Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: StarFighter    12/10/2014    10 recensioni
Tutto sembra procedere per il meglio ad Arendelle: Elsa ed Anna cercano di recuperare il tempo perso, ed intanto la principessa cerca di chiarire il suo rapporto con il suo-più-che-amico, Kristoff. Ma, durante il suo primo viaggio fuori dal regno, Anna è vittima di un incidente. Questo potrebbe mettere in pericolo il fragile equilibrio creatosi dopo il Grande Inverno? R&R!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nb: non ho più scusanti per il ritardo con cui aggiorno questa storia. Purtroppo l’ispirazione non c’è e non so davvero cosa fare per farla tornare. Se potessi scriverei ogni giorno, ma non riesco a farlo e mi odio quotidianamente! Vi prego di leggere questo capitolo tenendo presente questa cosa. I personaggi sono molto ooc, soprattutto Anna…non fatemene una colpa, ma ho cercato di darle più spessore psicologico, ma forse l’ho fatta diventare un’isterica con la doppia personalità XD Comunque buona lettura, non mi odiate troppo e non esitate a farmi sapere cosa ne pensate :)

               

Capitolo 16: Di verità svelate, rabbia e magia troll

 

Il mattino successivo, Anna si svegliò prestissimo, quasi all’alba secondo i suoi standard, con un gran mal di testa e il lato sinistro del corpo intorpidito. Si guardò attorno,contemplando un timido raggio di Sole che si faceva strada sul pavimento, penetrando da uno spiraglio tra le tende. Poi provò a distendere le membra  indolenzite, allargando le braccia e stirando le gambe. Si fermò nel bel mezzo di uno sbadiglio, quando con la mano toccò qualcosa di morbido ma consistente; si voltò verso l’altro lato del letto e quasi svenne per l’emozione: Elsa, la sorella che l’aveva ignorata per tredici lunghi anni, dormiva placidamente al suo fianco, con la bocca semiaperta e la treccia sfatta, poggiata mollemente sul cuscino.

Allungò una mano, per sincerarsi che non fosse solo un sogno,e le toccò la punta del naso sottile con l’indice: il respiro della sorella cambiò ritmo, ma i suoi occhi non si aprirono. Anna sorrise a quella vista, ma subito una domanda si fece strada nella sua mente ancora assonnata: perché Elsa stava dormendo nel suo letto?

Si alzò a sedere, poggiando le spalle allo schienale dell’enorme letto, stropicciandosi gli occhi: diede uno sguardo alle coperte sgualcite ai piedi del letto, come se le avesse calciate via durante il sonno. Cos’era successo quella notte?

Si portò le mani alle tempie, stringendo gli occhi: perché ultimamente le riusciva così difficile ricordare? E perché la mente continuava a riempirsi di domande? Sbuffò contrariata,mettendo i piedi sul duro pavimento di legno, mentre un brivido freddo le correva dalla punta dei piedi su per la schiena, lasciandole la pelle d’oca al suo passaggio. Si strofinò le mani sulle braccia infreddolite, mentre indossava le scarpe da camera e  si avvicinò in punta di piedi alla finestra, facendo il minor rumore possibile, per non svegliare Elsa.

Scostò le pesanti tende rosse che non lasciavano entrare luce a sufficienza e guardò fuori: dovette socchiudere gli occhi, per non essere ferita dall’accecante luce candida, che illuminava ogni cosa oltre il vetro della finestra.

Ogni cosa era ricoperta da uno spesso strato di neve, il cortile, le torrette delle mura di cinta e oltre, le cime del fiordo. Il Sole nascente di Novembre, freddo e fioco, spargeva i suoi raggi su Arendelle: la luce riverberava su quel mare di bianco, facendo somigliare tutto quello che ricopriva ad una scultura di gelido marmo, dando l’impressione che tutto fosse fermo e senza vita, immobile nelle prime luci dell’alba.

Come un lampo, il sogno dimenticato di quella notte, si fece prepotentemente spazio nella sua mente: il fiordo, ricoperto di neve e ghiaccio, che scompariva in una violenta tempesta, non lasciando scampo a niente e a nessuno. Non lasciando scampo a lei.

 Tremò, mentre riapriva gli occhi, che aveva chiuso per non lasciar sfuggire nemmeno un particolare di quella spaventosa visione: non ricordava che fosse mai successa una cosa del genere; certo, Arendelle non poteva di certo dirsi immune alle tormente o al freddo pungente del gelido inverno del Nord, ma non era mai capitato che si ritrovasse bloccata sotto metri e metri di neve. Almeno così pensava. Allora da dove veniva fuori quell’incubo?

Ma almeno, sapeva perché Elsa era profondamente addormentata nel suo letto: l’aveva svegliata, sottraendola alla morsa della paura che le aveva congelato il fiato in gola. Il suo abbraccio l’aveva cullata, finché il sonno non si era di nuovo impossessato delle sue palpebre pesanti.

Sorrise, scostandosi dalla finestra e si avvicinò ad Elsa che continuava a dormire beata, con un braccio sotto il morbido cuscino di piume e l’altro stretto attorno alla vita, senza nulla a ripararla dall’aria gelida della sua stanza, se non la leggera camicia da notte blu di Persia: eppure, non sembrava che il freddo la infastidisse più di tanto.

-“E-elsa.”- le sussurrò a poca distanza dall’orecchio, con voce lieve e tremante, ricevendo in risposta solo un piccolo verso infastidito –“Elsa, stanotte ha nevicato, dovresti vedere: Arendelle è tutta imbiancata.”- continuò imperterrita, cercando di svegliarla. Da quello che poteva ricordare, prima che le cose prendessero una piega dolorosa ed inaspettata, quando erano ancora piccole, adoravano giocare insieme nella neve, per ore: Elsa sembrava sempre a suo agio tra tutto quel freddo candore, come se fosse il suo elemento naturale. Anna sperò che almeno quello, non fosse cambiato con il tempo e desiderò che, quello spettacolo che la natura le aveva appena offerto, piacesse anche alla sorella.

