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Autore: Taitou    12/10/2014    1 recensioni
Una ragazzina di nome Ethel, guardando fuori dalla finestra dell'orfanotrofio di cui si sente prigioniera, pensa alla fuga, a sua madre, e a suo padre di cui non sa quasi niente, se non che ha regalato un ciondolo con una pietra di giada a sua madre, quindici anni prima.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 
 
 
Ethel Collins guardava fuori dalla finestra dell’orfanotrofio pensando che finalmente il momento che aspettava da due anni era arrivato. Poteva finalmente andarsene. Odiava quel posto con tutta l’anima, non riusciva a credere di aver passato lì due anni della sua vita. Ora, finalmente, a quattordici anni, pensava alla fuga. Guardava i tetti delle case di Londra e il suo riflesso nel vetro sudicio. I capelli biondi, presi dalla mamma, gli occhi scuri che secondo sua madre somigliavano tanto a quelli di suo papà. Con le dita giocherellava distrattamente col ciondolo di giada che non aveva mai indossato. Anzi, una volta l’aveva indossato. In occasione della morte di sua madre. Ricordava quel giorno come se fosse stato il giorno prima. Invece erano già passati due lunghissimi anni.
Sua madre si chiamava Emma. Suo padre non lo conosceva. Abitavano nella zona portuale di Londra. Emma aveva la tubercolosi. Ethel aveva dodici anni. Sua madre stava morendo. In casa con loro c’erano alcuni amici di sua madre, ma lei aveva chiesto di poter parlare da sola con Ethel. Erano rimaste sole. Sua madre le aveva sorriso e aveva iniziato la storia.
-Ethel… ci sono cose che devi sapere. Non voglio saperti chiusa in un orfanotrofio. Tuo padre non è morto. – a quest’affermazione Ethel aveva sgranato gli occhi. –E non è nemmeno imbarcato con la marina britannica. Tuo padre è un pirata. Si chiama Jack Sparrow. Cercalo. Imbarcati con lui. – anche in un momento come quello, Ethel si rese conto che sua madre le stava consigliando di darsi alla pirateria.
-Mamma, non mi crederà. Non crederà che sono sua figlia. –
-Ti crederà se gli dirai di me e se gli darai questo. – Emma si tolse il ciondolo di giada e glielo aveva messo al collo.
-Quando me l’ha dato – sua madre dovette interrompersi per la tosse, e riprese con voce più roca –mi disse che era del colore dei miei occhi. Daglielo e si ricorderà. –
Gli uomini erano rientrati. Non poteva più dirle niente. Non ce n’era bisogno.
Il giorno dopo, un amico di sua madre di nome John l’aveva portata all’orfanotrofio. Non era riuscita a scappare. In realtà, non ci aveva nemmeno provato. Era troppo scossa. Però era ancora tra le sua intenzioni. Il ciondolo di giada in teoria non avrebbe potuto tenerlo, ma lei l’aveva nascosto nel fazzoletto che teneva in mano, e nessuno se n’era accorto.
Ora erano passati due anni da quel momento. Ethel guardava fuori dalla finestra. Ripensava a quando, da piccola, giocava con le spade di legno. Pensava al fatto che aveva smesso solo una volta arrivata lì. E che quell’abitudine le sarebbe tornata utile. In genere passavano a controllare che dormissero verso mezzanotte, e lei aveva intenzione di fuggire appena terminato il controllo. Che, tra l’altro, non era niente di che. Aprivano la porta dove tutte le ragazze dormivano, davano un’occhiata veloce e se ne andavano. Ethel si distese a letto e chiuse gli occhi. Non dovette aspettare molto. Dopo un paio di minuti, dei passi arrivarono alle sue orecchie, il rumore smorzato dalla porta chiusa. Che si aprì. Qualcuno camminò tra i letti e finalmente uscì, chiudendosi la porta a chiave alle spalle. Ethel si rizzò a sedere, e appena nel corridoio fu tornato il silenzio si alzò, prese lo zaino che teneva pronto e nascosto da giorni, e si avvicinò alla finestra. Il suo