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Autore: Taitou    26/12/2014    2 recensioni
Una ragazzina di nome Ethel, guardando fuori dalla finestra dell'orfanotrofio di cui si sente prigioniera, pensa alla fuga, a sua madre, e a suo padre di cui non sa quasi niente, se non che ha regalato un ciondolo con una pietra di giada a sua madre, quindici anni prima.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Il secondo viaggio fu decisamente più breve e meno divertente del primo. C’era più lavoro da fare, e, sebbene Ethel non fosse per sua natura troppo schizzinosa, a volte l’acqua con cui doveva lavare la nave aveva un odore tale che le faceva venire i conati di vomito.
Fortunatamente Tortuga non era troppo distante, e la traversata fu questione di pochi giorni.
Quando Ethel vide per la prima volta Tortuga rimase allibita. Sembrava che l’atmosfera della locanda dove aveva chiesto informazioni si fosse propagata per tutta quella miserabile isola. Perché miserabile lo era senza ombra di dubbio, e Ethel, mentre girava per le strade piene di gente che trovava terribilmente volgari, si sentiva davvero a disagio.
Quel viaggio breve ma intenso le aveva tolto ogni forza, l’aveva lasciata spossata. Aveva bisogno di riposarsi, ma non aveva idea di dove andare, e sicuramente non si fidava a dormire all’aperto, come sembrava fare invece molta gente.
Non aveva idea di come risolvere la questione. Cominciò a girovagare a caso, senza chiedere a nessuno né entrando da nessuna parte. Era ormai il tramonto quando entrò in una locanda con un’aria più rispettabile delle precedenti, e chiese una stanza.
-Ce li hai, i soldi, ragazzino? – le chiese una signora vecchia e raggrinzita dietro un bancone lurido.
-Sì… - rispose titubante Ethel.
La donna la scrutò con sospetto, ma alla fine le diede una stanza con fare riluttante.
Ethel salì nella stanza che le aveva indicato la signora, e trovò un letto mezzo scassato con le coperte che puzzavano di muffa in una camera disadorna. Non gliene importava niente. Si gettò sul letto e si addormentò immediatamente, esausta.
Il mattino dopo si svegliò con un raggio di sole che le batteva di fianco al viso.
Sbadigliò alcune volte prima di sedersi. Aveva fame. La sera prima non aveva mangiato niente. Fu soprattutto questo a convincerla ad alzarsi. Nascose di nuovo i capelli sotto il cappello, e finalmente uscì. Scese al piano di sotto e mentre mangiava del pane decise che era il momento di chiedere a qualcuno. Si avvicinò alla donna che le aveva dato la stanza la sera prima.
-Potete dirmi dove posso trovare Jack Sparrow? – chiese, rendendosi conto di essere stata forse troppo gentile.
-Al momento non è qui. –
-E quando dovrebbe venire? –
-Non lo sa nessuno, quell’uomo è troppo strano e imprevedibile. Perché ti interessa? –
-Oh… - Ethel pensò a quello che le aveva gridato l’uomo all’altra taverna, qualche sera prima –mi deve dei soldi. –
-A proposito di soldi. Devi pagare la stanza e la colazione. – Ethel pagò, poi uscì dalla locanda per tornare nelle vie di Tortuga.
Di giorno era ancora più squallida. Molta della miseria e della sporcizia non si vedevano col buio, e Ethel pensò che uno doveva essere davvero disperato per cercare lì la soluzione dei propri problemi. ‘Io sto cercando qui la soluzione dei miei problemi’ si rese conto un attimo dopo, scioccata.
Il lato positivo era che c’era meno gente in giro. Si avviò al molo, sperando di vedere arrivare una nave, ma così non fu.
C’erano alcuni marinai seduti a terra intenti a tracannare rum.
-Quando passerà Sparrow? – gli chiese, pensando disperatamente che non era possibile che nessuno sapesse quando sarebbe venuto.
-Non lo sappiamo, ragazzino, ma chiedi a quello laggiù, lui in genere sa sempre tutto. –
Rispose uno dei marinai accennando col mento a un uomo che ronfava beatamente sotto una tettoia. Russava molto rumorosamente.
Ethel era un po’ indecisa, avrebbe voluto svegliarlo, ma aveva paura che questi si arrabbiasse e non le dicesse niente. Stava per chiamarlo quando lui si svegliò da solo di soprassalto, con lo sguardo perso e le guance rosse per il troppo rum.
-Quando verrà qui Jack Sparrow? – chiese, prima che si riaddormentasse.
Lui la guardò confuso, come se facesse fatica a metterla a fuoco.
-Sparrow… quello che vuole sempre essere chiamato ‘capitano’? –
-Ehm… credo di sì… - rispose più incerta Ethel.
-Allora… oggi è… che giorno è? Ah sì, è il quattro… direi tra circa un mese. Trentadue giorni, per l’esattezza. –
-Cosa? Un mese? Ma sei sicuro? –
-Non ho mai sbagliato, io… - e con questo si riaddormentò. Ethel rimase imbambolata per un attimo.
-C’è sempre una prima volta – lo informò, più per dare coraggio a sé stessa, in realtà, dato che l’altro stava già riprendendo a russare.
Ethel andò al molo e si sedette lasciando le gambe a penzoloni. Un mese… decisamente troppo tempo. Eppure non aveva altre soluzioni. ‘Ho aspettato due anni, cosa vuoi che sia un mese? ’ continuava a chiedersi, eppure era certa che sarebbe stato il mese più lungo della sua vita. Controllò i soldi. Se tornava in quella locanda, ne avrebbe avuti abbastanza per una settimana circa, compresi i pasti. Aveva già pagato pranzo e cena per quel giorno.
‘Devo trovare un posto più economico. ’

