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Autore: Dragon_Flame    10/10/2014    2 recensioni
Firenze, luglio 2013.
La vita di Lidia Draghi, adolescente alle prese con l'ultima estate prima degli esami e con la fine di una relazione sofferta, prende una svolta inaspettata nell'incontro con Ivan Castellucci, padre di Emma, che deve affrontare un difficile divorzio.
Una strana alchimia li lega e la certezza di aver trovato la propria metà si fa pian piano strada nei loro cuori. L'unico problema sta nella loro differenza d'età: vent'anni. Lidia ha diciott'anni, Ivan trentotto. Aggiungiamo poi una madre impicciona, un ex-ragazzo pedante, un fratello inopportuno e pseudo ninfomane, un'ex-moglie inacidita che cerca di strappare a Ivan la loro unica figlia e mixate il tutto.
Mille difficoltà ostacoleranno la relazione segreta fra i due protagonisti, ma il loro sentimento sarà più forte del destino che sembra contrario al loro amore?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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19.



Ivan si stava preparando per tornare a casa. Aveva appena terminato un pesante turno di lavoro ed era esausto. Quel pomeriggio era stato difficile: lui e i suoi colleghi non erano stati in grado di salvare la vita di un paziente arrivato in condizioni gravissime al Pronto Soccorso. La morte di un paziente scuoteva sempre l'animo di Ivan, che veniva invaso da mille dubbi: avrebbero potuto salvarlo se avessero agito in altro modo? gli infermieri e il personale ospedaliero coinvolto avevano dato il loro meglio? perché l'ambulanza non era arrivata anche solo un minuto prima? si sarebbe potuto salvare, se il suo cuore avesse retto?

Riponendo l'uniforme nel suo armadietto personale, il moro si diresse seminudo negli spogliatoi con i suoi indumenti tra le mani, i muscoli ben definiti che guizzavano sotto le luci del locale ad ogni movimento del corpo. Si cambiò velocemente, indossando una camicia candida con sopra un pullover azzurro elasticizzato che sottolineava il suo torace e l'addome tonici e allenati e un paio di scuri jeans aderenti che gli fasciavano le gambe longilinee. Il tutto era completato da un paio di sneakers nere.

Uscendo dallo spogliatoio, prese gli effetti personali che aveva lasciato nell'armadietto, poi lo richiuse, afferrando il suo cappotto autunnale e chiudendosi la porta del locale alle spalle. Con un sospiro esausto si diresse verso la propria auto, perso nei suoi pensieri a tal punto da andare a scontrarsi casualmente con una sua collega.

"Oh! Scusami, Cinzia..." mormorò lui, afferrandola fra le braccia per evitarle l'impatto con il freddo pavimento grigio della struttura ospedaliera.

"Di nulla, Ivan... scusami tu, piuttosto, ero distratta" si giustificò lei, ravviandosi imbarazzata una ciocca bionda dietro l'orecchio mentre si riappoggiava sui propri piedi, lasciando il braccio dell'uomo.

"Anche io non c'ero proprio con la testa" ammise l'infermiere, ridendo brevemente. "Perdonami."

"Ma certo" disse lei semplicemente, mentre un seducente sorriso le schiudeva le labbra carnose. "E' da un bel po' di tempo che non ci sentivamo" aggiunse poi, fissandolo con i begli occhi verdi da sotto le lunghe, morbide ciglia.

Il moro si sentì immediatamente assediato da quello sguardo magnetico.

Cinzia era una bella donna sulla quarantina, con un paio di anni in più di lui, già alle spalle un divorzio e poi tre anni di convivenza terminati con una rottura. Niente figli. Era bella, intelligente e molto sensuale, ma l'uomo non aveva mai pensato a lei come a qualcosa in più di una semplice collega. Fondamentalmente erano solo conoscenti, anche se lei sembrava già provarci implicitamente con lui, da quando si era saputo della sua separazione da Alessia. Ivan però respingeva garbatamente le sue avances, preso com'era dalla sua frequentazione con Lidia. E poi, per rispetto nei confronti della giovane, aveva declinato più volte gli inviti di colleghe single o in cerca di brevi avventure che spesso riceveva.

Ovviamente i suoi desideri sessuali repressi da così tanto tempo lo rendevano frustrato, ma era monogamo e, soprattutto, un uomo leale. Non si concedeva ancora di estendere la conoscenza con Lidia al lato carnale della loro pseudo relazione, dato che la conosceva da pochi mesi e non le aveva nemmeno chiesto di tentare un qualsiasi approccio fisico. Perciò, non si sarebbe concesso nemmeno una notte di fuoco con una donna sconosciuta per lasciarla al mattino dopo, senza neppure ricordarsene il nome.

Era una persona seria, forse all'antica, ma lui ci teneva a fare le cose per bene. E, in particolare, Ivan ci teneva alla sua relazione con Lidia. Ne era innamorato. Era già tre mesi che si frequentavano, seppur ricorrendo a sotterfugi per incontrarsi di nascosto da tutti e rimandendo sempre incollati al cellulare per riuscire a restare in contatto l'uno con l'altra. Era una storia abbastanza difficile, ma lui era felice anche così, perché la ragazza gli piaceva tantissimo e lo spaventava l'idea di perderla.

Perciò, attendeva di poter ottenere il divorzio, in modo da avere un problema in meno per quando avrebbe parlato a Sara e Domenico dei sentimenti che lo legavano alla loro figlia, cercando di ottenere il loro permesso per vedersi regolarmente e, soprattutto, alla luce del giorno.

"Eh già... scusami, ma adesso devo andare" replicò l'infermiere in risposta alla frase di Cinzia.

