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Autore: Vale11    04/10/2014    1 recensioni
Una chiazza di blu scuro su una panchina, un cappello calato sulla testa, capelli più lunghi che mai che ormai hanno passato le spalle. Non vede le gambe, ma immagina siano rannicchiate contro il petto per ripararsi dal freddo. Gli da le spalle. Steve vede che ha addosso la solita felpa blu, i soliti jeans e Dio, si congela e quell'uomo non ha nemmeno una giacca addosso.
p.s. anche Steve Rogers è uno dei personaggi principali, ma il mio computer ha deciso che non sono degna di selezionare due voci nemmeno con il ctrl. E sia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dopo un paio di giorni il siero del supersoldato che gli è stato così generosamente elargito dall'Hydra si decide a funzionare, e il rumore che fanno i polmoni di Bucky inizia a diminuire, portandosi via anche un po' di febbre. Stava meglio, a Steve pareva addirittura che il suo umore fosse nettamente migliorato. Mangiava qualcosa in più, dormiva qualche ora in meno, spiccicava qualche parola più del solito.
Ma sembrava teso, mai rilassato, sempre col bisogno di tenersi sotto controllo e con un sorriso che non arrivava mai agli occhi; Steve immaginò che il fatto che il sorriso almeno apparisse qualche volta fosse un passo avanti rispetto a quando non riusciva nemmeno a far sollevare tutti e due gli angoli della bocca, ma c'era sempre qualcosa che non andava, che percepiva ma non riusciva a capire, non poteva afferrare. Bucky prendeva regolarmente i medicinali, faceva molta meno fatica a buttare giù le pillole ora che pareva essersi reso conto in prima persona che quella roba lo aiutava sul serio. Si sforzava di mangiare almeno a metà di quello che Steve gli metteva nel piatto, aveva anche iniziato a girare per casa senza dover temere di crollare a terra esausto, fosse per un eccesso di tosse o un attacco di vertigini improvvise. Ogni volta che Steve lo vedeva apparire in salotto col pigiama improvvisato, una tuta che gli scivolava continuamente dalle spalle che gli aveva trovato, non riusciva a fermare il sorriso spaccafaccia che gli si stampava in visto. 
Era Buck.
Era vivo.
Era li. 
E probabilmente stava meglio, sembrava che facesse di tutto per convincerlo che fosse così. E forse proprio questo tentativo di far credere a Steve che si, ok, aveva ancora un po' di febbre ma niente di che, che si sentiva meglio, che fra qualche tempo si sarebbe sentito pronto per uscire di casa, convinse Steve che magari non era proprio così. Da quando conosceva Bucky aveva applicato alla definizione "bastardo cocciuto" la fotografia di James Buchanan Barnes: sapeva che cosa era in grado di fare pur di non chiedere aiuto, e sapeva che rischiava di chiedere aiuto solo all'ultimo momento, quando ormai era troppo tardi e ogni possibilità era persa, finita, sparita. Non voleva che succedesse, non voleva vederlo di nuovo ridursi come l'aveva visto nella campagna militare del 1944, con gli occhi di chi non si fida a raccontare niente, perchè che senso avrebbe aprire bocca per far uscire cose a cui comunque nessuno crederebbe? Fatica sprecata.
E in quel momento, proprio adesso, Bucky aveva quegli occhi li: quelli di chi vuole convincerti che sta bene, ma gli occhi lo fottono e restano vuoti, vitrei e spaventati.
Non poteva dirgli niente, in ogni caso: finchè Buck non si fosse deciso a dire qualcosa di quello che gli passava per il cervello Steve sapeva che non gli avrebbe cavato una singola parola di bocca. Era un bastardo cocciuto, in fin dei conti. Lo era sempre stato.


