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Autore: drawandwrite    06/10/2014    2 recensioni
Un racconto in prima persona di una ragazza ribelle e particolare che si trova ad affrontare il noioso "Bon Ton" della prestigiosa scuola Toussand. Ma, attenzione, perché sono passate solo quattro settimane dall'inizio dell'anno scolastico quando un evento particolare colpirà Kyla, stravolgendole la vita una volta per tutte e scaraventandola nella vita di sette ragazzi che nascondo un terribile segreto. Kyla non desidera problemi, ma presto due occhi magnetici la coinvolgeranno più di quanto lei non voglia.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Sesta settimana alla Toussand.   

 Esco dalla classe con i libri che pesano nella tracolla di jeans, in mano un blocco per gli appunti malandato e completamente gonfio di note in ogni centimetro bianco dei fogli. Non sono mai stata una persona ordinata.
Anche oggi ho pranzato al tavolo dei Voraci. Sono già tre giorni che consumo i pasti in loro compagnia e la tensione sembra essersi allentata un po’, sebbene mi ci voglia ancora qualche tempo per schiudermi completamente.
Ho scoperto che, nonostante la loro natura, non sono affatto persone ostili e non badano alle apparenze né giudicano con superficialità. Non parlo molto, ma ascolto con attenzione e mi piace rimanere al margine delle loro chiacchiere, semplicemente ascoltando come spettatrice i loro piccoli battibecchi o le loro discussioni.
E, lentamente, sto cominciando a capirli, ad apprezzarli. Ognuno di loro ha una personalità propria, un modo di fare, delle caratteristiche specifiche, un colore che li contraddistingue da quel grigio monotono degli altri studenti.
Solo Elijah mi appare completamente indecifrabile.
Non apre bocca, parla solo se strettamente necessario e quando lo fa è parco di parole. Si siede al tavolo, mi scocca la solita occhiata enigmatica e profonda, consuma rapidamente il pasto e poi torna ad affondare il naso fra le pagine di un libro.
Totalmente indecifrabile.
Svolto l’angolo, alzo lo sguardo.
Sul fondo del corridoio una sagoma si staglia sulla flebile luce che entra dalle vetrate dell’atrio. Acuisco la vista e guardo meglio: una zazzera rossa, spalle larghe da palestra e comportamento disorientato.
-Felix?- chiedo, fra l’incredulo e il perplesso.
Lui si volta. È proprio Felix, e il suo volto si illumina alla mia vista, accendendogli gli occhi di un verde vispo e brillante.
-Kyla!- esclama con un sorriso –è proprio te che cercavo!-
-Che ci fai qui?- chiedo, ancora incredula per quanto io sia felice di vederlo. In fondo è stato ciò che più si avvicinava ad un amico per un bel po’ di tempo,l’unica luce offertami al primo buio della Toussand.
-Ah- lui caccia un’insolita risatina –Be’ non ti ho più vista agli allenamenti  e mi sono preoccupato-
Mi mordicchio un labbro. Effettivamente è da qualche settimana che non mi presento più in palestra, ma come faccio a spiegargli il motivo della mia improvvisa sparizione?
-Si, be’ … - prendo tempo –Ho avuto dei problemi in famiglia e … - rimango sul vago, stringendomi nelle spalle.
Mi riscuoto –Ma come hai avuto il permesso di entrare? Di solito qui mettono piede solo studenti e insegnanti-
Lui mi ricaccia un gesto di noncuranza. Ha un comportamento insolito, nervoso, quasi frenetico –Lascia stare. Piuttosto, ho una faccenda da discutere con te-
Io alzo le sopracciglia, colta alla sprovvista –Dimmi-
Felix ammicca con un’occhiata eloquente –in privato-
-Oh- mi guardo attorno. Se si tratta di una questione importante i corridoi della Toussand non sono il posto giusto –Seguimi-
 
