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Autore: IdaC91    06/10/2014    3 recensioni
In un mondo in cui la Magia esiste ed è sinonimo di potere, i Signori degli Elementi siedono ai vertici della Società Magica, in virtù delle loro straordinarie capacità. Esistono, però, poteri ancora più straordinari, perché rari, perché estinti...
Ma se non fosse davvero così?
Se il Tempo e il Fuoco fossero destinati a incontrarsi?
Se due vite, apparentemente così diverse, così distanti, ma in realtà così vicine, si trovassero a confronto?
Due uomini in fuga dalla Società Magica, dal loro essere diversi, due uomini in fuga da se stessi, ritroveranno nell'altro la strada da percorrere.
Insieme.
Obviously, it's a Johnlock story.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo so. Lo so. Avete ragione. Sono scomparsa dalla circolazione. E, no, purtroppo non perché ho aperto una porta e ho viaggiato nel tempo. Magari. In realtà, quell’orrendo mostro chiamato Università mi ha trascinato via e lasciata a marcire nelle sue segrete. Però, alla fine, ne sono uscita vittoriosa (non dall'esame, purtroppo, ma dettagli). Vi ho già fatto attendere abbastanza, vi lascio alla lettura di questo tanto agognato (?) quarto capitolo! Ci rivediamo giù XD
 
Capitolo 4
 
John stava inseguendo quell’uomo.
John stava veramente correndo dietro Sherlock Holmes.
John stava davvero fidandosi di un tizio incontrato qualche minuto prima, a duecentottanta quattro anni di distanza dalla sua vita precedente, che evidentemente nascondeva la sua natura magica da Signore del Fuoco, che aveva appena quasi-steso un uomo col suo aiuto (“Ma cosa mi è saltato in mente?!”) e che aveva capito tutto -tempo, vita, morte e, soprattutto, miracoli- della sua esistenza con una sola, fugace, rapida ed intensissima occhiata. Nemmeno lui aveva mai avuto quello sguardo, neanche quando controllava con grande attenzione i segni che malattie o Magie lasciavano sul corpo dei suoi pazienti, ne era certo. Era incredibile come ci era riuscito. Era qualcosa di inspiegabile, e nel suo mondo esisteva la Magia. Ma il bello era tutt’altro. Non era certo questo il punto. John gli stava correndo dietro e non aveva la minima idea del perché lo stesse facendo. O, almeno, era questo che continuava a ripetersi.
 
C’era qualcosa, qualcosa di inspiegabile in quello Sherlock Holmes. Qualcosa di incredibilmente forte. Qualcosa di potente, misterioso, pericoloso. Avrebbe dovuto averne timore. Eppure non ne aveva, eppure ne era quasi attratto… C’era qualcosa di enormemente rassicurante nella sua persona, nel suo incredibile intelletto, nella sua assurda voce. Quella voce. John sussultò quando Sherlock aveva pronunciato il suo nome. Doveva essere stata quella parola a convincerlo definitivamente, oltre a tutto il sensazionale resto. Quel “John” uscito dalle sue labbra, quel suono che l’aveva fatto bloccare per un attimo, immobile, e che gli rimbombava ancora nella testa. “John”. Nelle notti insonni e tormentate, aveva sempre pensato che non avrebbe mai più sentito nessuno rivolgersi a lui con quel nome, che quella piccola e semplice sillaba l’avrebbe solo sentita se rivolta a qualcun altro, che si sarebbe voltato a vuoto verso la fonte di quel suono e non avrebbe mai visto nessuno di familiare, nessun volto amico, nessuno a sorridergli, o anche ad urlargli contro. Semplicemente, non avrebbe visto nessuno. Perché il vero nessuno era divenuto lui. E invece si era dovuto fortemente ricredere, nel più inverosimile dei modi. Almeno era assolutamente certo che non avrebbe mai sentito nessuno pronunciare il suo nome in quel modo. Nessun altro al mondo poteva avere una voce come quella, bassa, baritonale, calda, con quel timbro del tutto fuori dal comune. Se voleva celare la sua identità, quella voce lo avrebbe sempre tradito, pensò John. Quella voce era puro Fuoco, di quelli indomabili che facevano piazza pulita di tutto quello che avevano intorno. Di quelli che distruggevano foreste intere e mai si consumavano del tutto. Di quelli che ti scaldavano quando fuori (e dentro l’anima) era tutto gelido e che ti illuminavano le buie e fredde notti insonni invernali. Impossibile non esserne conquistati, se non addirittura scottati.
 
