Nb: non ho più
scusanti per il
ritardo con cui aggiorno questa storia. Purtroppo
l’ispirazione non c’è e non
so davvero cosa fare per farla tornare. Se potessi scriverei ogni
giorno, ma
non riesco a farlo e mi odio quotidianamente! Vi prego di leggere
questo
capitolo tenendo presente questa cosa. I personaggi sono molto ooc,
soprattutto
Anna…non fatemene una colpa, ma ho cercato di darle
più spessore psicologico,
ma forse l’ho fatta diventare un’isterica con la
doppia personalità XD Comunque
buona lettura, non mi odiate troppo e non esitate a farmi sapere cosa
ne
pensate :)
Capitolo
16: Di verità svelate, rabbia e magia troll
Il
mattino successivo, Anna si svegliò prestissimo, quasi
all’alba secondo i suoi
standard, con un gran mal di testa e il lato sinistro del corpo
intorpidito. Si
guardò attorno,contemplando un timido raggio di Sole che si
faceva strada sul
pavimento, penetrando da uno spiraglio tra le tende. Poi
provò a distendere le
membra indolenzite,
allargando le
braccia e stirando le gambe. Si fermò nel bel mezzo di uno
sbadiglio, quando
con la mano toccò qualcosa di morbido ma consistente; si
voltò verso l’altro
lato del letto e quasi svenne per l’emozione: Elsa, la
sorella che l’aveva
ignorata per tredici lunghi anni, dormiva placidamente al suo fianco,
con la
bocca semiaperta e la treccia sfatta, poggiata mollemente sul cuscino.
Allungò
una mano, per sincerarsi che non fosse solo un sogno,e le
toccò la punta del
naso sottile con l’indice: il respiro della sorella
cambiò ritmo, ma i suoi
occhi non si aprirono. Anna sorrise a quella vista, ma subito una
domanda si
fece strada nella sua mente ancora assonnata: perché Elsa
stava dormendo nel
suo letto?
Si
alzò a sedere, poggiando le spalle allo schienale
dell’enorme letto,
stropicciandosi gli occhi: diede uno sguardo alle coperte sgualcite ai
piedi
del letto, come se le avesse calciate via durante il sonno.
Cos’era successo
quella notte?
Si
portò le mani alle tempie, stringendo gli occhi:
perché ultimamente le riusciva
così difficile ricordare? E perché la mente
continuava a riempirsi di domande?
Sbuffò contrariata,mettendo i piedi sul duro pavimento di
legno, mentre un
brivido freddo le correva dalla punta dei piedi su per la schiena,
lasciandole
la pelle d’oca al suo passaggio. Si strofinò le
mani sulle braccia
infreddolite, mentre indossava le scarpe da camera e
si avvicinò in punta di piedi alla finestra,
facendo il minor rumore possibile, per non svegliare Elsa.
Scostò
le pesanti tende rosse che non lasciavano entrare luce a sufficienza e
guardò
fuori: dovette socchiudere gli occhi, per non essere ferita
dall’accecante luce
candida, che illuminava ogni cosa oltre il vetro della finestra.
Ogni
cosa era ricoperta da uno spesso strato di neve, il cortile, le
torrette delle
mura di cinta e oltre, le cime del fiordo. Il Sole nascente di
Novembre, freddo
e fioco, spargeva i suoi raggi su Arendelle: la luce riverberava su
quel mare
di bianco, facendo somigliare tutto quello che ricopriva ad una
scultura di
gelido marmo, dando l’impressione che tutto fosse fermo e
senza vita, immobile
nelle prime luci dell’alba.
Come
un lampo, il sogno dimenticato di quella notte, si fece prepotentemente
spazio
nella sua mente: il fiordo, ricoperto di neve e ghiaccio, che
scompariva in una
violenta tempesta, non lasciando scampo a niente e a nessuno. Non
lasciando
scampo a lei.
Tremò,
mentre riapriva gli occhi, che aveva
chiuso per non lasciar sfuggire nemmeno un particolare di quella
spaventosa
visione: non ricordava che fosse mai successa una cosa del genere;
certo,
Arendelle non poteva di certo dirsi immune alle tormente o al freddo
pungente
del gelido inverno del Nord, ma non era mai capitato che si ritrovasse
bloccata
sotto metri e metri di neve. Almeno così pensava. Allora da
dove veniva fuori
quell’incubo?
Ma
almeno, sapeva perché Elsa era profondamente addormentata
nel suo letto:
l’aveva svegliata, sottraendola alla morsa della paura che le
aveva congelato
il fiato in gola. Il suo abbraccio l’aveva cullata,
finché il sonno non si era
di nuovo impossessato delle sue palpebre pesanti.
Sorrise,
scostandosi dalla finestra e si avvicinò ad Elsa che
continuava a dormire
beata, con un braccio sotto il morbido cuscino di piume e
l’altro stretto
attorno alla vita, senza nulla a ripararla dall’aria gelida
della sua stanza,
se non la leggera camicia da notte blu di Persia: eppure, non sembrava
che il
freddo la infastidisse più di tanto.
-“E-elsa.”-
le sussurrò a poca distanza dall’orecchio, con
voce lieve e tremante, ricevendo
in risposta solo un piccolo verso infastidito
–“Elsa, stanotte ha nevicato,
dovresti vedere: Arendelle è tutta imbiancata.”-
continuò imperterrita,
cercando di svegliarla. Da quello che poteva ricordare, prima che le
cose
prendessero una piega dolorosa ed inaspettata, quando erano ancora
piccole,
adoravano giocare insieme nella neve, per ore: Elsa sembrava sempre a
suo agio
tra tutto quel freddo candore, come se fosse il suo elemento naturale.
Anna
sperò che almeno quello, non fosse cambiato con il tempo e
desiderò che, quello
spettacolo che la natura le aveva appena offerto, piacesse anche alla
sorella.
Subito
dopo che ebbe pronunciato la parola neve, gli occhi di Elsa si
spalancarono, e
la regina scattò a sedere: “Neve? Non sono stata
io…”- cominciò a biascicare,
con la bocca impastata dal sonno, ma con lo sguardo spaventato. Anna la
osservò
senza capire e poi le posò una mano sulla spalla. Elsa si
girò nella sua
direzione e il suo sguardo si addolcì: “Scusa, non
volevo…io…hai detto neve?”-
chiese titubante, riprendendo un po’ del suo solito
atteggiamento composto.