"Buck, hai fame?"
Annuisci, Bucky. Sorridi e di di si. Mangia qualcosa, e vedi di non vomitare almeno a questo giro.
Bucky assecondò il suo cervello, fece tutto ciò che gli diceva e si sedette davanti a un piatto di brodo di pollo che Steve aveva finalmente imparato a cucinare decentemente, in cui galleggiavano due fette di pane arrostito. Non era male. Anzi
Era decisamente buono. Ottimo.
Il fatto che la sua esperienza col cibo decente si fermasse al 1944 non influiva sul suo giudizio, sul serio. E' che decenni di criostasi e chili di barrette energetiche, vitamine in pasticca e poche altre cose tendevano a rendere i termini di paragone oggettivamente vaghi. 
Comunque si, era buono. Davvero. La sua gola infiammata ringraziò il calore del brodo, e il suo stomaco quasi eternamente vuoto ringraziò la consistenza del pane che gli scivolava giù dalla bocca. Era la quarta volta contata che qualcuno si premurava di mettergli nel piatto qualcosa di caldo dal 1944. Il solo pensiero lo fece rabbrividire, mascherò il tremito delle mani dentro un colpo di tosse.
Non far preoccupare Steve, sai che non si merita il disturbo. E tu non ti meriti il suo aiuto. Non dopo quello che hai fatto. Non dopo quello che sei. Mai, in futuro.
Di nuovo, Bucky si spalmò in faccia la sua maschera sorridente e si ficcò in bocca la seconda cucchiaiata. 
"Finalmente hai imparato come spremere decentemente le galline"
Steve lo fissò ghignando.
"E' brodo in scatola, l'ho comprato già pronto"
Bucky restò col cucchiaio a mezz'aria fra il piatto e la bocca a fissarlo come una lepre davanti a un tir. 
"Questo è barare, Steve. Capitan America non bara: è patriottico, gentile e rispettoso delle regole. E non bara."
"Certo. E non saprebbe cucinare nemmeno per salvarsi la vita. Eri tu quello che capiva qualcosa di fornelli"
Già, ora che ci pensa Bucky se lo ricorda: si ricorda la vecchia cucina del loro appartamento, la poca roba da mangiare che c'era, il freddo boia nelle ossa, la razione doppia che rifilava regolarmente a Steve fingendo di aver già mangiato, perchè avrebbe tanto voluto vederlo mettere su qualcosa su quel mucchietto d'ossa che si ostinava a coprire di vestiti tutti i giorni. 
Ma non riusciva a ricordarsi la manualità, come si cucinava, cosa utilizzava, cosa preferiva mangiare. Era finito sepolto sotto anni di programmazione, barrette energetiche, vitamine in pasticche e istruzioni su come montare e smontare qualsiasi tipo di arma, come lanciare una granata, come uscire comunque vittorioso da un corpo a corpo a mani nude. Non ricordava niente che non rientrasse in quei parametri, niente che lo riportasse a una vita civile. Aveva solo il suo carattere, il suo spirito e il suo sarcasmo. E lo spirito stava evaporando, lentamente ma inesorabilmente. Aveva paura di restare vuoto.


Ogni tanto Bucky si bloccava, Steve se ne accorgeva bene: era successo anche lui, dopo essersi svegliato. Ogni tanto si fermava a fissare qualcosa che vedeva solo lui, qualcosa che ricordava, poi si riprendeva e tornava fra i vivi. Ma ogni volta che Bucky tornava fra i vivi, un pezzo dei suoi occhi restava indietro. 


"Tutto ok?"
Certo che è tutto ok, Bucky. Digli di si, alzati anche se ti senti le gambe molli, porta il piatto in cucina, dagli una sciacquata, rimettilo al suo posto. Rimetti tutto al suo posto. Fagli pensare che stai bene, Bucky. 
Bucky sorrise e annuì, si alzò, sciacquò il piatto e lo mise a posto, si appoggiò col fianco destro al bancone della cucina e poi pensò che non poteva riuscire a rimettere tutto a posto. Non avrebbe mai rimesso tutto a posto. Non poteva riuscirci, non poteva dare retta al suo cervello. E quando non riesci a dare retta al tuo cervello le cose iniziano a farsi gravi.
"Tutto ok, Cap. Programma per stasera?"