Subito dopo che ebbe pronunciato la parola neve, gli occhi di Elsa si spalancarono, e la regina scattò a sedere: “Neve? Non sono stata io…”- cominciò a biascicare, con la bocca impastata dal sonno, ma con lo sguardo spaventato. Anna la osservò senza capire e poi le posò una mano sulla spalla. Elsa si girò nella sua direzione e il suo sguardo si addolcì: “Scusa, non volevo…io…hai detto neve?”- chiese titubante, riprendendo un po’ del suo solito atteggiamento composto.

-“Si, neve. Vieni a vedere.”- Anna le porse la mano e aspettò che la sorella la afferrasse. La giovane regina esitò, facendo vagare lo sguardo dalla mano protesa verso di lei e lo sguardo speranzoso della sorella: doveva accettare l’invito? E se le avesse fatto involontariamente del male? Se la temperatura del suo corpo, fosse risultata intollerabile per il tocco caldo di Anna?

Anna osservò il suo sguardo indeciso e fece per ritrarre la mano, addolorata, quando Elsa l’afferrò saldamente, trattenendo il respiro, aspettando una qualsiasi reazione negativa da quel contatto pelle contro pelle: niente più guanti ad impedirle di apprezzare ogni cosa al tatto. La stretta di Anna era calda e morbida, rassicurante e allo stesso tempo elettrizzante. Un sorriso le si aprì spontaneo sul volto.

Anna le sorrise timidamente e la tirò su, trascinandola verso la finestra: “Guarda. Non è bellissimo?”

Elsa tremò a quella vista, temendo di esserne la causa, e serrò la mano libera in un pugno, senza rispondere a quella domanda così innocente. La sorella minore si accorse del panico che aveva alterato i lineamenti perfetti della maggiore e rafforzando la presa sulla sua mano le chiese: “Qualcosa non va?”

La regina sobbalzò come colta alla sprovvista: cosa doveva risponderle?

-“No, è solo che…”- temporeggiò ancora per alcuni secondi, facendo vagare lo sguardo sul cortile imbiancato-“ti andrebbe di fare un pupazzo di neve?”- improvvisò.

Lo sguardo luminoso che le rivolse Anna, fu  più che sufficiente a farle capire che la risposta era ovviamente si.

 

-“Forse non dovremmo.”- protestò per l’ennesima volta Anna, mentre la trascinava giù per lo scalone principale. Buffo, di solito sarebbe stata lei quella riluttante a fare una cosa del genere, mentre ora era lei a dover pregare la sorella.

-“Insomma di cosa ti preoccupi?”- sbuffò, cercando di tranquillizzarla.

-“So di aver detto di volerlo fare, ma non credi sia poco consono ad una regina e ad una principessa, scendere in cortile coperte praticamente da niente, a giocare con la neve come fossimo due bambine?”- chiese, cercando di trattenerla dall’andare avanti-“Non siamo un po’ cresciute?”-continuò.

Elsa quasi scoppiò a ridere per l’assurdità della situazione: “In primo luogo, abbiamo sciarpe e mantelli a coprirci dal freddo o da sguardi indiscreti; secondo, non te n’è mai importato molto della condotta da seguire, Anna: non vedo perché debba essere un problema questa nostra uscita mattutina.”- la tirò ancora un po’, perché lei si era fermata sulla soglia della porta che dava sul cortile.

Anna fece per ribattere qualcosa, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca, che Elsa la zittì: “Sono la regina, se te lo fossi dimenticato e posso fare quello che voglio. Se è mio desiderio scendere in cortile a fare pupazzi di neve con mia sorella, allora così sarà.”- affermò convinta, attirandosi lo sguardo interrogativo di Anna, che guardò oltre le sue spalle, la coltre di neve fresca che copriva tutto il pavimento dello spiazzale retrostante al palazzo.

-“Allora?”- la stuzzicò Elsa.

-“Beh…tu sei la regina, quindi…nessuno potrà dire nulla sul nostro comportamento improprio. Giusto?”- chiese esitante.

-“Giusto.”- confermò la maggiore, facendole varcare la soglia.

Molto presto, l’immobilità e la tranquillità di quella tarda mattina d’autunno, venne riempita da risatine e gridolini eccitati. Le due sorelle passarono almeno un’ora a lanciarsi palle di neve e a rotolarsi nelle piccole dune bianche, mentre ridevano come due bambine, felici solo di essere insieme dopo tanto tempo. Pian piano Elsa si rese conto di non essere la causa di quella nevicata improvvisa, e si tranquillizzò, lasciando scivolare via la sua maschera di preoccupazione e paura.

Nel frattempo Anna aveva cominciato ad ammassare una grande quantità di neve in un solo punto.

-“Cosa stai facendo?”- le chiese con un sopracciglio sollevato.

-“Un pupazzo di neve, cos’altro! Allora me la dai una mano o rimani a guardare?”- le sorrise, continuando ad ammucchiare pugni di neve sulla cima della piccola montagnola bianca che aveva già formato.                                                                                                          La regina la raggiunse, inginocchiandosi al suo fianco, cominciando a modellare la neve per dare una forma adatta al pupazzo. 

Lavorarono in silenzio, scambiandosi rapide e sfuggevoli occhiate, sorridendo felici. Quando Anna fu soddisfatta della forma presa dal pupazzo, si alzò spolverando la gonna della vestaglia, annuendo tra sé: “Mi piace.”- sentenziò, attirando l’attenzione di Elsa che osservava attentamente la loro creazione: le ricordava qualcosa.