 

Erano passate quattro settimane dall’arrivo di Ethel a Tortuga. Ventotto giorni. Ancora quattro, e Jack sarebbe arrivato. Ethel aveva trovato una specie di albergo molto più modesto, ma i soldi non le sarebbero bastati comunque, così aveva ripreso i panni di Ethel abbandonando Andrew, e si era messa a fare la cameriera in un pub meno frequentato rispetto ai primi che aveva visto. Era più tranquillo, e praticamente serviva ai tavoli solo rum.
Durante l’orario di lavoro aveva sentito due uomini parlare di Jack, e con la scusa di pulire il pavimento aveva ascoltato tutta la conversazione.
-Ma non era morto? Si diceva che fosse stato mangiato dal Kraken… - A quelle parole Ethel si era sentita gelare e si era morsa le labbra quasi a sangue.
-Anch’io lo credevo, ma se ti dico che c’era a combattere contro la Compagnia mi devi credere… -
-Ha! Come no! Sparrow che combatte? Lo vedo più come uno da fuga, hai presente? –
-Sì, però io c’ero, e ti dico che ha preso parte alla guerra, anzi, la Perla Nera era addirittura l’ammiraglia! –
-Ma non era stata mangiata dal kraken anche quella? –
-Ti ho detto di no! Qualcuno però gliel’ha rubata… e lui la sta cercando… come al solito! – entrambi gli uomini cominciarono a sghignazzare.
A quel punto Ethel si era accorta che il pezzo di pavimento che stava pulendo era fin troppo pulito, e che se avesse continuato avrebbe destato sospetti, così si era dovuta allontanare, a malincuore.
Almeno sapeva il nome della nave di suo padre. Perla Nera.
I quattro giorni residui Ethel li passò col cuore in gola, smettendo di andare a lavorare, tanto di soldi ne aveva abbastanza. Stava ore a rimuginare su cosa avrebbe dovuto dire e come, ma non le veniva in mente niente. Quei quattro giorni furono anche troppo veloci. La sera prima Ethel andò a dormire col cuore che le martellava nel petto, sempre che non fosse in gola. Ovviamente ‘a dormire’ per modo di dire. Non chiuse occhio fino alle tre del mattino.
Ethel si svegliò e per un attimo fu tranquilla, ma subito dopo l’ansia e l’eccitazione le invasero il cuore. Si alzò e si vestì, rigorosamente da maschio, ma lasciò i capelli sciolti e il cappello tirato in alto in modo che le si vedesse bene il viso. Prese lo zaino e andò al porto, dimenticando perfino di pagare. Non importava, aveva lasciato così tante cose nella stanza, potevano rifarsi con quelle, quando avrebbero capito che non sarebbe tornata. Al porto subì un’atroce delusione. La Perla Nera non c’era. Si sedette e aspettò. E aspettò. E aspettò. Finalmente, verso sera, un puntino nero fece capolino all’orizzonte. Non appena lo vide Ethel scattò in piedi. Lo fissò finché non riuscì a distinguere una nave, poi ogni albero, ogni vela, le ancore e perfino i cannoni. Era tutta nera. Non poteva essere che quella. Finalmente la nave entrò in porto. Un uomo, alto e con un occhio di legno, scese e assicurò le cime. Pian piano scese tutta la ciurma. Erano pochi e malmessi. Ultimo scese un personaggio davvero bizzarro. Dal modo in cui si comportava poteva essere solo il capitano. Il capitano Jack Sparrow. Suo padre. Finalmente. Scendendo lui non la vide, era impegnato a raccontare qualcosa gesticolando freneticamente a un uomo con le basette, che sembrava più sopportare che comprendere. Ma Ethel guardava solo suo papà. Sembrava un uomo molto strano, coi capelli lunghi rasta intervallati da treccine e perline. Pareva avere una bandana rossa, ma c’era buio e poi sopra indossava un tricorno, per cui Ethel non ne era troppo sicura. Quello di cui era certa era che aveva dei denti d’oro, due treccine nella barba e gli occhi truccati. Ma la cosa che lo rendeva più strano era il modo di muoversi: teneva le braccia quasi sempre per aria, e camminava dondolando, quasi fosse ubriaco.