Ma poi c’era la curiosità. John ne era stato troppo attratto. Perché Sherlock non l’aveva attaccato, quando aveva palesemente capito cos’era, chi era, quando aveva capito che non sarebbe stato in grado di scappare, di aggredirlo o di fare qualsiasi altra cosa? Di sicuro era uno che sapeva individuare i punti deboli altrui e trarli a proprio vantaggio. E, invece, aveva deciso di aiutarlo. Perché? Perché, effettivamente, quello Sherlock lo stava aiutando, John ne era certo. Come era certo che la curiosità avesse avuto la meglio anche su di lui. Ma c’era dell’altro, c’era qualcosa che gli sfuggiva, tanto era fugace ed effimera ma, nonostante tutto, era potente, forte, tanto che era impossibile da non notare. Quella connessione. Aveva sentito anche lui quel collegamento innato ed immediato? Quel genere di legame raro che si instaura all’improvviso, con un solo sguardo? Quel legame che sembrava averlo quasi incatenato a quell’uomo dagli abiti strani? Sentiva come se tra loro si fosse instaurato qualcosa a cui non sapeva dare un nome, o un qualunque accenno di significato. Come quando si erano accidentalmente scontrati e Sherlock era diventato quasi incandescente e aveva improvvisamente sprigionato il suo Potere celato. Cosa diamine era accaduto? Ma poi, domanda fondamentale, perché un uomo con un tale potere doveva nasconderlo? Possibile che le Guerre del passato avessero a che fare con la situazione di adesso? Prima che il Marchio di Sherlock brillasse, aveva visto benissimo i segni clinici di qualcosa di enormemente simile alla sua pomata sul suo polso, mentre tentava di capire con chi aveva a che fare. Solo un Guaritore esperto avrebbe potuto riconoscerli, in effetti. Vedere quei presunti segni l’aveva portato ancora di più a fidarsi. Anzi, John si era sentito quasi come lui, come quell’estraneo. Quell’ipotetica idea che aveva avuto, l’aveva fatto sentire vicino a quello sconosciuto. Anche lui dissimulava la sua vera natura. Anche lui era un fuggitivo. Anche quello Sherlock era proprio come John.
 
Nonostante avesse avuto quei dubbi, il Guaritore li vide svanire dopo il loro fortuito scontro causato da quel malvivente, quando praticamente gli era caduto fra le braccia. Aveva visto chiaramente cosa si nascondeva sul braccio sinistro di quell'uomo dai ricci scuri, aveva visto cosa era accaduto al malcapitato a cui lui stesso aveva poi tirato un pugno in pieno volto. Aveva visto le fiamme ardere in quegli occhi di ghiaccio, quelli che un secondo prima aveva incrociato per un attimo che gli era parso eterno. Non c’erano dubbi, si trovava davanti un Signore Puro, del Fuoco per di più. Non ne aveva mai incontrato uno nel suo tempo. Li conosceva per fama, dai racconti di suo padre, dai racconti di Guerra della gente, tutti discordanti e per niente veritieri. Il parlarne diventò tabù. Dopo gli scontri più violenti, il Governo proibì qualunque riferimento a questi. I Draghi Ribelli. Uomini temerari, combattenti straordinari, immensamente potenti ed eccezionalmente pericolosi. Tentarono di rovesciare il Governo già prima che John stesso nascesse e le loro rivolte furono sempre più sanguinarie. Si batterono sempre spargendo fuoco e sangue(1). Per quello che ne sapeva, l’unica scelta saggia da seguire era la fuga. Sarebbe dovuto fuggire, avrebbe dovuto tentare un’altra sparizione fortunosa come la precedente, avrebbe dovuto fare qualunque cosa, tranne quella che stava facendo in quel momento.
 
Fidarsi.
 
Fidarsi di lui. Fidarsi di quegli occhi freddi che celavano un ardente potere. E invece no. Si era lasciato incantare da quelle fiamme che ora scivolavano silenziose e risolute tra le deserte e stranissime vie di quella nuova Londra. Doveva seguirle. Voleva seguirle. Voleva seguire Sherlock e scoprire perché celava la sua natura, cosa era successo durante tutti quegli anni, voleva sapere cosa diavolo aveva preso in mano un momento prima di scappare su cui aveva mosso i pollici alla velocità della luce. Voleva sapere in che razza di guaio si era cacciato, e Sherlock sembrava l’uomo delle risposte. E voleva scoprire lui. Voleva sapere chi era davvero quello Sherlock Holmes. Per un attimo, pensò seriamente di essere diventato matto.
 