-“Si,
neve. Vieni a vedere.”- Anna le porse la mano e
aspettò che la sorella la
afferrasse. La giovane regina esitò, facendo vagare lo
sguardo dalla mano
protesa verso di lei e lo sguardo speranzoso della sorella: doveva
accettare
l’invito? E se le avesse fatto involontariamente del male? Se
la temperatura
del suo corpo, fosse risultata intollerabile per il tocco caldo di Anna?
Anna
osservò il suo sguardo indeciso e fece per ritrarre la mano,
addolorata, quando
Elsa l’afferrò saldamente, trattenendo il respiro,
aspettando una qualsiasi
reazione negativa da quel contatto pelle contro pelle: niente
più guanti ad
impedirle di apprezzare ogni cosa al tatto. La stretta di Anna era
calda e
morbida, rassicurante e allo stesso tempo elettrizzante. Un sorriso le
si aprì
spontaneo sul volto.
Anna
le sorrise timidamente e la tirò su, trascinandola verso la
finestra: “Guarda.
Non è bellissimo?”
Elsa
tremò a quella vista, temendo di esserne la causa, e
serrò la mano libera in un
pugno, senza rispondere a quella domanda così innocente. La
sorella minore si
accorse del panico che aveva alterato i lineamenti perfetti della
maggiore e
rafforzando la presa sulla sua mano le chiese: “Qualcosa non
va?”
La
regina sobbalzò come colta alla sprovvista: cosa doveva
risponderle?
-“No,
è solo che…”- temporeggiò
ancora per alcuni secondi, facendo vagare lo sguardo
sul cortile imbiancato-“ti andrebbe di fare un pupazzo di
neve?”- improvvisò.
Lo
sguardo luminoso che le rivolse Anna, fu
più che sufficiente a farle capire che la
risposta era ovviamente si.
-“Forse
non dovremmo.”- protestò per l’ennesima
volta Anna, mentre la trascinava giù
per lo scalone principale. Buffo, di solito sarebbe stata lei quella
riluttante
a fare una cosa del genere, mentre ora era lei a dover pregare la
sorella.
-“Insomma
di cosa ti preoccupi?”- sbuffò, cercando di
tranquillizzarla.
-“So
di aver detto di volerlo fare, ma non credi sia poco consono ad una
regina e ad
una principessa, scendere in cortile coperte praticamente da niente, a
giocare
con la neve come fossimo due bambine?”- chiese, cercando di
trattenerla
dall’andare avanti-“Non siamo un po’
cresciute?”-continuò.
Elsa
quasi scoppiò a ridere per l’assurdità
della situazione: “In primo luogo,
abbiamo sciarpe e mantelli a coprirci dal freddo o da sguardi
indiscreti; secondo,
non te n’è mai importato molto della condotta da
seguire, Anna: non vedo perché
debba essere un problema questa nostra uscita mattutina.”- la
tirò ancora un
po’, perché lei si era fermata sulla soglia della
porta che dava sul cortile.
Anna
fece per ribattere qualcosa, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire
bocca, che
Elsa la zittì: “Sono la regina, se te lo fossi
dimenticato e posso fare quello
che voglio. Se è mio desiderio scendere in cortile a fare
pupazzi di neve con
mia sorella, allora così sarà.”-
affermò convinta, attirandosi lo sguardo
interrogativo di Anna, che guardò oltre le sue spalle, la
coltre di neve fresca
che copriva tutto il pavimento dello spiazzale retrostante al palazzo.
-“Allora?”-
la stuzzicò Elsa.
-“Beh…tu
sei la regina, quindi…nessuno potrà dire nulla
sul nostro comportamento improprio.
Giusto?”- chiese esitante.
-“Giusto.”-
confermò la maggiore, facendole varcare la soglia.
Molto
presto, l’immobilità e la tranquillità
di quella tarda mattina d’autunno, venne
riempita da risatine e gridolini eccitati. Le due sorelle passarono
almeno
un’ora a lanciarsi palle di neve e a rotolarsi nelle piccole
dune bianche,
mentre ridevano come due bambine, felici solo di essere insieme dopo
tanto
tempo. Pian piano Elsa si rese conto di non essere la causa di quella
nevicata
improvvisa, e si tranquillizzò, lasciando scivolare via la
sua maschera di
preoccupazione e paura.
Nel
frattempo Anna aveva cominciato ad ammassare una grande
quantità di neve in un
solo punto.
-“Cosa
stai facendo?”- le chiese con un sopracciglio sollevato.
-“Un
pupazzo di neve, cos’altro! Allora me la dai una mano o
rimani a guardare?”- le
sorrise, continuando ad ammucchiare pugni di neve sulla cima della
piccola
montagnola bianca che aveva già formato.
La
regina la raggiunse, inginocchiandosi al suo fianco, cominciando a
modellare la
neve per dare una forma adatta al pupazzo.
Lavorarono
in silenzio, scambiandosi rapide e sfuggevoli occhiate, sorridendo
felici.
Quando Anna fu soddisfatta della forma presa dal pupazzo, si
alzò spolverando
la gonna della vestaglia, annuendo tra sé: “Mi
piace.”- sentenziò, attirando
l’attenzione di Elsa che osservava attentamente la loro
creazione: le ricordava
qualcosa.
-“Era
da tanto che volevo farne uno con te.”- le disse Anna,
raccogliendo dei
ciottoli scampati al manto bianco. Poi tornò al pupazzo e li
posizionò su
quella che doveva essere la faccia, spostandoli più volte,
prima di lasciarli
in quello che le sembrò il posto giusto-“Come
vogliamo chiamarlo?”-
-“Non
sei un po’ cresciuta per dare nomi a cose
inanimate?”- le fece il verso Elsa.
Anna
ignorò la sua frecciatina, arricciando il naso, mentre si
batteva un dito sul
mento, pensierosa: “Olaf! Lo chiameremo Olaf.”-
disse contenta, cogliendo la
regina di sorpresa.
