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Autore: gaccia    15/10/2014    9 recensioni
Avete presente Obelix? Sì, quel baffuto panzone gallico dalla forza irresistibile che era caduto nel pentolone della pozione magica di Panoramix? Ho sempre creduto che fosse una gran boiata. Farsi un bagno nella pentola e puf! Sei fortissimo e non ti passa più.
Anche io sono caduta in un pentolone da mago, o qualcosa del genere. Solo che non era piena di pozione magica per la forza sovraumana (per lo meno non sono diventata verde come Hulk) ma era piena di feromoni che mi hanno fatto diventare una specie di insegna al neon che attira sessualmente tutti i maschi che si trovano nel raggio di un metro dal mio corpo.
Voi direte che sono fortunata, ma provate a essere nei miei panni, a scuola, in mezzo a una manica di pervertiti… immaginate cosa potrebbe capitare?
STORIA INTERATTIVA!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Ciao a tutti!

Eccomi di nuovo qui, con una storia molto particolare.

Come avete letto, qui abbiamo una ragazza che, dopo una doccia di feromoni, diventa una calamita per chiunque si trovi a meno di un metro da lei. Questo scatenerà situazioni paradossali al limite dell’assurdo.

 

Come annunciato, questa sarà una storia interattiva, dove sarete voi a suggerire avvenimenti, indicazioni, nomi e altro che man mano vi chiederò.

Non inserirò i nick nella storia come ho fatto con ‘Offresi verginello’ o ‘Fidanzato in prova’ ma, nelle note finali, cercherò di ricordare tutti per la collaborazione.

 

E ora… BUONA LETTURA!

 

 

---ooO§Ooo---

 

Prologo? No, tragedia!

 

Tutti i bambini adorano giocare al piccolo chimico.

Poi, dopo aver bruciato le sopracciglia, danneggiato i vestiti, tentato di far esplodere la casa, ammorbato ogni essere vivente nel raggio di un chilometro con un puzzo che oscilla tra la fogna e direttamente una fossa settica, i genitori si ravvedono e cercano di indirizzare i loro virgulti ad attività più consone.

Che abbia dubbi nella salute mentale dei miei nonni è dimostrato da questo fatto: loro erano felicissimi di vedere distrutti abiti e mobilio per lasciar esprimere le potenzialità della loro dolce figliuola Genziana (nome dolce… donna? Caliamo un pietoso velo).

Sì, mia madre è un genio della chimica. Cresciuta a provette e fornelletti.

Se fossimo stati nel sedicesimo secolo, l’avrebbero bruciata sul rogo come strega, oggi rischia di vincere il nobel. Ovviamente poteva restare sola in questa passione? Certo che no! A vincere il nobel dovranno essere in due, equamente meritevoli: i coniugi Rizzo, nella fattispecie, i miei genitori.

 

Avete presente quegli scienziati pazzi, quelli con i capelli schizzati e i camici onnipresenti? Quelli che portano gli occhiali spessi come fondi di damigiane? Ecco, i miei genitori sono così. Peccato che gli stessi capelli schizzati e gli stessi occhiali spessi me li abbiano pure passati. Del resto, dai genitori prendiamo tutte le peggiori qualità, no? Questo almeno è quello che penso quando mi guardo allo specchio. Trovarsi bella… un’utopia, semplicemente.

Visto il contesto famigliare, mi sono rifiutata di dedicarmi alla chimica, pur avendo una naturale predisposizione, ed ho deciso di studiare informatica. La cosa non mi esalta, ma se riesco a stare lontano dalle provette onnipresenti nella mia vita, è già tutto di guadagnato.

 

Naturalmente, possono i miei genitori rassegnarsi al fatto che la loro unica figlia non segua le orme di famiglia? Certo che no!

Quindi mi obbligano a frequentare il loro laboratorio come volontaria, in cambio di una misera paghetta settimanale (non sarebbe un diritto insindacabile per gli adolescenti? Ho diciassette anni, perdinci! Un po’ di autonomia!).

Comunque, due pomeriggi la settimana, passo al laboratorio della ditta Xiol-fan e aiuto a sterilizzare le provette e a etichettare tutto quello che deve essere annotato. Più che un piccolo chimico, oscillo tra una donna delle pulizie e una segretaria.