Era talmente impegnato a pensare che nemmeno si rese quasi conto di cosa lo attorniava. Le strade che Sherlock sceglieva di percorrere erano tutte completamente deserte. E meno male. Il suo abbigliamento, a giudicare da quello del suo compagno di fuga, era a dir poco inappropriato. Tutto intorno a John suonava strano, dai grandi pali che sembravano fatti di ferro con in cima delle strane palline di vetro che si illuminavano di una luce aranciata, alle porte e le finestre che si affacciavano sui vicoli, che non erano di semplice legno e ferro, come una volta, ma erano fatte talvolta di un qualche metallo, talvolta di legni dipinto con un colore inusuale, come rosso o blu. Le mura delle case erano fatte di mattoni ordinati, e non di pietra o legno come le abitazioni popolari che era abituato a vedere. Cartelli strani dai colori brillanti, con frecce e linee disegnate sopra, sovrastavano alcuni pali di metallo grigio chiaro. John non capiva proprio a cosa potessero mai riferirsi. Ma non erano solo la vista ad essere assalita da innumerevoli questioni. Anche l’udito era attratto da stranissimi suoni mai sentiti prima, più forti degli squilli di tromba e più fastidiosi dello stridio delle ruote dei carri sul terreno. Era tutto così nuovo e strano. Eppure era così affascinante.
 
-Stai zitto!- disse Sherlock all’improvviso, svoltando un angolo e fermandosi per un momento. John si fermò a pochi passi da lui, sconcertato.
 
-Non ho detto null…-
 
-Stai pensando, è noioso. Riesco a sentire le tue rotelle girare all’impazzata. Non posso risponderti ora. Dobbiamo arrivare a casa mia e per raggiungerla prendere un mezzo di trasporto. Rimarrai ovviamente sconvolto, ma trattieni il tuo stupore più che puoi. Quella che vedrai è un’automobile, o auto. La sua invenzione non può essere attribuita ad una data precisa, dato che la sua costruzione si è basata su modelli concepiti in precedenza, ma comunque si è affermata su larga scala a partire dal diciannovesimo secolo. Ora rappresenta il principale mezzo di trasporto con cui le persone -Umane e non- ricoprono grandi distanze in breve tempo. Una sorta di carrozze ad alta velocità. Inoltre, come ti sarai accorto, ho deliberatamente evitato zone frequentate a causa del tuo… inusuale abbigliamento. Perciò...-
 
Si interruppe e, sempre guardandosi intorno, incominciò a sbottonare quella specie di giacca scura lunga che aveva addosso, e se la tolse con un rapido e fluido movimento. John non ebbe tempo di pensare a niente. Stava lì a fissarlo, il cervello pieno di domande e informazioni assurde e adesso si ritrovava quest’uomo davanti che si stava praticamente cominciando a spogliare. Arrossì leggermente, ma Sherlock sembrò non accorgersene. O non gli diede peso. Il Consulente si tolse anche una sciarpa blu dal collo e, insieme alla giacca, li porse a John, ancora imbambolato. Al di sotto degli abiti di cui si era appena liberato, il bruno indossava dei  vestiti che fecero rimanere John ancora più perplesso. Erano strani per lui, eppure capiva che dovevano sicuramente essere molto eleganti. Sherlock indossava una giacca nera con pantalone in tinta e, sotto la giacca, una stretta camicia viola. Il colore era a dir poco inusuale.
 
 -Indossali. Questo- indicò la giacca scura.- è un cappotto. E’ abbastanza lungo da coprirti tutto e la sciarpa farà il resto. Ora, John, seguimi. E, ricorda, le risposte importanti a tempo debito. Contieniti.-
 
-Ti ringrazio.- disse John, annuendo. Prese gli indumenti e se li infilò. Profumavano vagamente di tabacco e cannella. “Farò del mio meglio” pensò.
 
-Ne sono sicuro.- rispose Sherlock.
 
John rimase oltremodo sbalordito. Che i Signori del Fuoco avessero il potere di leggere nel pensiero? Come se non bastasse, Sherlock lo rispose, di nuovo.
 
-No, nessuna Legilimanzia(2), solo… ti si legge tutto in faccia, John. Andiamo.-
 
-Incredibile.- disse John sottovoce. Poté giurare di vedere il Consulente sorridere, prima di incamminarsi verso quella che pareva la via principale.
 