-“C-come?”-
ecco cosa le ricordava! Quell’ammasso di neve era simile ad
Olaf. Sperò che il
loro piccolo amico non fosse nei paraggi: di sicuro non avrebbe gradito
che
qualcun’altro si chiamasse come lui.
-“Olaf,
come quello quando eravamo piccole, te lo ricordi?”- le
domandò guardandola
negli occhi.
-“S-si,
mi ricordo, ma perché non dargli un altro nome?”-
cercò di farle cambiare idea,
ma lo scuotere della testa di Anna, le confermò che non ci
sarebbe riuscita: la
testardaggine non le era passata con l’incidente!
-“Olaf
è perfetto.”- confermò, guadagnandosi
un sorriso raggiante da parte della
sorellina.
La
giovane regina si perse nei suoi pensieri, riflettendo su quanto le
fosse
mancata Anna, la vera Anna, in tutto quel tempo. Certo, aveva davanti a
sé solo
l’ombra di quella che la sorella era stata prima di quel
terribile incidente,
ma la speranza di riaverla presto indietro, non moriva mai; anzi in un
momento
come quello non poteva che aumentare, riempiendole il petto di un
calore strano,
che calmava i suoi nervi. La risata della sorellina, scaldava il suo
cuore,
barricato per troppo tempo dietro strati di solitudine e diffidenza
verso il
prossimo.
Qualcosa
di freddo la colpì all’improvviso la nuca,
riscuotendola dalle sue riflessioni.
Si girò verso Anna, che rideva coprendosi la bocca con le
mani.
-“Vuoi
la guerra, vero?”- le chiese con voce ferma, mentre
spolverava via la neve che
le era rimasta sulle spalle.
Anna smise di
ridere, guardandola con sguardo preoccupato: “Non mi faresti
mai del male,
vero? Sono la tua sorellina!”- argomentò,
indietreggiando di qualche passo,
mentre Elsa si abbassava a raccogliere della neve. Per lei era strano
quel
gesto: avrebbe potuto tranquillamente creare una perfetta palla di
neve, con
una semplice flessione del polso.
-“Sai
cosa dice un vecchio adagio? Che in guerra e in amore, tutto
è concesso.”-
sorrise fra sé per la teatralità della sua voce e
dei suoi gesti, che
sembravano impressionare Anna. Soppesò con sguardo critico
la palla di neve,
che aveva perfettamente arrotolato tra i palmi delle mani, decretando
che
sarebbe andata bene per la sua fredda vendetta.
-“Non
oseresti.”- la sfidò Anna, con un sorrisino
impertinente, mentre incrociava le
braccia al petto.
-“Tu
credi? Guardami.”-Elsa alzò il braccio,
perfettamente dritto, come una
catapulta, pronta per scagliare la palla di neve dritta in faccia alla
sorella-
“Implora pietà, dalla tua regina.”
Anna
si schermò prontamente il viso con le mani: “Mmm,
pietà!”- disse trattenendo
una risatina nervosa, mentre osservava la reazione di Elsa, attraverso
lo
spazio tra le dita.
La
regina frenò a stento una risata, cercando di mantenere la
sua espressione
neutra.
Tirò
con precisione la palla di neve sul volto di Anna, che cadde a terra,
con un
gridolino strozzato. Elsa sbiancò per la paura di averle
fatto del male: “Anna.
Oh santo cielo, Anna. Ti sei fatta male?”- le chiese con tono
concitato,
inginocchiandosi vicino a lei.
La
sorella continuava a tenersi le mani premute sulla faccia e le sue
spalle erano
scosse da violenti brividi: “Anna…parlami su. Cosa
ti sei fatta?”-la scosse
leggermente, per incitarla.
Le
prese i polsi
per cercare di tirarle via le mani dalla faccia, senza risultati, ma ad
un
tratto le dita della mano di Anna si aprirono, lasciando intravedere
uno dei
suoi occhi azzurri. L’iride lapislazzuli la scrutò
attentamente, prima che le
mani scivolassero definitivamente via dal suo viso.
La
principessa le scoppiò a ridere in faccia, rotolando nella
neve, mentre Elsa la
guardava, presa alla sprovvista da quella reazione.
-“Si
può sapere cosa c’è tanto da
ridere?”- le chiese mettendosi le mani sui
fianchi-“Per tua informazione mi hai fatto prendere uno
spavento. Temevo
d’averti colpita troppo forte.”- si
lamentò poco regalmente, osservando la
sorella che si teneva la pancia per le troppe risa.
-“Avresti
dovuto”- rise-“ vedere
la tua”- un’altra scarica di
risate-“…faccia!”- sputò
fuori senza fiato-“ Oh
mio dio! Credo di sentirmi male.”- respirò
profondamente, rimanendo distesa
nella neve, con gli occhi rivolti verso il cielo grigio perla, che
preannunciava una nuova nevicata.
Chiuse
per un momento le palpebre pesanti, respirando a pieni polmoni
l’aria fredda
del mattino, dimenticandosi di Elsa al suo fianco e di tutto il mondo
attorno,
concentrandosi sul silenzio per cercare di far chiarezza nella matassa
inestricabile delle sue domande. Cos’era successo
all’incoronazione di Elsa?
Perché ora le parlava e giocava con lei nella neve, dopo
averla chiusa fuori
per gran parte della sua giovane vita? Cosa c’era di tanto
importante da ricordare?
Elsa
la guardò rimanere lì immobile, con le braccia
spalancate ai lati del busto,
come se stesse per fare un angelo di neve, mentre la piega del suo
sorriso si
raddrizzava, disegnando sulla sua bocca una linea retta grave.
Un
sospiro lasciò le narici della principessa, come se nel
silenzio di quel
momento, con gli occhi chiusi sul mondo, si fosse rassegnata a
qualcosa: con il
tempo avrebbe scoperto tutto, ne era certa; per quanto avrebbe voluto
subito
delle risposte, aveva capito che non c’era bisogno di
cercarle incessantemente
senza dare riposo alla sua mente. Molto presto quello che cercava,
tutto quello
che aveva dimenticato, le si sarebbe svelato.