-“Era da tanto che volevo farne uno con te.”- le disse Anna, raccogliendo dei ciottoli scampati al manto bianco. Poi tornò al pupazzo e li posizionò su quella che doveva essere la faccia, spostandoli più volte, prima di lasciarli in quello che le sembrò il posto giusto-“Come vogliamo chiamarlo?”-

-“Non sei un po’ cresciuta per dare nomi a cose inanimate?”- le fece il verso Elsa.

Anna ignorò la sua frecciatina, arricciando il naso, mentre si batteva un dito sul mento, pensierosa: “Olaf! Lo chiameremo Olaf.”- disse contenta, cogliendo la regina di sorpresa.

-“C-come?”- ecco cosa le ricordava! Quell’ammasso di neve era simile ad Olaf. Sperò che il loro piccolo amico non fosse nei paraggi: di sicuro non avrebbe gradito che qualcun’altro si chiamasse come lui.

-“Olaf, come quello quando eravamo piccole, te lo ricordi?”- le domandò guardandola negli occhi.

-“S-si, mi ricordo, ma perché non dargli un altro nome?”- cercò di farle cambiare idea, ma lo scuotere della testa di Anna, le confermò che non ci sarebbe riuscita: la testardaggine non le era passata con l’incidente!

-“Olaf è perfetto.”- confermò, guadagnandosi un sorriso raggiante da parte della sorellina.

La giovane regina si perse nei suoi pensieri, riflettendo su quanto le fosse mancata Anna, la vera Anna, in tutto quel tempo. Certo, aveva davanti a sé solo l’ombra di quella che la sorella era stata prima di quel terribile incidente, ma la speranza di riaverla presto indietro, non moriva mai; anzi in un momento come quello non poteva che aumentare, riempiendole il petto di un calore strano, che calmava i suoi nervi. La risata della sorellina, scaldava il suo cuore, barricato per troppo tempo dietro strati di solitudine e diffidenza verso il prossimo.

Qualcosa di freddo la colpì all’improvviso la nuca, riscuotendola dalle sue riflessioni. Si girò verso Anna, che rideva coprendosi la bocca con le mani.

-“Vuoi la guerra, vero?”- le chiese con voce ferma, mentre spolverava via la neve che le era rimasta sulle spalle.                             Anna smise di ridere, guardandola con sguardo preoccupato: “Non mi faresti mai del male, vero? Sono la tua sorellina!”- argomentò, indietreggiando di qualche passo, mentre Elsa si abbassava a raccogliere della neve. Per lei era strano quel gesto: avrebbe potuto tranquillamente creare una perfetta palla di neve, con una semplice flessione del polso.

-“Sai cosa dice un vecchio adagio? Che in guerra e in amore, tutto è concesso.”- sorrise fra sé per la teatralità della sua voce e dei suoi gesti, che sembravano impressionare Anna. Soppesò con sguardo critico la palla di neve, che aveva perfettamente arrotolato tra i palmi delle mani, decretando che sarebbe andata bene per la sua fredda vendetta.

-“Non oseresti.”- la sfidò Anna, con un sorrisino impertinente, mentre incrociava le braccia al petto.

-“Tu credi? Guardami.”-Elsa alzò il braccio, perfettamente dritto, come una catapulta, pronta per scagliare la palla di neve dritta in faccia alla sorella- “Implora pietà, dalla tua regina.”

Anna si schermò prontamente il viso con le mani: “Mmm, pietà!”- disse trattenendo una risatina nervosa, mentre osservava la reazione di Elsa, attraverso lo spazio tra le dita.

La regina frenò a stento una risata, cercando di mantenere la sua espressione neutra.

Tirò con precisione la palla di neve sul volto di Anna, che cadde a terra, con un gridolino strozzato. Elsa sbiancò per la paura di averle fatto del male: “Anna. Oh santo cielo, Anna. Ti sei fatta male?”- le chiese con tono concitato, inginocchiandosi vicino a lei.   La sorella continuava a tenersi le mani premute sulla faccia e le sue spalle erano scosse da violenti brividi: “Anna…parlami su. Cosa ti sei fatta?”-la scosse leggermente, per incitarla.                                                                                                                                                  Le prese i polsi per cercare di tirarle via le mani dalla faccia, senza risultati, ma ad un tratto le dita della mano di Anna si aprirono, lasciando intravedere uno dei suoi occhi azzurri. L’iride lapislazzuli la scrutò attentamente, prima che le mani scivolassero definitivamente via dal suo viso.

La principessa le scoppiò a ridere in faccia, rotolando nella neve, mentre Elsa la guardava, presa alla sprovvista da quella reazione.

-“Si può sapere cosa c’è tanto da ridere?”- le chiese mettendosi le mani sui fianchi-“Per tua informazione mi hai fatto prendere uno spavento. Temevo d’averti colpita troppo forte.”- si lamentò poco regalmente, osservando la sorella che si teneva la pancia per le troppe risa.                                                                                                                                                                          -“Avresti dovuto”- rise-“ vedere la tua”- un’altra scarica di risate-“…faccia!”- sputò fuori senza fiato-“ Oh mio dio! Credo di sentirmi male.”- respirò profondamente, rimanendo distesa nella neve, con gli occhi rivolti verso il cielo grigio perla, che preannunciava una nuova nevicata.

Chiuse per un momento le palpebre pesanti, respirando a pieni polmoni l’aria fredda del mattino, dimenticandosi di Elsa al suo fianco e di tutto il mondo attorno, concentrandosi sul silenzio per cercare di far chiarezza nella matassa inestricabile delle sue domande. Cos’era successo all’incoronazione di Elsa? Perché ora le parlava e giocava con lei nella neve, dopo averla chiusa fuori per gran parte della sua giovane vita? Cosa c’era di tanto importante da ricordare?