Ivan poté così osservare l'espressione accattivante della sua collega sfumare per lasciare posto al disappunto. Con un leggero colpo di tosse, Cinzia annuì, facendogli un veloce cenno della mano per salutarlo, quindi la donna si affrettò a dileguarsi, oltrepassando la figura dell'infermiere. L'uomo stava per continuare il suo tragitto, quando una voce femminile lo chiamò da dietro, attirando la sua attenzione e facendolo voltare.

"Il tuo compleanno cade il sette novembre, giusto, Ivan?" domandò Cinzia tornando sui suoi passi.

"Ehm... sì, ma perché me lo chiedi?" replicò Ivan sulla difensiva, curioso di sapere cosa gli avrebbe detto la bionda.

"Sai, pensavo che, se ti va... potremmo uscire a cena per quel giovedì sera, non credi? Come amici, per festeggiare" propose la donna, rivolgendogli un sorriso tanto luminoso quanto affascinante.

"Be', si potrebbe fare" concesse l'uomo, fingendo poi di rifletterci su. Detestava dover dire di no, ma se doveva fingeva di pensarci un po', prima di rispondere negativamente. Anche se non era giusto alimentare le false speranze delle persone e illudere le loro aspettative. "Ma non sono sicuro di essere libero per quella sera: mia figlia mi vorrà sicuramente a casa con sé per trascorrerla insieme a cucinare qualcosa di dolce per festeggiare. E' una tradizione che abbiamo da quando lei era molto piccola. Temo che non potremo vederci."

"Tu sai cucinare?" chiese Cinzia, cambiando bruscamente argomento.

Ivan fu colto alla sprovvista da quella domanda.

"Cucinare?! No, cioé... Diciamo che me la cavo ai fornelli solo quando si tratta di dolci, crostate, torte... e spesso neanche in quel caso. Tutto qui. Tento di preparare qualcosa di decente, ma non sono proprio portato per l'arte culinaria. Cucinare è una parola grossa per esprimere la mia inaccettabile capacità; proprio non mi riesce" si schermì poi l'uomo, scherzando sul fatto che a volte era un po' impreciso e combinava qualche guaio.

Ma fondamentalmente se la cavava bene in cucina. Era solo troppo modesto per ammetterlo pubblicamente e troppo guardingo per rivelarlo ad una donna in cerca di una relazione con lui. Una donna che non era Lidia.

"Eppure sarei curiosa di assaggiare qualche pietanza preparata da te. Sei il primo uomo che conosco che riesce a cucinare, oltre al mio ex-marito, sai?" continuò Cinzia imperterrita.

"Be', non te lo consiglierei. Ci sono sicuramente chef migliori di me e io sono tra i peggiori in assoluto."

"Ma si potrebbe comunque fare, no? Ovviamente, solo se ti va di metterti ai fornelli per me" insistette testardamente, lasciando Ivan nello sconcerto.

Quel per me non gli piaceva per niente.

"Be', semmai... ci si mette d'accordo un'altra volta" si costrinse a dire con quanta più gentilezza possibile, fingendo di non essere seccato dall'ostinazione della collega. "Ora scusami proprio, ma devo tornare a casa. Fra poco la mia ex entra al lavoro per un turno di notte e ho mia figlia che mi attende da sola."

Fu con quella brusca frase e un saluto frettoloso che Ivan riuscì a scrollarsi di dosso l'infermiera, camminando velocemente verso l'uscita, conscio dell'occhiataccia fulminante che sicuramente la bionda gli aveva lanciato alle spalle, irritata dalla sua sfuggevolezza.

Lui non sopportava le donne così. Era cresciuto con l'idea che le relazioni amorose non dovessero essere tutte brevi e basate sul sesso, come invece accadeva nella maggior parte dei casi. Lui desiderava stabilità, un amore fedele, un sentimento forte e, soprattutto, che comportasse sorprese e imprevisti per rendere la vita di coppia movimentata e piacevole.

Tutto questo, a parte la stabilità, l'intensità di un sentimento instaurato da lungo tempo e un'affinità sessuale non ancora sperimentata, l'aveva trovato con Lidia. Non c'era solo il brivido del rischio a rendere la loro frequentazione eccitante, ma anche la differenza delle loro mentalità, la distanza delle loro opinioni, la molteplice versatilità del carattere della ragazza, di cui riusciva a cogliere solo una minima parte, scoprendo qualche sfaccettatura a lui ignota giorno dopo giorno.

Ivan era innamorato di Lidia, se ne era reso conto. Avrebbe gettato all'aria tutte le precauzioni e anche l'amicizia con Sara se solo non ci fosse stata la custodia di Emma in ballo. Lui amava anche la figlia e non voleva perderla. Perciò, a favore della propria causa, doveva mantenere quella storia segreta. Un giudice non avrebbe mai acconsentito a che una bambina venisse affidata ad un uomo quarantenne, padre di famiglia, che aveva stretto un legame sentimentale con una ragazza così giovane, di soli diciotto anni. Gli avrebbero tolto la custodia di Emma. Rischiava di perdere sua figlia così, perciò doveva mantenere il riserbo.

Perso ancora in cupi pensieri, l'uomo non si era reso conto di essere stato interpellato da Sara, la madre della ragazza di cui era innamorato. La donna aveva appena terminato il suo turno di lavoro e si stava dirigendo verso la propria Lancia Musa, parcheggiata poco lontano dalla Fiat 500 azzurro scuro del moro.

"Ivan! Ma ci sei o ci fai?" l'apostrofò, strappandolo ai suoi pensieri.

"Come, scusa?" sbottò lui, negli occhi un'espressione confusa e sospresa.

Sara rise, schermandosi con la mano le labbra, così simili alla vermiglia bocca morbida e piena della sua primogenita.

