fronte era cosparsa di gocce di sudore.
Da quando faceva così caldo? Era primavera, ma il clima non era già rovente come d'estate. 
La ragazza sbuffò rumorosamente, la mente invasa di dubbi, e si avviò alla camera, intenzionata a rilassarsi e a dimenticare tutte quelle stranezze. 
Aprì la porta e dopo una breve corsa si lanciò sul letto facendo cigolare le molle. Espirò pesantemente, chiuse gli occhi e poco dopo si ritrovò a volteggiare in un altro mondo: quello dei sogni.




                                                                        * * *




Un braccio sconosciuto si allungò verso di lei. 
Gea arretrò spaventata e la sua schiena si scontrò contro qualcosa di duro e solido. Volse la testa per controllare di cosa si trattasse, il respiro corto e gli occhi sbarrati dal terrore. Si trattava del tronco di un imponente albero. Un pesco. 
Nonostante fosse buio riusciva a scorgere il colore rosato dei suoi fiori. Ed immediatamente il suo sguardo venne catturato da una piccola gemma su un esile ramo più interno rispetto agli altri. 
Le sue pupille si dilatarono ed il corpo le venne scosso da un brivido. Era quell'albero. Il pesco che aveva visto quella stessa sera. 
La pelle della schiena cominciò a formicolarle a contatto con la fresca corteccia mentre un'irradiante energia le dilagava nel petto. 
<< La senti, non è vero? >> le chiese una voce profonda proveniente dall'oscurità. 
Gea alzò la testa spaventata. Di scatto posò gli occhi su una zona di terra. Essa scoppiò in un lieve boato. Il terriccio umido volò per metri e metri di altezza, successivamente ricadde con un tonfo sordo. 
La ragazza rimase impietrita di fronte a quello spettacolo spaventoso. Una goccia di sudore freddo le scivolò lungo la guancia.
<< Tutto qui quello che sai fare? >> La voce di prima si rifece sentire, stavolta con una nota di scherno a colorarla. 
<< Chi sei? >> domandò affannata Gea, guardando a destra e a sinistra per poter scorgere la figura nell'oscurità. 
<< Non è questa la domanda del secolo. >> Il divertimento nel tono di colui che parlava le appariva mostruoso.
<< E quale sarebbe? >> La voce della ragazza si fece più alta e squillante. Odiava sentirsi minacciata, ma quella figura nascosta emanava delle vibrazioni così oscure e misteriose da farla sentire un cerbiatto nel mirino di uno spietato cacciatore. 
Una breve e crudele risata spezzò il silenzio facendole accapponare la pelle. << Chi sei tu. >> 
Gea aprì gli occhi atterrita e si sollevò a sedere sul letto. Appoggiò una mano sul lenzuolo e lo trovò completamente fradicio, come se qualcuno ci avesse lanciato una secchiata d'acqua sopra. Ed invece quello era il suo sudore. 
Cercò di regolarizzare il respiro e gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. 3.45 a.m. Aveva dormito poco e niente, e a dir la verità si sentiva più stanca di quando era andata a letto. Quel sogno sinistro aveva gettato benzina sul fuoco per il suo umore.  Riusciva ancora a sentire quella dannata voce strisciarle nelle orecchie come un serpente velenosa. 
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, facendola poi ricadere sulla fronte in un gesto automatico. Dopodiché decise di rigettarsi sul materasso. 
Era troppo stanca per ragionare lucidamente. Probabilmente la mattina successiva avrebbe ricordato solo alcuni frammenti di quel sogno, non valeva la pena fissarcisi. Calò le palpebre spossata e si liberò dell'ansia con un lungo sospiro. Un sospiro che le si spezzò in gola nel momento in cui una mano le scivolò sulla pancia. 
I suoi occhi si riaprirono come fanali in una notte buia, il cuore le sobbalzò nel petto, le dita le tremarono, i muscoli s'immobilizzarono. 
Deglutì a vuoto e mantenne lo sguardo inchiodato sul soffitto. Qualcosa era inciso intorno al suo ombelico, lo poteva percepire attraverso la maglietta. 
Era forse un taglio? E, anche se lo fosse stato, quando se l'era procurato? Fino a quel momento non ricordava di essersi tagliata. 
Alzò la maglietta con una lentezza snervante e lanciò un'occhiata fugace alla pelle. 
<< Ma cosa... >> sussurrò confusa, la vista aguzzata come una lama. 
Un motivo costituito da due linee nere che s'intrecciavano tutt'intorno al suo ombelico, formando un cerchio perfetto, si delineò davanti ai suoi occhi. 
Mosse l'indice tremante per sfiorare la perfezione di quel disegno. La bocca le si era improvvisamente prosciugata mentre constatava come le linee fossero leggermente sollevate sulla superficie della pelle.
Assomigliava ad un tatuaggio, ma il tratto preciso e articolato delle linee faceva intuire che nessuna mano umana sarebbe stata in grado di creare un cerchio tanto perfetto.
<< Mostrati. >> Quella sola parola le fece accapponare la pelle. Il suo corpo fu percosso da un tremito violento. 
Sollevò il capo e sbarrò gli occhi per guardarsi attorno. 
Era la stessa voce che aveva udito nel suo sogno, ma adesso lei era sveglia. Stava forse impazzendo? Sentiva di esserci molto vicina. 
Abbassò la maglietta e deglutì a vuoto. Il battito cardiaco le rimbombava nelle orecchie tanto da renderle difficile persino pensare. 
Avrebbe voluto scappare, eppure i suoi muscoli sembravano essere diventati di piombo. 
<< Mostrati. >> 
<< Dove sei? Chi sei? >> quasi urlò terrorizzata, gli occhi che saettavano da una parte all'altra della stanza. Ancora una volta avvertiva la soffocante minaccia di trovarsi in un mirino. 
Nessuna risposta giunse alle sue orecchie, ma tutto ciò che riuscì ad udire fu una sommessa risata di scherno. 
<< Fatti vedere! >> sbraitò a quel punto Gea, condotta all'esasperazione dal silenzio agghiacciante calato. 
Un fruscio di stivali che si muovevano con lentezza sul parquet le fece salire il cuore in gola. 
La debole luce della notte, che penetrava da una finestra lasciata aperta, sembrò rabbuiarsi per un breve istante, come se sopra la luna fosse stato posto un mantello scuro. 
Non appena il suo sguardo si posò sulla finestra, la luce argentea tornò a brillare con intensità, riaccendendosi come una fiamma invigorita dal vento.
La figura nell'ombra continuava a muoversi con flemma, dandole l'impressione che lo stesse facendo di proposito per aumentare il suo terrore. E poi, dopo un lungo e carico minuto di tensione, il padrone della voce profonda permise alla luce di toccare il suo volto. 
Un mezzo sorriso di sadico divertimento aleggiava sul viso dello sconosciuto, che se ne stava a braccia conserte e con la schiena appoggiata all'armadio in una posa sfacciata.
Gli occhi d'ambra di Gea incontrarono due zaffiri blu come la notte, profondi come l'oceano e pericolosi come quelli di un felino che ha individuato la sua preda.
Lo sconosciuto era bello, indubbiamente bello. La sua bellezza aveva un qualcosa di sinistro e spaventoso, ma allo stesso tempo di affascinante e misterioso.
Più lo guardava e più le veniva in mente l'immagine di una lampada per insetti, capace di attirare le sue vittime e poi ucciderle. 
Un brivido di orrore le trapassò il corpo, ma rimase immobile a fissare colui che aveva fatto incursione in casa sua. Sentiva che non avrebbe dovuto abbassare la guardia per niente al mondo, o la sua distrazione l'avrebbe condotta a morte certa.
