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Autore: Alchbel    17/10/2014    0 recensioni
«Dovresti essere entusiasta di queste nozze, figlio mio».
«Lo sono, madre. Dico davvero», si affrettò a rispondere.
«Ma…?».
Nick odiava il modo strabiliante con cui la regina lo conosceva: sapeva che con lei non avrebbero mai potuto esserci segreti – era impossibile ingannarla.
«Ma non dovrei prima conoscerla? Insomma, passare giornate con lei ed innamorarmene lentamente fino a non poter più stare lontano da lei?».
L’elfo lo guardò, lesse in quegli occhi nocciola un’aspettativa ed un desiderio di sogni che lei conosceva da sempre e che non aveva il coraggio di infrangere. Come dirgli che quello che chiedeva era concesso a tutti fuorché al principe degli Elfi di Fonte? Come spiegargli che quest’unione era troppo importante per basarsi su desideri e sentimenti? Gli sorrise, leggera, forse un po’ triste, con quel bel sorriso che hanno le figure millenarie.
«Certo, figlio mio, ma questo potrebbe accadere nella settimana che la principessa Lyan sarà qui».
«Ho idea che ci voglia più di una settimana, madre», sussurrò Nick.
«O potrebbero volerci solo pochi istanti…», gli promise.
AU fantasy | Angst | Molto angst.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Nick/Jeff, Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“…hanno fini violente”.

 

 

«Riuscite a camminare?».

Il principe passa un braccio in torno alla vita della guardia reale e tenta di farlo alzare con meno sforzo possibile. Sebastian mugugna di dolore, ma riesce a stare sulle proprie gambe – è il braccio a preoccuparlo, sta perdendo troppo sangue e sverrà presto se non riesce a fermarlo.

«Mi servirebbe...», il respiro è pesante, ha bisogno di prendere fiato troppo spesso e la vista è ormai sfocata «Qualcosa per... il braccio...».

Jeff guarda la ferita e comprende subito quando sia grave – ne ha viste tante in battaglia e sa che non c'è tempo da prendere. Dà a Sebastian una lancia su cui mantenersi e sganciandosi l'armatura, strappa parte del tessuto che gli copre il petto per poi fasciare stretto il braccio. La guardia grida dal dolore, stringendo gli occhi e mordendosi le labbra e Jeff lo prende sotto braccio perché non si accasci a terra.

«Forza, dobbiamo muoverci», lo incita, ma Sebastian è come un peso morto, non si sposta.

«Lasciatemi qui, Maestà. Andate dal mio principe... o tutto quello che-».

«Smettetela! Dobbiamo arrivare anche da Thad, no? E che cosa potrei dirgli se vi lascio qui?».

Sebastian s'aggrappa con forza al principe, il pensiero del suo compagno gli dà nuova forza e nonostante il braccio gli faccia male da morire, stringe i denti e si incammina.

 

Jeff chiuse la porta alle sue spalle e vi si accasciò contro. Respirava a fatica, il petto sembrava scoppiargli e gli occhi erano improvvisamente pieni di lacrime. Che cosa gli stava succedendo? Perché s'era fatto trasportare, corrompere in quel modo? Nascose il volto fra le mani, disperato. Voleva smettere di provare, sentire qualunque cosa stesse sentendo; voleva solo tornare ad essere il principe di una volta, quello che non aveva mai messo piede nella corte degli Elfi di Fonte, che non faceva altro che disprezzarli da lontano senza conoscerli.

Voleva tornare ad essere il Jeff che non s'era mai innamorato, che trovava anzi l'amore stupido e banale, superfluo. Non voleva essere l'elfo idiota a cui batteva il cuore in modo irrazionale ogni volta che lo sposo di sua sorella gli passava accanto, quello stupido che s'era lasciato abbindolare da belle parole e sorrisi affettuosi e che non aveva potuto resistere a qualcosa che non aveva nulla di perfetto ma era bellissimo.

Perché Nick era così: aveva talmente poche cose di perfetto, di elfo silvano, da farlo apparire ancora più bello. E come avrebbe potuto non innamorarsi di lui dal primo momento che l'aveva visto? Da quando aveva varcato la soglia di quel luminoso palazzo non aveva più avuto scampo. Aveva lentamente perso il controllo di se stesso e di ciò che lo circondava fino a trovarsi in una situazione del genere senza neanche rendersene conto.

Ma non avrebbe dovuto, non era quello il suo ruolo nella storia. I suoi genitori avevano pianificato quel matrimonio da tempo e sua sorella era riuscita ad innamorarsi di chi doveva solo sposare: perché adesso doveva rovinare tutto lui con il suo inopportuno amore? Che cosa c'entrava lui in un quadro tanto facile da dipingere – in una scultura di così semplice forma?

Dimenticare. Lui doveva solo dimenticare quello che era stato e passare avanti. Sarebbero andati via fra pochi giorni, subito dopo le nozze: gli sarebbe bastato arrivare fino a quel giorno e poi tutto sarebbe stato solo un sogno. Un bellissimo, impossibile sogno. E lui sarebbe tornato ad essere il Jeff di sempre e non avrebbe mai più visto Nicholas in vita sua. Mai più.

Jeff si asciugò con forza le lacrime, facendosi quasi male e si alzò da terra simulando una forza che ormai non aveva più e che solo il dovere, solo ciò che era giusto provava ad ispirargli. E proprio in quel momento, proprio mentre il principe cercava di rimettere insieme i pezzi del suo cuore un colpo li buttò a terra. Avrebbe potuto paragonarlo ad un grosso macigno, di quelli che le catapulte lanciavano durante gli assalti per abbattere le fortificazioni.

Ma fu solo il lieve bussare di una mano alla sua porta. E una voce. La sua voce.

«So che siete qui, principe Jeff... vi prego, voglio solo parlarvi...».

Oh, Jeff avrebbe dovuto saperlo che a quella voce non era già più capace di resistere, ma provò a fare violenza su se stesso e non rispose, sperando che l'altro si stancasse ed andasse via, che lasciasse perdere. Ma Nick non era abituato a lasciar perdere, aveva capito anche questo.