Ho scoperto che i miei genitori stanno lavorando da quasi tre anni a un progetto finanziato da una multinazionale sui feromoni sia umani che animali. Stanno facendo degli intrugli talmente impossibili e puzzolenti che più che uno studio chimico, mi sembra una pozione di magia nera. Nefasta! Hocus Pocus! Vade retro satana!

 

Anno Domini 2014.  05 febbraio 2014, mercoledì.

Una data che resterà nella storia, per lo meno la mia.

«Tesoro», mia madre mi chiama sempre così, secondo me è per evitare di sbagliare nome. Non che abbia sorelle con le quali confondersi, ma dopo essere stata apostrofata come Lucia (la sua assistente), Anna (la sua segretaria) e Caterina (l’assistente di papà), e dopo essersi scontrata con la mia ovvia offesa, ha virato sui teneri soprannomi tipo ‘tesoro’, ‘amore’, ‘ninu’ (?!?). ‘cucciolo’, ‘pulcino’ e altri odiosi e pulciosi animaletti.

«Tesoro, vai a pulire nella stanza 13. Ci sono delle provette sul primo tavolo, quelle lasciale stare». Già solo il numero avrebbe dovuto far scattare l’allarme nella mia testa, ma visto che non ero superstiziosa e ci ero entrata più volte, non mi preoccupai più di tanto.

Andai a raccogliere lo scopettone e mi bardai con camice, guanti in lattice e mascherina (armatura modello base) e, naturalmente, i-pod nelle orecchie.

Spalancai la porta del laboratorio e mi accinsi ad entrare, quando mi voltai spaventata dall’urlo di Lucia che correva spaventata lungo il corridoio, tenendo davanti a sé una ampolla con un liquido bluastro e fumante. «Pista! Toglietevi!».

Questa povera donna doveva aver avuto degli antenati tedeschi, o almeno era quello che mi veniva in mente quando la vedevo avanzare come un Panzer, biondissima, grassissima e con un accento trentino che somigliava tanto a quello usato agli sciatori della nazionale.

All’ennesima ‘Pista!’ mi sentii scaraventare all’interno della stanza, mentre nel corridoio rimbombava uno ‘Scusa!’ molto sentito.

Purtroppo ero talmente sbilanciata che ruzzolai contro il primo tavolo (quello che non dovevo toccare, per intenderci). Il colpo fu talmente forte che mi tenni al tavolo, ma questo si sollevò mandandomi gambe all’aria e una pioggia di soluzioni più o meno dense e colorate a farmi da doccia. I vetri piovvero intorno a me, infrangendosi al suolo e schizzando per tutto il pavimento.

Tentai di rialzarmi, ma il viscidume mi fece ricadere e una scheggia di vetro tagliò il guanto e mi penetrò nel palmo della mano. Sentivo il dolore sordo e fastidioso, ma non era il momento di fermarsi, dovevo uscire da lì e farmi una doccia.

Nelle mie orecchie, Tiziano Ferro cantava ignaro di quello che era appena successo.

«Tesoro, tutto bene?» chiese mia madre raggiungendomi a causa del gran fracasso.

«Oh cielo! Cosa è successo qui dentro?» aggiunse non appena mi vide immersa nel suo lavoro.

«Lucia mi ha spinto e non sono riuscita a fermarmi… mi spiace, mamma. Ho fatto un disastro» mormorai contrita. Era inutile dare la colpa agli altri, non ero stata attenta e quello che era andato distrutto poteva essere importante.

 

Mia madre sospirò affranta. «Non ti preoccupare, riusciremo a recuperare, anche se abbiamo perso il lavoro di due mesi» disse indicando il pavimento.

«Forza, cucciolo, vai a casa e datti una bella lavata, noi ci occuperemo dei danni qui dentro» e con questo venni congedata.

 

La doccia fu la cosa più gradita di quel giorno, il taglio che avevo sulla mano, decisamente meno. Il palmo mi pulsava ed era leggermente rosso e gonfio. Una bella disinfettata era quello che mi ci voleva.

Quella sera mi coricai tranquilla, con la mano fasciata e il pensiero che avrei saltato il servizio al laboratorio per almeno due settimane con la scusa della ferita.