John lo seguì, quasi fosse la sua ombra. Giunti alla fine della strada, lo spettacolo che si parò dinanzi ai suoi occhi era a dir poco strabiliante. Dovevano essere quelle le cose di cui Sherlock aveva parlato. Le automobili. Effettivamente, fu davvero difficile per John contenersi. Non sapeva nemmeno come descriverle. Avevano una forma strana, sempre diversa. A quanto pareva, ci dovevano essere diversi modelli. Anche i colori erano diversi, dalle varie tonalità di grigio metallico al nero, dal bianco a colori decisamente più strani. C’erano dei vetri ai lati e davanti, sicuramente per permettere una corretta visuale per chi le portava. Delle luci spuntavano dalle due estremità, alcune gialle e altre rosse. Si muovevano ad una velocità incredibile, su delle ruote che John non riusciva nemmeno ad immaginare di cosa fossero fatte. Come diavolo si muovevano, se non c’era nulla a trascinarle? E quante persone ci entravano? Come erano all’interno? Quel luogo lo affascinava sempre di più. Gli pareva passata un’eternità da quando aveva varcato quella porta. John si fermò appena dietro Sherlock, che si sporse verso la strada, allungando un braccio verso l'alto, come in segno di saluto. Quasi subito, una di quelle auto, con una strana etichetta luminosa in cima che portava l’effige “TAXI”, si fermò giusti davanti a lui. John non sapeva cosa fare. Sherlock aprì la porta di quella strana scatola magica con le ruote. Prima che potesse pensare cosa fare, improvvisamente, il bruno avvicinò il viso all’orecchio di John e gli disse in un sussurro:
 
-Sali come se fosse una carrozza ad altezza d’uomo.- Si scostò da lui. -Dopo di te.-
 
John, il cui volto aveva assunto una leggera sfumatura di rosso, entrò, facendo attenzione a non sbattere la testa e tentando di non sembrare esageratamente impacciato, e non solo perché non aveva idea di dove si stava per sedere. Una volta entrato dentro, non poté che essere sempre più stupito. C'erano dei sedili di quella che sembrava pelle di colore scuro e davanti a lui c'era quello che doveva essere il "cocchiere" con le mani poggiate su una specie di cerchio. Ripresosi dallo shock iniziale, fece spazio a Sherlock e lo guardò entrare e prendere posto accanto a lui.
 
-221b Baker Street.- disse al cocchiere, o come diavolo doveva mai chiamarsi. Un'altra domanda da porre a Sherlock. Un'altra delle ultime ventimila. Per evitare argomenti palesemente compromettenti, John pensò all'unico dettaglio che poteva essere espresso anche a voce alta.
 
-Hai detto che sei un Consulente Investigativo. Cosa diamine vuol dire? Di cosa ti occupi?-
 
Sherlock parve per un attimo leggermente sorpreso.
 
-Risolvo crimini che la Polizia (l'esercito dei buoni che ha il compito di far rispettare le leggi, per intenderci) non sa come districare. Quando non sanno a chi rivolgersi, chiamano me.-
 
-Quindi sei una… specie di... investigatore?- chiese, titubante.
 
-Più o meno. Uso la scienza della deduzione, ossia l’atto o il processo tramite il quale si perviene a una conclusione mediante ragionamento. La mia mente riesce a vedere cose che gli altri semplicemente ignorano. Perché sono idioti.-
 
-Non so se mi hai appena dato dell'idiota, ma comunque... è sbalorditivo!-
 
Stavolta John non poteva sbagliarsi. Sherlock aveva davvero assunto un'espressione sorpresa, prima di tornare a guardare a quello strano aggeggio luminoso ("Ma qui brilla tutto?!") con tanti bottoni che aveva tra le mani. Il silenzio cadde fra loro e John, divorato dalla curiosità e dalle mille domande che gli vorticavano nella mente, si perse fra i suoi pensieri.
 
 
Nemmeno mezz’ora prima stava fuggendo via da un destino nefasto, da un Signore dell'Aria che l'avrebbe torturato fino alla morte, da una vita segnata da disperazione e solitudine. Nemmeno mezz'ora prima aveva aperto una porta che l'aveva condotto lì. Tutto questo era semplicemente assurdo. L’immensa portata di quello che gli era accaduto, gli piombò improvvisamente addosso.
 
Aveva viaggiato nel tempo.
 