«Vi prego», sussurrò di nuovo il principe, appoggiandosi alla porta con entrambe le braccia e la fronte – ed avrebbe voluto abbatterlo quell'ostacolo, farsi strada con la forza finché non avesse visto di nuovo gli occhi chiari di Jeff, ma a cosa sarebbe servito poi? No, la violenza non si addiceva a quell'elfo silvano, per quanto provasse a mostrare l'opposto.

«Il nostro bacio», riprese a parlare, la voce bassa perché sapeva bene che lo stava ascoltando, vicinissimo «Forse è stato improvviso ed inaspettato... ma andava bene. Non eravate il solo a volerlo ed io... Oh, io non potevo sperare che lo voleste, credevo di essere il solo a-».

La mente di Nick stava vagando, volava come sospesa su un alta nuvola e riviveva le sensazioni che quel bacio gli aveva donato, la perfezione di quel momento, come se volesse impararle a memoria, imprimerle sulla pelle come cicatrici di battaglia – lui che in battaglia non c'era mai stato. Ma ciò che si impresse e lasciò cicatrici fu il modo brusco in cui quelle fantasie furono interrotte.

La porta si aprì d'improvviso, così inaspettata che l'elfo quasi cadde addosso all'altro. Nick si scontrò con gli occhi furiosi di Jeff e se gli avessero chiesto come fosse ricevere una pugnalata al petto, pur non avendone esperienza, avrebbe detto che sapeva in quel modo: degli occhi di Jeff che lo guardavano carichi di odio.

«Non andava bene», soffiò freddo come Nick non l'aveva mai sentito «Ci sono decine di ragioni per cui non andava bene e prima fra tutte perché siete il promesso sposo di mia sorella ed io non potrei mai farle questo, né voi dovreste!».

Per Jeff era stato facile dire quelle parole, perché lo pensava davvero. Pensava davvero che non avrebbero dovuto per amore di Lyan, che sua sorella non lo meritasse, che le cose fossero già scritte e non sarebbe stato giusto per nessuno cambiarle. Quello che risultò difficile, quasi impossibile fu guardare Nicholas negli occhi mentre lo diceva, vedere come ogni sua gioia si sgretolasse lentamente a causa di quelle parole e la luce si spegnesse un po' in lui.  

Cercò di ripetersi che era per il bene di tutti, che il principe – e lui stesso – se ne sarebbe fatto una ragione e sarebbe andato avanti. Era stato solo un bacio e ad un bacio si può sopravvivere, non è una freccia piantata nella schiena.

«Avete ragione» e Jeff credette di aver sentito male – qualcosa si mosse in lui, fu una brutta sensazione. Era... deluso? «Non andava bene. Non va bene. Ma non posso prendere tutto questo, metterlo in un cassetto e dimenticarlo. Perché credo di essere innamorato di voi».

Il silvano boccheggiò. Come si sopravvive all'amore? Lo prese una fitta al petto, qualcosa di straziante ed insopportabile: dieci frecce nella peggiore delle battaglie che aveva affrontato non avrebbero eguagliato quello che sentiva.

«Smettetela» sibilò nello stesso modo in cui si uccide qualcosa di orrendo e di cui si ha paura – velocemente e senza raziocino «Smettetela di dire assurdità».

«Assurdità...». La voce di Nick era appena un sussurro, spezzato. Jeff si impose di resistere ancora un po', perché presto quella conversazione sarebbe finita e Nicholas non gli avrebbe mai più rivolto la parola.  «Guardatemi negli occhi e ditemi che ho sbagliato tutto, che ho capito male e voi... voi non-».

«Io cosa? Cosa?!». Era il ringhio di un animale ferito che cerca di non farsi ammazzarsi.

«Che vi ho costretto. Che non avreste voluto. Ditemi che sono stato il solo!».

«Io...». Se avesse potuto Jeff si sarebbe preso a schiaffi. Balbettava. Balbettava come un elfo ancora bambino, lui che era l'erede al trono della sua stirpe, e tremava forse? Dèi del cielo, stava tremando! E tutto per un elfo appena conosciuto, un elfo che entro pochi giorni avrebbe lasciato andare e non avrebbe più rivisto.

«Voi mi avete baciato. Come io ho baciato voi. E se ora volete tirarvi indietro, se volete dirmi che non dovrà mai più accadere, bene – ma non negate, non negate quello che-».

Oh, come gridava. Al Silvano pareva che quelle grida, quel movimento lo rendessero ancora più luminoso e bello nella sua imperfezione scomposta, terrena. E lo baciò. Lo baciò perché non ne potette fare a meno, perché non voleva che gridasse in quel modo e soffrisse come pareva soffrire. Il secondo bacio, il secondo errore. Un errore bellissimo.

Nick ancora una volta fu preso di sorpresa e rispose al bacio con qualche esitazione. Sentiva ed aveva paura di sentire perché se poi jeff avesse negato ogni cosa, di nuovo... Aveva idea che non sarebbe riuscito a sopravvivere.

«Perché?» chiese semplicemente, quando le sue labbra furono di nuovo sue.

«Perché è questo ciò che abbiamo». Il tono di voce di Jeff era completamente diverso, Nick non l'aveva mai sentito così: pareva dolce, caldo e appena un po' rassegnato, ma di quella rassegnazione già priva di sofferenza, di quella matura, che fa quasi bene. «Io vi bacio, voi mi baciate. È tutto quello che potremmo avere, perché sposerete mia sorella tra pochi giorni». Gli mosse i capelli dalla fronte e l'elfo di fonte ebbe un sussulto; non riusciva a staccare gli occhi dall'altro e nonostante le parole che diceva facessero male erano diverse dalle precedenti e in qualche modo gli andavano bene. Perché ora Jeff non era contro di lui, ora era con lui contro qualunque cosa stesse loro succedendo.

«Non è giusto», sussurrò, abbassando il capo «Non sarebbe dovuto succedere. Perché innamorarsi proprio quando il matrimonio è stato giù stabilito?».