Elsa la guardò rimanere lì immobile, con le braccia spalancate ai lati del busto, come se stesse per fare un angelo di neve, mentre la piega del suo sorriso si raddrizzava, disegnando sulla sua bocca una linea retta grave.                                                                                 Un sospiro lasciò le narici della principessa, come se nel silenzio di quel momento, con gli occhi chiusi sul mondo, si fosse rassegnata a qualcosa: con il tempo avrebbe scoperto tutto, ne era certa; per quanto avrebbe voluto subito delle risposte, aveva capito che non c’era bisogno di cercarle incessantemente senza dare riposo alla sua mente. Molto presto quello che cercava, tutto quello che aveva dimenticato, le si sarebbe svelato.

-“Anna?”- la voce di Elsa si fece spazio nel mondo ovattato dei suoi sensi, riscuotendola.

-“Mm?”-

-“V-vuoi raccontarmi del tuo incubo?”- le chiese esitante la regina. Anna rimase in silenzio, ferma nella neve, mentre la sua vestaglia si bagnava pian piano, facendola rabbrividire.

-“Mi dispiace.”- sussurrò dopo un po’ aprendo gli occhi, senza incrociare il suo sguardo.

-“Per cosa?”- Elsa allungò una mano verso di lei, ma la ritrasse subito.

-“Per averti svegliata. N-no volevo spaventarti.”

-“Oh Anna, non preoccuparti per me…io ti ho sentita urlare il mio nome e sono corsa subito da te. Pensavo ti stesse accadendo qualcosa: urlavi così forte che temevo avresti perso per sempre la voce…e non sapevo cosa fare!”-

Anna non disse nulla, chiudendo di nuovo gli occhi, come se volesse richiamare alla mente le immagini del sogno: “È un sogno strano”- esalò, così in silenzio che Elsa dovette sporgersi verso di lei-“non so davvero cosa possa significare. So solo che ho…” sì interruppe per un secondo facendo un respiro profondo-“ paura.”- concluse con voce tremante.

Elsa non la incalzò, aspettando che fosse lei a continuare: “È imbarazzante, lo so. Non sono più una bambina, non dovrei essere terrorizzata da un sogno!”- esclamò arrabbiata con se stessa, corrucciando la fronte-“È solo che…è così reale, terribilmente reale, Elsa. Ogni volta, è come se qualcosa mi svuotasse pian piano i polmoni da ogni briciolo d’aria.”-respirò, come se temesse che quello che aveva appena detto potesse capitarle anche da sveglia-“È orribile e poi c’è freddo, Elsa, così tanto freddo, come se mille lame affilate mi trapassassero da parte a parte.”- cacciò un lamento-“ E poi c’è il ghiaccio che mi imprigiona.”

Elsa rimase pietrificata, riflettendo sulle parole della sorella. Molto probabilmente quel sogno era collegato a quello che le era capitato per colpa sua:“Anna…mi dispiace.”- riuscì solo a dirle.

Anna sembrò non sentire le sue parole: “Ci sei anche tu nel sogno e piangi come se fossi morta, ma la cosa più spaventosa è che io sono viva, intrappolata e senza via di fuga, ma viva! Non posso parlare o muovermi, ma ti vedo attraverso il ghiaccio, chiaramente e c’è anche qualcun altro, ma è solo un’ombra, non so chi sia.”- si alzò a sedere, voltandosi a guardarla-“ Nella mia mente urlo,chiedo aiuto, ti prego di salvarmi, perché sono ancora viva, e sto combattendo per farmi strada attraverso il ghiaccio, ma è troppo forte…”- si strinse le braccia attorno alle spalle, tremando, mentre le lacrime cominciavano a caderle dagli occhi. La voce ridotta solo ad un lieve bisbiglio strozzato: “Ma tu non mi senti e ti dimentichi di me e…la vita va avanti ed è come se non fossi mai esistita e…e a nessuno importa. E io rimango lì, immobile, fredda e…sola.”- cominciò a singhiozzare più forte, stringendosi sempre di più su se stessa.

Elsa boccheggiò, mentre i sensi di colpa la divoravano, inghiottendo il suo buon umore: “Anna, mi dispiace tanto. È tutta colpa mia.”- le sussurrò, cercando il suo sguardo, ma Anna continuava a tenere gli occhi puntati davanti a sé.

-“Perché Elsa?”- le chiese dopo un po’ di silenzio-“Perché mi hai lasciata sola per tutto questo tempo? Cosa ti ho mai fatto? Ho passato anni a chiedermi cosa avessi fatto di sbagliato, per indurti a chiudermi fuori dalla tua vita. E non ho ancora trovato una risposta.”- i suoi occhi pieni di lacrime, inchiodarono quelli della regina.

-“Anna…è complicato, con il tempo capirai.”-

-“No, Elsa io voglio capire ora! Ho aspettato fin troppo.”- le urlò, facendo volare via alcuni uccellini appollaiati sulle tegole del quadriportico.

-“Farei solo peggio se te lo dicessi.”- cercò di farla ragionare.

-“Provaci, ho bisogno di risposte, altrimenti potrei impazzire da un momento all'altro.”-

La disperazione nei suoi occhi fece tremare Elsa. Davvero non dirle nulla avrebbe giovato al suo stato di salute? In quel momento tutte le raccomandazioni dei medici sembravano aver torto, perché Anna sembrava davvero sull'orlo di una crisi di nervi. E se glielo avesse detto? Solo il suo segreto, nulla di più, forse avrebbe ricordato anche tutto il resto.

-“Vuoi fare un pupazzo di neve?”- le chiese di nuovo, dopo lunghissimi secondi.

Anna rimase a fissarla a bocca aperta, come se fosse impazzita: “Sono seria Elsa, non sviare il discorso.”

-“Vuoi delle risposte, voglio dartele. Ma tu devi dirmi, se ti va di fare un pupazzo di neve.”-

-“Un altro?! S-sono stanca, non mi va ora.”-

-“A questo si può rimediare. Tu dovrai solo restare a guardare, ci penso io.”- Elsa si alzò, prendendo un profondo respiro, e le porse la mano, aiutandola a tirarsi su.