-“Anna?”-
la voce di Elsa si fece spazio nel mondo ovattato dei suoi sensi,
riscuotendola.
-“Mm?”-
-“V-vuoi
raccontarmi del tuo incubo?”- le chiese esitante la regina.
Anna rimase in
silenzio, ferma nella neve, mentre la sua vestaglia si bagnava pian
piano,
facendola rabbrividire.
-“Mi
dispiace.”- sussurrò dopo un po’ aprendo
gli occhi, senza incrociare il suo
sguardo.
-“Per
cosa?”- Elsa allungò una mano verso di lei, ma la
ritrasse subito.
-“Per
averti svegliata. N-no volevo spaventarti.”
-“Oh
Anna, non preoccuparti per me…io ti ho sentita urlare il mio
nome e sono corsa
subito da te. Pensavo ti stesse accadendo qualcosa: urlavi
così forte che
temevo avresti perso per sempre la voce…e non sapevo cosa
fare!”-
Anna
non disse nulla, chiudendo di nuovo gli occhi, come se volesse
richiamare alla
mente le immagini del sogno: “È un sogno
strano”- esalò, così in silenzio che
Elsa dovette sporgersi verso di lei-“non so davvero cosa
possa significare. So
solo che ho…” sì interruppe per un
secondo facendo un respiro profondo-“
paura.”- concluse con voce tremante.
Elsa
non la incalzò, aspettando che fosse lei a continuare:
“È imbarazzante, lo so.
Non sono più una bambina, non dovrei essere terrorizzata da
un sogno!”- esclamò
arrabbiata con se stessa, corrucciando la
fronte-“È solo che…è
così reale,
terribilmente reale, Elsa. Ogni volta, è come se qualcosa mi
svuotasse pian
piano i polmoni da ogni briciolo
d’aria.”-respirò, come se temesse che
quello
che aveva appena detto potesse capitarle anche da
sveglia-“È orribile e poi c’è
freddo, Elsa, così tanto freddo, come se
mille lame affilate mi trapassassero da parte a parte.”-
cacciò un lamento-“ E
poi c’è il ghiaccio che mi imprigiona.”
Elsa
rimase pietrificata, riflettendo sulle parole della sorella. Molto
probabilmente quel sogno era collegato a quello che le era capitato per
colpa
sua:“Anna…mi dispiace.”-
riuscì solo a dirle.
Anna
sembrò non sentire le sue parole: “Ci sei anche tu
nel sogno e piangi come se
fossi morta, ma la cosa più spaventosa è che io
sono viva, intrappolata e senza
via di fuga, ma viva! Non posso
parlare o muovermi, ma ti vedo attraverso il ghiaccio, chiaramente e
c’è anche
qualcun altro, ma è solo un’ombra, non so chi
sia.”- si alzò a sedere,
voltandosi a guardarla-“ Nella mia mente urlo,chiedo aiuto,
ti prego di salvarmi,
perché sono ancora viva, e sto combattendo per farmi strada
attraverso il
ghiaccio, ma è troppo forte…”- si
strinse le braccia attorno alle spalle,
tremando, mentre le lacrime cominciavano a caderle dagli occhi. La voce
ridotta
solo ad un lieve bisbiglio strozzato: “Ma tu non mi senti e
ti dimentichi di me
e…la vita va avanti ed è come se non fossi mai
esistita e…e a nessuno importa.
E io rimango lì, immobile, fredda
e…sola.”- cominciò a singhiozzare
più forte,
stringendosi sempre di più su se stessa.
Elsa
boccheggiò, mentre i sensi di colpa la divoravano,
inghiottendo il suo buon
umore: “Anna, mi dispiace tanto. È tutta colpa
mia.”- le sussurrò, cercando il
suo sguardo, ma Anna continuava a tenere gli occhi puntati davanti a
sé.
-“Perché
Elsa?”- le chiese dopo un po’ di
silenzio-“Perché mi hai lasciata sola per
tutto questo tempo? Cosa ti ho mai fatto? Ho passato anni a chiedermi
cosa
avessi fatto di sbagliato, per indurti a chiudermi fuori dalla tua
vita. E non
ho ancora trovato una risposta.”- i suoi occhi pieni di
lacrime, inchiodarono
quelli della regina.
-“Anna…è
complicato, con il tempo capirai.”-
-“No,
Elsa io voglio capire ora! Ho aspettato fin troppo.”- le
urlò, facendo volare
via alcuni uccellini appollaiati sulle tegole del quadriportico.
-“Farei
solo peggio se te lo dicessi.”- cercò di farla
ragionare.
-“Provaci,
ho bisogno di risposte, altrimenti potrei impazzire da un momento
all'altro.”-
La
disperazione nei suoi occhi fece tremare Elsa. Davvero non dirle nulla
avrebbe
giovato al suo stato di salute? In quel momento tutte le
raccomandazioni dei
medici sembravano aver torto, perché Anna sembrava davvero
sull'orlo di una
crisi di nervi. E se glielo avesse detto? Solo il suo segreto, nulla di
più, forse
avrebbe ricordato anche tutto il resto.
-“Vuoi
fare un pupazzo di neve?”- le chiese di nuovo, dopo
lunghissimi secondi.
Anna
rimase a fissarla a bocca aperta, come se fosse impazzita:
“Sono seria Elsa,
non sviare il discorso.”
-“Vuoi
delle risposte, voglio dartele. Ma tu devi dirmi, se ti va di fare un
pupazzo
di neve.”-
-“Un
altro?! S-sono stanca, non mi va ora.”-
-“A
questo si può rimediare. Tu dovrai solo restare a guardare,
ci penso io.”- Elsa
si alzò, prendendo un profondo respiro, e le porse la mano,
aiutandola a
tirarsi su.
Poi
la tenne stretta e agitando l’altra davanti a sé,
convogliò in un solo punto
una grossa quantità di neve, dandole la forma di un pupazzo.
Sperò con tutta se
stessa di non dare la vita anche a quest’altra sua creazione.
Anna
al suo fianco, trattenne il respiro, allentando la presa sulla mano
della
sorella: “Ma che…?”