Aveva voglia di piangere: si stava rendendo conto di quello che Jeff aveva già capito da momento in cui aveva lasciato le sue labbra per la prima volta, della crudeltà di ciò che provavano. Il viso del principe silvano, ora, s'era avvicinato e gli era di fianco, guancia contro guancia, annullando la distanza e quella lieve differenza di altezza.

E Nick non resistette: gli gettò le braccia al collo, nascondendo quelle lacrime incastrate tra le ciglia sulla spalla di Jeff. Pianse, pianse sfogando tutto quello che provava, tutto il bene e tutto il male, ogni cosa. L'altro lo strinse a sé, prima con dolcezza, poi con bisogno: quelle lacrime erano anche le sue lacrime, le lacrime di chi non sapeva più piangere.

«E se... e se fossi innamorato di voi?», balbettò contro la stoffa sottile della sua camicia.

«Allora... allora...siate felice, perché credo di essere innamorato di voi anch'io». Gli baciò la fronte, come si faceva con ciò che si aveva davvero a cuore, con tutto l'affetto che un gesto tanto puro potesse trattenere.

Entrambi smisero di sottolineare come quell'affetto fosse del tutto vano, come le cose fossero già stabilite e nulla potesse cambiarle. Rimasero lì, davanti alla porta della stanza di Jeff, abbracciati, più vicini di quanto non fossero mai stati ad un essere umano. Per un istante, completi.

Non notarono chi li guardava. Non notarono gli occhi gli Lyan che li spiava. Non notarono il suo viso distrutto.  

Lyan corse via prima di essere scoperta, ma il mondo intorno a lei aveva smesso di scorrere. Non sentiva più nulla, a stento vedeva quello che la circondava, i corridoi ormai noti che stava percorrendo. Si ritrovò nella propria camera senza neanche accorgersene e si gettò sul letto con una disperazione che non credeva avrebbe mai provato.

Che cosa era successo al suo matrimonio, che cosa al suo sposo? Era tutto perso proprio ora che lei s’era innamorata? Perché era per questo che s’era diretta lì, per questo che s’era trovava davanti alla porta della camera del principe Nicholas. Voleva parlargli, prima del matrimonio, prima che quel giuramento fosse fatto davanti a tutti. Voleva parlargli in modo sincero, fare solo davanti a lui quelle promesse che poi la cerimonia avrebbe chiesto loro per far capire a Nick che le intendeva davvero, che non era solo una convenzione, un matrimonio di convenienza. Che s’era innamorata di ogni cosa in quel regno e soprattutto di lui.

Ma a quanto pareva il principe di Fonte non la pensava allo stesso modo. Lui non provava nulla, per lui non era altro che un accordo tra regni quel matrimonio, rapido ed indolore, senza sentimenti né dubbi. Avulso da tutto ciò che di bello c’era al mondo.

 

«Mi dispiace».

La voce di Jeff è un sussurro strozzato nel deserto di cadaveri e feriti. Sebastian sussulta appena a quelle parole, senza capire.

«Mi dispiace di avervi coinvolti. Voi e Thad...non avreste dovuto eseguire i nostri ordini, rischiare tanto».

«Più di quanto non abbiamo rischiato in combattimento?», chiede pratico, forse appena un po' indispettito dal discorso del principe - non ha mai sopportato chi si pente di ciò che ha fatto quando ormai è troppo tardi per poter porvi rimedio.

«Tutto questo», sta continuando Jeff «Non sarebbe dovuto succedere, noi-».

«Risparmiate le energie», lo blocca la guardia reale «Siamo quasi arrivati al vostro accampamento». Non vuole parlare, non quando non sa come stia Thad, non quando non ha idea di se il suo principe sia ancora in vita.

«Mi odiate, non è così?».

Quella domanda lo spiazza meno della prima, tanto che trova anche la forza per rivolgergli un sorriso tirato e triste.

«Lo vorrei tanto. Sarebbe estremamente facile e liberatorio. Vi odierei e desidererei che non foste mai arrivato alla nostra terra, perché senza di voi tutto questo non sarebbe successo, senza di voi io sarei a corte, accanto a Thad, magari a cavallo, accompagnando il principe in una delle sue galoppate. Ma non posso: il principe Nick vi ama, vi ha amato dal primo istante ed io non riesco ad odiarvi per questo. Perché so che cosa significa - o credete sia stato facile per noi solo perché non siamo di sangue reale?».

Il Silvano può leggere furia negli occhi di Sebastian, un ardore ed una passione che non ha mai visto prima.

Ne rimane spiazzato, senza sapere che cosa dire e tira avanti sostenendo il peso dell'altro elfo.

 

«...Nick?».

Il giovane elfo sussultò sentendosi chiamare e guardò i presenti come se fossero appena piombati in una scena in cui non c'erano fino all'istante precedente. E gli sembrava che gli altri lo guardassero proprio allo stesso modo mentre, seduti al lungo tavolo, consumavano tutti insieme la cena. Sua madre e suo padre, in particolare, lo guardavano con un misto di sorpresa e disapprovazione e lui non aveva idea di come uscire da una situazione del genere.

«Probabilmente il principe Nicholas è troppo impegnato ad immaginare il suo futuro per prestare attenzione alle nostre chiacchiere di circostanza».

La voce di Jeff era uscita seria e un po' altezzosa come sempre; non vi era alcun cambiamento neanche nella sua posa sprezzante e nei suoi occhi di ghiaccio, eppure quando Nick lo guardò colse la differenza. La differenza che il loro dialogo aveva fatto, che quello che si erano detti aveva messo in entrambi. Quello era un modo – forse rude, forse semplicemente da elfo silvano – per tirarlo fuori da un semplice impiccio.

«Vogliate perdonare la mia scortesia. Mi ero... distratto. Pensavo – in momenti poco opportuni, temo», si scusò il principe con un sorriso caldo, di quelli a cui non si poteva negare quasi nulla.