"Sei distratto, oggi. Dimmi, è successo qualcosa di bello negli ultimi minuti?" indagò con negli occhi l'espressione di chi la sapeva lunga.

Ivan rimase sconcertato da quelle parole, comprendendo subito dallo sguardo eloquente dell'amica che era stata lei a spingere Cinzia a farsi avanti con lui.

"Sara! Ma sei stata tu?!"

"Suvvia, Ivan, non reagire così. Io l'ho fatto solo per te e per lei. Tu sei solo e ombroso come un cane bastonato. Lei invece è sola ed è interessata a te da quando ti sei separato legalmente da tua moglie. L'ho solo incoraggiata, tutto qui."

"Ecco perché sapeva la data del mio compleanno. Gliel'aveva potuta dire soltanto qualcuno che mi conosce bene, perché di certo lei non poteva saperla, dato che siamo solo conoscenti" rifletté il moro con un certo disappunto, massaggiandosi il mento ispido con una mano.

"Proprio così" asserì la castana, rivolgendogli un sorriso di scusa. "Perdonami... so che non vuoi nessuno intorno, ma non puoi rimanere sempre e solo a rimuginare su ciò che ti è capitato. Così finirai solo per deprimerti di più e isolarti. E il tempo scivolerà via, e tu starai ad incupirti e ad autocommiserarti quando invece potresti avere una nuova compagna, o comunque qualcuno con cui parlare, con cui approfondire la conoscenza, con cui uscire... Chissà, forse se trovassi quella giusta potresti costruirti una nuova famiglia. Tu vuoi altri figli, giusto?"

Vorrei dei figli che assomiglino alla tua fantastica Lidia, se mi permetti di dirtelo. E che abbiano la sua meravigliosa personalità e i suoi bellissimi occhi azzurri, si disse Ivan, pensando con tenerezza alla ragazza. Quando avrebbe potuto rivederla? Ormai era da tanto che non riusciva più ad incontrarsi con lei.

"Certo. Emma vorrebbe tanto un fratello o una sorella. E io intendo dargliene uno almeno, dato che conosco la solitudine che un figlio unico si ritrova spesso a provare" rispose l'uomo con un sorriso intenerito al pensiero della figlia. "Però voglio che, qualora trovassi la donna giusta per me, sia seria e volenterosa di costruire una famiglia, di voler trascorrere con me la vita e non solo una manciata di anni. Soprattutto, voglio una partner fedele. Non voglio ripetere l'esperienza che ho avuto con Alessia."

"Io ti avevo detto di non sposarla" lo rimbeccò la collega, incrociando le braccia.

Ivan sospirò, conscio di essere stato un perfetto idiota ad aver preso quella decisione.

"Ormai è successo e non posso stare a piangere sul latte versato. Posso soltanto accettare la situazione, andare avanti e ricostruirmi una vita, cercando la persona giusta con cui condividerla."

"E non credi che Cinzia meriti una possibilità? Non la conosci nemmeno."

"Non la conosco personalmente, ma so abbastanza delle chiacchiere che circolano negli spogliatoi maschili. Anche noi uomini siamo pettegoli, sai?" e sorrise appena con sarcasmo. "Girano anche tra noi le voci. Cinzia non è propriamente una santa. E poi lei non mi interessa. E' una bella donna, lo ammetto, ma cos'altro ha da donare? Non è seria, non è costante. Forse sbaglio a giudicarla. Forse dovrei concederle una chance. Ma non ama nemmeno i bambini. E lei dovrebbe addirittura diventare la mia partner? Di me, che ho una figlia? Una figlia iperemotiva, per giunta. Non sarebbe capace di renderla felice, non andrebbero d'accordo. Perciò credo che sia meglio per me essere single piuttosto che fidanzato con una donna che non potrebbe rendere in alcun modo sereni né me né Emma."

"Secondo me, tu hai solo paura di esporti. Hai subito per anni un matrimonio che si è rivelato infelice per te, per Alessia e adesso anche per Emma" commentò Sara con un tono di voce flebile, per paura di offendere l'orgoglio dell'amico.

Ivan assentì con un cenno del capo, chinando lo sguardo.

"Forse" ammise con un certo imbarazzo, sentendosi in colpa nel mentirle. Perché lui si era già esposto con un'altra ragazza, ma non poteva certo rivelarlo alla madre della suddetta. "E poi, mi sto frequentando con qualcuno, perciò vorrei concentrarmi solo su di lei, al momento..." aggiunse sovrappensiero, pentendosi poi subitaneamente delle proprie parole.

Ora Sara si era incuriosita. E lui doveva mantenere segreta la sua relazione con Lidia, cazzo!

La donna levò su di lui uno sguardo sorpreso ed indagatore, un sorriso tremendo che andava delineandosi sulle labbra.

"E chi sarebbe la fortunata?" chiese, preparandosi a assediare l'uomo con la propria famosa modalità di quarto grado.

"Ehm... è una donna... una donna che ho conosciuto in palestra" s'affrettò a dire Ivan, facendo lavorare il cervello celermente per trovare un modo di togliersi dagli impicci.

"E come si chiama?"

"Si chiama... Daria."

Il moro disse quel nome in un singulto, maledicendosi poi da sé per la tensione che faceva trapelare dal suo modo di parlare. Tremava per l'agitazione. Doveva essere più calmo. Doveva convincere la collega di ciò che diceva, non indurla a sospettare e cercare di venire a sapere chi fosse veramente la persona con cui si frequentava. Perché, se avesse indagato a fondo e per bene, avrebbe potuto scoprire che si trattava di Lidia, la sua primogenita, una ragazza di soli diciotto anni.