Poi la tenne stretta e agitando l’altra davanti a sé, convogliò in un solo punto una grossa quantità di neve, dandole la forma di un pupazzo. Sperò con tutta se stessa di non dare la vita anche a quest’altra sua creazione.

Anna al suo fianco, trattenne il respiro, allentando la presa sulla mano della sorella: “Ma che…?”

-“Ecco la risposta a tutte le tue domande.”-

Passarono interminabili minuti prima che Anna dicesse qualcosa, minuti in cui Elsa temette che la sorella avrebbe cominciato a correre via da lei spaventata.

-“Questo non risponde a un bel niente. E di certo non giustifica il tuo comportamento degli ultimi tredici anni.”- decretò infine, lasciando la sua mano.

Elsa per poco non scoppiò a ridere per il sollievo, ma si voltò lo stesso verso Anna, scioccata dalla sua reazione, quasi indifferente allo spettacolo sovrannaturale che le aveva appena mostrato: “Non sei spaventata? Non mi consideri un mostro?”- le chiese incredula.

-“Perché dovrei essere spaventata? Questo”-indicò le mani di Elsa e poi la sua creazione-“è un dono fantastico! Ma non hai ancora risposto alla mia domanda: perché?”- la incalzò.

-“Perché è una cosa contro natura, è una specie di…maledizione.”- protestò-“Vuoi sapere perché sono rimasta chiusa per tanto tempo lontana da te, bene. Perché quando eravamo piccole ti ho colpita, uccidendoti quasi e volevo che non accadesse più…non volevo più farti del male e allontanarmi da te sembrava la scelta più giusta, per i nostri genitori. Così ci hanno allontanate, Anna, ma il mio amore per te non è mai diminuito, nonostante tutto.”- Elsa le stava aprendo il suo cuore-“Quando venivi a chiedermi di giocare assieme, avrei tanto voluto spalancare quella porta e stringerti forte e dirti che si, volevo giocare con te e saltare nella neve e correre per i corridoi con il tandem. Però poi mi tornava alla mente quello che ti avevo fatto e le mani si ghiacciavano, la temperatura precipitava e la tormenta cominciava ad imperversare nella mia stanza. Non potevo permettere che il mio potere ti ferisse ancora!”- si scusò, tormentandosi le mani.

Anna la fissò incredula, espirando ed ispirando a fatica, poi tentò di dire qualcosa, ma la voce le morì in gola. Inghiottì a vuoto.          -“M-mi sati dicendo che…che sono rimasta sola per tutto questo tempo, chiedendomi cosa ci fosse in me che non andava, addormentandomi piangendo ogni notte pensando di non essere alla tua altezza, solo perché c’era la remota possibilità che avresti potuto ferirmi di nuovo con il tuo potere?”- le chiese, abbassando lo sguardo in terra, mordendosi il labbro inferiore fin quasi a farlo sanguinare.

Elsa non le rispose, ed Anna interpretò il suo silenzio come una conferma.

-“Allora sarebbe stato meglio morire quando mi hai colpita la prima volta.”- le disse con risentimento, sentendo il sapore del sangue sulla lingua.

 -“Anna! Cosa dici?”- protestò avvicinandosi a lei-“Se ti avessi uccisa, come avrei potuto continuare a vivere con me stessa?”

-“Almeno non mi avresti abbandonata alla solitudine, non mi avresti lasciata seppellire mamma e papà da sola, lasciandomi in pasto al dolore e alla disperazione!”- le urlò contro, piangendo copiosamente. La regina fece un altro passo nella sua direzione, tentando di afferrarle la mano, ma Anna si scansò velocemente, sottraendosi al suo tocco-“È stato egoista da parte tua pensare che non avrei capito la situazione. Dimmi, hai sempre avuto così poca fiducia in me?”-

Quelle parole colpirono in pieno la regina, lasciandola per un momento senza parole.

“Anna è convinta che lei non le abbia voluto rivelare il suo segreto perché non ha fiducia in lei. Sa cosa la spaventa più di ogni altra cosa al mondo? Il non essere alla sua altezza.”

Kristoff glielo aveva detto, quando erano tornati da Corona, ma lei non aveva voluto sentire ragioni, ed ora era la stessa Anna che glielo stava rinfacciando. Ma davvero non aveva voluto dirle niente del suo potere, perché non aveva fiducia in lei? No, l’aveva fatto solo per proteggerla dalla sua maledizione. Per proteggerla da se stessa.

-“A-anna, non sei in te, non sai di cosa stai parlando.”- cercò di rabbonirla, cercando il suo sguardo.

-“Questa sono io!”- le urlò contro, puntandosi un dito al petto-“ Continui a ripetermi che non sono in me, che sono diversa, ma sai cosa? Io sono così, un ricettacolo di rabbia e rancore represso. Sono scampata per un soffio alla pazzia, cosa ti aspettavi di trovare dopo tanto tempo? La bambina vivace e scoppiettante di tredici anni fa? Beh, lascia che te lo dica, quella bambina è morta quando tu hai chiuso quella porta.”- non la smetteva di piangere e i singhiozzi la scuotevano forte, facendo tremare la sua esile figura.

Elsa boccheggiò, come se qualcosa l’avesse colpita allo stomaco togliendole il respiro.  Anna, la sua Anna, non le avrebbe mai detto una cosa del genere. Ma forse la sua Anna, non era la vera Anna: dopotutto, ne aveva avuto già la conferma il giorno che l’aveva trovata a piangere di fronte al dipinto nella camera dei loro genitori. La sua Anna, era una maschera indossata da una ragazza fragile e spezzata, che cercava di apparire forte ed indipendente. L’incidente aveva frantumato quella maschera, lasciando intravedere tra le crepe la vera essenza della sorella: era innegabile e palesemente dolorosa la realtà dei fatti. Anna aveva sofferto come e più di lei in tutti quegli anni, ma non le aveva mai fatto pesare la loro lunga separazione. Forse per paura della sua reazione. Forse perché voleva semplicemente recuperare un rapporto normale con lei, ultimo frammento della loro famiglia rimastole. Questo non lo sapeva, ma era certo che Anna, seppur con un carico immenso di solitudine sulle spalle, aveva tentato in tutti i modi di rimediare a quella profonda frattura tra loro.