-“Ecco
la risposta a tutte le tue domande.”-
Passarono
interminabili minuti prima che Anna dicesse qualcosa, minuti in cui
Elsa
temette che la sorella avrebbe cominciato a correre via da lei
spaventata.
-“Questo
non risponde a un bel niente. E di certo non giustifica il tuo
comportamento
degli ultimi tredici anni.”- decretò infine,
lasciando la sua mano.
Elsa
per poco non scoppiò a ridere per il sollievo, ma si
voltò lo stesso verso
Anna, scioccata dalla sua reazione, quasi indifferente allo spettacolo
sovrannaturale che le aveva appena mostrato: “Non sei
spaventata? Non mi
consideri un mostro?”- le chiese incredula.
-“Perché
dovrei essere spaventata? Questo”-indicò le mani
di Elsa e poi la sua
creazione-“è un dono fantastico! Ma non hai ancora
risposto alla mia domanda:
perché?”- la incalzò.
-“Perché
è una cosa contro natura, è una specie
di…maledizione.”-
protestò-“Vuoi sapere
perché sono rimasta chiusa per tanto tempo lontana da te,
bene. Perché quando
eravamo piccole ti ho colpita, uccidendoti quasi e volevo che non
accadesse
più…non volevo più farti del male e
allontanarmi da te sembrava la scelta più
giusta, per i nostri genitori. Così ci hanno allontanate,
Anna, ma il mio amore
per te non è mai diminuito, nonostante tutto.”-
Elsa le stava aprendo il suo
cuore-“Quando venivi a chiedermi di giocare assieme, avrei
tanto voluto
spalancare quella porta e stringerti forte e dirti che si, volevo
giocare con
te e saltare nella neve e correre per i corridoi con il tandem.
Però poi mi
tornava alla mente quello che ti avevo fatto e le mani si ghiacciavano,
la
temperatura precipitava e la tormenta cominciava ad imperversare nella
mia
stanza. Non potevo permettere che il mio potere ti ferisse
ancora!”- si scusò,
tormentandosi le mani.
Anna
la fissò incredula, espirando ed ispirando a fatica, poi
tentò di dire
qualcosa, ma la voce le morì in gola. Inghiottì a
vuoto.
-“M-mi sati dicendo che…che sono
rimasta sola per tutto questo tempo, chiedendomi cosa ci fosse in me
che non
andava, addormentandomi piangendo ogni notte pensando di non essere
alla tua
altezza, solo perché c’era la remota
possibilità che avresti potuto ferirmi di
nuovo con il tuo potere?”- le chiese, abbassando lo sguardo
in terra,
mordendosi il labbro inferiore fin quasi a farlo sanguinare.
Elsa
non le rispose, ed Anna interpretò il suo silenzio come una
conferma.
-“Allora
sarebbe stato meglio morire quando mi hai colpita la prima
volta.”- le disse
con risentimento, sentendo il sapore del sangue sulla lingua.
-“Anna!
Cosa dici?”- protestò avvicinandosi a
lei-“Se ti avessi uccisa, come avrei potuto continuare a
vivere con me stessa?”
-“Almeno
non mi avresti abbandonata alla solitudine, non mi avresti lasciata
seppellire
mamma e papà da sola, lasciandomi in pasto al dolore e alla
disperazione!”- le
urlò contro, piangendo copiosamente. La regina fece un altro
passo nella sua
direzione, tentando di afferrarle la mano, ma Anna si scansò
velocemente,
sottraendosi al suo tocco-“È stato egoista da
parte tua pensare che non avrei
capito la situazione. Dimmi, hai sempre avuto così poca
fiducia in me?”-
Quelle
parole colpirono in pieno la regina, lasciandola per un momento senza
parole.
“Anna
è
convinta che lei non le abbia voluto rivelare il suo segreto
perché non ha
fiducia in lei. Sa cosa la spaventa più di ogni altra cosa
al mondo? Il non
essere alla sua altezza.”
Kristoff
glielo aveva detto, quando erano tornati
da Corona, ma lei non aveva voluto sentire ragioni, ed ora era la
stessa Anna
che glielo stava rinfacciando. Ma davvero non aveva voluto dirle niente
del suo
potere, perché non aveva fiducia in lei? No,
l’aveva fatto solo per proteggerla
dalla sua maledizione. Per proteggerla da se stessa.
-“A-anna,
non sei in te, non sai di cosa stai parlando.”-
cercò di rabbonirla, cercando
il suo sguardo.
-“Questa
sono io!”- le urlò contro, puntandosi un dito al
petto-“ Continui a ripetermi
che non sono in me, che sono diversa, ma sai cosa? Io sono
così, un ricettacolo
di rabbia e rancore represso. Sono scampata per un soffio alla pazzia,
cosa ti
aspettavi di trovare dopo tanto tempo? La bambina vivace e
scoppiettante di
tredici anni fa? Beh, lascia che te lo dica, quella bambina
è morta quando tu hai
chiuso quella porta.”- non la smetteva di piangere e i
singhiozzi la scuotevano
forte, facendo tremare la sua esile figura.
Elsa
boccheggiò, come se qualcosa l’avesse colpita allo
stomaco togliendole il
respiro. Anna, la sua Anna, non le avrebbe mai detto una
cosa del genere. Ma forse la
sua Anna, non era la vera Anna:
dopotutto, ne aveva avuto già la conferma il giorno che
l’aveva trovata a
piangere di fronte al dipinto nella camera dei loro genitori. La sua
Anna, era
una maschera indossata da una ragazza fragile e spezzata, che cercava
di
apparire forte ed indipendente. L’incidente aveva frantumato
quella maschera,
lasciando intravedere tra le crepe la vera essenza della sorella: era
innegabile e palesemente dolorosa la realtà dei fatti. Anna
aveva sofferto come
e più di lei in tutti quegli anni, ma non le aveva mai fatto
pesare la loro
lunga separazione. Forse per paura della sua reazione. Forse
perché voleva
semplicemente recuperare un rapporto normale con lei, ultimo frammento
della
loro famiglia rimastole. Questo non lo sapeva, ma era certo che Anna,
seppur
con un carico immenso di solitudine sulle spalle, aveva tentato in
tutti i modi
di rimediare a quella profonda frattura tra loro.