Nella mente cercò di catalogare tutti gli oggetti che aveva a portata di mano da usare come arma. Ma il panico le rendeva impossibile essere lucida, i suoi pensieri zampillavano con una tale rapidità da confonderla. 
<< C... cosa vuoi? >> domandò la ragazza a bassa voce. Le labbra le si erano incollate dalla paura, la gola era arsa come un deserto. 
Lo sconosciuto sorrise mostrando una fila di denti bianchissimi, ma quel sorriso nascondeva ben altro, qualcosa di molto lontano dalla cordialità. 
Gea rabbrividì ancora e strinse tra le dita affusolate il lenzuolo che le avvolgeva le gambe. 
<< Ti vuoi decidere a parlare?! >> sbottò a quel punto, assuefatta dallo spavento e dalla rabbia. 
Guardandolo bene doveva avere su per giù la sua stessa età, e questo se da una parte la faceva sentire più tranquilla, dall'altra, inspiegabilmente, la irritava ancor di più. 
<< Non c'è bisogno di scaldarsi tanto >> ribatté il ragazzo con tono calmo. A Gea parve di percepire una nota beffarda nella sua voce, come se la stesse deliberatamente prendendo in giro. 
Sgranò gli occhi e tirò indietro la testa. 
Era sconvolta. Un misto di rabbia, irritazione, stupore e paura le si concentrò nello stomaco come una nuvola grigia sospesa nel cielo. Le dita le formicolavano e tremavano al tempo stesso. 
<< Non ti conosco, sei entrato in casa mia in piena notte, ti pianti davanti al mio letto e non dovrei scaldarmi? >> ringhiò. 
<< Non sono qui per una visita di cortesia >> tagliò corto lui.
Sebbene ne fosse già consapevole, quelle poche parole le accartocciarono lo stomaco dal terrore. Percepì una goccia di sudore freddo solcarle la tempia. << Cosa vuoi? Chi sei? >> riprovò stringendosi il lenzuolo addosso, come se quello bastasse a proteggerla.
Il ragazzo si staccò dall'armadio e mostrò un sorriso provocatorio. << Se ti dico il mio nome cosa farai dopo? Mi andrai a cercare su Facebook? >> 
Gea sollevò rapidamente un sopracciglio, più per un tic nervoso che per altro. << Veramente pensavo di denunciarti. >> 
Il sorriso dello sconosciuto si tramutò in uno di crudele scherno. << Come siete prevedibili, voi umani. Necessitate sempre della protezione di qualcun altro. Tuttavia tu... >> Inclinò la testa ed assottigliò lo sguardo per studiarla. 
<< Io cosa? >> 
<< Mostrati >> ribadì lui, serio. 
Gea sigillò la mascella per l'irritazione. Era prossima ad un esaurimento nervoso. << Adesso non mi vedi? >> 
Il ragazzo si avvicinò velocemente e posò le mani sul materasso. I suoi occhi bruciavano come un falò in una notte buia mentre trafiggevano quelli di Gea. << Mostrati. Adesso >> sibilò minacciosamente. 
<< Non so di cosa tu stia parlando. >> 
<< D'accordo >> acconsentì lo sconosciuto, ritraendosi e tornando in piedi. << Hai bisogno di un piccolo incentivo. >>
Dalle tasche posteriori dei pantaloni, estrasse dei coltelli affilati. I manici, più neri della pece, rilucevano per frammenti di luce lunare che penetravano dalla finestra. 
Gea strabuzzò gli occhi e il cuore le si fermò nel petto, le si accapponò la pelle come se la stessero scuoiando viva. La sua mente ripeteva una sola parola più e più volte: no. Lei non sarebbe morta in quel modo. Non lo accettava.
Ed intanto lui si rigirava i coltelli tra le dita come un esperto tiratore, un sorriso raggelante gli incurvava gli angoli delle labbra. 
Gea si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcosa con cui colpire il ragazzo prima che fosse lui a compiere la prima mossa. Peccato che a portata di mano avesse solo una sveglia ed una lampada da comodino, ma non c'era tempo per piangersi addosso ed imprecare contro la sfortuna. 
Si girò di scatto ed afferrò la sveglia, impugnandola ben bene perché non le sfuggisse dalle mani sudate. 
Il ragazzo la guardò con un crescente divertimento. << Credi davvero che con quella potrai salvarti? >> 
Gea non rispose, rimase concentrata sul suo bersaglio e strinse ancor di più le dita sulla sua arma improvvisata. I battiti del cuore le picchiavano persino dietro gli occhi. 
<< Evidentemente sì >> constatò il ragazzo, preparando un coltello al lancio. << Vediamo di cosa sei capace. >> 
La giovane deglutì a vuoto, le stomaco sprofondò fino ai piedi. La luce esterna di un lampione tremolò finché la sfera di vetro che lo rivestiva non esplose in mille pezzi. I frammenti caddero sulla strada e sulle macchine parcheggiate, provocando l'attivazione di un allarme antifurto.  
Quel suono acuto e perforante contribuì a far accelerare il battito cardiaco della ragazza. Non poteva permettere che la paura la immobilizzasse, doveva mantenere i nervi saldi e puntare dritta al bersaglio. Nessuna distrazione era ammessa, o quella avrebbe decretato la sua fine. 
Il ragazzo mosse il braccio destro all'indietro e si arrestò a scrutare la sua vittima. Riusciva a percepire il terrore della ragazza che impregnava la stanza come fosse stato un profumo. E lui amava quell'odore, quel sapore di bruciato sulla punta della lingua. 
Sorrise impietoso e con un maestrale movimento spostò la lama del coltello fra indice e medio. << Cerca di non farti infilzare subito, se no finiremmo di giocare troppo presto >> la canzonò mentre lei rimaneva impassibile, troppo concentrata su quale fosse il tempismo perfetto per il suo attacco.
Non ebbe il lusso di pensare troppo a lungo, perché la lama del coltello le saettò sopra la testa ad una velocità impressionante. Gea impallidì nel rendersi conto che non era nemmeno stata in grado di vedere l'arma venirle contro. Sentì la pressione scenderle dalla testa con un'ondata di freddo calore. 
Sgranò gli occhi, mentre quelli del ragazzo si accendevano di una luce sinistra. Sembrava quasi che provasse gusto nel terrorizzarla, nel posticipare di pochi secondi la sua fine. 
Gea scansò le coperte che la coprivano e si precipitò fuori dalla camera, in un disperato quanto goffo tentativo di fuga. 
Avvertì una leggera folata di vento vicino al suo orecchio destro ed un secondo dopo vide la lama di un coltello piantata nel muro. 
La sua mente andò in tilt di fronte a quella visione raggelante. Avrebbe voluto urlare, ma le corde vocali si erano pietrificate insieme al corpo. 
Le gambe e le labbra presero a tremarle, la vista le si annebbiò, il sangue defluì dal viso lasciandola pallida e cianotica, la mano stretta sulla sveglia allentò la sua presa. Ma un secondo prima che l'unica arma di salvezza le scivolasse dalle dita, la sua mente si riaccese, come una fiamma che si fa spazio tra le ceneri pur di vivere ancora. 
Strinse la mano sulla sveglia e si voltò con rabbia e determinazione a fronteggiare il nemico. Non si sarebbe fatta annientare così facilmente, e se doveva morire almeno lo avrebbe fatto lottando. 
Il ragazzo la scrutò con attenzione mentre faceva volteggiare un altro coltello tra le dita. I suoi zaffiri penetranti erano seri e concentrati su ogni particolare. 