In passato si era ripromessa che non l’avrebbe fatta soffrire ancora a causa sua, che non avrebbe permesso a nessuno di farla piangere, ma ora erano li, in mezzo alla neve, in vestaglia da notte a fronteggiarsi dopo anni di silenzi, con Anna che le urlava contro e lei che non sapeva cosa dirle.

-“M-mi dispiace tanto. Non pensavo avessi sofferto così tanto.”- riuscì solo a dirle.

-“Già. Non lo sapevo nemmeno io.”- le rispose a testa bassa, prima di superarla per rientrare nel castello, senza aggiungere altro.

Elsa restò a guardare il punto in cui Anna era sparita, e un dolore sordo al petto la fece quasi piegare su se stessa: la voragine che le aveva separate per tutto quel tempo, e che aveva cercato di colmare per sopperire ad anni di assenze, si era all’improvviso fatta ancora più dolorosamente ampia, ed Anna non le era mai sembrata così difficile da raggiungere.

 

Olaf attese che Elsa si allontanasse dal cortile, prima di uscire allo scoperto. Le risate gioiose delle sue due amiche, avevano richiamato la sua attenzione, mentre trotterellava allegramente nelle stalle, e aveva seguito quel suono trillante che spezzava la tranquillità del primo mattino, nascondendosi dietro una colonna. Era rimasto per un po’ a guardarle, quasi invidioso di quel momento privato di felicità. Avrebbe voluto giocare anche lui con Elsa, ma soprattutto con Anna.

Gli mancava così tanto.

Vederle assieme però, faceva felice anche lui. E quando le aveva viste costruire un pupazzo di neve proprio come lui, non c’aveva visto più dalla gioia. Forse avrebbe avuto un nuovo amico! Ma la gioia era durata poco, fin quando Anna non aveva chiamato quel pupazzo come lui! No, questo no.

Però poi Anna aveva cominciato a piangere, e la sua voce si era alzata, spaventandolo così tanto da farlo nascondere ancora di più dietro la colonna di legno. Non sapeva per quale motivo le sorelle stessero discutendo, sapeva solo che il vedere Anna dopo tanto tempo, in quelle condizioni gli aveva spezzato il cuore. Se lo avesse almeno avuto un cuore! Allora cos’era quella stranissima sensazione che aveva avvertito più o meno all’altezza del suo primo bottone, quando Anna era rientrata lasciando Elsa da sola?

Non lo sapeva e per il momento non gli importava, aveva altro a cui pensare.

Si avvicinò con passetti studiatamente lenti al pupazzo di neve incriminato, girandogli attorno, con le mani incrociate dietro la schiena: “Bene, bene, bene.”- gli si fermò di fronte- “Chi abbiamo qui? Come dici? Ti chiami Olaf?”- chiese alla neve inanimata.

-“No, ci dev’essere un errore, io sono Olaf!”- disse battendo una mano ramosa sulla testa del pupazzo-“ Davvero, Anna non è in sé ultimamente e si è, diciamo, dimenticata di me, ma io sono l’unico Olaf da queste parti e sono anche il suo migliore amico. Quindi non insistere.”-

Rimase in silenzio per alcuni secondi, come fosse in ascolto di una risposta, fissando attentamente il pupazzo negli occhi pietrosi ed inespressivi.

-“No, te l’ho detto. Qui l’unico autorizzato a chiamarsi così, sono io! Ehi, non offendere! Io qui sto cercando di essere gentile, ma se la metti così…”- sospirò scuotendo il capo-“L’hai voluto tu, non volevo arrivare a tanto.”-

Olaf si avvicinò di più alla faccia del pupazzo di neve e cominciò a tirare vie le pietre che formavano la bocca, gettandole dietro di lui. Poi, quando non rimasero che i ciottoli scuri degli occhi, disse dispiaciuto: “Così non potrai più dire il mio nome.”-

-“Buona giornata!”- concluse, saltellando via.

 

 Quella stessa sera Elsa cenò da sola, nella grande sala da pranzo: non la sorprese più di tanto, il fatto che Anna non si fosse fatta vedere per tutto il giorno, in fondo, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dar conto alla sorella di tutte le scelte che l’avevano portata a chiuderla fuori dalla sua vita per così tanto tempo. Le parole di Anna l’avevano ferita nel profondo, ma non gliene faceva una colpa, la sorella era stata chiara: aveva sofferto per la loro lontananza quanto lei e non si potevano cancellare tredici anni di silenzio nel giro di pochi mesi.

Per rimediare almeno in parte a quello che era successo quella mattina, aveva fatto chiamare a corte il vecchio precettore che le aveva istruite da bambine, Sir Van Eyck, come Anna le aveva chiesto la sera precedente.

L’istitutore era stato più che felice di accettare il suo vecchio incarico e si era sorpreso nel sentire che era stata proprio la principessa a voler riprendere gli studi: “Devo essere sincero Maestà, non mi sarei mai aspettato di essere richiamato a corte per un tale compito. La principessa Anna, sembrava quanto mai decisa a non riprendere gli studi, quando l’ho vista l’ultima volta. In verità, credevo più probabile che sarei tornato in questi luoghi per istruire i vostri eredi, mia regina, o quelli della principessa.”- le aveva confidato davanti ad una tazza di tè. Elsa aveva riflettuto su quell’affermazione e si era ritrovata a pensare che, se il precettore avesse atteso il giorno in cui lei avrebbe dato alla luce l’erede al trono di Arendelle, sarebbe morto di vecchiaia. Lo stesso valeva per Anna: era troppo giovane ed inesperta per avere figli, per non parlare del fatto che non aveva ancora nessun pretendente.