dormitorio era al secondo piano. Aveva preso mille accortezze, controllato ogni minimo dettaglio. Uscì dall’unica finestra che non cigolava, a piedi nudi. Poi saltò sul tetto dell’edificio di fianco. Cercò un angolo sicuro e si cambiò. Lasciò lì la camicia da notte rattoppata e si mise dei pantaloni e una camicia. Degli stivali ai piedi. Poi prese un cordoncino e si legò i capelli biondi in una treccia, che nascose sotto un cappello vecchio e brutto. Sperava di riuscire a passare per un maschio almeno fino a quando non avrebbe raggiunto Tortuga. Poi, chissà. Ed era proprio quel chissà ad eccitarla come non mai. A cosa stava andando incontro? Si alzò, e scese dalla casa su cui era atterrata. Per fortuna non era troppo alta. Poi corse. Come non aveva mai fatto in vita sua. Corse come se ci fosse stato un incendio dietro di lei. Ma l’eccitazione ribolliva nelle sue vene, e Ethel non poté impedirsi di sorridere mentre correva. Il primo sorriso vero da due anni. Era finalmente libera. Arrivò al molo circa mezz’ora dopo, respirando con la bocca aperta per la corsa. Ora doveva solo trovare la nave di cui aveva sentito parlare, imbarcarsi e andare in Giamaica. All’improvviso, davanti all’enormità di quello che stava per fare, si sentì minuscola, indecisa e impaurita. E se fosse tornata indietro? No. Aveva aspettato fin troppo a lungo. Ora era il momento di agire. Trovò la nave che andava in Giamaica. Cercò di darsi un contegno e chiese se avevano un posto sulla nave.
L’uomo la guardò distrattamente, senza prestarle troppa attenzione, e le disse che era libero il posto come mozzo.
-Perfetto – disse Ethel, e salì a bordo.
-Ragazzo! – la richiamò indietro l’uomo, probabilmente il capitano. –Come ti chiami? – Ops. A questo Ethel non aveva pensato. -Andrew Collins. – sparò il nome del finto padre, ma comunque il nome che aveva pensato gli appartenesse per dodici anni. Poi riuscì a trovare la zona lurida dove dormiva la ciurma. Sperava solo che partissero presto. Voleva mettere più strada possibile tra lei e l’orfanotrofio, e, soprattutto, voleva essere già lontana quando si sarebbero accorti che era sparita. L’avrebbero cercata? Sicuramente. Ma non l’avrebbero trovata.
‘Un viaggio di circa un mese per fare esperienza, pagato, che mi porta dove devo andare. Non poteva andarmi meglio’ pensò Ethel mentre si addormentava.
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Il mese di navigazione fu per Ethel meraviglioso. Certo, doveva sgobbare non poco, e il capitano era tutt’altro che indulgente, ma sapeva che ogni secondo che passava si avvicinava di più a Jack. Sapeva anche che non sarebbe mai e poi mai riuscita a chiamarlo ‘papà’: era entrato nella sua vita troppo tardi. Aveva pensato a lui molto, durante quel viaggio. Chissà com’era? Sia fisicamente che come comportamento, anche se per questo non si aspettava una grande moralità. A parte il fatto che era un pirata, aveva lasciato una donna incinta sola, a vedersela contro tutti. Emma era andata via dai Caraibi appena si era accorta di essere incinta. Solo ora Ethel capiva perché. A Londra si era inventata un matrimonio con un immaginario Andrew Collins, morto per mare, essendo un marinaio della marina britannica. Aveva sempre pensato di chiamarsi Ethel Collins, ma da due anni, anche se si presentava con quel nome per paura di essere impiccata, non lo sentiva più suo. Lei era Ethel Sparrow.
Capiva sua mamma per non averle detto la verità, una bambina piccola può non rendersi conto di quello che dice, avrebbe potuto condurle entrambe al patibolo, ma in ogni caso la sua scelta la lasciava con l’amaro in bocca. Le dispiaceva non aver potuto condividere un segreto così grande con sua mamma.