Cazzo, Sara, si chiama Lidia! Lidia, come tua figlia, perché è tua figlia! Io mi frequento con tua figlia di nascosto, perché altrimenti non ci sarebbe permesso vederci. Ecco con chi mi vedo: con tua figlia, la meravigliosa ragazza di cui mi sono innamorato. Perché io la amo, Sara, la amo!, avrebbe voluto urlarle in faccia, gridarle il suo amore per Lidia, per la figlia della sua collega, una ragazza di soli diciotto anni che aveva fatto irruzione nella sua vita grigia e spenta trascinando con sé gioia, vitalità, voglia di vivere, amare e sperimentare, un turbinio di novità che avevano dipinto di ogni colore possibile la sua piatta, deprimente esistenza, facendolo tornare a sorridere ed essere sereno, a voler perseguire la felicità.

Lui amava Lidia, ora ne era certo. Lei era una delle due ragioni per cui continuava la sua vita. Insieme ad Emma, Lidia era la sua unica fonte di gioia. Lui l'amava. Forse era presto per dirlo, forse era solamente ancora sopraffatto e soggiogato dalla novità che aveva stravolto la sua vita appena tre mesi prima. Lui aveva già dichiarato di amare Alessia in passato, eppure mai aveva provato un trasporto simile, una felicità e un'eccitazione al pari di quelle che gli provocavano la relazione con Lidia. Se ciò che provava per la diciottenne non era amore, gli si avvicinava comunque tantissimo.

Perciò era quasi sicuro dei propri sentimenti. Ora però voleva sapere che cosa provava lei nei suoi confronti.

Gli balenò in mente un'idea azzardata e assolutamente folle, perché rischiava di esporsi troppo e magari pure di essere scoperto, se disgraziatamente Sara o Domenico si fossero accorti della sua presenza. Abbozzò comunque un piano nella propria mente, da attuare di lì a pochi giorni. E Lidia doveva restare all'oscuro delle sue intenzioni. Sarebbe stat una bella sorpresa per lei e anche per se stesso. Nel giorno del suo compleanno, magari. Sì, l'idea si prospettava fantastica.

Avrebbe tanto voluto dirlo a Sara: dirle che amava sua figlia e che avrebbe voluto vivere con lei il legame che li univa, perché era tremendamente stanco di tenersi dentro tutto, di essere costretto a nascondere la loro relazione agli occhi del mondo intero che non l'avrebbe accettata. Ma non poteva. Rischiava troppo, tutto. Perciò tacque, lasciando che fosse la sua voce interiore, la sua coscienza, a gridare ciò che provava realmente e a scaricare l'ingorgo di emozioni che intrappolava dentro sé.

"E perché non mi hai detto nulla di lei?" proseguì Sara con le domande, completamente ignara della lotta interiore che infuriava nell'animo dell'amico, gettandolo in uno stato di profondo turbamento.

Perché anche i sensi di colpa nei confronti di un'amicizia di vent'anni tradita in quel modo si facevano sentire, pesanti ed accusatori come il dito di un avvocato puntato contro l'imputato.

"Perché ancora siamo usciti solo una volta ed è troppo presto per parlare di una relazione seria" s'inventò al momento l'uomo. "Però come donna mi piace. E' grintosa, seria, matura, vivace, sincera, testarda, con una logica ferrea, un'intelligenza arguta, una certa carica di humour e sarcasmo e... be', lei è molto altro ancora. Ha una bellissima personalità, poliedrica, piena di mille qualità, per quanto ho potuto intuire e comprendere. Ha anche un bel corpo, un viso particolare, degli occhi meravigliosi. E mi piace molto. Credo che ci rivedremo, ma non so cosa lei pensa di me, per cui potrebbe benissimo trattarsi di questa sola uscita e basta."

Ivan aveva descritto il carattere e l'aspetto fisico di Lidia per com'erano, ma Sara non trovò nemmeno una sola somiglianza d'indole tra la figlia e la donna immaginaria descritta dall'amico, perché considerava la ragazza sotto tutt'altra luce, cioé immatura e ostinata. Intelligente, sarcastica e sincera, ovviamente, ma anche disobbediente e assai rompibocce, come la donna diceva per evitare di dire rompiballe. Perché quella le pareva proprio una brutta, volgare parolaccia.

"Se avessi saputo che uscivi già con un'altra, non avrei mai tentato di spingere Cinzia tra le tue braccia... Perdonami" mormorò l'amica con un sorriso di scusa. "Spero per te che questa storia vada in porto. E dimmi, hai una sua foto? Vorrei proprio vedere com'è fatta lei."

A quella richiesta Ivan si sentì gelare il sangue nelle vene. Lui aveva qualche foto con Lidia: in alcune erano ritratti insieme, in altre c'era lei da sola. Ma non poteva certamente fargliele vedere.

"Ehm, no, io... io non ho foto. Siamo usciti solo una volta insieme, è decisamente troppo presto per scattare una fotografia insieme" ribatté Ivan, scoppiando poi a ridere di fronte all'aria esterrefatta di Sara.

"Oh, hai ragione!" esclamò lei, unendosi alla risata di Ivan. "A volte faccio delle domande così sciocche..."

"E' stato bello parlare insieme a te, ma adesso devo andare. Emma mi aspetta a casa ed è da sola. Alessia fa il turno di notte, oggi" s'affrettò a dire Ivan successivamente, chinandosi un po' sul volto di lei e salutandola con un bacio sulla guancia per poi sgusciare via e salire nella propria auto, allontanandosi poco dopo.