Impugnò la lama tra pollice ed indice e, con una rapida mossa, scagliò il pugnale contro la ragazza, stavolta mirando al cuore.
Gea se ne accorse con un tuffo a quel muscolo sotto tiro. Istintivamente ridusse gli occhi a due fessure e strinse i denti, quasi digrignandoli. Ma non si mosse, nemmeno di un millimetro. Aveva la certezza che quella lama non l'avrebbe colpita. 
Fu una questione di millesimi di secondi. Gea sentì il suo corpo tremare, ma non per la paura. Un'energia prepotente le risalì dall'ombelico come uno tsunami, le inondò gli occhi, facendoglieli chiudere e subito riaprire di scatto. 
Quando calò il viso vide che il coltello era immobile di fronte al suo petto. 
Il battito cardiaco la stordì tant'era potente, lo avvertiva ovunque. 
Alle sue orecchie sopraggiunsero i rumori di tanti vetri che si rompevano e cadevano a terra producendo mille ticchettii. Percepiva una forza esagerata dentro di sé, e sentiva che quella forza poteva espandersi oltre il suo corpo. 
Alzò lo sguardo sul ragazzo e vide se stessa riflessa nei suoi occhi. Un alone di luce gialla rivestiva qualsiasi parte del suo corpo, ma ancor più intensa era la luce che proveniva dal cerchio di linee intrecciate intorno al suo ombelico. Da quello riusciva a cogliere forza allo stato puro, come se fosse il centro della sua vita. 
Gli occhi color ambra erano accesi come tizzoni ardenti e sprigionavano un vigore elettrico. Le sue labbra erano rosse come bacche di biancospino, mentre due intersecate linee verdi si snodavano dalle tempie fin sulla sua fronte per originare una sottile corona. I lobi delle orecchie, invece, erano decorati da minuscoli rami verdi che s'intrecciavano sino alla parte più alta del padiglione.
A quel punto, pervasa dalla confusione e da un velo di terrore, si osservò le mani. Le sue unghie non erano più rosate, ma marroni come la terra arida; e anche le sue vene avevano perso il loro colore naturale in favore di uno quasi trasparente come quello dell'acqua. 
<< Finalmente >> disse il ragazzo, piantando l'ultimo coltello che gli era rimasto nel legno di un mobile. 
Gea lo guardò con odio e il televisore alle sue spalle scoppiò in un fragore; all'esterno le foglie degli alberi frusciarono violentemente. 
Lo sconosciuto ignorò quegli eventi e le si avvicinò a passo sicuro. Quando le fu davanti tirò una ciocca di capelli della ragazza dietro la spalla. 
Gea spalancò gli occhi per lo stupore. 
Il giovane inclinò la testa e cercò qualcosa con lo sguardo; sembrò trovarlo non appena le sue labbra si stesero in un sorriso soddisfatto. << Sei tu >> affermò ritraendosi. 
<< Cosa? >> chiese Gea, il tono ansioso. << Cosa sono? >>
Lui incrociò le braccia sul petto e mandò appena la testa all'indietro, osservandola dall'alto. << Cosa si sta muovendo fuori in questo momento? >> domandò serio. 
Gea guardò fuori da una finestra. Gli alberi continuavano ad agitare le loro fronde, quasi fossero furiosi, ed i rami tremolavano come fossero stati spaventati. Riusciva ad odorare il profumo delle loro cortecce e a percepire la vita che li animava.
<< Gli alberi >> sussurrò la ragazza, senza spostare la visuale. << Come mai li sento parte di me? >>
<< Perché lo sono, come tu sei parte di loro >> spiegò velocemente il giovane, il tono duro.
Gea spalancò gli occhi e li posò con cautela su di lui. << Che vuoi dire? >> 
<< Il tuo potere deriva dal fatto che incarni uno dei quattro elementi naturali. La tua trasformazione lo evidenzia esplicitamente. >> 
<< Ed io sarei... >>
<< Terra >> l'anticipò. << Nelle tue vene scorre la linfa che dona vita a qualsiasi vegetale. Hai pieno controllo della terra e puoi manovrarla. Le tue emozioni influenzano notevolmente la natura, che di conseguenza reagisce ai tuoi sbalzi d'umore. C'è solo un limite, che altro non è che l'inizio del mio potere >> annunciò con un sorrisetto. 
Gea sbatté le ciglia più volte, incredula come mai in vita sua. Sperava che fosse tutto uno scherzo, ma le sue attuali sembianze non le davano neanche modo di poterlo ipotizzare. 
<< Tu che potere possiedi? >> chiese a quel punto, la voce flebile. 
<< Distruzione, terrore: questo è il mio potere. >> 
<< Lo dici con una certa fierezza >> notò lei, mal velando l'ironia nel suo commento. 
Il giovane fece un passo avanti e la inchiodò con uno sguardo gelido. << Ognuno nasce con una natura e con un compito. Io ho il mio, non mi aspetto che tu capisca. Non saprei che farmene della tua comprensione >> disse tra i denti. 
Quelle parole colpirono Gea più del dovuto, anche se non sapeva spiegarsi il motivo. 
Abbassò la testa e si guardò le mani. << Che cercavi prima? >>
<< Un segno che hai nell'incavo del collo. Dovevo assicurarmi che fossi tu il caso speciale. >> 
La ragazza issò lo sguardo. << Cos'ho di speciale a parte il fatto che incarno uno dei quattro elementi? >> 
<< Forse il fatto che in te non solo confluisce il potere della terra, ma anche quello dell'elettricità e del tempo. Ed è probabile che tu ne abbia altri che riesci a manifestare solo in base a particolari stati d'animo >> disse fissandola seriamente. << Devi essere messa sotto pressione per farli emergere. >> 
<< Quindi lanciarmi coltelli contro era un modo per aiutarmi >> constatò lei, sollevando le sopracciglia.
<< Io non aiuto nessuno >> puntualizzò il ragazzo. << Se faccio qualcosa è solo per un mio tornaconto. >> 
Gea rimase per un momento in silenzio, poi si schiarì la voce e spezzò quella bolla di quiete. << Posso sapere, adesso, qual è il tuo nome? >> 
<< Deimos. >> 
<< Io sono... >>
<< So chi sei >> la interruppe bruscamente.
<< Bene. Saltiamo i convenevoli. >> Sventolò una mano in un moto di risentimento e irritazione. 
Deimos la scrutò con attenzione mentre lei era troppo intenta a borbottare tra sé e sé a testa bassa. << I nostri poteri sono legati più del normale >> sentenziò lui ad un certo punto.
Gea alzò la testa incuriosita. << Che vuol dire più del normale? >>
<< Il mio potere è legato a ciascuno dei quattro elementi. Acqua, terra, aria e fuoco possono seminare distruzione e terrore, ma in quei casi sono io a dominarli. Tu possiedi dei poteri in più di cui non mi è possibile controllare il carattere distruttivo. Questo fa sì che sia tu ad avere in mano le redini della distruzione che possono provocare quei poteri. Perciò la tua facoltà è la più legata alla mia. >>
<< In poche parole tu sei in grado di usare tutti e quattro gli elementi per distruggere. Domini il carattere devastatore di acqua, aria, terra e fuoco >> appurò Gea, impressionata da tanto potere in una sola persona. 
<< È quello che ho già detto. >>
<< Volevo chiarirlo >> rispose, irritata dai suoi modi. 
<< Non ce n'era bisogno >> replicò freddamente Deimos. << Piuttosto devi imparare a controllare i tuoi poteri e ad usarli quando ne hai necessità. >>
Gea aggrottò la fronte ed appoggiò una mano sul cerchio di linee intrecciate intorno all'ombelico. Sospirò lentamente e sentì l'energia defluire dal suo corpo, a partire dalla testa fino all'incisione sulla pelle. 