Non sapeva come, ma ce l’aveva fatta. Il potere represso dentro di lui doveva aver fatto tutto al suo posto. Non aveva nessuna idea nemmeno del perché la magia dentro di sé avesse scelto proprio quel momento per fuoriuscire, ma sapeva che ora, in quello squarcio sconosciuto di tempo, era davvero vivo. Dopo anni ed anni di apatia e immobilità, finalmente riusciva a sentirlo. Il sangue. John sentiva il suo sangue scorrere fluido e pulsante nelle sue vene, nel suo corpo, in tutto il suo essere. Riusciva a sentirlo passare in ogni punto del suo addome, del suo torace, dei suoi arti, pompato con costanza dal suo cuore, finalmente attivo. Proprio lui, che credeva che davanti a quella porta avrebbe assaggiato gli ultimi momenti di una vita che, pur non potendosi considerare tale, era pur sempre ancora libera. Pensava che avrebbe trascorso il resto della sua esistenza in celle e sotterranei bui, che avrebbe dovuto pregare quel meschino Signore di ucciderlo pur di non essere ancora torturato.  E, invece, non era accaduto nulla di tutto questo.
 
Aveva viaggiato nel tempo.
 
Se lo ripeteva e lo ripensava a raffica.
 
Aveva. Viaggiato. Nel. Tempo.
 
Come diavolo aveva fatto? Se Harry fosse stata con lui… Harry. Il suo improvviso ricordo assalì John, come un fendente letale diretto senza indugio alcuno a quel cuore appena risvegliato. Non avrebbe mai più rivisto i suoi cari. Mai più. Certo, aveva già preso questa scelta cinque anni prima abbandonando la sua famiglia per donarle una prospettiva di vita migliore, ma, in fondo, sapeva che c'erano, che erano lì, da qualche parte e che, magari, a volte lo pensavano o lo nominavano. Invece,  ora, non c'erano. Non erano più. Li aveva perduti per sempre. Non li avrebbe mai più visti. Se solo avesse imparato ad usare quel suo potere, invece di reprimerlo. Se solo non fosse stato così ottuso e stupido! Li avrebbe portati con sé, verso un futuro migliore, verso una immensa speranza. Non li avrebbe messi in pericolo, non avrebbe tenuto per la loro incolumità, non sarebbe mai stato solo.
 
(“Ma non lo sei.”) Era vero. Non lo era. Non era solo. C’era quell'individuo dai ricci neri e gli occhi di ghiaccio con lui. C’era quella Fiamma che ardeva in silenzio. C’era Sherlock. E John, stranamente, si sentì a casa.
 
-John, è la nostra fermata.-
 
La voce di Sherlock lo portò alla realtà. John lo guardò, gli occhi piegati in un’espressione leggermente apprensiva, ancora intontito dalla sua realizzazione improvvisa. Scosse il capo e subito lo seguì fuori da quell’arnese fantastico. Si ritrovò di fronte ad una porta di legno dipinta di scuro, con i numeri 221 e la lettera “B” di quello che sembrava ottone quasi in cima, una maniglia lavorata poggiata obliquamente subito al di sotto. Sherlock inserì la chiave nella toppa e spalancò la porta, facendogli segno di entrare. Nemmeno il tempo che entrambi varcassero la soglia, che una voce li raggiunse, leggermente stridula e dal tono sensibilmente preoccupato.
 
-Sherlock, caro, sei tu? Possibile che ogni notte fai sempre più tardi?-
 
John vide Sherlock alzare gli occhi al cielo, in un’espressione di spazientita sufficienza, appena prima che una donna anziana facesse la sua comparsa. L’abbigliamento e l’aspetto fecero rimanere John completamente sconvolto. Non vi era nessuna traccia di una lunga e appariscente capigliatura, nessun abito ampio e vistoso, nessuna camiciola bianca dalle larghe maniche. I capelli erano corti e mossi, gli abiti stretti ed inusuali, coperti nella parte inferiore da un grembiule. Il lieve sorriso apprensivo di quella donna ne fece spuntare uno di riflesso anche sul volto del Guaritore. Quando i loro occhi si incrociarono, quella signora parve felicemente sorpresa.
 
-Mrs Hudson, quante volte le devo ripetere che non deve preoccuparsi?-
 
La lamentela di Sherlock si perse nell’aria. Madame Hudson (come John aveva capito che si chiamasse), sgranò ancora di più gli occhi, il sorriso ancora più ampio. Il Guaritore vide puntare il dito contro la sua figura. Senza pensare a nulla, automaticamente John chinò il capo in un leggero inchino e porse la sua mano sinistra verso la donna, in segno di saluto.
 