Intanto la donna pensò alla bambina di Ivan e Alessia, sospirando tristemente al pensiero della solitudine e della malinconia che certamente segnavano le sue giornate. Avrebbe voluto fare di più per rendere più stabile l'infanzia di Emma, ma non poteva fare molto. Tuttavia, le venne improvvisamente un'idea in mente per renderle quella serata più serena, decidendosi quindi a seguire Ivan fino a casa sua per esporgli la propria trovata e convincerlo - o, meglio, costringerlo - ad attuarla. Non si aspettava che un sì per quella proposta, perciò si catapultò nella Lancia e accese il motore, ingranando la marcia e inseguendo Ivan fino a casa sua per parlargli del suo progetto.

Intanto, nella Fiat 500, solamente quando fu distante da Sara il moro si permise di tirare un sospiro di sollievo.

La prossima volta dovrò essere più cauto, altrimenti potrebbe scoprire tutto, si rimproverò aspramente, svoltando a destra mentre tornava a casa dalla figlia.

 

***

 

Lidia tirò un sospiro di noia, sbadigliando poi pesantemente. Aveva appena terminato un saggio breve per letteratura tedesca, che doveva consegnare per il giorno dopo al Prof. Marzi. S'intitolava Ein kleiner Kommentar zum Gedicht 'Der Panther'° e le era riuscito piuttosto facile buttare giù alcune righe e scrivere un testo su quel breve componimento di Rainer Maria Rilke.

La ragazza provava un amore viscerale per la letteratura teutonica. Amava l'aura mitica e favolistica nella quale era avvolto il Nibelungenlied°°, la meravigliosa produzione poetico-letteraria medievale e moderna, le favole dei fratelli Grimm, le gloriose opere di Stendhal, Thomas Mann, Hesse, Kafka, le pièces teatrali di Brecht, le nuove correnti letterarie contemporanee della Germania nata dalle ceneri delle ex-Repubbliche sovietica e democratica scaturite dalla divisione del Paese alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lidia era per metà madrelingua tedesca, anche se le radici familiari affondavano solo alla lontana nella nordica stirpe germanica, e, di conseguenza, amava alla follia tutto ciò che faceva parte di quella cultura un po' anche sua. Amava la musica classica, che a volte preferiva ascoltare quando non le andava di scatenarsi al ritmo delle sue canzoni preferite - immancabilmente di genere rock e nu metal. Adorava le sinfonie di Beethoven, le sonate e le opere di Bach, Haendel, Mozart, Schumann, Liszt, Wagner. Amava ogni singola espressione culturale tedesca, perché era parte di lei, della sua cultura, della sua eredità genetica. Così come la cultura e la lingua italiana occupavano un posto speciale nell'altra metà del suo cuore.

Riponendo i libri giusti per la lezione del giorno successivo nello zaino vuoto e abbandonato in un angolo della camera, la ragazza si levò in piedi dalla scrivania, stiracchiandosi e sbadigliando ancora. Aveva letto un sacco di opere in tedesco e conosceva Rilke, perciò le risultava alquanto noioso, nonché facile, svolgere tutti quegli odiosi saggi ed esercizi di letteratura germanica per Marzi, quando questo sapeva perfettamente che la signorina Draghi - come lui, professionalmente, soleva chiamarla - era quasi al suo stesso livello di conoscenza e poteva benissimo prendere il suo posto e fare lezione in vece sua.

Lei odiava Alberto Marzi. Metà delle sue compagne di classe lo idolatravano per l'aspetto piacevole e lo sguardo arrogante e sicuro di sé che gli donavano quell'aria da bad boy un po' troppo cresciuto, tuttavia non prestavano attenzione alla sua professione e alla sua arroganza, alla sua superbia senza limiti, alla sua aria di superiorità. Lui riempiva di compiti i suoi alunni, così come tutti i professori, del resto, ma sembrava provare un sadico piacere nell'osservare il volto della sua finora migliore studentessa rannuvolarsi per l'irritazione e l'insofferenza. Quella giovane stanga di un metro e novanta dal fisico perfetto e dalla dose di stronzaggine ai massimi livelli del suo professore di tedesco doveva proprio odiare a morte lei e l'intera quinta linguistico, perché con le altre sue classi non si comportava così. Peggio, con altri suoi alunni e alunne non si relazionava in quella maniera. Che la stesse bersagliando e mettendo alla prova per sfidare la sua saccenteria?

Ok, sfida accettata. Ma sarò io a trionfare.

Con quella convinzione a renderla più baldanzosa, Lidia uscì dalla sua stanza, discendendo a passo tranquillo la scala interna della casa mentre fischiettava quietamente le note pacate di 'Lonely Day' dei suoi amati SOAD, che si sposava alla perfezione con la situazione vissuta in quella giornata.

Effettivamente, quello era stato proprio un giorno solitario. Erano già le nove e dieci di sera e lei aveva appena terminato i suoi compiti banali, i quali erano stati iniziati intorno alle quattro di quel solitario pomeriggio passato a casa ed erano stati interrotti dall'altrettanto quieta cena per una sola persona che si era divertita a cucinare da sé.

Era stata per tutto il giorno per conto proprio. Era tornata a casa da scuola in bici perché la madre non poteva venire a prenderla, dato che era entrata per il turno lavorativo pomeridiano già intorno all'una e mezza. Eva era rimasta con Matteo, il suo fidanzato, per una giornata inseme e restava a cena da lui. Suo padre Domenico, come al solito, non c'era. Sua madre Sara sarebbe rientrata di lì a poco. E allora Lidia avrebbe potuto dire addio alla sua tanto anelata tranquillità.

Desiderosa come non mai di sfuggire alle invadenti e fastidiose chiacchiere materne, la castana si precipitò nuovamente nella propria camera, spogliandosi in fretta per poi estrarre il pigiama dal letto sveltamente sfatto e infilarselo per sfuggire al brivido freddo che le carezzava la schiena, attraversandole lentamente tutto il corpo. Poi Lidia si fiondò in bagno, si lavò rapidamente e tornò nella camera da letto, afferrando il pc e accendendolo. Aprì il suo account di Twitter, leggendo gli ultimi aggiornamenti dei suoi idoli sul popolare social network.