Osservò la luce gialla che prima le ricopriva il corpo svanire e concentrarsi sulla pancia. Le vene e le unghie tornarono del loro colore naturale mentre un velo di sudore le ricopriva la fronte. 
Si sorresse al divano ed inspirò a pieni polmoni. Si sentiva spossata, con le ossa a pezzi e i muscoli indolenziti. 
<< Sei tornata nella tua forma primordiale >> dichiarò Deimos. << Evidentemente per ritrasformarti ti basta toccare il centro da cui ricavi potere ed espirare. E scommetto che per avviare la metamorfosi devi compiere lo stesso gesto, ma inspirando >> notò con un sorriso presuntuoso. 
Gea lo guardò respirando a fatica, s'inumidì le labbra secche. << Mi sento senza forze >> sussurrò con la voce spezzata.
<< È normale, il tuo corpo non è ancora in grado di sopportare il peso di una trasformazione simile. Per questo devi allenarti. Solo con la pratica acquisirai sempre più potenza >> le spiegò il ragazzo, muovendo dei passi per la stanza. Si avvicinò ad una finestra e scrutò all'esterno, sulla strada buia e deserta.
Gea lo osservò mentre pareva assorto nei suoi pensieri. Dalla postura irrigidita e dalla mascella contratta, non ci mise molto a comprendere che qualcosa non andava. Il che non fece che agitarla maggiormente. 
<< Cosa c'è? >> domandò. << Se mi stai nascondendo qualcosa faresti bene a sputare il rospo. Tanto più scioccata di così non potrei essere. >> 
Deimos rimase immobile, come se le sue orecchie non avessero udito alcun suono. Poi si voltò verso la ragazza con un veloce scatto della testa. La osservò con quei suoi occhi magnetici e pericolosi. << Loro non sono come pensi. So che stai pensando di cercarli >> disse severo.  
<< Loro chi? >> 
<< Acqua, fuoco e aria >> le rispose sbrigativamente. << Ti sbagli di grosso se credi di poter fraternizzare con loro. >>
Gea impallidì nel rendersi conto che, per un attimo, quel pensiero le era balenato per la testa. Aveva creduto di potersi mettere in contatto con qualcun altro che deteneva un potere grande e spaventoso come il suo. Forse per cercare una persona simile a lei, che avrebbe potuto capirla ed indicarle una via. 
In quel momento si sentiva terribilmente frastornata ed instabile sui piedi.
Deimos si staccò dalla finestra e si appoggiò con la testa e le spalle al muro. << Quanti anni hai? >> chiese guardandola dall'alto, con un misto di superiorità e riluttanza. 
Gea assunse un cipiglio nervoso e lo sfidò con lo sguardo. << Diciotto, perché tu? Non sembri tanto più grande, o sbaglio? >> 
<< L'età non conta se si possiede un briciolo di maturità >> la freddò il ragazzo. << E tu sei totalmente immatura. >> 
<< La tua maturità consiste nell'eludere le domande? >> rilanciò Gea, inarcando un sopracciglio con fare provocatorio. 
Non lo vide neppure; ma il coltello che prima era incastrato nel legno ora era vicinissimo alla sua gola, e Deimos lo impugnava con uno sguardo spietato e tagliente.
La giovane deglutì e la sua gola sfiorò la lama. Nonostante il battito impazzito del cuore e la paura che la confondeva, non si permise mai di abbassare gli occhi. Sostenne lo sguardo del ragazzo con fermezza, fino a quando lui non premette il pugnale contro la sua gola ed avvicinò il volto. 
<< Osa ancora una volta prenderti gioco di me e giuro che questo coltello assaggerà il tuo sangue >> sibilò a denti stretti. 
Detto ciò si allontanò di scatto. Lei poté ricominciare a respirare mentre si trasportava una mano sul petto. 
Subito dopo fulminò le sue spalle solide con rabbia. 
Odiava quel tizio borioso che era entrato bruscamente nella sua vita senza prendersi il disturbo di bussare. 
I rami degli alberi si mossero con violenza, frustando l'aria ed alzando la polvere sulla strada.
Odiava i suoi modi sgarbati e l'alterigia nella sua voce. Il suo atteggiamento la faceva sentire insicura e piccola, come se il fatto che proprio lei possedesse quell'immenso potere fosse una disgrazia per l'umanità. Con una sola parola, quel ragazzo la faceva sentire un'incapace.  
Aveva già vissuto quella sensazione sulla sua pelle in passato. 
Le due persone che l'avevano messa al mondo ci erano riusciti prima di tutti. 
Una sottile scarica blu si mosse dentro al muro fino a che non trovò riparo dietro uno stereo. 
Gea ricordò con dolore come i suoi genitori non avessero mai creduto in lei, come l'avessero sempre fatta sentire inferiore a tutto e tutti. L'avevano ritenuta incapace di affrontare qualsiasi situazione, a partire da quelle scolastiche fino a quelle di vita quotidiana, le avevano fatto provare cosa significasse sentirsi soli, incompresi, dei falliti, inutili... incapaci
Odiava quella parola. Per troppo tempo l'aveva fatta soffrire.
Lo stereo vibrò prima piano, poi sempre più violentemente, finché non esplose in mille pezzi che saettarono per la stanza come schegge impazzite. 
Deimos sgranò gli occhi e si abbassò sulle ginocchia prima che un frammento lo colpisse sulla fronte. Si voltò di scatto verso la ragazza e la trovò immobile, con gli occhi chiusi, la testa abbassata, i pugni stretti ed un alone di luce blu a rivestirla. 
Un pezzo di stereo le si stava dirigendo contro a gran velocità, ma, prima che potesse sfiorarla, Gea aprì gli occhi con determinazione e lo fece deflagrare sfruttando l'elettricità che permeava la stanza.
Una dopo l'altra le schegge scoppiarono, ricadendo a terra sotto forma di polvere. 
Deimos si rialzò lentamente e mantenne gli occhi puntati su di lei. Avrebbe combattuto se la situazione lo avesse richiesto, e non gli importava minimamente se la sua sfidante incarnava la terra. 
<< E tu osa ancora una volta puntarmi un coltello contro e giuro che di te rimarrà solo un cumulo di cenere >> sputò la ragazza, squadrandolo con risentimento. 
Deimos rimase a fissarla impassibile per qualche istante, poi le sue labbra s'incurvarono in un sorrisetto che non aveva niente di amichevole. << Vedremo >> disse solamente, lanciandole uno sguardo di sfida. 
Gea incrociò le braccia al petto e si sedette sulla testata del divano. << Cos'era quella luce blu che avevo intorno? E perché prima era gialla? >>
<< Era blu perché stavi sfruttando l'elettricità, non il potere della terra >> tagliò corto lui. << Evidentemente la tua aura cambia colore a seconda del tipo di facoltà che usi. >> 
La ragazza spostò lo sguardo sulla finestra e fece una smorfia con la bocca. << E non si può evitare? Non mi piace illuminarmi come una lampadina. >> 
<< Devi imparare a controllare i tuoi poteri, a dominarli come se fossero bestie da addomesticare >> sibilò Deimos, richiamando la sua attenzione. << Devi saperli muovere ed usare come fossero un prolungamento dei tuoi arti. Molto probabilmente l'alone di luce gialla non lo perderai mai, poiché quello deriva dal tuo potere primo, ma gli altri puoi farli scomparire. È solo una questione di pratica. >> Sollevò un sopracciglio con fare altezzoso ed un sorriso di scherno accompagnò le sue successive parole: << E di talento, ovviamente. >>
Gea strinse i denti e s'impose di mantenere la calma. Se solo quel ragazzo non le fosse stato utile per capirne di più sulla sua insolita situazione, lo avrebbe incenerito con una scarica elettrica. Ed avrebbe danzato sulle sue ceneri. 