«Immaginiamo che un evento tanto grande come l'imminente matrimonio occupi completamente la mente di un elfo tanto giovane», disse la madre di Lyan con un accenno di sorriso «Anche mia figlia in questi giorni non pare pensare ad altro».

Nick si voltò verso di lei, che gli sedeva accanto, per scoprire uno sguardo completamente diverso da quello che si sarebbe aspettato: i soliti occhi accesi e lucenti dell'elfo ora erano sostituiti da due gemme opache – e di un opaco strano, non come se fossero coperti da polvere che sparisce in un soffio, ma bloccate da un sottile strato di duro ghiaccio. Neanche gli occhi di Jeff erano mai stati così freddi.

«Forse in simili circostanze per le spose c'è molto più da scegliere. E credo che le tradizioni mi impediscano di avere a che fare con qualsiasi cosa riguardi quel genere di preparativi: mi spiace di non poter essere utile», disse, prendendole la mano.

Lyan non si mosse, non lo guardò, non fiatò neanche, ferma nella sua posizione marmorea. Al principe faceva quasi paura, gli procurava un sottile dolore all'altezza dello stomaco ed uno strano presentimento.

«Temo che in questo matrimonio io abbia scelto ben poco», sussurrò. Neanche quel tono era il suo.     

«Perché mai?», le chiese – era sorpreso da quelle parole, ma di una sorpresa diversa da quella che provavano gli altri spettatori della scena. La sua era in qualche modo consapevole che qualcosa non andava: in fondo, sembrava aver capito dove quella situazione li avrebbe portati, ne immaginava le ragioni ed aveva paura.

«Perché mentre acconsentite a sposare me, giurate amore a mio fratello».

Oh, la bellezza di quelle parole, la soddisfazione che provocarono nel petto di Lyan, la sorda gioia che rilasciarono sotto la pelle, dentro le vene, annebbiandole la mente! Avrebbe riso follemente dell'espressione sconvolta sul viso di Nick, dell'orribile sorpresa che dipingeva le fattezze dei genitori e della coppia di elfi di fonte e soprattutto del doloroso terrore che leggeva negli occhi di Jeff.

Sì, era ciò di cui andava più fiera. Quegli occhi sbarrati, quel volto più pallido del solito, quelle labbra sottili e livide, quelle belle mani tremanti: erano il capolavoro della sua vendetta, la firma della sua disfatta. La vittima inutile di un generale che aveva perso la sua più importante guerra.

«Di cosa stai parlando, Lyan?», scattò il Re Silvano – alzandosi in piedi come una furia.

«Sono sicurissimo che si tratti di un semplice malinteso, la piccola paranoia di un passo tanto grande», provò a sistemare le cose il Re di quelli di Fonte mentre sua moglie guardava Nick. E percepì la sconfitta nel momento stesso in cui incontrò le iridi scuse del figlio: non c'era diniego in quegli occhi spaventati, non c'era rimorso, non c'era nulla che avrebbe potuto smentire una simile accusa, perché Nick non sapeva mentire. Aveva paura, ma non negava.

«Temere di star male il giorno del proprio matrimonio è una paranoia da giovane sposa. Vedere il proprio fratello che scambia un bacio col lo sposo è tutt'altro».

Glaciale la voce, come glaciale erano gli occhi e definitive le parole come definitiva era la condanna. Lyan si alzò, muovendo qualche passo lungo la stanza, lontano da quel tavolo di estranei; sembrava la prima attrice di una tragedia bellissima e funesta nel momento cruciale di una massima rivelazione. Si sentiva invasata da una forza che non aveva mai creduto di avere, la forza dell'eroina nel suo atto finale – avrebbe giocato allora tutte le mosse che le restavano e sarebbe uscita di scena lasciando il segno.

Si voltò a guardare suo fratello che s'era alzato, intanto, e la fissava sconvolto.

«Lyan, te ne prego... quello che hai visto-».

«Cosa? Non è vero? Ho frainteso? Sono solo mie fantasie?», strillò l'elfo. Non voleva e non doveva piangere. Doveva essere forte e portare a termine quello che stava iniziando, doveva farla pagare ad entrambi per il dolore che da quel pomeriggio provava, che le aveva tolto aria dal petto e stretto il cuore in una morsa gelida.

Perché era lei quella che doveva soffrire? Perché s'era tutto improvvisamente trasformato in una tragedia? Che cosa aveva fatto di sbagliato, per che cosa pagava quel prezzo? Aveva accettato di sposare lo sconosciuto di un altro regno per permettere alle loro razze di unirsi ancora una volta, era stata buona non s'era opposta a niente e nessuno e alla fine era stata anche capace di innamorarsi di quell'elfo. Allora perché stava male, perché gli dei le facevano questo, perché le davano tutto quel dolore?

 « Lyan...». Questa volta era stato Nick a parlare, anche lui in piedi «Mi dispiace, mi dispiace così tanto... è stato-». Avrebbe voluto dire che era stato un errore, che se ne era pentito, che era lei che amava, ma le parole le morirono in bocca - perché non erano vere.

La giovane elfo lo guardava dritto negli occhi e leggeva la verità che le labbra non avevano il coraggio di dire. E più lo guardava più sentiva il suo cuore fare male e il petto stringersi e le gambe cedere sotto il peso di un dolore troppo grande.

«Era con te che volevo stare», sussurrò senza più lo schermo della rabbia e della vendetta a sorreggerla «Era con te che volevo passare l'eternità».

Nick stava male. Sentiva Lyan, le sue parole rotte dal dolore e la colpa lo schiacciata; stava male ma non riusciva a fare altro - l'amore per Jeff era una cosa a parte, separato da quella scena, avulso da qualsiasi sentimento di rimorso o pentimento. Che scampo aveva lui se s'era innamorato di quell'elfo? Non aveva avuto poi scelta, in fondo.