Ben presto, intorno alle nove e mezza, la giovane avvertì il brontolìo cupo di una macchina che parcheggiava nelle vicinanze della casa, poi un altro motore in avvicinamento che si spegneva poco distante, il ben noto rumore secco e preciso della serratura dell'ingresso che scattava, poi il breve cigolio del portone d'ingresso spalancato, quindi i passi agili e rimbombanti della figura un po' goffa della madre che facevano risuonare il parquet dell'atrio. Si aspettava di essere chiamata dalla vocetta talvolta stridula, talvolta squillante della donna che l'aveva messa al mondo nei successivi primi tre secondi, ma ciò non avvenne. Contò i secondi, stupita e vagamente impensierita da quel comportamento inusuale.

Uno, due, tre. Niente. Nessun rumore giungeva dal piano inferiore. Che stava combinando sua madre? Meglio, si trattava di sua madre? Quattro, cinque. Si udirono altri passi, più pesanti dei precedenti. Si trattava forse di un uomo? E chi poteva essere, suo padre, forse? Sei, sette. Altri passi. No, erano il trotterellare di qualcosa. Cioé, di qualcuno. Un bambino, forse. O una bambina? Otto, nove, dieci...

"Lidia! Tesoro, scendi! Abbiamo visite" la chiamò a gran voce la madre, facendola sobbalzare per la tensione e capitombolare giù dal letto, rotolando con un lamento malrepresso per metà della stanza, il computer ancora in mano che stava quasi per essere schiacciato dal suo peso.

"Mamma, ma che cazzo combini? Mi hai fatto prendere un colpo!" gridò la ragazza irosamente, sentendo il nodo d'ansia e tensione formatosi nel suo petto sciogliersi subito dopo aver udito quelle parole, a loro modo rassicuranti.

La giovane si levò in piedi, posando il pc acceso sul ripiano della scrivania, infilandosi poi una semplice vestaglia da camera in tinta unita rosa antico e le infantili pantofole a forma di orsacchiotto per scendere, subito dopo una veloce occhiata nello specchio a parete per accertarsi di avere un aspetto presentabile.

Uscendo dalla stanza, si avviò verso la scala per scendere al piano inferiore, ma in un batter d'occhio si ritrovò seduta a terra, con un corpicino sottile e trepidante tra le braccia e il volto sorridente e luminoso di gioia di Emma a pochi centimetri dal suo.

"Emma?!" esclamò Lidia, sorridendo istantaneamente alla bambina e stringendola dopo in un abbraccio energico e affettuoso, stritolandola fra le braccia magre ma volitive.

"Lilli!" sussurrò la piccola, tuffando la testolina mora nell'incavo del collo della ragazza, nascondendo lo sguardo gaio che si rifletteva nei suoi liquidi occhi ambrati.

"Piccola, che ci fai qui?" l'interrogò la giovane, carezzandole piano la testa mentre, con ancora la bambina tra le braccia, si levava in piedi appoggiandosi esclusivamente sulle proprie gambe. "Non dirmi che sei da sola..."

"No, con me c'è il papà!"

"Ivan?" Lidia sgranò gli occhi per la sorpresa e l'improvvisa gioia che la pervasero, cancellando l'irritazione per la brusca chiamata della madre.

La castana corse freneticamente giù per le scale, gettando al vento la prudenza per qualche pericoloso istante, con Emma ancora in braccio ed un sorriso smagliante ed euforico dipinto sulle belle labbra vermiglie e piene.

"Ivan!" lo chiamò a voce gioiosa, mentre questo la avvolgeva nella sua stretta delicata ma indissolubile.

Si ritrovò gettata contro il suo addome muscoloso e, complici la momentanea assenza della madre entrata nel salotto e lo sguardo della bambina chino a terra, che così non si sarebbe accorta di nulla, la castana si sporse in punta di piedi contro il volto reclinato e perfetto del suo uomo, stampandogli un rapido bacio a fior di labbra. Quindi l'abbraccio si sciolse e i due arretrarono di un passo, mentre cercavano di dissimulare la felicità che era balzata ai loro occhi, in modo da evitare la curiosità e l'impudenza di Sara.

La donna fece ritorno un istante dopo.

Che tempismo, Lidia. Mi meraviglio di te, si complimentò la vocina interiore della ragazza, grondando sarcasmo da tutte le parti. Voce che lei ignorò.

"Figlia mia, potevi metterti qualcosa di meglio sopra al pigiama invece che questa vestaglia... e le ciabatte, poi! Non sei un po' troppo informale, così?" esordì subito Sara, partendo alla carica con le solite critiche che rivolgeva alla sua primogenita. "Va' a cambiarti, su! Non ci si presenta così."

Lidia, fermamente decisa a non permettere che la madre potesse incrinare il suo fragile buonumore e la serenità di quei momenti, era pronta a replicare con aggressività alle frasi dissenzienti della donna, ma fu agilmente preceduta da Ivan, che voleva evitare liti di fronte a Emma e tra le due parenti.

"Sara, non fa nulla... non è mica vestita in modo così inappropriato. E poi Lidia non poteva certamente sapere che saremmo venuti da te per una visita senza preavviso, perciò si è presentata con indosso solamente ciò che è solita portare in camera da letto. Non essere critica con lei. Piuttosto, sii critica con me, che ho voluto accettare il tuo invito" la ammansì l'infermiere, placando l'animo della ragazza offuscato dal fastidio e l'aspra disapprovazione della donna.