In
passato si era ripromessa che non l’avrebbe fatta soffrire
ancora a causa sua,
che non avrebbe permesso a nessuno di farla piangere, ma ora erano li,
in mezzo
alla neve, in vestaglia da notte a fronteggiarsi dopo anni di silenzi,
con Anna
che le urlava contro e lei che non sapeva cosa dirle.
-“M-mi
dispiace tanto. Non pensavo avessi sofferto così
tanto.”- riuscì solo a dirle.
-“Già.
Non lo sapevo nemmeno io.”- le rispose a testa bassa, prima
di superarla per
rientrare nel castello, senza aggiungere altro.
Elsa
restò a guardare il punto in cui Anna era sparita, e un
dolore sordo al petto
la fece quasi piegare su se stessa: la voragine che le aveva separate
per tutto
quel tempo, e che aveva cercato di colmare per sopperire ad anni di
assenze, si
era all’improvviso fatta ancora più dolorosamente
ampia, ed Anna non le era mai
sembrata così difficile da raggiungere.
Olaf
attese che Elsa si allontanasse dal cortile, prima di uscire allo
scoperto. Le
risate gioiose delle sue due amiche, avevano richiamato la sua
attenzione,
mentre trotterellava allegramente nelle stalle, e aveva seguito quel
suono
trillante che spezzava la tranquillità del primo mattino,
nascondendosi dietro
una colonna. Era rimasto per un po’ a guardarle, quasi
invidioso di quel
momento privato di felicità. Avrebbe voluto giocare anche
lui con Elsa, ma soprattutto
con Anna.
Gli
mancava così tanto.
Vederle
assieme però, faceva felice anche lui. E quando le aveva
viste costruire un
pupazzo di neve proprio come lui, non c’aveva visto
più dalla gioia. Forse
avrebbe avuto un nuovo amico! Ma la gioia era durata poco, fin quando
Anna non
aveva chiamato quel pupazzo come lui! No, questo no.
Però
poi Anna aveva cominciato a piangere, e la sua voce si era alzata,
spaventandolo così tanto da farlo nascondere ancora di
più dietro la colonna di
legno. Non sapeva per quale motivo le sorelle stessero discutendo,
sapeva solo
che il vedere Anna dopo tanto tempo, in quelle condizioni gli aveva
spezzato il
cuore. Se lo avesse almeno avuto un cuore! Allora cos’era
quella stranissima
sensazione che aveva avvertito più o meno
all’altezza del suo primo bottone,
quando Anna era rientrata lasciando Elsa da sola?
Non
lo sapeva e per il momento non gli importava, aveva altro a cui pensare.
Si
avvicinò con passetti studiatamente lenti al pupazzo di neve
incriminato, girandogli
attorno, con le mani incrociate dietro la schiena: “Bene,
bene, bene.”- gli si
fermò di fronte- “Chi abbiamo qui? Come dici? Ti
chiami Olaf?”- chiese alla
neve inanimata.
-“No,
ci dev’essere un errore, io
sono
Olaf!”- disse battendo una mano ramosa sulla testa del
pupazzo-“ Davvero, Anna
non è in sé ultimamente e si è,
diciamo, dimenticata di me, ma io sono l’unico
Olaf da queste parti e sono anche il suo migliore amico. Quindi non
insistere.”-
Rimase
in silenzio per alcuni secondi, come fosse in ascolto di una risposta,
fissando
attentamente il pupazzo negli occhi pietrosi ed inespressivi.
-“No,
te l’ho detto. Qui l’unico autorizzato a chiamarsi
così, sono io! Ehi, non
offendere! Io qui sto cercando di essere gentile, ma se la metti
così…”-
sospirò scuotendo il capo-“L’hai voluto
tu, non volevo arrivare a tanto.”-
Olaf
si avvicinò di più alla faccia del pupazzo di
neve e cominciò a tirare vie le
pietre che formavano la bocca, gettandole dietro di lui. Poi, quando
non
rimasero che i ciottoli scuri degli occhi, disse dispiaciuto:
“Così non potrai
più dire il mio
nome.”-
-“Buona
giornata!”- concluse, saltellando via.
Quella
stessa sera Elsa cenò da sola, nella
grande sala da pranzo: non la sorprese più di tanto, il
fatto che Anna non si
fosse fatta vedere per tutto il giorno, in fondo, sapeva che prima o
poi
avrebbe dovuto dar conto alla sorella di tutte le scelte che
l’avevano portata
a chiuderla fuori dalla sua vita per così tanto tempo. Le
parole di Anna
l’avevano ferita nel profondo, ma non gliene faceva una
colpa, la sorella era
stata chiara: aveva sofferto per la loro lontananza quanto lei e non si
potevano cancellare tredici anni di silenzio nel giro di pochi mesi.
Per
rimediare almeno in parte a quello che era successo quella mattina,
aveva fatto
chiamare a corte il vecchio precettore che le aveva istruite da
bambine, Sir
Van Eyck, come Anna le aveva chiesto la sera precedente.
L’istitutore
era stato più che felice di accettare il suo vecchio
incarico e si era sorpreso
nel sentire che era stata proprio la principessa a voler riprendere gli
studi:
“Devo essere sincero Maestà, non mi sarei mai
aspettato di essere richiamato a
corte per un tale compito. La principessa Anna, sembrava quanto mai
decisa a
non riprendere gli studi, quando l’ho vista
l’ultima volta. In verità, credevo
più probabile che sarei tornato in questi luoghi per
istruire i vostri eredi,
mia regina, o quelli della principessa.”- le aveva confidato
davanti ad una
tazza di tè. Elsa aveva riflettuto su
quell’affermazione e si era ritrovata a
pensare che, se il precettore avesse atteso il giorno in cui lei
avrebbe dato
alla luce l’erede al trono di Arendelle, sarebbe morto di
vecchiaia. Lo stesso
valeva per Anna: era troppo giovane ed inesperta per avere figli, per
non
parlare del fatto che non aveva ancora nessun pretendente.