Si mosse. La sala ora sembrava così grande da togliergli il fiato e così gelida da risultare estranea e minacciosa; ogni passo che faceva, che l'avvicinava a lei, risuonava con eco minacciosa, rimbombava nelle orecchie dell'elfo di fonte e lo atterriva: da quando era diventato così crudele? Da quando si era trasformato in quel l'essere senza cuore che distrugge la felicità altrui solo per un briciolo della propria? Erano passati pochi giorni e parevano secoli: si sentiva una persona completamente diversa e non era certo che quel diverso gli piacesse.

«Lyan», sussurrò quando le fu davanti, e si calò a terra, come qualche istante prima aveva fatto lei, nella speranza di poter vedere il suo viso, ora basso e nascosto dai lunghi capelli biondi. «Non avrei mai voluto farti del male. È... successo. Non l'avevo programmato, era con te che dovevo stare. Ma poi-».

L'elfo silvano sussultò, percependo l'abisso tra le parole che lei stessa aveva pronunciato prima e quelle del suo promesso sposo. Fu l'ultimo passo da fare, il segno che stava aspettando.

«Ci sarà sempre un "ma poi" tra noi», disse.

Agì così velocemente che Nick, pure così vicino a lei, non fu in grado di fare nulla se non assistere, impotente, all'orribile scena. In un attimo, Lyan dalla veste aveva estratto un pugnale - un pugnale dalla lama quasi trasparente, di cristallo bianco, forgiata dai nani e decorato con sobria maestria - e l'aveva portato all'altezza della gola, incidendo con una forza che nessun essere umano dovrebbe avere.

Nick trattenne il fiato. Immobile, ghiacciato dal gelo negli occhi di lei mentre le moriva davanti. C'era un odio in quegli occhi che il principe non avrebbe mai voluto vedere, un odio che aveva creato lui e la consapevolezza lo uccideva. 

Il principe non si accorse del silvano che gli correva accanto: entrò nel suo campo visivo con la prepotenza di un fratello distrutto. Lo sentì gridare come non avrebbe mai creduto che Jeff potesse fare e il suo cuore si spezzò: l'aveva uccisa lui.

«No! Lyan! Lyan, ti prego, no!», supplicò Jeff, stringendola contro il suo petto, piangendo. Ma l'elfo aveva già scelto il proprio destino e non c'era più nulla che lui o chiunque altro potesse fare.

 

Sebastian può sentire la paura prenderlo all'altezza del petto nel momento stesso in cui riconosce i capelli scuri di Thad e la sua schiena ancora avvolta nell'armatura leggera. Gli manca il fiato e le sensazioni sfumano, persino il dolore sparisce, risucchiato dalla terribile consapevolezza che potrebbe essere arrivato troppo tardi.

Si libera dalla presa del principe silvano con uno slancio che quasi lo fa sbilanciare e si precipita verso il corpo inerme del compagno; lo volta verso l'alto col solo braccio che riesce ancora ad usare e prega. Prega che Thad sia vivo, che sia arrivato in tempo perché non saprebbe come fare nel caso i cui-

«Ti prego, Thad, ti prego. Non lasciarmi, non farlo... ».

Jeff osserva la scena da lontano ed è come un dejà vu: rivede se stesso nella disperazione della guarda reale e Thad è così simile alla sua Lyan, sembra così fragile e pallido e-

«Thad! », grida Sebastian e Jeff non sa se sia spaventato o sollevato. Si muove di qualche passo e nella suo petto il dolore aumenta, mentre nella mente comincia inconsapevolmente a gridare "non di nuovo, non di nuovo". Non sa come avrebbe reagito: nonostante tutti i morti di quella guerra, sente di non poter sopportare un dolore del genere ancora una volta.

Ma Thad si sta muovendo: scorge i suoi occhi aprirsi e Sebastian lo bacia per poi stringerlo al petto.

«Non lascerò mai più il tuo fianco, Thad. Mai più», mormora l'elfo con voce spezzata e l'altro alza una mano fino a sfiorargli i capelli con dolcezza: la guerra è così lontana da loro, così dimenticata...

«Sto bene, Bas, non agitarti», gli dice Thad con un sorriso, poi nota la grossa ferita sulla spalla e sbianca «Sebastian-».

«Anche io sto bene. Tranquillo».

Jeff non vorrebbe interromperli, ma ha bisogno di chiedere perché la paura ora sta divorando lui.

«Nicholas...? », dice titubante e allora Thad si aggrappa al compagno per mettersi seduto: ora si vede chiaramente il segno di un grosso colpo che gli ha squarciato il pettorale di ferro.

«Ci siamo dovuti separare quando alcune delle vostre guardie ci hanno scoperti. Ho cercato di rallentarle per dare al principe il tempo di agire ma non so... ». Ora anche lui ha paura che a Nick possa essere successo qualcosa e il pensiero gli fa girare la testa.

«Restate qui, mettetevi a riparo», ordina il principe silvano, d'improvviso risoluto «Lo cercherò io - la tenda dei miei genitori non è molto distante».

«Scordàtelo. Noi veniamo con voi». Thad barcolla nel mettersi in piedi e si appoggia a Sebastian che cerca di sostenere entrambi: da soli non riuscirebbero a tenersi in piedi eppure insieme sembra che niente li abbia feriti.

Jeff per la prima volta si rende conto di invidiarli.

 

Nick aveva immaginato tante volte di andare nel mondo al di là del Grande Lago; aveva sognato di partire all’avventura, come alle volte capitava facessero giovani elfi animati dal bisogno di forti emozioni e di esplorare quelle terre dalle ricchezze tanto varie e dai popoli così diversi. C’era così tanto da vedere, così tanto da conoscere – tutto sembrava aspettare solo lui.

Mai però aveva immaginato che avrebbe visto quelle terre in simili circostanze. Ora non aveva alcuna voglia di conoscere quel mondo, anzi sentiva di usurparlo ad ogni passo che compiva, ad ogni boccata d’aria che rubava. Si sentiva un profano appena entrato nel più bello dei templi con nessun altro intento se non quello di defraudarne ogni tesoro.