Ethel lo seguì, lui e l’uomo con le basette, mentre la ciurma si disperdeva. Erano chiaramente diretti a una locanda. Si sedettero a un tavolo.
-Ma che fanno? – chiese Ethel a nessuno in particolare.
-Arruolano una ciurma, no? – le rispose un uomo decisamente ubriaco, che subito dopo si mise a rincorrere una donna. Ethel si voltò di nuovo e vide che in effetti stavano già parlando con un ragazzo che non poteva avere molti più anni di lei.
Automaticamente, senza pensare, si avvicinò al tavolo da cui il ragazzo si era appena allontanato contento perché era stato preso.
-Capitan Jack Sparrow? – chiese.
-Sono io – rispose Jack sorridendo –vedi Gibbs? Lei si ricorda di chiamarmi capitano! Perché gli altri no? –
Gibbs non rispose nemmeno.
-Cosa vuoi, ragazzina? – le chiese Jack.
-Voglio arruolarmi. –
Per un attimo nessuno parlò.
-Sei troppo giovane. E poi non prendo donne nella ciurma. Comprendi? –
-Quindi vuoi farmi credere di non aver mai navigato con una donna? –
-Certo – rispose Jack, ma il modo in cui Gibbs lo guardò a quell’affermazione valeva più di mille parole.
-Quanti anni avevi quando hai cominciato a navigare, capitano? – chiese poi.
-Io… tu quanti ne hai? –
-L’ho chiesto prima io. –
-Perché vorresti far parte della mia ciurma? – chiese Jack cambiando discorso.
-Ho le mie buone ragioni. –
-Che sarebbero? –
Ethel esitò.
-Ehm… so tirare di spada, e sono veloce a trovare una rotta. –
-Nient’altro? – Ethel cominciò a sudare freddo: era il momento della verità.
-In realtà sì… ma preferirei parlarti da sola. –
Jack sospirò e scacciò Gibbs scuotendo le mani. Ethel era ancora dubbiosa, così si alzarono e andarono nello scantinato dove tenevano il rum, e mentre Jack cercava di stappare una bottiglia, Ethel non sapeva che pesci prendere. Come doveva approcciarsi? Era meglio parlare prima di sua madre? Decisamente sì. Si stava preparando un discorso nella mente quando Jack la richiamò.
-Cosa dovevi dirmi? – chiese, bevendo a collo dalla bottiglia di rum che aveva finalmente stappato.
-Sono tua figlia. – mezzo secondo dopo averlo detto, Ethel desiderò non averlo fatto. Doveva essere più delicata!
Jack sputò il rum, cosa che secondo Ethel non era mai avvenuta a memoria d’uomo, e la fissò per un attimo, sconcertato.
Poi sorrise.
-Potevi inventarti qualcosa di meglio per farti prendere a bordo. –
Ethel divenne rossa di rabbia.
-E’ vero! – gridò –E’ vero, sono venuta qua da Londra, ti ho aspettato per un mese, ho passato due anni in orfanotrofio da quando mia mamma è morta, ti trovo e tu non mi credi?! – gli urlò contro.
-Certo che te la sei preparata bene, ma non ci casco. Ho bisogno di qualcosa che provi che tu non stia mentendo, senza le prove non sono sicuro che tu stia dicendo la verità, come potrei altrimenti io capire che tu non stai mentendo, non avendo le suddette prove, che mi dimostrerebbero la tua sincerità? Comprendi? – chiese, facendo andare in confusione la mente di Ethel.
Cosa aveva detto? Mentre cercava di sbrogliare quell’intrico di parole notò l’espressione di Jack, che era stranamente ansiosa.
-Mia mamma si chiamava Emma –
-Ho conosciuto un mucchio di donne di nome Emma, gioia. – le rispose il capitano.
-Benissimo – disse Ethel. Si strappò di dosso ciondolo e glielo scagliò addosso, gridando con voce acuta –eccola, la tua prova! –
Poi si voltò e scappò dal pub, corse finché non trovò la modesta locanda dove alloggiava, salì e entrò nella stanza, che dato che non aveva pagato e non aveva detto che se ne sarebbe andata, era ancora sua. Tutto era identico al mattino. Ovvio, perché sarebbe dovuta cambiare? Ma che tutto fosse uguale le era inconcepibile. Erano successe tante di quelle cose! Si sedette sul bordo del letto, troppo delusa anche per piangere. ‘E ora? ’ una domanda che l’assillava da quando era uscita dal pub. Cos’avrebbe fatto? Si distese sul letto e finalmente iniziò a piangere.