Uno ce
l’aveva e tu l’hai
mandato via!E sai bene di chi sto parlando…- le
aveva urlato una vocina nella sua mente. E
aveva concordato con quel pensiero: aveva sbagliato a mandarlo via. Da
quando
Anna l’aveva conosciuto, non era passato giorno in cui non
l’avesse vista con
il sorriso sulle labbra. In breve tempo, Kristoff era diventato la cura
alla
ferita infertale da Hans, alla sua autostima. Da quando il principe
delle Isole
del Sud era stato rimandato in patria, Anna aveva cominciato a dubitare
di ogni
sua scelta o azione, pensando di star sbagliando ancora. Non si era
più fidata
del suo giudizio, finché lei non le aveva fatto presente che
l’episodio con
Hans non avrebbe dovuto condizionarle la vita, perché il
principe dei vermi era
stato solo un bravo attore, capace di raggirare le più alte
cariche del
continente e di confondere il suo buon senso, nient’altro.
Ora,
seduta a capotavola, con il volto illuminato dalle decine di candele
accese
nella sala, si ritrovò a riflettere sulle sue
azioni: possibile che in tutta la sua vita non avesse mai fatto la
scelta
giusta? Lasciare che i suoi genitori avessero il controllo sulla sua
vita,
lasciare Anna da sola, allontanare Kristoff, raccontarle tutta la
verità…c’era
qualcosa di buono in quello che aveva fatto? O fino a quel momento la
sua vita
era stata fondata su un trono di bugie e scelte inadeguate?
-“Cosa
ho fatto di sbagliato?”- si lamentò con se stessa,
mentre piluccava
distrattamente la sua cena, gelando il manico della forchetta.
-“Maestà.”-
la chiamò una voce, tirandola fuori dai suoi cupi pensieri.
Grace,
la cameriera di Anna, stava sulla soglia della porta, guardandola
preoccupata.
Elsa posò la forchetta, producendo un lieve rumore metallico
e le fece cenno di
avvicinarsi, mentre si schiariva la gola.
-“Maestà,
sta bene? Desidera qualcosa?”- le chiese, guardando il piatto
quasi pieno
davanti a lei e la sua faccia tirata.
-“No,
grazie, sto bene così.”- rispose, raddrizzando la
schiena allo schienale della
sedia-“Volevi dirmi qualcosa?”
-“Si.
Ecco, volevo rassicurarla riguardo la principessa. È nel suo
letto e dorme già
da un po’. Non ha voluto mangiare, ne a pranzo ne a cena, ma
sembra stia bene.
Io avrei finito per oggi, mi ritirerei per la notte se non ha altre
disposizioni
per me.”- finì con un lieve riverenza.
-“No,
no, va pure a dormire. Credo che stare dietro ad Anna sia davvero
faticoso,
quindi meriti il tuo riposo.”- le sorrise -“Anzi,
credo che anch’io mi ritirerò
a breve.”-
-“Grazie
maestà. Buonanotte.”-si inchinò di
nuovo e poi con passo svelto uscì dalla sala
da pranzo, lasciandola di nuovo sola con i suoi pensieri.
Dopo
aver piluccato ancora un po’ la sua cena, si arrese
all’evidenza che il suo
stomaco non ne voleva sapere di mandare giù nulla e si
avviò verso la
biblioteca. Sapeva che quella notte, con o senza le urla di Anna, non
sarebbe
riuscita a chiudere occhio, quindi tanto valeva trovare una buona
lettura che
le avrebbe tenuto la mente occupata fino al mattino.
Fece
scorrere lo sguardo sugli enormi scaffali di pesante legno scuro,
cercando
qualcosa che facesse al caso suo. Alcuni libri erano troppo grandi,
altri
troppo vecchi, altri troppo noiosi o con storie con un finale
prevedibile.
Aveva letto quasi tutti i titoli della biblioteca, soprattutto quelli
riguardanti la storia e la scienza, e quando aveva imparato il latino,
aveva
cercato una cura alla sua maledizione su alcuni incunaboli di alchimia;
ma non
si era mai veramente soffermata sulla sezione dei testi di narrativa,
fino a
quella sera. Sapeva che anche Anna aveva passato molto tempo a leggere
tra
quegli scaffali polverosi, o seduta sulle poltroncine dietro la grande
finestra
che affacciava sul fiordo e che al tramonto tingeva l’intera
sala di un intenso
color arancio, dando l’impressione che i libri andassero a
fuoco. A prima vista
le sue letture preferite dovevano essere stati i racconti,
perché i romanzi e
le varie raccolte di novelle, erano i libri con l’aspetto
più usato, quelli che
più di tutti sembravano aver goduto dello sfogliare delle
loro pagine.
Lei
non aveva mai avuto tempo per fantasticare o per pensare anche solo di
aprire
uno solo di quei libri, pieni di sogni e bugie per le menti
impressionabili;
l’ultima volta che aveva sentito una storia, sua madre era
ancora viva e
l’incidente con Anna non era ancora capitato.
Fece
scorrere le dita sulle coste polverose di decine di libri,
finché uno catturò
la sua attenzione. Lo prese dallo scaffale e l’odore delle
pagine ingiallite
dal tempo, le riportò alla mente il ricordo delle sere in
cui la madre si
sedeva sulla poltrona nella loro vecchia camera, Anna si arrampicava
con le
piccole gambine su per la sua gonna, e ridendo prendeva posto sul suo
grembo,
mentre lei si stendeva a pancia in giù sul suo letto e
apriva bene le orecchie
in attesa che la regina cominciasse a leggere quel
libro: Fiabe del focolare.
Elsa
lo strinse forte al petto e ritenne conclusa la sua ricerca.
Quando
si stese a letto, e cominciò a leggere alla fioca luce della
lampada ad olio,
le sembrò quasi di udire la voce della madre che diceva
“C’era una
volta…”
Andò
avanti a leggere per gran parte della notte, storia dopo storia,
ricordando
nella sua mente come doveva essere suonata la voce della madre mentre
leggeva
quelle parole. Faceva male ammetterlo ma aveva quasi dimenticato la
loro voce,
e se non avesse guardato ogni giorno il ritratto perfetto dei suoi
genitori,
avrebbe inevitabilmente dimenticato anche i loro lineamenti.