In fondo non l’aveva già fatto? Non aveva tolto a quella terra un bellissimo fiore, strappandolo con una crudeltà di cui non avrebbe creduto di essere capace? O forse… no, non l’aveva strappato: l’aveva calpestato, come uno dei tanti fili d’erba che inevitabilmente i cavalli calpestano quando vanno al galoppo. Non s’era accorto di nulla, così preso da quell’amore proibito, che sapeva di mito lontano, da non rendersi conto del male che stava provocando, finché non era stato troppo tardi.

Finché Lyan non si era uccisa davanti ai suoi occhi.

Da quella sera era tutto cambiato con una velocità tale da farlo star male. I Silvani avevano lasciato la reggia ed il regno con ostilità, avevano maledetto il giovane elfo di fonte, accusandolo di aver ucciso la loro figlia e plagiato e corrotto il loro primogenito.

Avevano lasciato quelle terre con odio nel cuore e una promossa: nessuna pace ci sarebbe stata tra le due razze ma il sangue versato avrebbe portato solo altro sangue. Ed una guerra.

Nick aveva letto delle guerre solo nei grossi tomi delle ere passate: aveva imparato nomi di grandi condottieri e di mitiche battaglie, aveva sempre pensato che fossero stupendi gli elogi in cui lo storico di turno si prolungava, parlando di tattiche e missioni grandiose e vittoriose; il valore che gli uomini di quelle pagine mostravano gli aveva gonfiato il cuore e lo aveva fatto battere al colpo dei tamburi di guerra o delle asce che si schiantavano sugli scudi di legno massiccio.

O almeno così credeva. Ora si rendeva conto che le righe di inchiostro non rendevano nulla di quello che effettivamente la guerra significava.

Per non essere colti di sorpresa e chiusi nella relativa ristrettezza del territorio, il Gran Consiglio degli Elfi di Fonte aveva deciso di attaccare non appena era stato chiaro che nessun accordo avrebbe posto fine alle ostilità - i Silvani avrebbero marciato verso il Regno di Fonte non appena l'esercito fosse stato pronto e non avrebbe avuto senso aspettare.

Per questo in pochissimi giorni il Re aveva disposto che ogni elfo in età da esercito fosse arruolato: era una guerra per l'orgoglio e l'onore - le guerre più stupide avevano tali ideologie e Nick non poteva fare a meno di stare male perché quell'onore e quell'orgoglio sarebbero dovuti essere in suoi da riscattare e invece lui era probabilmente il meno coinvolto in simili sentimenti.

«Lasciate che provi, lasciare che parli con loro che chieda ammenda per le mie colpe», aveva pregato il giorno prima della partenza, a consiglio con suo padre e gli alti ufficiali. «Porterò un manipolo di soldati con me per sicurezza. Potrebbero ascoltarmi, potrei far capire loro che non avevo intenzione, che non avrei mai voluto che-».

«Non capiranno. Non staranno neanche ad ascoltare quello che dirai. Ti uccideranno non appena avrai chiuso bocca», lo aveva interrotto il Re, alzandosi.

«Non potete saperlo!», aveva provato ancora Nick, alzando a sua volta.

«Posso, figlio mio. Posso perché sono un padre. E se le parti fossero invertite non esiterei a tagliare la gola dell'assassino di mio figlio. Senza se e senza ma».

Il principe aveva taciuto. Quelle parole avevano spento qualsiasi nuova replica la mente avrebbe potuto elaborare e la lingua pronunciare. Non seppe che cosa di quella risposta l'avesse bloccato per prima, forse il pensare a suo padre come ad un portare di guerra o forse quella semplice parola - assassino - pronunciata con tanta semplicità.

Era una condanna lasciata uscire da labbra amiche perché fosse meno pesante e che invece fu solo più violenta. Se suo padre lo riteneva un assassino, allora cosa ne avrebbero pensato gli elfi silvani? Smise di chiederselo prima di farsi ancora più male e si sedette senza più ascoltare davvero quello che gli altri continuarono a dire.

Partirono. Nicholas non aveva mai visto tante legioni di elfi armati neanche durante gli addestramenti o nelle parate ufficiali. Sembrava che la lunga sponda del Grande Lago non riuscisse a contenere tutti quei giovani e meno giovani, armati e quasi resi allo stesso modo saggi dalla serietà dei lineamenti.

Le navi percorsero le acque senza fare rumore. Scivolavano aprendosi la strada con la facilità e l’agilità di un gatto selvatico e neanche gli ordini dei timoniere interrompevano il silenzio serioso perché ogni elfo sapeva esattamente che cosa fare e gli esperti osservavano senza parlare, senza aver bisogno di dire nulla.

Arrivarono di notte, le fiaccole di fuoco blu ad illuminare il loro cammino: sotto i riverberi freddi di quell’antica magia quel posto sembrava minaccioso e tolse il fiato a Nick – erano predatori del buio, giungevano in segreto e portavano guerra. Mentre avanzavano sulla sabbia il principe sentiva i suoi passi pesanti come non mai.

Ascoltò pochissimo di quello che suo padre comandò e fu felice di potersi allontanare quando questi dismise tutti i soldati, dicendo loro di preparare difese ed accampamento. Se pure aveva comandato qualcosa a lui, Nick non lo sentì e in breve fu lontano dal silenzioso lavorio degli elfi, ai margini del rado bosco che si apriva subito dopo la costa. Il vento che soffiava tra le foglie pareva ululare contro di lui e il principe di fonte sopportava le forti folate come si sopporta una condanna meritata.

“Nei giorni di quiete gli alberi parlano, sussurrano segreti che in pochi comprendono del tutto. Nel cuore della Foresta Reale c'è un grosso masso su cui mi piace sedermi per ascoltare quei fruscii – mio fratello mi ha insegnato a capirli e di tanto in tanto colgo pezzi di storie passate, amori felici e grandi imprese”.

Le parole di Lyan gli tornarono in mente con violenza. Il suo sorriso mentre le diceva e quegli occhi che brillavano mentre la mente era persa nel ricordo erano stati una visione stupenda. Una visione che lui aveva spezzato. Sarebbe stato così per ogni ricordo di lei? Non avrebbe potuto custodire la bellezza di quell’elfo senza sporcarla con la consapevolezza di essere stato la ragione per cui si era tolta la vita?