<< Perché non posso fraternizzare con acqua, aria e fuoco? >> chiese tornando su un terreno più sicuro. << Se sono simpatici come te non avrò problemi a farmeli amici >>  aggiunse stampandosi un sorriso angelico in faccia. 
Sapeva che quell'insinuazione lo avrebbe fatto arrabbiare, perciò si godette il momento in cui il ragazzo la trucidò con un'occhiata feroce. 
<< Non sono come pensi. Alcuni di loro sono a conoscenza del loro potere da anni, e questo fa sì che abbiano imparato a governarlo abilmente. >> Ci fu una pausa durante la quale il tempo sembrò fermarsi tant'era carica l'atmosfera. << Non tutti lo usano come dovrebbero >> disse infine lui. 
Gea aggrottò la fronte, sempre più confusa. << Che significa? Hai detto che non possiamo distruggere perché quello è il tuo compito. Quale altro modo potrebbe esserci per impiegare male il nostro potere? >> 
Deimos irrigidì la mascella e i muscoli sulle sue braccia si tesero come cavi dell'alta tensione. << Aria. Acqua. Fuoco. Ciascuno di loro cerca di prevaricare sull'altro. Perché credi che non esistano armonia ed equilibrio sulla Terra? Se i quattro elementi non sono in sintonia non può esserci stabilità, e se non c'è stabilità non c'è nemmeno la pace >> asserì fermo. 
<< Quando dici prevaricare cosa intendi di preciso? >> 
Deimos la fissò a lungo, gli occhi che non tradivano alcuna emozione. Nella stanza calò un silenzio carico di domande sospese e di risposte racchiuse in un guscio di piombo.
A Gea sembrò che quel guscio non sarebbe mai stato divelto, e che con molte probabilità non avrebbe mai trovato le risposte alle domande più importanti della sua vita.
<< Il tuo potere, in passato, è stato nelle mani di qualcun altro; così vale per il mio e per quello degli altri >> pronunciò il ragazzo. << Morti i nostri predecessori i poteri si sono tramandati a noi, e così continuerà ad essere. Ma non è mai esistita armonia fra i quattro elementi, poiché coloro che li incarnavano hanno sempre bramato di più. >> La trafisse con quegli spietati occhi blu notte, quasi come se volesse leggerle nella mente. << Tu potresti possedere il potere dell'acqua, del fuoco e dell'aria oltre che quello della terra. >>
La ragazza s'inumidì le labbra secche e si schiarì la voce. Aveva la gola arida di saliva e le mani sudate. << Quindi quando dici prevaricare... intendi uccidere. Loro vogliono possedere tutti gli elementi, e per farlo devono sbarazzarsi di chi gli intralcia il cammino. >> Lo stomaco le si contorse dall'orrore, sentì una palla di paura solidificarsi nella sua pancia ed appesantirle le gambe. 
Abbassò la testa e guardò il pavimento sporco di cenere, inespressiva. 
Non voleva crederci. Le pareva di essere ancora nell'incubo che l'aveva svegliata. 
Qualcuno là fuori voleva ucciderla, anzi, ben tre volevano farla fuori. Forse quattro se contava anche l'odioso ragazzo che l'aveva messa al corrente della sua tragica situazione. 
<< Da stanotte loro sanno che qualcuno ha preso il potere della terra. Ringrazia che non sono a conoscenza che possiedi anche quello di tempo ed elettricità. >> 
Gea alzò il capo con stanchezza e lo guardò smarrita. << Perché? Se lo venissero a sapere cosa succederebbe? >>
Deimos schioccò la lingua al palato con fare divertito. << Sai cosa significa una lotta fra titani? E tutto pur di accaparrarsi la tua morte. >>
<< Adesso sì che mi sento meglio >> commentò la ragazza, tornando con lo sguardo basso. 
Non poteva essere giunta la fine. No, non era possibile. Fino ad un'ora prima la sua vita trascorreva serena e priva di complicazioni. Adesso, per colpa di quell'arrogante tipo che le era piombato in casa, tutto stava andando a rotoli. La sua vita aveva deviato su una strada tortuosa e in salita che conduceva ad un precipizio dal quale avrebbe dovuto lanciarsi. 
Avrebbe voluto piangere se solo fosse servito a qualcosa. 
Poi le tornarono alle mente le parole del ragazzo. << Hai detto che il mio potere lo ha posseduto qualcun altro prima. Quindi se mi uccidessero la mia facoltà andrebbe nelle mani di un nuovo successore, non nelle loro >> ipotizzò speranzosa. 
Le labbra del giovane s'incresparono irrisorie. << Neanche per sogno, questo succede solo in caso di morte naturale. Al contrario, se uno dei tre ti uccidesse il potere confluirebbe direttamente nel tuo assassino. >> 
<< E perché tu non mi vuoi uccidere? Acquisteresti il mio dono, no? >> gli chiese ad un tratto, incastrando gli occhi con quelli del ragazzo. 
<< Il mio potere è indipendente, una sorta di sfera solida. Il tuo, invece, è una delle quattro facce di un tetraedro. Se scomponi questo solido e posizioni i quattro triangoli l'uno sull'altro che cosa ottieni? >>
<< Un solo triangolo >> rispose la ragazza, realizzando cosa volessero dire quelle parole. << E quindi una sola persona in cui convergono quattro diverse facce. >> 
Il cuore le saltò nel petto come un petardo. Ogni rivelazione la distruggeva psicologicamente, sentiva il peso di tutte quelle informazioni premere contro le pareti del cranio per uscire. 
Deimos sorrise malevolo. << Ucciderti non mi servirebbe a nulla, io non sono parte del tetraedro. Anche se l'idea è alquanto allettante. >> 
<< Be', se vuoi aggiungerti alla lista dei miei potenziali assassini fai pure >> affermò Gea, cercando di mascherare il panico con un velo d'ironia. << Tre sono troppo pochi anche secondo me. >> 
Lui si passò la lingua sui denti con aria divertita. << Per ora preferisco godermi lo spettacolo di come cercherai di sfuggire a morte certa e, quando questa arriverà, voglio poter scorgere tutte le sfumature di paura che attraverseranno i tuoi occhi. >> 
<< Sei più simpatico di quanto immaginassi >> commentò la ragazza. << E, se mi è concesso sapere, come mai sei venuto a cercarmi? Ancora non l'ho capito. >> 
<< Ho trovato tutti gli altri elementi, mi mancavi solo tu all'appello >> disse spiccio lui. << Chi detiene il mio potere deve conoscere le sue pedine. >>
<< Non credo di essere una tua pedina, di questo ne sono più che sicura >> controbatté Gea. << Anche perché altrimenti preferirei di gran lunga la morte. >> 
<< Fatto sta che è mio dovere raccogliere i quattro elementi. Devo tenervi vicini se voglio sfruttare al meglio il carattere distruttivo di ciascuno. Mi servite >> tagliò corto il ragazzo. Incrociò le braccia sul petto e reclinò la testa per scrutarla da sotto le ciglia nere. 
<< Quindi mi stai dicendo che se non ti trovi vicino a noi non puoi usufruire del tuo potere al cento per cento >> constatò Gea. 