 

Ore 06:30 mattino. Sveglia.

Giovedì 06 febbraio 2014. Okay, è ora di alzarsi per andare a scuola, in quella manica di matti.

In bagno mi tolsi la fasciatura dalla mano e la trovai decisamente migliorata, un cerotto sarebbe bastato.

Colazione, vestizione, trucco, parrucco e uscita nel giro di quaranta minuti. Il pullman sarebbe passato tra esattamente undici minuti e mi apprestai ad attendere sotto la pensilina. Non pioveva ma c’era nell’aria quella umidità fastidiosa che ti si appiccica addosso.

Stranamente gli occhiali mi davano fastidio e cercai di pulire le lenti più volte prima di accorgermi che ci vedevo meglio senza. Lo sbigottimento era d’obbligo! Potevo gridare al miracolo, portavo gli occhiali da quando avevo sei anni, avevo anche la gobbetta sul naso a causa dell’appoggio e adesso, dopo quasi dodici anni di sofferenze, potevo ritirare le protesi oculari!

Mi misi a ridere felice, prima di appuntarmi mentalmente di richiedere una visita all’oculista. Magari era solo un momento e poi sarebbe tornato tutto come prima.

Nel dubbio, il pizzicotto che mi diedi al braccio, mi confortò sul fatto che ero sveglia.

 

In quel momento si affiancò a me un tizio che vedevo tutte le mattine sul bus, in compagnia della sua ragazza. Erano una bella coppia, probabilmente universitari, visti i libri che si portavano sempre dietro. Erano carini lui biondo e lei bruna con gli occhi chiari e un bel fisico.

Non ci eravamo mai parlati e della cosa non mi importava niente.

 

Ad un tratto mi sentii chiamata. «Ehi, piccola. Visto che prendiamo sempre lo stesso bus al mattino, ti va di andare a prendere un caffè insieme? Sei carina ed hai un buon profumo» mi disse il ragazzo guardandomi fisso negli occhi.

Era una mia impressione o aveva lo sguardo da ebete.

La mia perplessità durò meno di un secondo, perché subito dopo la sua dolce metà gli aveva già tirato un potente coppino. «Cosa vuol dire questo? Sei scemo? Proprio davanti a me fai il cascamorto?» e detto questo si precipitò avanti sul marciapiede lasciando perplessi tutti e due.

La cosa strana è che lui continuava a guardarmi, finché non gli dissi «Allora? Sei davvero scemo? Ma seguila!» e lo spinsi dietro la figura della sua ragazza che si stava allontanando.

Ero scioccata. Era la prima volta che quel ragazzo guardava qualcun’altra. Era sempre stato il tipo da ‘bacio la terra dove cammina la mia donna’.

Non appena fece due passi, scosse la testa come se fosse uscito da una strana trance e iniziò a correre dietro la brunetta «Sofia! Sofia, ti prego, aspetta!». Avrebbe dovuto strisciare parecchio prima di ottenere il perdono.

Io feci spallucce e mi apprestai a salire sul bus che era appena arrivato.

Chissà cos’altro sarebbe successo oggi.

 

Purtroppo per me, non ne avevo la più pallida idea, altrimenti non sarei mai uscita di casa.

 

---ooO§Ooo---

Angolino mio:

Siamo alla fine del prologo. I capitoli non avranno una lunghezza costante, dipenderà da quello che ci sarà da scrivere…

Abbiamo una protagonista che si è fatta una doccia con dei feromoni. Nei successivi capitoli si approfondirà quello che le è successo e si capirà meglio quali siano state le conseguenze.

 

Se avete notato non c’è il nome della protagonista, solo il cognome. Ecco a voi, dunque, il primo suggerimento: che nome diamo alla protagonista?

 

Secondo punto: pensate a una scena da far capitare a scuola. Cosa potrebbe succedere? Ricordate che lei non ha ancora capito cosa le è successo.

 

Adesso aspetto le vostre impressioni e i vostri suggerimenti.

Il prossimo capitolo ho intenzione di postarlo tra quindici giorni, in modo da aver il tempo di assimilare i vostri suggerimenti e poterli scrivere.

 

Alla prossima

Baciotti

 

 

  
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