Uno ce l’aveva e tu l’hai mandato via!E sai bene di chi sto parlando…- le aveva urlato una vocina nella sua mente. E aveva concordato con quel pensiero: aveva sbagliato a mandarlo via. Da quando Anna l’aveva conosciuto, non era passato giorno in cui non l’avesse vista con il sorriso sulle labbra. In breve tempo, Kristoff era diventato la cura alla ferita infertale da Hans, alla sua autostima. Da quando il principe delle Isole del Sud era stato rimandato in patria, Anna aveva cominciato a dubitare di ogni sua scelta o azione, pensando di star sbagliando ancora. Non si era più fidata del suo giudizio, finché lei non le aveva fatto presente che l’episodio con Hans non avrebbe dovuto condizionarle la vita, perché il principe dei vermi era stato solo un bravo attore, capace di raggirare le più alte cariche del continente e di confondere il suo buon senso, nient’altro.

Ora, seduta a capotavola, con il volto illuminato dalle decine di candele accese nella sala, si ritrovò a riflettere sulle sue azioni: possibile che in tutta la sua vita non avesse mai fatto la scelta giusta? Lasciare che i suoi genitori avessero il controllo sulla sua vita, lasciare Anna da sola, allontanare Kristoff, raccontarle tutta la verità…c’era qualcosa di buono in quello che aveva fatto? O fino a quel momento la sua vita era stata fondata su un trono di bugie e scelte inadeguate?

-“Cosa ho fatto di sbagliato?”- si lamentò con se stessa, mentre piluccava distrattamente la sua cena, gelando il manico della forchetta.

-“Maestà.”- la chiamò una voce, tirandola fuori dai suoi cupi pensieri.

Grace, la cameriera di Anna, stava sulla soglia della porta, guardandola preoccupata. Elsa posò la forchetta, producendo un lieve rumore metallico e le fece cenno di avvicinarsi, mentre si schiariva la gola.

-“Maestà, sta bene? Desidera qualcosa?”- le chiese, guardando il piatto quasi pieno davanti a lei e la sua faccia tirata.

-“No, grazie, sto bene così.”- rispose, raddrizzando la schiena allo schienale della sedia-“Volevi dirmi qualcosa?”

-“Si. Ecco, volevo rassicurarla riguardo la principessa. È nel suo letto e dorme già da un po’. Non ha voluto mangiare, ne a pranzo ne a cena, ma sembra stia bene. Io avrei finito per oggi, mi ritirerei per la notte se non ha altre disposizioni per me.”- finì con un lieve riverenza.

-“No, no, va pure a dormire. Credo che stare dietro ad Anna sia davvero faticoso, quindi meriti il tuo riposo.”- le sorrise -“Anzi, credo che anch’io mi ritirerò a breve.”-

-“Grazie maestà. Buonanotte.”-si inchinò di nuovo e poi con passo svelto uscì dalla sala da pranzo, lasciandola di nuovo sola con i suoi pensieri.

Dopo aver piluccato ancora un po’ la sua cena, si arrese all’evidenza che il suo stomaco non ne voleva sapere di mandare giù nulla e si avviò verso la biblioteca. Sapeva che quella notte, con o senza le urla di Anna, non sarebbe riuscita a chiudere occhio, quindi tanto valeva trovare una buona lettura che le avrebbe tenuto la mente occupata fino al mattino.

Fece scorrere lo sguardo sugli enormi scaffali di pesante legno scuro, cercando qualcosa che facesse al caso suo. Alcuni libri erano troppo grandi, altri troppo vecchi, altri troppo noiosi o con storie con un finale prevedibile. Aveva letto quasi tutti i titoli della biblioteca, soprattutto quelli riguardanti la storia e la scienza, e quando aveva imparato il latino, aveva cercato una cura alla sua maledizione su alcuni incunaboli di alchimia; ma non si era mai veramente soffermata sulla sezione dei testi di narrativa, fino a quella sera. Sapeva che anche Anna aveva passato molto tempo a leggere tra quegli scaffali polverosi, o seduta sulle poltroncine dietro la grande finestra che affacciava sul fiordo e che al tramonto tingeva l’intera sala di un intenso color arancio, dando l’impressione che i libri andassero a fuoco. A prima vista le sue letture preferite dovevano essere stati i racconti, perché i romanzi e le varie raccolte di novelle, erano i libri con l’aspetto più usato, quelli che più di tutti sembravano aver goduto dello sfogliare delle loro pagine.

Lei non aveva mai avuto tempo per fantasticare o per pensare anche solo di aprire uno solo di quei libri, pieni di sogni e bugie per le menti impressionabili; l’ultima volta che aveva sentito una storia, sua madre era ancora viva e l’incidente con Anna non era ancora capitato.

Fece scorrere le dita sulle coste polverose di decine di libri, finché uno catturò la sua attenzione. Lo prese dallo scaffale e l’odore delle pagine ingiallite dal tempo, le riportò alla mente il ricordo delle sere in cui la madre si sedeva sulla poltrona nella loro vecchia camera, Anna si arrampicava con le piccole gambine su per la sua gonna, e ridendo prendeva posto sul suo grembo, mentre lei si stendeva a pancia in giù sul suo letto e apriva bene le orecchie in attesa che la regina cominciasse a leggere quel libro: Fiabe del focolare.

Elsa lo strinse forte al petto e ritenne conclusa la sua ricerca.

Quando si stese a letto, e cominciò a leggere alla fioca luce della lampada ad olio, le sembrò quasi di udire la voce della madre che diceva “C’era una volta…”

Andò avanti a leggere per gran parte della notte, storia dopo storia, ricordando nella sua mente come doveva essere suonata la voce della madre mentre leggeva quelle parole. Faceva male ammetterlo ma aveva quasi dimenticato la loro voce, e se non avesse guardato ogni giorno il ritratto perfetto dei suoi genitori, avrebbe inevitabilmente dimenticato anche i loro lineamenti.