Deimos annuì con riluttanza. << Ne userei solo l'ottanta per cento. >> 
<< E non ti basta? >>
Il ragazzo la fulminò con lo sguardo e issò la testa. << No, non mi basta. Non sopporto non poter sfruttare a pieno la mia dote. >> 
La fanciulla l'osservò senza proferire parola. Le era inconcepibile pensare che una sola persona potesse ambire a tanto. O forse, più semplicemente, non poteva capirlo perché non era mai stata ambiziosa. Nessuno le aveva insegnato che avrebbe dovuto sempre mirare al massimo per se stessa. Aveva sempre creduto che la sua vita fosse già il massimo. 
Ed invece adesso si rendeva conto che era sempre stata una questione di misure.
<< Che cosa devo fare adesso? >> chiese con un filo di voce. 
<< Allenarti il più possibile. Devi arrivare al livello degli altri, o almeno avvicinarti >> rispose il ragazzo, muovendo dei passi per la stanza.
Gea lo seguì con lo sguardo e corrugò la fronte. << Perché mi dici tutto questo? A te cosa giova aiutarmi? >>
Deimos si bloccò sul posto e si voltò a guardarla inarcando un sopracciglio. << Aiutarti? Mi sembrava di averti già detto che io non aiuto nessuno >> sibilò freddamente. << Se ti ho detto tutte queste cose è perché devi fare in modo di non farti uccidere. Non m'importa nulla della tua vita, ma se uno solo incarnasse tutti gli elementi io non potrei più adoperare il mio potere. >> I suoi zaffiri si scurirono brutali. << Perciò vedi di non farti ammazzare, o sarò io ad uccidere te, in un modo o nell'altro. >>
<< Mi troveranno prima o poi, e a quel punto che cosa dovrei fare? Combattere? >> domandò sconvolta la ragazza. Deglutì terrorizzata. << Non avrò nemmeno il tempo di guardarli in faccia. Mi avranno già uccisa. >>
<< Per questo dovrai allenarti a destreggiare i tuoi poteri. >>
<< Non saprei neanche da dove cominciare >> ammise scuotendo la testa con afflizione.
A Deimos spuntò un mezzo sorriso disumano. << Questo è evidente. Non possiedi un briciolo di maturità, permetti alla paura di sopraffarti ed agire al posto tuo. Sei totalmente incapace di dominare le emozioni e la mente. Verrai uccisa subito. >> 
Gea strabuzzò gli occhi, impressionata da ciascuna delle parole pronunciate con freddezza dal ragazzo. 
<< Perché non piangi adesso? >> la provocò divertito. << Fa' vedere quanto sei debole. >>
La giovane strinse i denti e le mani cominciarono a tremarle per la rabbia. << Non piango per gli idioti >> sibilò truce. 
Deimos sorrise con aria di sfida. << Mi godrò tutti i momenti in cui crollerai durante gli allenamenti a cui ti sottoporrò. Ed ogni volta, ogni singola volta, ti farò rimpiangere le offese che mi hai rivolto. >>
<< Tu? Tu mi vuoi allenare? >> 
<< Fatti trovare pronta alle cinque >> ordinò senza mezze misure. << Niente ritardi, o rimpiangerai anche quelli. >> Un attimo dopo era sparito nel buio; dissolto come un'ombra nella notte. 






                                                                       * * *






Gea non ebbe più modo di riaddormentarsi. 
La sua mente aveva preso a metabolizzare le notizie che le erano state sparate addosso come proiettili. Più ci rifletteva più si rendeva conto che non sarebbe stata in grado di affrontare nulla di tutto quello che l'aspettava. 
Tre persone le davano la caccia, cercando di accaparrarsi la sua morte, e nel mentre lei doveva sottoporsi agli allenamenti di un pazzo.
Aveva provato a convincersi che era tutto uno scherzo di cattivo gusto, ma ogni volta la sua mente le aveva riprodotto davanti agli occhi la sua trasformazione.
Che cosa avrebbe dovuto fare? Lanciarsi dal balcone, per un attimo, le sembrò la via più saggia da percorrere.
Una notte aveva cambiato tutto, anzi, poche ore avevano cancellato tutto ciò che lei aveva costruito con sacrifici e fatica. 
Ma era inutile continuare a pensare alla sua vita precedente, a come tutto scorresse nella monotonia e nella tranquillità. Quella vita non esisteva più, era solo un ricordo.
Si sedette sul bordo del letto e strinse le gambe al petto cercando di proteggersi da tutte quelle novità inattese. 
Possedeva il potere del tempo, e allora perché non riusciva a bloccarlo proprio in quel momento? Voleva trattenere quel poco che le rimaneva prima dell'incontro con Deimos. E si sarebbe aggrappata a quell'istante con le unghie e con i denti, se solo fosse stato materiale. 
Ma, in fondo, a cosa le sarebbe servito? Prima o poi avrebbe dovuto affrontare tutto. Era inutile scappare o aggirare la situazione, perché quella l'avrebbe sempre attesa dietro ogni angolo. 
Lanciò un'occhiata all'orologio del salotto e contò i minuti che la dividevano dal folle ragazzo. Solo quattro. 
Tornò con la testa tra le gambe e chiuse gli occhi. Sarebbero stati i minuti più lunghi della sua vita. 
Odiava l'idea di dover rivedere quel tizio che aveva l'ambizione di distruggerla. Non voleva nemmeno pensare a quali allenamenti l'avrebbe sottoposta. Più provava ad immaginarli, più le veniva voglia di fare le valigie e scappare. 
Forse non sarebbe neppure arrivata a scontrarsi con gli altri tre elementi. Con molte probabilità sarebbe morta prima. 
Sollevò la testa e strinse gli occhi con fioca determinazione. 
Non poteva lasciarsi morire in quel modo. Doveva difendere la sua vita con tutte le forze, perché era sua, e nessuno aveva il diritto di rubargliela.
Si alzò, le gambe pesanti, e cercò nell'armadio una tuta da ginnastica. Afferrò dei pantaloni neri, una maglietta bianca e una felpa rossa provvista di cappuccio. 
Avrebbe fatto vedere a quell'insolente ragazzo di cos'era capace. O almeno ci avrebbe provato.
Si cambiò in fretta e raccolse i lunghi capelli in un'alta coda di cavallo, poi si diresse in cucina e si sforzò di mangiare qualcosa, malgrado lo stomaco fosse ancora stretto in una morsa. Bevve un lungo sorso di latte e si asciugò la bocca con il dorso della mano. 
Non aveva dormito, ma per lo meno quella scarsa colazione l'avrebbe aiutata a reggersi in piedi. 
Chiuse l'anta del frigorifero e per poco non le venne un colpo nel vedere Deimos che la fissava dal muro. 
Si portò una mano sul cuore ed inspirò profondamente. << Lo sai che esistono le porte? >> gli chiese con un filo di voce. 
<< Fa parte dell'addestramento. >> Sul volto del ragazzo fece capolino un sorriso diabolico. << Devi sempre stare all'erta. La prossima volta non mi limiterò a stare fermo, quindi se fossi in te terrei alta la guardia. >> 
Quel tipo era pazzo. Glielo avrebbe voluto dire in faccia e apertamente, ma sapeva che poi glielo avrebbe fatto scontare durante l'allenamento. Perciò si limitò a guardarlo con astio, nella speranza che la sua testa prendesse fuoco. << Quando cominciamo? E dove? Di sicuro non in una zona pubblica, perché credo che ti farebbero arrestare per massacro di una giovane indifesa. >>
<< Andremo molto lontano da qui >> rispose lui. << Nell'Arizona settentrionale. >>
Gea spalancò gli occhi per la sorpresa e retrocesse di un passo. << È... è a venti ore di macchina da qui. Ed io non ho la macchina, e con te non ci salirei mai... >>
<< Ci materializzeremo là >> la interruppe avvicinandosi. << Attaccati a me e vedi di non farmi perdere altro tempo. >> 
La ragazza lo fulminò con lo sguardo ed afferrò un lembo della sua maglietta nera. << Va bene così? >> chiese con stizza. 