Quando
arrivò alla fiaba della Bella addormentata nel bosco, si
fermò interdetta ad
osservare una scritta a piè pagina di una delle
illustrazioni del racconto, che
rappresentava due giovani che si baciavano: “Un giorno anche
il mio principe
arriverà a risvegliare questo castello addormentato e
s’innamorerà di me a
prima vista e vivremo per sempre felici e contenti.”- la
scrittura era
certamente quella di una Anna con non più di dieci anni, e
l’ingenuità di
quelle parole le fece quasi salire le lacrime agli occhi.
Ecco
perché Anna si era fidata ciecamente di Hans fin dal primo
momento: cosa poteva
saperne lei della vita vera e della malvagità delle persone,
se la sua unica
realtà era stata quella delle fiabe, dove le streghe erano
vecchiette grinzose
o bellissime fate nere, e il principe azzurro salvava la principessa
con il
bacio del vero amore, dall’incantesimo che la costringeva a
dormire per
cent’anni?
Ora
a posteriori, dopo aver letto quelle parole, scritte nel pieno della
sua
crescita emotiva, da una Anna non ancora spezzata completamente, Elsa
non
poteva più biasimarla per l’impulsività
delle sue azioni. Come non avrebbe
potuto cadere tra le braccia di quel mascalzone?
Elsa,
chiuse con uno scatto il libro, con le mani tremanti, pensando a quello
che la
sorella doveva aver provato quando il principe invece di salvarla
l’aveva
lasciata a morire. Un foglio sfuggì dalle pagine del libro,
librandosi per
pochi secondi in aria, fino a posarsi leggero, con un fruscio sommesso,
sul
pavimento.
La
regina posò il libro sul tavolino al fianco del letto e
scoprendosi, scese a
raccoglierlo. Un disegno, con un’iscrizione runica:
“La magia dei troll può
guarire le ferite dell’anima e del corpo.”
Elsa
si rigirò il foglio tra le mani, cercando altre scritte, ma
il retro era
bianco. Il disegno raffigurava un troll che imponeva le sue mani su un
uomo
esanime, steso su una tavola di pietra.
Posò
distrattamente anche il foglio sul libro e si rimise a letto, spegnendo
la
lampada ad olio , ormai quasi vuota.
-“La
magia dei troll.”- disse a bassa voce, come se i suoi
pensieri avessero deciso
di sfuggirle di bocca. Da dove usciva fuori quel foglio? Di certo non
era uno
di quelli del libro delle fiabe. Sembrava provenire
da uno di quei libri di credenze popolari che
il padre faceva acquistare alla piccola bottega giù in
paese. Come lei, anche
il padre aveva fatto di tutto per trovare una cura contro i suoi
poteri.
Durante gli anni l’aveva visto parlare con medici e sciamani
provenienti da
tutto il mondo; aveva fatto arrivare via
mare testi antichi dal continente, non trovando mai nulla
tra quelle
pagine consunte che potesse essere d’aiuto, finché
qualcuno a palazzo gli aveva
suggerito di scavare a fondo tra le leggende del loro popolo, di fare
affidamento sulle credenze e sulla magia. E, per quanto suo padre fosse
un uomo
saggio e saldamente legato alla realtà e alla scienza, una
notte di tanti anni
prima, nel momento del bisogno, aveva dovuto cedere alla ragione e
provare a
salvare una delle sue due figlie, sperando solamente nella magia.
Dopo
gli avvenimenti di quella notte, la sua fede in dio e nella scienza
erano andate
scemando pian piano, fin quando non aveva cominciato a credere solo
nell’alchimia e nella arti occulte, dando più
credito alle parole di stregoni e
ciarlatani che a quella di eminenti dottori e sapienti. Ed era proprio
da uno
dei primi che si stava dirigendo quando la sua nave era affondata: la
magia non
l’aveva salvato.
Ma
la magia aveva salvato Anna da piccola, liberandola dal gelo nella sua
testa e
cancellando ogni traccia dei suoi poteri dalla mente della sorella.
Gran Papà
aveva costruito altri ricordi per lei, per non lasciarla priva di
memorie a cui
aggrapparsi durante quello che sarebbe venuto dopo.
Nuovi
ricordi in cambio dei vecchi.
Ricordi.
Ricordi. Quelli che ora mancavano ad Anna. Quelli di cui aveva
più bisogno al
momento.
Quelli
che il capo dei troll poteva ridarle!
Perché
non ci aveva pensato prima? Sarebbe bastato al massimo
un’imposizione delle
mani pietrose dell’essere centenario sulla fronte di Anna e
tutte le lacune
nella sua mente si sarebbero ricolmate di ricordi.
Spalancò
gli occhi e scalciò via le coperte, mentre alla luce della
luna si faceva
strada verso la porta. Correre giù per le scale fino alle
porte del castello,
dove sostavano le sentinelle, non fu facile per via del buio e dei suoi
piedi
scalzi.
-“Vostra
Maestà?!”- l’accolse una delle guardie,
sorpreso di quell’apparizione nel pieno
della notte.
-“Mia
regina cos-?”- fece per continuare l’altra, ma Elsa
gli fece cenno di tacere,
mentre riprendeva fiato e si ricomponeva.
-“Svegliate
tutte le guardie che potete. Ho un compito di vitale importanza per
voi.”-
riuscì a dire con voce ferma, nonostante il fiatone.
-“Cosa
comanda la regina?”- il più alto dei due si mise
sull’attenti, posizionando la
picca dritta in terra.
Elsa
li fissò seria: avevano gli occhi cerchiati da ombre scure e
sembravano davvero
stanchi. Per un secondo pensò che forse avrebbe potuto
aspettare il mattino per
mobilitare l’intera guardia reale, ma se c’era
anche la più remota possibilità
che quello che aveva in mente avrebbe potuto funzionare per riavere la
sua
Anna, non c’era tempo da perdere.
-“Scandagliate
Arendelle e dintorni, inoltratevi su per la montagna se necessario, ma
portatemi il Mastro del ghiaccio.”