-Madame Hudson, il mio nome è John Watson, lieto di servirla.-
 
Il silenzio che ne seguì fece alzare a John lo sguardo. Madame Hudson era sorpresa ma deliziata.
 
-Via, via, mi vuole far arrossire? Che gentiluomo! Non ne esistono più così di questi tempi! Mi chiami pure signora.-
 
Prima che potesse fare altro, John sentì una mano sotto il mento, delicata ma risoluta, che faceva forza verso l’alto. Era Sherlock. Sentì le sue orecchie diventare improvvisamente calde. Perché Sherlock si stava comportando così? Che stupido, era ovvio! Dannazione! Aveva sicuramente fatto qualcosa di sbagliato! Perché non ci aveva pensato? Subito si lasciò guidare dalla mano del bruno e risollevò il capo.
 
-Sherlock! Non essere scortese col tuo…-
 
-Amico.-
 
(“Amico. Amico?”)
 
-Amico?-
 
-Amico. E coinquilino. Non le creerà problemi.-
 
(“Coinqui…che?”)
 
-Coinquilino?-
 
-Coinquilino. Da oggi abiterà con me e prenderà la camera di sopra.-
 
(“Abiterò con…lui? Nella camera di sopra?”)
 
-Di sopra?-
 
-Sì, Sig. Hudson, sa che non amo ripetermi e questa è già la quarta domanda inutile della serata.-
 
-Oh, se va bene per te, va bene anche per me, caro! Benvenuto, Sig. Watson-
 
-Lo chiami pure John.-
 
-Non parlare per lui, Sherlock! Credo che sappia parlare anche meglio di te. Buonanotte cari!- replicò la donna, facendo cenno d’intesa verso John, che si limitò a sorriderle, mentre Madame Hudson tornava ai suoi alloggi. Ormai aveva quasi paura di fare qualche altro movimento inopportuno. Prima che riuscisse a chiedere una qualsivoglia spiegazione, Sherlock lo fulminò con uno sguardo e John capì in un lampo. (“Le chiacchiere di sopra”). Il bruno gli indicò le scale.
 
-Seguimi.- disse.
 
John gli andò dietro come un’ombra, attento a tutto quello che gli stava intorno. In cima alla scalinata, vide Sherlock aprire un’ulteriore porta e lo seguì all’interno. Lo spettacolo che gli si parò davanti era incredibile. Non sapeva dove guardare. C’erano mille e mille… cose poggiate dappertutto. Tantissimi libri, fogli e carte sparsi in ogni dove. Per terra, sui tavolini, addirittura appesi ai muri, insieme a dei quadri che John trovò davvero strani. Uno raffigurava un cranio umano. E c’era anche un teschio poggiato sul camino. Per un attimo, il Guaritore pensò se avesse fatto la scelta giusta a seguire quello Sherlock, ora svanito nel nulla dietro l’ennesima porta. John si aggirò per la stanza, prendendo mentalmente nota di tutte le cose a cui non sapeva attribuire un nome. La luce proveniva non da candele, ma bensì da un aggeggio posto sul soffitto al centro della camera e da alcuni oggetti che potevano anche sembrare alti candelabri, ma senza alcuna traccia di fiamme o simili. Due poltrone diverse per colore e forma stavano giusto davanti al camino, ed erano la cosa più normale che John sapesse individuare. C’erano troppe, troppe cose di cui voleva sapere almeno il nome. Si avvicinò a quella che sembrava una poltrona di pelle nera per minimo tre persone, attratto dalla vista di un oggetto poggiato su di esso. Era uno strumento musicale che aveva avuto l’occasione di sentire solo una volta in una fiera di un paesino di cui non ricordava nemmeno il nome. Quel suono così dolce. Riusciva quasi a sentirlo ancora. Sfiorò con le dita il legno pregiato di quell’arnese, quasi come se avesse paura di scalfirlo solo con una pressione maggiore. Suo padre gli aveva detto che era un violino. Suo padre…
 
-Spero che non ti dia fastidio il suono del violino, sempre che tu abbia avuto la fortuna di ascoltarlo.-
 
John sussultò nell’udire la voce di Sherlock, preso completamente alla sprovvista. Non l’aveva affatto sentito. Quell’uomo era silenzioso come un gatto. Stava accanto alla poltrona rossa, con un fagotto di quella che sembrava lana in mano.
 