Non le arrivò alcuna risposta, ma un secondo dopo lo scenario della sua cucina non esisteva più. 
Il vento freddo le fece svolazzare i capelli e un senso di vertigine le attanagliò lo stomaco. 
Abbandonò la presa sulla maglietta di Deimos e si lasciò cadere in ginocchio con le mani adagiate sulla gelida roccia rossa.  
Chiuse gli occhi e cercò di regolarizzare il respiro. Aveva paura delle altezze. E trovarsi a pochi centimetri da uno strapiombo come quello, non era esattamente benefico per la sua mente. 
<< Alzati >> le ordinò con tono di dura intransigenza. << Subito. >>
Gea deglutì spaventata ed aprì gli occhi. Per metri e metri si stendevano solo ammassi di roccia corrosa con strapiombi vertiginosi. Non esisteva vegetazione: non un albero, non un fiore. Nessuna forma di vita. 
Quel paesaggio le ricordava qualcosa, lo aveva già visto da qualche parte. Forse in una cartolina. 
Sgranò gli occhi e si voltò a guardare il giovane così velocemente da procurarsi un capogiro. << Questo è il Grand Canyon >> esclamò sgomenta. 
Deimos la osservò impassibile. << O ti alzi o ti butto di sotto >> sibilò minacciosamente. 
Dal suo letale sguardo, Gea capì che non stava affatto scherzando. 
Si fece coraggio e si mise a sedere sui talloni, poi con una lentezza disarmante si alzò in piedi, prestando attenzione a non guardare mai di sotto.
<< La velocità non è un optional >> la raggelò lui. << E ora comincia a correre, devi tonificare la massa muscolare, altrimenti il tuo corpo non sarà mai in grado di reggere la trasformazione. >> 
Gea non se la sentì di replicare, aveva ancora paura che quel pazzo la potesse spingere nel burrone. 
Osservò la distesa di roccia sconnessa che le si presentava davanti agli occhi. In alcuni punti delle vette acuminate si ergevano dal terreno, infilzando l'aria e chiunque ci fosse caduto sopra. Dei macigni grossi quanto automobili erano parcheggiati senza logica in varie zone della cima piatta su cui si trovava. Ed alcuni pilastri di pietra, dalle condizioni precarie, erano conficcati nel suolo come colonne in un teatro romano. 
Si rese presto conto che le altre cime non avevano niente di tutto ciò che popolava la sua. 
Solo una persona avrebbe potuto pensare così nei dettagli ad un modo per massacrarla: Deimos. 
<< Muoviti >> ringhiò il ragazzo. 
Gea non se lo fece ripetere due volte. Cominciò a correre in linea retta, saltando di fronte agli ostacoli e deviando in prossimità dei macigni di pietra. 
Passò accanto ad una colonna e questa tremolò pericolosamente, si girò a guardarla e commise lo sbaglio di non prestare attenzione a cos'avesse davanti. 
Sotto i suoi piedi si aprì una crepa tanto grande da farla precipitare. Lanciò un urlo e si aggrappò prontamente al suolo che si sgretolava sotto la disperazione delle sue dita. 
Tentò di conficcare le punte delle scarpe nella parete di terra alla quale era attaccata, ma ogni tentativo si rivelò inutile. Ogni movimento la faceva scivolare sempre più in basso, sempre più verso la fine. 
Strinse gli occhi ed urlò per il forte dolore alle braccia. Sentiva i muscoli in tensione che si strappavano sotto quell'immane sforzo di tenerla in vita per altri secondi. 
D'un tratto un'ombra le oscurò la vista e la ragazza si costrinse ad alzare la testa. La prima cosa che i suoi occhi misero a fuoco fu un sorriso di puro e sadico divertimento; alzò di poco lo sguardo ed incontrò gli zaffiri blu di Deimos. 
Il ragazzo la osservava con le braccia incrociate al petto, facendole intuire che non l'avrebbe aiutata. Perché lui non aiutava mai, come aveva già ampiamente chiarito. 
Gea abbassò la testa e una goccia di sudore le scivolò lungo il viso per gettarsi nel burrone. Era sicura che prima o poi avrebbe raggiunto anche lei quella goccia, magari di sua volontà. 
<< Reagisci >> le intimò Deimos, tirando un calcio ad alcuni ciottoli di terra che le si riversarono sulla faccia e sui capelli. 
La giovane affondò le unghie nel terreno e cercò d'issarsi, ma uno strappo sonoro del muscolo del braccio destro le impedì di proseguire. Si morse il labbro inferiore con forza e lo spaccò, procurandosi una nuova ferita. 
<< Reagisci >> le ripeté impassibile, stavolta schiacciandole una mano sotto lo stivale. Gea liberò un grido straziato e chiuse gli occhi in un disperato quanto inutile tentativo di contenere il dolore. Ad ogni respiro sentiva la polvere terrosa entrarle nei polmoni e graffiarli. 
Il braccio le bruciava come se qualcuno ci avesse gettato sopra delle ceneri incandescenti. 
<< È questo quello che succede a chi abbassa la guardia >> soffiò il ragazzo con una cattiveria tale da farle venire voglia di afferrargli la caviglia e trascinarlo con sé nello strapiombo. 
Doveva reagire, e non perché glielo aveva imposto lui, ma perché ne andava della sua vita. 
Aprì gli occhi con determinazione e strinse forte i denti mentre compiva il secondo tentativo di sollevarsi. Riuscì ad appoggiare un gomito sul terreno e, usandolo come ancora, issò il resto del corpo. Ogni centimetro che conquistava le costava una fatica senza pari, ogni centimetro che perdeva le costava la vita. 
Alla fine, con un rapido movimento, fu in grado di giungere distesa sul suolo. 
Ringraziò silenziosamente il cielo e si abbandonò stremata. Qualsiasi muscolo del corpo le doleva, i polmoni le bruciavano per lo sforzo e la testa le pesava come un macigno. 
<< Mai. Abbassare. La. Guardia >> scandì Deimos, rifilandole un calcio alla spalla sinistra e rigettandola nel burrone. 
Il cuore di Gea ebbe un sobbalzo così potente da stordirla. Afferrò il terreno per la seconda volta, graffiandosi le dita per sorreggersi e respirando a fatica. 
Il sudore le gocciolava dalla fronte fino al mento. 
<< Che stai facendo? C'ero riuscita! >> urlò fuori di sé per la rabbia. Le veniva da piangere tant'erano la frustrazione e l'ira che le incendiavano le vene.
Deimos si abbassò sulle ginocchia e sorrise mellifluo. << Perché non ti metti a frignare? In fondo è questo che vorresti fare, non è vero? >> le chiese con tono divertito e viscidamente sadico. << Fammi vedere quanto sei debole. >>
<< Non... sono... debole >> ribatté lei, digrignando i denti. 
Mentre tentava di risollevarsi, i suoi palmi sudati scivolarono sul terriccio, ricoprendosi di tagli, e il suo corpo slittò sempre più in basso. Sempre più verso il buio.
Gridò spaventata e cercò d'incastrare le unghie nel suolo per arrestare la caduta. Trovò un punto d'appiglio e ci si aggrappò con una mano, mentre con l'altra tastava la roccia per scoprire una piccola crepa in cui conficcare le dita e sollevarsi. 