Quando arrivò alla fiaba della Bella addormentata nel bosco, si fermò interdetta ad osservare una scritta a piè pagina di una delle illustrazioni del racconto, che rappresentava due giovani che si baciavano: “Un giorno anche il mio principe arriverà a risvegliare questo castello addormentato e s’innamorerà di me a prima vista e vivremo per sempre felici e contenti.”- la scrittura era certamente quella di una Anna con non più di dieci anni, e l’ingenuità di quelle parole le fece quasi salire le lacrime agli occhi.

Ecco perché Anna si era fidata ciecamente di Hans fin dal primo momento: cosa poteva saperne lei della vita vera e della malvagità delle persone, se la sua unica realtà era stata quella delle fiabe, dove le streghe erano vecchiette grinzose o bellissime fate nere, e il principe azzurro salvava la principessa con il bacio del vero amore, dall’incantesimo che la costringeva a dormire per cent’anni?

Ora a posteriori, dopo aver letto quelle parole, scritte nel pieno della sua crescita emotiva, da una Anna non ancora spezzata completamente, Elsa non poteva più biasimarla per l’impulsività delle sue azioni. Come non avrebbe potuto cadere tra le braccia di quel mascalzone?

Elsa, chiuse con uno scatto il libro, con le mani tremanti, pensando a quello che la sorella doveva aver provato quando il principe invece di salvarla l’aveva lasciata a morire. Un foglio sfuggì dalle pagine del libro, librandosi per pochi secondi in aria, fino a posarsi leggero, con un fruscio sommesso, sul pavimento.

La regina posò il libro sul tavolino al fianco del letto e scoprendosi, scese a raccoglierlo. Un disegno, con un’iscrizione runica: “La magia dei troll può guarire le ferite dell’anima e del corpo.”

Elsa si rigirò il foglio tra le mani, cercando altre scritte, ma il retro era bianco. Il disegno raffigurava un troll che imponeva le sue mani su un uomo esanime, steso su una tavola di pietra.

Posò distrattamente anche il foglio sul libro e si rimise a letto, spegnendo la lampada ad olio , ormai quasi vuota.

-“La magia dei troll.”- disse a bassa voce, come se i suoi pensieri avessero deciso di sfuggirle di bocca. Da dove usciva fuori quel foglio? Di certo non era uno di quelli del libro delle fiabe. Sembrava provenire  da uno di quei libri di credenze popolari che il padre faceva acquistare alla piccola bottega giù in paese. Come lei, anche il padre aveva fatto di tutto per trovare una cura contro i suoi poteri. Durante gli anni l’aveva visto parlare con medici e sciamani provenienti da tutto il mondo; aveva fatto arrivare via  mare testi antichi dal continente, non trovando mai nulla tra quelle pagine consunte che potesse essere d’aiuto, finché qualcuno a palazzo gli aveva suggerito di scavare a fondo tra le leggende del loro popolo, di fare affidamento sulle credenze e sulla magia. E, per quanto suo padre fosse un uomo saggio e saldamente legato alla realtà e alla scienza, una notte di tanti anni prima, nel momento del bisogno, aveva dovuto cedere alla ragione e provare a salvare una delle sue due figlie, sperando solamente nella magia.

Dopo gli avvenimenti di quella notte, la sua fede in dio e nella scienza erano andate scemando pian piano, fin quando non aveva cominciato a credere solo nell’alchimia e nella arti occulte, dando più credito alle parole di stregoni e ciarlatani che a quella di eminenti dottori e sapienti. Ed era proprio da uno dei primi che si stava dirigendo quando la sua nave era affondata: la magia non l’aveva salvato.

Ma la magia aveva salvato Anna da piccola, liberandola dal gelo nella sua testa e cancellando ogni traccia dei suoi poteri dalla mente della sorella. Gran Papà aveva costruito altri ricordi per lei, per non lasciarla priva di memorie a cui aggrapparsi durante quello che sarebbe venuto dopo.

Nuovi ricordi in cambio dei vecchi.

Ricordi. Ricordi. Quelli che ora mancavano ad Anna. Quelli di cui aveva più bisogno al momento.

Quelli che il capo dei troll poteva ridarle!

Perché non ci aveva pensato prima? Sarebbe bastato al massimo un’imposizione delle mani pietrose dell’essere centenario sulla fronte di Anna e tutte le lacune nella sua mente si sarebbero ricolmate di ricordi.

Spalancò gli occhi e scalciò via le coperte, mentre alla luce della luna si faceva strada verso la porta. Correre giù per le scale fino alle porte del castello, dove sostavano le sentinelle, non fu facile per via del buio e dei suoi piedi scalzi.

-“Vostra Maestà?!”- l’accolse una delle guardie, sorpreso di quell’apparizione nel pieno della notte.

-“Mia regina cos-?”- fece per continuare l’altra, ma Elsa gli fece cenno di tacere, mentre riprendeva fiato e si ricomponeva.

-“Svegliate tutte le guardie che potete. Ho un compito di vitale importanza per voi.”- riuscì a dire con voce ferma, nonostante il fiatone.

-“Cosa comanda la regina?”- il più alto dei due si mise sull’attenti, posizionando la picca dritta in terra.

Elsa li fissò seria: avevano gli occhi cerchiati da ombre scure e sembravano davvero stanchi. Per un secondo pensò che forse avrebbe potuto aspettare il mattino per mobilitare l’intera guardia reale, ma se c’era anche la più remota possibilità che quello che aveva in mente avrebbe potuto funzionare per riavere la sua Anna, non c’era tempo da perdere.

-“Scandagliate Arendelle e dintorni, inoltratevi su per la montagna se necessario, ma portatemi il Mastro del ghiaccio.”

 

 

   
 
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