Era di questo che parlavano anche le foglie, nel loro muoversi a scatti? Lo accusavano, forse? Lo riempivano di insulti magari… gli urlavano la colpa che macchiava la sua anima e di andare via. Che quelle terre lo avrebbero visto cadere per i suoi peccati. Gli parve quasi di sentirle quelle parole, come se la Morte gli avesse improvvisamente suggerito il suo destino nella lingua del vento.

Rabbrividì, stringendosi nella sottile giacca di cotone grezzo e chiuse gli occhi. La paura si stava impadronendo di ogni fibra del suo corpo, lo stava facendo impazzire. Quello era solo vento e non c’erano parole, non c’era nulla – e se anche ci fosse stato, lui non poteva capirlo. Non era un Silvano, nessuno gli aveva insegnato quella lingua.

Il pensiero di Jeff arrivò quando Nick credette di essersi calmato, quando aveva smesso di pensare e s’era accucciato contro il primo tronco sul suo cammino. Lo aveva evitato prima, quando Lyan gli aveva fatto visita; era stato bravo a non concentrarsi su di lui, ma aveva retto troppo poco. Ora il suo pensiero lo invadeva e gli faceva male forse anche più della morte della principessa.

Non gli aveva più parlato dalla sera in cui Lyan… in cui era successo. Non si erano più visti – se si escludeva quella piccola figura che Nick era stato capace di individuare su una delle navi dei Silvani che salpava, troppo lontana perché ne distinguesse i contorni, eppure doveva essere il suo Jeff – e l’ultimo ricordo che aveva di lui erano gli occhi sbarrati e il viso distrutto, mentre stringeva il corpo freddo della sorella tra i gemiti, dondolandolo come in una triste nenia. Poi qualcuno aveva gridato, le spade erano state sguainate e c’era stata solo confusione, mentre improvvisamente Sebastian era mezza spalla davanti a lui e Thad al suo fianco, pronto a tirarlo via o proteggerlo.

Ma per Nick non c’era stato che lo sguardo di Jeff. Uno sguardo distrutto, così ferito, così freddo che pensò di poterne morire, lì davanti a tutti, accanto ai suoi migliori amici. Aveva pianto, quella sera, tra le grida dei suoi genitori, mentre qualcuno leggeva le poche parole con lui i silvani aveva decretato l’inizio delle ostilità. Aveva pianto per tutta la notte e Thad gli era rimasto accanto, accarezzandogli i capelli e sussurrandogli qualcosa di dolce, mentre Sebastian, sulla porta, guardava la scena con una malinconia dentro che non sapeva esprimere.

Nick aveva chiesto loro di non partire. Aveva messo su una serie di scuse poco probabili e poi era passato alle preghiere (oh, gli ordini non avrebbero funzionato nonostante la serietà di Sebastian), ma niente era servito a lasciarli sulle sponde del Grande Lago. No, erano accanto a lui da troppo tempo per poter essere lasciati indietro proprio in quel momento, in quella situazione.

Il principe poteva vederli chiaramente, nonostante la distanza. Si erano accampati come il resto dei soldati e Bas puliva una spada corta mentre Thad parlava; di tanto in tanto le labbra si incurvavano in un sottile sorriso, probabilmente per qualcosa che l’altro diceva, poi tornava serio. Nick aveva sempre pensato che fossero stupendi, che se avesse dovuto davvero innamorarsi poi, sarebbe dovuto essere come s’erano innamorati loro: con la stessa strana perfezione dell’amore, dal nulla, improvvisamente e poi con una quotidianità così forte che l’assenza avrebbe fatto semplicemente troppo male.

Quando aveva conosciuto Jeff, quando si era accorto di quello che inevitabilmente provava, aveva creduto di averlo trovato, quel tipo di amore. Ne assaporava la futura quotidianità come se fosse una cosa realmente possibile e quell’illudersi lo aveva ferito forse troppo quando tutto era finito. Ma la cosa che davvero non riusciva a sopportare era non sapere che cosa pensasse il Silvano. Lo odiava? Per quello che aveva fatto, per quello che era successo lo odiava?

Avrebbe potuto sopportare l’intera guerra ma non l’odio nel cuore di Jeff, di questo ne era certo.

La guerra era cominciata come comincia una mattinata qualsiasi. Non c'era stato alcun preavviso quella mattina ma gli eserciti schierati avevano semplicemente preso a correre l'uno verso l'altro è poi era stato stridore di spade e sibili sottili di frecce che fendevano l'aria. E morte. Tanta morte, ovunque e sangue. Nick non ne aveva mai visto tanto e in quel momento in quella prima battaglia aveva capito più cose di quante mai ne avesse capito fino ad allora. Il sangue chiamava altro sangue e quella sarebbe stata solo la prima battaglia di una lunga guerra. E lui non avrebbe retto così tanto, né avrebbe retto se avesse dovuto affrontare Jeff in battaglia. No, piuttosto sarebbe morto per mano sua.

Ma gli dei erano stati clementi e i due non si erano più visti né scontrati.

 

*

 

Successe un pomeriggio. Erano in guerra da mesi, Nick non ricordava più neanche quanti - meno di un anno, a detta di Thad mentre Sebastian aveva il conto preciso dei giorni ma nessuno voleva realmente conoscerlo - e il principe era da solo come spesso accadeva: sopportava sempre meno la vista dei soldati, delle ferite e soprattutto dei visi nuovi; quei volti puliti e sempre più giovani che continuavano ad arrivare dal mare, ma non tornavano indietro. Sembrava che la terra li avesse prodotti solo per perpetuare quella guerra e ormai la semplice vista di una nuova imbarcazione causava a Nick delle fitte allo stomaco. Perché lui era ancora vivo e in tanti invece continuavano a morire?