Lo porto nei dormitori, nella mia piccola camera dall’aria ferma e lo faccio accomodare su una sedia sgombera di vestiti o cianfrusaglie eventuali. Io mi siedo sul letto e mi protendo verso di lui, invitandolo a prendere parola.
Felix è serio –Ho bisogno di te, Kyla- mi dice.
Io rimango interdetta per qualche istante, poi gli faccio cenno di andare avanti.
-Mi serve il tuo aiuto- la sua voce ha un piccolo sussulto e per un istante mi pare di scorgere un manto scuro fra le sue ciglia, ma è un secondo, un attimo solo.
Poi tutto torna come prima.
Mi agito sul materasso. Devo essermelo immaginato. Eppure non riesco a scrollarmi di dosso questa angoscia velata, questo campanello d’allarme che suona lontano.
-Cosa ti serve?- chiedo, tesa.
Lo sguardo di Felix si distoglie da me e passa oltre –Chi te l‘ha dato?-
Mi volto. Con un brivido, mi accorgo che i suoi occhi sono fissi sulla scatola di legno che mi ha affidato Elijah, ormai opacizzata dalla polvere sottile.
-Non è niente- mi affretto a spiegare, ma io stessa mi accorgo del tono allarmato della mia voce –è solo un regalo- concludo forzando una risatina.
Ma quando mi volto il cuore smette di battere.
Sul volto di Felix si sta scavando una ragnatela di grinze feroci, gli occhi hanno perso quel verde puro e genuino e stanno annegando in un rosso che sa di sangue.
Sotto il mio sguardo allibito il suo corpo si tende, si contrae spasmodicamente, riesco a vedere i muscoli guizzare sotto la sua pelle sottile. L’orrore mi gela ogni capacità di ragionare.
Non è possibile
Non voglio crederci.
Non lui.
Non Felix.
No.
No.
No!
Come in una realtà parallela, come al di là dello schermo del cinema, le labbra di Felix si schiudono, due lame bianche e affilate ne fanno capolino.
Io ancora non riesco a reagire. Sono immobile, il mio respiro è immobile persino il mio cuore è immobile.
Sento solo una piccola crepa che si apre nel mio petto, e si allarga, diventa una voragine incolmabile. È solo quando Felix si avventa su di me, con un guizzo rapido quanto inatteso, che tutto torna a prendere consistenza.
Scarto di lato, mi getto a terra e per un soffio svicolo alla sua presa.
Non riesco a guardarlo in faccia, non riesco a collegare il sorriso solare del mio allenatore su quel corpo in contrazione, scosso da istinti feroci.
È sbagliato. È tutto sbagliato.
Un fruscio, un nuovo ringhio basso.
rotolo a destra, mi alzo agilmente giusto in tempo per non essere colpita, ma la mia stanza è piccola, sono in gabbia. In gabbia con un leone.
Spinta solo dall’impulso del terrore, tento di raggiungere la porta ma è un errore, un enorme e grave errore che pago caro.
Felix scatta, in un lampo mi è addosso, mi sovrasta con il suo peso, inchiodandomi a terra con tale violenza che per un attimo i miei polmoni non riescono a trarre alcun respiro.
Gemo, stordita, confusa e terrorizzata.
Il ghiaccio della paura mi fluisce nelle vene, un terrore che già conosco comincia a strisciare su di me, avviluppandomi con le sue braccia infide.
Nei miei occhi si specchiano i canini di Felix, lunghi e immacolati come la neve, pronti ad affondare nella mia tenera carne e a strapparmi la mia linfa vitale.
No.
Non voglio morire.
Non voglio.
Stringo i denti. Un’ondata di rabbia si gonfia in me e avverto una determinazione disperata invigorirmi.
Non morirò oggi.
Non morirò qui.
Non morirò così.
Con tutta la forza che ho, sferro una ginocchiata al basso ventre di Felix, proprio nell’istante in cui si stava chinando su di me e lo getto di lato con tanta foga che io stessa mi faccio male.
Lo sento gemere, un gorgoglio basso che mi mette i brividi.
Ma non c’è tempo nemmeno per inorridire: mi sollevo, con un balzo sono accanto al mio letto.
Le mie mani tremanti aprono freneticamente la scatola di legno e nel buio scintilla quasi accecante la lama spettrale del pugnale. In fretta, faccio per impugnarlo, ma uno strattone brusco mi tira verso il basso, strappandomi un gemito di dolore.
Felix è strisciato fino a me e mi ha afferrato una caviglia, le sue dita sono forti e violente, la sua presa fa male, mi gonfia un groppo che mi preme in gola.
Un altro strattone, più forte, mi costringe in ginocchio, mentre avverto chiaramente gli arti di Felix stringermi le gambe in una morsa di ferro.
Urlo, gemo, provo a dibattermi, ma non c’è nulla da fare: quegli occhi rossi e folli continuano a fissarmi con desiderio e le sue braccia non allentano di un centimetro.
Mi aggrappo al bordo del comodino, impedendo a Felix di trascinarmi lontano. Ma lui è più forte, e i suoi respiri corti ed eccitati si avvicinano sempre di più, le sue dita avanzano, la sua presa si stringe.
Ormai riesco a muovere solo il busto, non c’è niente che io possa fare per liberarmi dalle sue spire. Mi lascio sfuggire un'unica lacrima di frustrazione, ardente come fuoco disciolto.
Poi accade.
Un dolore acuto, sottile.
Al polpaccio.
Il respiro mi si mozza in gola.
Terrore.
Mi ha morsa.
Li sento. Due fori sulla mia pelle, due canini nella mia carne.
 E il sangue. Mi scivola via come sabbia dalle dita, la punta del piede già mi formicola.
No, dannazione, no!
In un gesto estremo, con la forza della disperazione, mi tiro indietro con uno strattone, ribaltando il comodino, gettando a terra gli oggetti che vi erano appoggiati sopra, inclusa la scatola di legno.
Un tintinnio alto e cristallino mi suggerisce la posizione del pugnale e, mentre avverto le forze scemare lentamente, allungo una mano nel buio.
Le mie dita incontrano la guardia fredda, ne percorrono febbrilmente il contorno fino ad arrivare all’elsa. Impugno l’arma, la testa mi gira vagamente ma riesco a sollevare il busto.
Raccolgo ogni residuo di forza  e con un urlo che mi brucia la gola affondo il pugnale nella spalla di Felix.
Un getto nero come la pece esplode dalla ferita, dipanandosi attorno in una pozza densa di inchiostro, schizzi scuri balzano sulle pareti e sul mio viso, mentre la mia mano ne è totalmente ricoperta.
Un liquido viscoso, maleodorante e freddo come il ghiaccio.
Rimango agghiacciata, inorridita.
La mia presa sul pugnale trema, le carni di Felix si irrigidiscono con uno scossone tremendo e
un rantolo agghiacciante si strappa dalle sue labbra.
Fa in tempo a puntare i suoi occhi ora verdi e sofferenti su di me, prima di accasciarsi sul pavimento, freddo ed immobile.
in un istante, tutto è finito.
Guardo la devastazione di quella scena, inclino il capo di lato e cedo ad un conato di vomito. 
  
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