Per tutto il tempo aveva tenuto lo zaino con le sue cose nascosto. C’erano dentro abiti femminili, nel caso avesse dovuto smettere di essere Andrew per tornare Ethel, anche abiti maschili, nonostante facesse ovviamente in modo di cambiarsi il meno possibile e sempre da sola e in fretta. Infine, c’era il ciondolo. Avrebbe preferito portarlo al collo, ma aveva paura che qualcuno lo notasse e intuisse qualcosa. In più, pensava di procurarsi una spada.
Il momento più bello di tutto il viaggio era stato quando un tizio della ciurma era stato poco bene e l’avevano fatta stare di vedetta di notte. Aveva avuto un po’ di paura al momento di salire, ma una volta lassù, con un cannocchiale in mano a guardare il nero assoluto della notte si era sentita in pace col mondo. Le stelle erano tantissime e luminose, la luna piena, e lei tranquilla. Il mattino aveva dovuto comunque pulire il ponte, e questo era stato meno bello, ma aveva evitato di lamentarsi e si era data da fare. Doveva passare inosservata.
Erano passati ormai trentacinque giorni da quando si era imbarcata, che la vedetta, un mattino, si mise a gridare ‘Terra’. Il cuore di Ethel le schizzò via dal petto. Si voltò di scatto e corse al parapetto. Con gli occhi spalancati, vide un’isoletta lontana. All’improvviso era eccitata, non riusciva ad aspettare altro che l’arrivo. Il tempo sembrava dilatarsi, e l’isola farsi più lontana invece che vicina.
Ormeggiarono di pomeriggio. Un paese mediocre, tranquillo. Ethel si fece dare il compenso e schizzò via dalla nave. Appena vide il negozio di un fabbro, vi entrò.
-Vorrei una spada –
Ne aveva provate tante, e tra quelle che maneggiava meglio aveva preso quella che costava meno. Poi finalmente uscì e decise di chiedere informazioni a qualcuno.
 Corse per le stradine, dove i polli chiocciavano, in cerca di una locanda. La trovò. Spinse la porta e si trovò in un’atmosfera che non aveva mai visto. L’aria era satura di fumo, grida e canti. Il rum scorreva a fiumi, ovunque. Ethel si avvicinò ad un uomo solo intento a bere quello che sembrava il quinto boccale di rum. Si chiese come doveva parlargli. Scelse per un approccio diretto. Si sedette davanti a lui e poggiò un paio di monete sul tavolo.
-Sto cercando Jack Sparrow. Dov’è? –
-Non lo so – rispose quello prendendo comunque le monete. –E’ sempre in giro quello… ti conviene andare a Tortuga e aspettarlo lì. Una goletta dovrebbe partire tra poco. –
Ethel senza dire una parola si alzò e corse fuori, mentre il grido dell’uomo la raggiungeva –Deve dei soldi anche a te, vero? Non illuderti, ragazzo, non te li ridarà mai… -
Ma Ethel ormai non lo ascoltava più raggiunse di nuovo il molo, dopo essersi persa due o tre volte, e finalmente individuò la goletta di cui l’ubriaco le aveva parlato. Non poteva essere che quella. Vecchia, scrostata, con le vele rattoppate… c’era un uomo che faceva la guardia, cosa che secondo Ethel era inutile. Chi avrebbe rubato una nave tanto dimessa?
-Dove andate? – apostrofò l’uomo, che si risvegliò. ‘Bella guardia…’ pensò Ethel.
-A Tortuga… - biascicò quello, con la voce impastata dall’alcool.
-Vengo con voi –
-A bordo – disse l’uomo, e Ethel si sentì sollevata. Forse sarebbe riuscita a trovare Jack. A quel pensiero, le sue dita si chiusero automaticamente sul ciondolo di giada, mentre l’uomo rprendeva a dormire.

Angolo della pazza che si improvvisa scrittrice---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Ciao a tutti quelli che leggeranno questa storia. E’ la mia prima fanfiction, quindi capitemi se vi farà proprio schifo.
Spero in realtà che vi piaccia, avevo voglia di scrivere qualcosa sul mio capitano preferito e mi è venuta in mente questa cosa. Grazie e per favore recensite numerosi!!!!

<3 Taitou
 
 
   
 
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