"Ah, Ivan, allora dovrei criticare me stessa, dato che ti ho invitato io" lo contraddisse Sara ridendo bonariamente, chiudendo così la breve discussione con la figlia.

Lidia la guardò di sbieco, decidendo di ignorare qualsiasi altra osservazione sarcastica della madre, facendo poi cenno ad Ivan di seguirla in salotto mentre sistemava Emma a sedere su uno dei divani della grande stanza al piano terra.

"E, ditemi, come mai qui? Perché la mamma vi ha invitati?" chiese Lidia ai due, una volta che si fu accoccolata accanto alla bambina per poter discorrere con loro.

"Non credevo che il tuo affetto per noi fosse così profondo, Lilli. In effetti, sembra che la nostra presenza a casa tua ti sia alquanto sgradita" la prese in giro Ivan, facendole poi scherzosamente la linguaccia e scoppiando a ridere mentre la sua interlocutrice arrossiva violentemente a quell'osservazione, chinando velocemente lo sguardo.

"N-no, ecco... io..."

"Tranquilla, Lidia, stavo scherzando" replicò l'uomo con un sorriso, allungando una mano per sfiorarle con una carezza lenta e delicata la guancia infiammata. "Le tue domande sono pertinenti. Non ti potevi certo aspettare visite a quest'ora di sera. E specialmente da noi due."

"Ecco, infatti" lo rimbeccò la ragazza, cingendo poi una ridente Emma con un braccio.

"Comunque, come già chiarito prima, siamo qui per iniziativa di Sara. Sai, una delle sue idee improvvise e anche un po' sconclusionate. Qeesta però non è così cattiva, per vari motivi." Lidia comprese subito l'allusione. "Secondo lei, comunque, mia figlia è troppo giù di morale in questi tempi e crede che la compagnia di una ragazza che le è amica, ossia tu, le potrebbe giovare molto. E credo che abbia assolutamente ragione. Perciò siamo venuti qui. Emma desiderava davvero vederti e ha insistito per farti un saluto stasera. Non staremo qui per molto, almeno non oggi. Fra mezz'ora dobbiamo tornare a casa, perché Emma deve andare a nanna."

"Ma io non ho sonno!" protestò vivacemente la bambina, gonfiando le guance d'aria per simulare la propria contrarietà.

"Ma almeno una o due volte alla settimana ci vedrai qui, forse. Magari anche a qualche cena tra la mia famiglia e la tua. E non sempre qui a casa tua, ma anche a casa mia, in modo da non crearvi sempre incomodo" continuò imperterrito l'uomo, scompigliando allegramente i capelli della figlia, che rise divertita e poi protestò per quel fastidioso trattamento.

"Tu hai già cenato, Ivan? Perché la mamma oggi mi aveva detto che avevate entrambi il turno pomeridiano..." si premurò la ragazza.

"Tranquilla: oggi, a parte intorno alle quattro e mezza, quando abbiamo affrontato un codice rosso, non abbiamo avuto granché da fare al Pronto Soccorso. E nemmeno tua madre nel reparto a cui è stata assegnata, perché ci siamo incontrati alle otto. Abbiamo cenato alla mensa dell'ospedale."

"Sicuro che sia solo Emma a desiderare di vedermi il più possibile?" lo provocò lei sottovoce, lanciandogli un'occhiata eloquente da sotto il sopracciglio arcuato e sollevato in un'espressione interrogativa.

L'uomo sorrise di rimando.

"Credo che non sia l'unica. Forse dovresti aggiungere anche me a quella lista di persone" mormorò.

I due ridacchiarono brevemente, poi cominciarono a conversare del più e del meno, trascorrendo insieme una mezz'oretta soltanto, con Sara che si affaccendava per rimettere a posto delle cose in giro per la casa, unendosi raramente alla conversazione e con Emma che pian piano scivolava nel sonno, la testa a penzoloni posata infine sulla spalla del padre. Un sorrisetto beato le schiudeva le labbra soffici e fine come quelle del padre.

L'uomo prese la figlia tra le braccia poco dopo. Osservando l'orologio dello schermo del suo cellulare, si accorse che erano già le dieci passate.

"Devo tornare a casa, Lidia..." sussurrò desolato, abbassando lo sguardo. "Emma deve dormire, domani mattina ha scuola."

La ragazza assentì mestamente col capo, voltando lo sguardo. Quei momenti insieme trascorsi sotto il controllo di sua madre e con la presenza della bambina erano passati senza che loro potessero veramente parlare in modo libero. Il pensiero di averlo così vicino ma di non poterlo nemmeno stringere a sé e baciarlo senza il timore di essere scoperta da Sara faceva ribollire di impotenza e frustrazione il suo animo turbato.

"Va bene. Ti accompagno alla porta" replicò Lidia, andando poi a cercare la madre per dirle che il suo collega tornava a casa.

La donna scese velocemente dal piano superiore della casa per dare la buonanotte all'infermiere e alla piccola, invitandoli a tornare una di quelle sere, poi tornò di sopra frettolosamente per poter azionare la lavatrice, chiudendo lo sportello del detersivo e regolando la temperatura dell'acqua e le modalità di lavaggio. I due amanti intravidero al volo l'occasione di potersi salutare più intimamente e la colsero, uscendo subito dall'abitazione.

Lidia si richiuse il portone alle spalle, appoggiandosi poi ad esso con il dorso. Ivan depose la figlia nell'auto, tornando poi rapidamente dalla ragazza per poterla abbracciare. Ben presto lei si ritrovò fra le sue braccia, avvertendo il sapore ormai familiare ed eccitante delle labbra dell'uomo contro le proprie, approfondendo quel bacio e aderendo con il proprio corpo tremante alla sua sagoma imponente che la sovrastava.