Steve non se la sentiva di proporgli di uscire: un film e una secchiata di pop corn gli parevano una buona idea. Era attento a scegliere sempre film che non contenessero tematiche che potevano disturbare Bucky, che non contenessero troppa violenza o che potessero ricordagli chissà cosa. Ma chissà come, Bucky aveva messo le mani su un vecchio dvd che gli aveva regalato Sam, un film italiano uscito u bel po' di tempo fa che si chiamava "Uomini contro". Prima guerra mondiale, Alpi, neve, freddo: avrebbe dovuto essere un cocktail micidiale per la testa del suo migliore amico, e invece Bucky se ne era innamorato. Amava la figura del protagonista, così amante della vita e del suo paese da riuscire ad agire in quel modo, da riuscire a vedere un essere umano nella trincea opposta, e non solo un nido di fucili ed elmetti diversi dai suoi. L'avevano visto già due volte in due giorni, e quando Bucky aveva scoperto che quel film era preso da un libro chiamato "Un anno sull'altipiano", di Emilio Lussu, Steve era riuscito a trovarlo a tempo di record e gliel'aveva fatto trovare sul cuscino la sera stessa. Bucky lo stava letteralmente divorando. Quindi Steve non si stupì di vedere gli occhi di Bucky andare subito allo scaffale dove Steve teneva proprio quel dvd quando gli propose una serata a base di film e pop corn. Bucky gli propose il film sentendosi quasi in colpa, capendo che stava costringendo Steve a vedere per la terza volta la stessa cosa, e riconoscendo che non aveva alcun diritto di fare una richiesta del genere, ma Steve gli sorrise e si limitò a infilare il dvd nel lettore, invitandolo a sedersi con una coperta sulle spalle mentre andava a recuperare i pop corn in cucina.


Il film era finito, Bucky si era infilato nella camera degli ospiti di Steve pochi minuti dopo scusandosi per il mal di testa improvviso, ma non si sentiva bene, si? Non riusciva a considerarla camera sua, non si sentiva in diritto, si sentiva una macchia che rubava spazio e tempo a un essere umano spaventosamente più meritevole di essere vivo di lui. E quel film glielo ricordava continuamente. Cos'era l'indottrinamento cui erano sottoposti quei soldati se non un lavaggio del cervello cronico, come quello che avevano fatto a lui? Certo, più blando, ma comunque. E quell'uomo, il tenente Ottolenghi, era andato avanti come un treno a fare ciò che riteneva giusto, ciò che sapeva essere giusto. E quel libro gli stava letteralmente mangiando il cervello. Come aveva potuto fare ciò che aveva fatto, come aveva potuto eseguire gli ordini che gli avevano dato senza ribellarsi, sottostare alle loro direttive. Perchè non aveva avuto la forza del tenente Ottolenghi su quelle montagne maledette. Srebbe stata dura, quasi impossibile, ma avrebbe dovuto farlo. 
Avresti dovuto farlo, e devi vergognarti per non esserci riuscito.
Si allungò sul letto, infilando le mani sotto il cuscino, cercando qualcosa da stringere fra le dita per rilasciare un minimo di tensione. Sentì le mani iniziare a tremare, e presto i brividi gli arrivarono ai gomiti, al petto e alle gambe. 
Non riusciva più a farlo, non riusciva più a recitare, ma l'avrebbe fatto per il bene di Steve. Non voleva farlo preoccupare, non si meritava la sua attenzione. Strinse le labbra, cucì le palpebre insieme talmente bene che non passò nemmeno un filo della luce della lampada da tavolo che si ostinava a tenere accesa tutta la notte. Non avrebbe mai ammesso che dormire al buio completo lo terrorizzasse: poteva muoversi al buio, sfruttare il buio, vedere meglio di chiunque altro al buio, ma l'idea di chiudere gli occhi e restare alla mercé del mondo nella più completa oscurità lo spaventava a morte. Si addormentò dopo il quarto d'ora più lungo della sua vita.


Steve aveva imparato a dormire con un occhio solo: la guerra prima e il suo lavoro come vendicatore poi lo obbligavano a una vigilanza costante. 
Schizzò in piedi come se qualcosa l'avesse morso quando sentì Bucky urlare, nella stanza accanto alla sua. 

  
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