-Non, non mi infastidisce. Anzi, lo trovo delizioso.-
 
Sherlock gli rivolse uno sguardo penetrante. Certe volte, davanti a quegli occhi, John si sentiva più trasparente dell’acqua. Lo vide poggiare quelli che sembravano degli abiti sulla seduta.
 
-Bene, perché quando penso di solito suono. Anche di notte. E non parlo per giorni.-
 
-Io non parlo da anni.- gli rispose, con un mezzo sorriso.
 
Anche Sherlock ne accennò uno. Subito tornò serio.
 
-So che hai molte domande. Fatti spiegare prima le cose basilari. La luce, come avrai notato, non proviene da candele o qualsiasi fonte generata dal fuoco, ma dalle lampadine, dei bulbi di vetro con all’interno un filo di metallo che diventa incandescente al passaggio della corrente elettrica e le rende luminose. Ora, spiegare la corrente elettrica in termini elementari non è esattamente semplice, ma ti basti sapere che è come un flusso di fiamme che attraversa dei sottilissimi cavi metallici e fornisce l’energia, e quindi la forza, per far accendere questi oggetti. Grazie ad essa, utilizziamo tantissimi strumenti.-
 
Cominciò ad indicare una serie di oggetti e a spiegarne in breve le funzioni. Dalle lampade (che illuminavano l’ambiente con quelle lampadine) alla radio (da cui uscivano le voci delle persone senza nessuno dentro grazie a qualcosa che John non aveva ben afferrato, una specie di onde del suono che viaggiavano invisibili nell’aria) , dal computer (una scatola con uno schermo di vetro su cui passavano notizie e informazioni su qualsiasi cosa e su cui potevi anche scrivere qualsiasi cosa, senza usare penne, carte o inchiostro) e al cellulare (quello stranissimo arnese che John gli aveva visto usare prima e che, a quanto pareva, serviva per parlare a distanza con altre persone, sia vocalmente che scrivendo), dal fornello (un fuoco per cucinare che si accendeva a comando) al frigorifero (una specie di mobile freddo all’interno per conservare i cibi a lungo). Mentre Sherlock descriveva, passava in rassegna tutti gli oggetti, mostrandogli come funzionavano. John era a dir poco incantato, come da una sovrannaturale melodia. Quando fu il turno del frigorifero, il Guaritore rimase leggermente sconvolto. Una testa. C’era una testa umana, tranciata di netto e in evidente stato di decomposizione, rallentata solo dal freddo generato in quell’affare. John non poté trattenersi.
 
-E’ una testa. Una testa umana. Dove conservate il cibo.- Si fermò un attimo. -Mangiate le teste?-
 
Sherlock lo guardò come se il maniaco fosse lui.
 
-Non essere assurdo, John! Ci saremmo evoluti per diventare cannibali? E’ per un esperimento che sto conducendo.-
 
-Un… esperimento.- balbettò John.
 
Quell’uomo era folle. Ma proprio folle senza speranza. Era per quello che l’aveva portato lì? Voleva farne il suo esperimento? Voleva tagliarlo in tanti pezzi e conservarlo in quel… frigorifero? No. Era semplicemente impossibile. Tutto intorno a lui gridava di non fidarsi, di scappare, di provare timore. E John le sentiva, sentiva quelle grida nella sua testa. Ma, per qualche assurda ragione, non riusciva a provare paura. Se anche fosse scappato, dove sarebbe andato? Chi l’avrebbe aiutato? Chi si sarebbe offerto di scortarlo in casa propria di punto in bianco per proteggerlo dal resto del mondo? Come se non fosse già abbastanza, Sherlock indovinò di nuovo i suoi pensieri, come se li stesse leggendo su un foglio di pergamena.
 
-John, non ho nessuna intenzione di chiuderti nel mio frigorifero. Ti preferisco vivo e, soprattutto, libero. Non ti nascondo che sono interessato alla tua natura, ma ti posso assicurare che mai ti farei del male. So cosa vuol dire nascondersi. Te ne sarai accorto. In più, ti fidi di me, quindi continua a farlo. Non sarò certo la compagnia migliore del mondo, ma di sicuro so esattamente come fare per passare inosservato. Analizzando la situazione dal tuo punto di vista, rimanere qui rappresenta la scelta più saggia.-
 
John si ritrovò a sorridere. In effetti, Sherlock aveva ragione. Si chiese se mai Sherlock, nella sua vita, avesse avuto torto.
 