I due si scambiarono un bacio intenso, profondo, travolgente, ma dovettero separarsi presto, dato che Lidia doveva rientrare in casa per evitare i sospetti della madre. Gli occhi nocciola di Ivan si fissarono ostinatamente nei suoi, comunicandole tutto la propria amarezza per quell'ennesima separazione.

"Ma non preoccuparti, tesoro, perché ci rivedremo presto. Una di queste sere. Così potremo avere la scusa di trascorrere anche qualche istante insieme da soli, come adesso" rise l'uomo, sfiorando le sue labbra con un altro bacio.

"Non ti sembra di comportarti come un adolescente ricorrendo a questi sotterfugi per potermi incontrare?" lo schernì la ragazza, sorridendogli con impertinenza e divertimento.

"Almeno ho la scusa per frequentarti assiduamente e regolarmente" replicò l'uomo, posando una leggera carezza sul suo meraviglioso volto candido e dagli zigomi lievemente sfumati di rosa chiaro, prima di sfiorare con un bacio la sua fronte lattea.

Quindi Ivan sparì nella notte, dirigendosi lentamente verso la propria auto, le iridi nocciola ancora volte a contemplare la figura tremante di freddo della sua amata Lidia che se ne stava a osservarlo nell'oscurità dall'ingresso della dimora, il cuore ancora pulsante a mille per il tenero sentimento d'amore che era sbocciato in lui nei confronti di quella ragazza straordinaria e dolcissima.
 

***


"Lidia, credo che Ivan ti abbia spiegato il motivo per cui è stato qui insieme ad Emma stasera" esordì la donna non appena la figlia rientrò in casa.

La ragazza annuì appena, celando l'espressione rattristata e assumendo un'aria indifferente.

"Sì. Ma non capisco molto il senso. Io, in fondo, cosa posso fare per Emma? Tenterò di renderle questo periodo meno difficile, ma tu ed Ivan non contate su di me, perché potrei anche fallire. In fondo ho solo diciotto anni, mica sono una psicologa" le fece presente la castana, guardandola negli occhi con un certo scetticismo.

"Sicuramente anche tuo padre sarà dello stesso avviso." Sara sospirò pesantemente. "Però pensa ad Emma... sola nella tempesta ad osservare i propri genitori che combattono fra loro per la sua custodia. Non possiamo abbandonarla, povera piccola. Noi..."

"Sì, mamma, lo farò. Neanche io voglio che soffra troppo. E' piccola e un divorzio difficile come questo sembra prospettarsi non le renderà facile la vita. Io intendo fare del mio meglio, però anche Alessia deve dimostrarsi una madre migliore e deve comportarsi meno da stronza con sua figlia, perché io non posso tappare le falle del suo modo di crescere una bambina" ringhiò Lidia, stringendo i pugni con rabbia impotente.

La madre della giovane sospirò ancora.

"Io non sono nessuno per dirle come crescere Emma, però hai ragione. Ci parleremo. Non può rendere così difficili le cose ad Ivan e ad Emma."

"Emma soffre a causa di Alessia e Ivan non può caricarsi da solo del peso della sua sofferenza. Prima o poi cederà. Ma io allora prenderò quella sciagurata e gliela farò pagare per essersi comportata a quel modo. Quindi parlateci presto, prima che mi io incazzi troppo e faccia qualcosa di insensato."

Lidia era diventata nervosa. Il pensiero di Emma costretta a elemosinare un po' d'affetto altrove e non averlo, come di sacrosanto diritto per ogni bambina, dalla propria madre le aveva distrutto il cuore. Ora odiava quella donna da morire. Gliela farò pagare, si disse la ragazza serrando la mascella. Per Emma e per Ivan. E anche per me, perché così il divorzio sarà più difficile e incontrare Ivan diventerà un'impresa ancor più ardua.

"Tranquilla, Lilli, tutto si sistemerà. Comunque, te la sentiresti di vedere ogni tanto la bambina, magari la sera, sia a casa nostra che a casa di Ivan? La tua presenza la tranquillizza e diventa più serena. Sei uno dei pochi punti di riferimento per quella bambina" la pregò la madre.

Lidia non ebbe nemmeno bisogno di pensarci su. Aveva già deciso tempo prima. E aveva fatto una promessa.

"Non devi nemmeno chiedermelo. Lo farò senz'altro. Però anche voi provvedete a fare la vostra parte, perché altrimenti con quella vipera di Alessia ci parlerò io. E non sarà piacevole per lei. Il fatto che Emma soffra per colpa sua mi fa letteralmente imbestialire, perciò non so cosa potrei farle."

"Ivan ti è profondamente grato, figlia mia... per lui la situazione è molto difficile da sostenere. Il tuo aiuto sarà prezioso."

"Tranquilla, mamma. Io per Emma ci sarò sempre" le confermò con determinazione, guardandola fermamente negli occhi azzurri e glaciali come i propri.

E anche per Ivan ci sarò sempre.
 



 

 
***


°Un breve commento sulla poesia 'La pantera'
°°Canto dei Nibelunghi


N.d.A.
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per le recensioni del capitolo scorso, le ho apprezzate molto! E poi anche grazie a chi segue la storia: siete sempre di più ogni volta che aggiorno e ciò mi dà nuovi impulsi e grande entusiasmo a scrivere la storia.
Comunque, che ne pensate di questo capitolo? Ero un po' incerta nel postarlo, non so... mi sembra che non sia granché. Ma lascio il giudizio a voi. Spero solo che non faccia troppo schifo xD
Comunque, grazie a hi_guys, Lachiaretta, controcorrente e JukeAtena per essere passate ed aver lasciato un giudizio!
Be', alla prossima, allora, e buon venerdì mattina! :D


Flame
  
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