 

Intanto, nella cantina del pub, Jack non era più sicuro di nulla. Fissò per un attimo il punto in cui la chioma della ragazzina bionda era scomparsa, poi decise di vedere cosa gli aveva lanciato addosso. Si chinò e cercò a tentoni nel buio finché non trovò qualcosa. Lo sollevò e lo portò vicino a una lampada ad olio, anche se aveva già capito fin troppo bene di cosa si trattava. Fissò il ciondolo che lui stesso aveva regalato ad Emma tanti anni prima su una spiaggia. Ma se aveva il ciondolo, quella ragazzina era davvero…?
E poi cos’aveva detto? ‘Ho passato due anni in orfanotrofio dopo che mia mamma è morta. ’
Jack cercò di calmarsi, ma non era affatto facile. Ora che sapeva, doveva assolutamente ritrovare quella ragazzina… pazzesco, non sapeva nemmeno il nome di sua figlia. Mentre le pensava, quelle parole lo sconvolsero. Ma ora l’importante era ritrovarla. Uscì dalla cantina.
-Mastro Gibbs? –
-Sì, capitano? – chiese il fedele Gibbs, sbucando magicamente dalla folla.
-Hai visto dov’è andata la ragazzina? –
-Perché, se ne è andata? -  chiese Gibbs spaesato.
-Sì, se n’è andata, e faremo meglio a ritrovarla! –
-Ma… capitano… la ciurma… -
-La ciurma può aspettare! Ho cose più importanti per la testa, ora, Gibbs! – urlò, e così dicendo uscì dal pub, naturalmente senza pagare, con Gibbs che cercava di stargli dietro.
-Gibbs, se tu fossi una ragazzina sola a Tortuga, dove andresti per dormire? –
-Non lo so… in una locanda? –
-In quale? –
-Una… poco costosa? – tentò di nuovo Gibbs. Non sapeva perché, ma quella tipa aveva sconvolto parecchio il capitano… chissà cosa gli aveva detto?

Passarono la notte a setacciare locande. Erano quasi le tre del mattino quando finalmente una donna arcigna disse che c’era qualcuno che corrispondeva alla descrizione.
-Seguitemi – disse infine.
-Tu aspettami qua – disse Jack a Gibbs, poi iniziò a salire le scale dietro la donna.
Arrivarono a una porta, e la donna bussò senza troppa gentilezza sul legno.
-Ehi, tu svegliati – disse entrando e scuotendo Ethel per una spalla. –Hai visite. –

Ethel si sentì scuotere e si svegliò di colpo. Era perfettamente lucida, come se non si fosse mai addormentata.
-Hai visite – disse la donna. Poi uscì.
Ethel fissò la porta. Sull’uscio c’era Jack Sparrow.
-Allora, hai finito di dormire? Sulla Perla Nera c’è una cabina che ti aspetta, Miss… Sparrow – le disse lui serissimo.
-Ethel – lo corresse lei. – Ethel Sparrow –

-----------Ohi! Mio spazio! ----------------------------------------------------------------------

Ciao a tutti!
Sono finalmente riuscita a finire questo secondo capitolo, che è venuto più lungo di quanto volessi, ma non volevo dividerlo e non capivo cosa potevo tagliare. Devo dire che il primo l’ho scritto di getto, mentre questo è stato più complicato. Non mi arrivava l’ispirazione.
Comunque volevo solo dirvi di fare finta, mentre leggerete questa storia, che il quarto film e SOPRATTUTTO Angelica non siano mai esistiti. Non perché mi stia antipatica, poverina, ma per ragioni letterarie (sì, lo so, dicono tutti così… XD).
Lo so, ho cambiato un po’ di cose, ma mi servivano per la storia… (giustificazione scadente)
Non so se sono riuscita a rendere bene il personaggio di Jack. Se c’è qualcosa che non vi quadra, non abbiate paura di dirmelo.
Non so quando riuscirò ad aggiornare, spero che recensiate numerosi, intanto ciao a tutti, ciurma!
Capitan Taitou <3
 
   
 
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