Non era un piano geniale, ma non sapeva quale altra carta giocarsi. La situazione non le offriva molte alternative. 
<< Troppo lenta >> affermò il ragazzo, alzandosi. 
Gea lo vide mentre sollevava un piede; il secondo dopo si ritrovò ad urlare per lo spasimo. 
Le sue dita ferite si trovavano di nuovo sotto il peso del corpo del ragazzo, che la fissava impassibile.
<< Lasciami, lasciami! >> strillò con le lacrime che premevano per uscire. 
Lanciò un grido agghiacciante quando il giovane aumentò la pressione e portò anche l'altro piede sulla sua mano ormai bianca per via della mancanza di sangue. 
<< Basta! >> sbottò tremando. 
Non ce la faceva più. Le spalle erano così doloranti da mancarle di supporto e le braccia le sentiva molli come gelatina. 
<< Debole >> asserì lui con tono viscido. << Lenta >> aggiunse lapidario. << Ma più di tutto, totalmente incapace >> concluse, calcando particolarmente su quella parola. 
Aveva intuito come la ragazza non tollerasse quell'aggettivo se rivolto a lei. Per spronarla a reagire aveva bisogno di farla arrabbiare, di condurla al limite sia fisicamente che psicologicamente. 
<< Stai zitto! >> sbraitò infatti, riprendendo possesso della sua mano. Sbatté un pugno a terra e varie scariche elettriche si diffusero lungo il suolo. 
Deimos sorrise compiaciuto, poi compì una capriola all'indietro ed atterrò su un braccio per evitare di essere centrato dalle scariche elettriche. Scansò le restanti saette blu che si diramavano nella sua direzione e sollevò la testa con aria divertita. 
Gea ringhiò fra i denti, preda della rabbia cieca. Un secondo dopo la terra tremò impetuosa, provocando la caduta di alcune colonne di roccia. 
Una pedana di terra si alzò dal precipizio, crescendo in larghezza man a mano che saliva; si arrestò solo quando la sua superficie entrò in contatto con le scarpe della ragazza, servendole da appoggio. 
Gea riuscì finalmente ad uscire dal baratro a cui era appesa e scansionò l'area circostante alla ricerca di Deimos, che nel mentre doveva essersi nascosto per sferrarle un attacco a sorpresa. 
Gli occhi della ragazza si accesero come fiamme ardenti, un'onda violenta di energia la investì come uno tsunami. 
Abbassò la testa e notò che il cerchio intorno al suo ombelico stava irradiando una luce forte ed intensa; automaticamente fece scorrere l'indice lungo l'incisione ed inspirò profondamente. 
Un vigore puro le si diramò in ogni angolo del corpo, persino tra i capelli, ed una luce gialla la rivestì come una sfera protettiva. 
Le pulsavano le tempie tant'era la furia che le incendiava i pensieri. Una furia cieca indirizzata ad una sola persona. 
Improvvisamente la terra sotto i suoi piedi si sgretolò in un cumulo di sabbia informe. Le sue gambe furono catturate dalla rena e la immobilizzarono, impedendole qualsiasi movimento. Cercò di allontanare la sabbia che pian piano la stava sommergendo, ma ogni tentativo si rivelò vano. 
<< Debole >> la canzonò la voce di Deimos. La ragazza alzò la testa di colpo e lo vide. Seduto sui talloni e con gli avambracci appoggiati alle ginocchia la stava osservando beffardo. 
Gea tremò di rabbia e si costrinse a sollevare un braccio; chiuse la mano libera a pugno, tenendo gli occhi incollati a quelli del giovane, e la sabbia che aveva intorno si tramutò in roccia solida. 
Sorrise con aria di sfida e si liberò dalla terra che la circondava. Il ragazzo le restituì il medesimo sorriso e si eresse dritto in piedi. 
Gea ne approfittò per far emergere dal suolo una delle tante pietre dalla punta acuminata che avrebbe rivolto contro di lui. 
Con un gesto della sua mano la pietra si mosse a gran velocità contro il ragazzo, che però non mostrava la minima intenzione di spostarsi. Il cuore della ragazza prese a battere frenetico.
Un secondo prima che la punta gli trafiggesse la testa, la pietra esplose in mille minuscoli pezzi. 
<< Tu crei >> le disse. << Io distruggo >> terminò indicandosi col pollice. 
La giovane ridusse gli occhi a due sottili fessure ed elevò nuovamente una mano. Il suo movimento fu seguito da decine di pietre affilate che si sollevarono in aria, sospese tra l'attacco e la tregua.
Un'occhiata di Gea bastò per farle scagliare una dopo l'altra contro Deimos. La velocità con cui si mossero non sarebbe stata rilevabile da occhio umano; nell'aria rimanevano solo piccole scie colorate, uniche testimoni del loro passaggio. 
Deimos le lanciò un sorriso di scherno ed evitò di distruggere le pietre che gli si scagliavano contro, in compenso decise di evitarle utilizzando le sue spiccate doti atletiche. 
Ogni volta andava vicino a farsi colpire, ma solo per un folle desiderio di pericolo. 
Posizionò un mano a terra e ci buttò sopra tutto il peso del corpo, schiacciandosi al suolo poco prima che una freccia rocciosa lo colpisse da dietro. Successivamente, con una veloce rotazione del busto, si voltò in modo da colpire con un piede un'altra pietra, riducendola in pezzi. Ma altri dardi si stavano muovendo nella sua direzione, e così si tirò su con un balzo ed iniziò a correre con un sorriso borioso stampato in faccia. 
Gea scattò in avanti e si mise ad inseguirlo, mentre, una dopo l'altra, le rocce che saettavano sopra la sua testa in direzione del nemico, si frantumavano a causa dell'azione del potere di Deimos. 
Corse a perdifiato lungo tutta la cima, fino a che non scelse di passare all'attacco. Issò una mano e dal suolo emerse una colonna di roccia che sbarrò la strada al ragazzo. Approfittò del suo momento di blocco per saltargli sulle spalle, ma fu prontamente afferrata per un polso e sbalzata a metri di distanza. 
Accusò malamente il colpo, strisciando sul terreno ricco di ciottoli e schegge appuntite, fino ad arrivare vicina alla sporgenza su cui si era trovata poche ore prima. 
Chiuse gli occhi e sentì l'energia defluire dal suo corpo e ritornare nel cerchio di linee intrecciate. Rotolò ancora per pochi centimetri ed infine si trovò distesa supina, proprio sul bordo del precipizio, con le braccia escoriate e ricoperte di tagli; della felpa che indossava non rimanevano che piccoli ed inutili brandelli. 
Cercò di rialzarsi, ma i dolori ai muscoli e alle ossa le impedirono di compiere qualsiasi tentativo. 
Scelse di alzare gli occhi al cielo. Le palpebre le pesavano come pezzi di piombo, ma voleva, più di ogni altra cosa, guardare quella volta celeste che tanto amava. 
Se quella era la fine, avrebbe almeno voluto portare con sé il ricordo del sole che le donava il calore di una madre, degli uccelli che volavano liberi nell'aria, del vento che le accarezzava la pelle, delle nuvole che fluttuavano leggere, delle sfumature di colore che il cielo sapeva creare, ma soprattutto, della gioia che quella vista le donava da sempre, ricordandole che non era sola, che non lo era mai stata, e che quel mondo, adesso, si trovava racchiuso nei suoi occhi. 
Chiuse le palpebre e sorrise per un'ultima volta, prima di sprofondare nell'oblio caldo e protettivo della mente. 
  
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