-E’ davvero inquietante come tu riesca a capir quello che penso. Sicuro che non leggi nella mente?-
 
-Sicuro. Leggo solo il tuo viso.- l’espressione dell’Investigatore era indecifrabile, ma gli occhi sembravano illuminati da una strana luce. -Puoi togliere il cappotto ed indossare questi.-
 
Gli porse gli indumenti che aveva precedentemente lasciato sulla poltrona rossa e lo invitò ad entrare in una piccola stanza che Sherlock aveva chiamato bagno in cui, a detta sua, le persone si lavavano, cambiavano ed espletavano i loro bisogni corporei. Dopo aver sentito una spiegazione su acqua corrente, docce e lavandini, dopo aver capito il corretto funzionamento di un rubinetto, dopo aver compreso come diamine funzionasse la tazza del water  e il corrispettivo scarico, dopo l’imbarazzante momento in cui Sherlock (che, al contrario suo, non sembrava affatto imbarazzato) aveva mostrato a John quei… cosi… minuscoli chiamati slip che si indossavano sotto i pantaloni, il Guaritore rimase solo nel bagno per lavarsi ed indossare la sua nuova vita. La voce di Sherlock, ovattata dalla porta chiusa, lo raggiunse un attimo prima che potesse togliersi la camicia bianca.
 
-Se hai bisogno di una mano, sono qui fuori.-
 
John si sentì avvampare e vide il suo volto assumere una considerevole sfumatura rossastra nel riflesso dello specchio. Evitò di rispondere, imbarazzato. Non sapeva spiegarsi come quell’uomo potesse scaldarlo anche senza fare assolutamente nulla. Una volta cambiato, si concesse un’ultima occhiata e realizzò che del vecchio John, il popolano Guaritore del 1705, ormai, non rimaneva più nulla, se non la sua persona. Nonostante non sapesse cosa lo aspettava, nonostante ancora non avesse la minima idea di cosa fosse accaduto tra l’anno della sua partenza e l’epoca del suo arrivo, nonostante fosse completamente estraneo a tutto quello che lo circondava, John si sentì vivo, nel posto e nel momento giusto. Si sentì a casa, per la seconda volta in quella giornata. E il merito non poteva che essere attribuito a quel mistero vivente che lo aspettava con tutte le risposte che gli avrebbe dato senza nemmeno fare una domanda.
 
 
 
Note:
(1): Motto dei Targaryen, tributo a George R. R. Martin e alla sua Daenerys, personaggio principale di “A Song of Ice and Fire”. Scusatemi, non ho resistito! Tra draghi e fiamme non potevo non nominarla!
(2): Arte magica presa dal mondo di Harry Potter. E’ una particolare tipo di magia che rende possibile ad un mago leggere nella mente di un altro le sue intenzioni o il corso dei suoi pensieri (ma voi Potterhead lo sapete già).
 
Ed eccomi qui.
Come avrete notato, questo capitolo è dal POV di John. Nella mia mente malata, ho deciso di alternare i POV tra Sherlock e John ad ogni chapter e spero di riuscire sempre a farlo. Mi scuso del fatto che non sono riuscita ad inserire la storia fra il 1730 e il 2014, ma ne sarebbe uscito qualcosa di infinito. Nel prossimo non mancherà. Sorry!
Ma bando alle ciance, esprimete tanto affetto a John che, poverino, ha dovuto imparare tremila cose in nemmeno mezza giornata ed è riuscito a uscirne indenne (forse solo con una “leggera” emicrania…), a differenza mia, che ho imparato anche quando sono nati i cappotti e i divani!
A tal proposito, voglio ringraziare a D I S M I S U R A la mia dolcissima amica e compagna di avventure Leoithne (/Fede <3) che ha ascoltato passo passo ogni sclero e mi ha aiutato in quest’impresa folle di termini ed oggetti che nel 700 non erano nemmeno concepiti nella mente dei più fantasiosi inventori. I grazie e l’affetto per te non saranno mai abbastanza, soprattutto se poi sei così fantastica da sostenermi tra le lacrime per TRF e gli svenimenti per PE!! Ti adoro troppo! <3
I grazie vanno anche a chi ha saputo (molto) pazientemente attendere e che leggerà questa follia, che lascerà una recensione o che semplicemente darà un’occhiata! Grazie a tutti voi!!
Un abbraccio e alla prossima,
Ida :D
 
PS: è probabile che ogni tanto compariranno mie fanart, non vi spaventate troppo! XD Ne ho messe due al primo e al secondo capitolo. Fatemi sapere se vi piacciono! :*

 
  
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