Uno strano verso attirò la sua attenzione. Nick alzò la testa e scorse qualcosa che faceva capolino tra le foglie di un alto ramo, poco lontano da lui: l'aspetto era riconoscibile nonostante la distanza e il petto gonfio e piumato non lasciava adito a dubbi. Un falchetto, giovane e bellissimo, lo stava fissando con la testa appena inclinata e gli occhi scuri; il piumaggio marrone pareva volersi mimetizzare con le foglie ingiallite dell’albero e i riverberi che tra esse lanciava il sole sulla linea del tramonto.

Nick non seppe dire che cosa fosse a suggerirgli di muoversi verso il rapace ma camminò come se fosse la più comune delle cose, quella ovvia da fare in presenza di un animale del genere e quando fu sotto l’albero su cui quello era poggiato, sporse il braccio in avanti con una certa naturalezza.

Una parte di lui se lo aspettava, eppure questo non gli impedì di sorprendersi quando il falchetto lasciò il tronco e si posò con maestria sul suo avambraccio, come se fosse stato addestrato a farlo da anni; rimase poi impettito e con presa salda parve attendere qualcosa. Il principe restò qualche istante ad osservare le belle piume scure che decoravano le sue ali ed un becco chiaro che quasi incuteva timore, poi si arrischiò ad allungare una mano verso la testolina e con un certo timore gli diede una carezza che il rapace non parve sdegnare.

Solo in quel momento si accorse di qualcosa all’altezza della zampetta dell’animale. Nel momento stesso in cui lo vide, il suo cuore perse un battito e poi prese a correre, animato da una speranza così stupida e bella che Nick non poté frenare: era un rotolino di pergamena, di quelli che si legavano ai volatili perché li portassero lontano. Con mano più sicura sciolse il biglietto e non appena ebbe fatto, quasi fosse in un manuale che anche lui avrebbe dovuto leggere, il falchetto spiccò un salto e si posò sullo stesso ramo che aveva scelto in precedenza; ora che il suo compito era concluso, sembrava meno serio, più cucciolo mentre prendeva a pulirsi le piume col becco.

L’elfo di Fonte dimenticò quasi in modo istantaneo della presenza del rapace – o di chiunque altro in quel luogo: i suoi occhi, la sua attenzione, il suo cuore furono rapiti dalle poche parole che quel biglietto recava, in una calligrafia elegante e appena un po’ frettolosa, una calligrafia che non aveva mai visto ma che avrebbe riconosciuto ovunque.

                Lei è Ygritte, trattala bene – mi sei mancato, J.

Oh, il bene che gli fecero quelle parole, il calore che Nick sentì nascere nel cuore, neanche mille novelle avrebbero potuto narrarlo, o cento cantori cantarlo. Fu come il sole che tornava a scaldare il mondo dopo un gelo di mille anni e in quel modo egoistico con cui sanno prendere i sentimenti quando sono tanto forti il principe dimenticò la guerra, dimenticò la morte e il sangue. Era Jeff. Jeff che gli scriveva, che in qualche modo, contro ogni possibilità, era riuscito ad arrivare fino a lui. Era Jeff, al quale Nick mancava con la stessa potenza con cui gli mancava Lyan. Jeff, che aveva perso troppo prima ancora che la guerra cominciasse.

E presero a scriversi. Da quel giorno, con l’aiuto di Ygritte, i due principi iniziarono a parlarsi e a scoprirsi di nuovo. Si resero conto, in realtà, di non essersi mai conosciuti veramente: il tempo che i Silvani avevano trascorso alla Reggia era stato troppo poco perché Nick conoscesse Lyan e ancor meno perché provasse a conoscere Jeff, per cui fu quasi come cominciare da capo, ma in modo maturo, in modo consapevole.

Nelle prime lettere Nick continuò a chiedergli scusa per tutto, per quanto fosse stupido e non risolvesse niente: sentiva di doverlo fare, perché la colpa lo dilaniava di giorno e tormentava di notte, perché non c’era modo di fare ammenda. E Jeff fu paziente, lo rassicurò ogni volta o semplicemente stette a leggere quelle parole che non servivano a nulla ma di cui Nick aveva egoisticamente bisogno. Quando l'elfo di Fonte smise di farlo, altre parole riempirono le brevi lettere: i due elfi impararono ad amarsi da lontano, in quel modo che dà valore ad ogni sillaba scritta su carta.

La guerra era presente con drammatica costanza nel loro rapporto eppure le sere in cui Ygritte giungeva a destinazione sembrava più lontana, meno violenta, più vicina alla fine. C'era speranza in quella corrispondenza, una speranza che aiutava entrambi ad indossare l'armatura e andare in battaglia la mattina dopo.

Una sera le parole di Jeff suonano più spaventate del solito.

Promettimi che non mi troverò mai a combattere contro di te.

Era stato così lapidario che Nick ebbe paura. Scrisse velocemente la risposta, poi rimase fermo  chiedendosi che cosa avesse turbato tanto l'elfo: non sapeva che quella mattina Jeff aveva colpito un giovane soldato alla schiena, un soldato che somigliava troppo al suo Nicholas e non l'aveva ucciso all'istante. L'elfo era rimasto in agonia per qualche minuto e lo aveva guardato finché la vita non gli si era spenta negli occhi: Jeff non l'avrebbe mai dimenticato. Lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva cullato anche quando il corpo era diventato freddo, nel bel mezzo degli stridii di lama e le grida.

Nick attese tutta la notte prima di lasciar andare il rapace e poco prima che sorgesse il sole strappò il messaggio che aveva scritto e ne compose uno completamente diverso e altrettanto lapidario.

Dobbiamo mettere fine a questa guerra. A qualunque costo.

Sentiva di non poter più sopportare tutta quella situazione, la guerra, le morti, il dolore, i pianti, le perdite. Era qualcosa che non riusciva a sostenere, lo attanagliava la paura che le cose non sarebbero mai più cambiate, che ogni suo giorno sarebbe stato fatto di battaglie e ogni sua notte di paura e rimorso e gli unici brevi sprazzi di luce sarebbero stati le poche parole di Jeff, lontano, troppo lontano, irraggiungibile. Freddo.

I giorni di attesa furono terribili. Nick accusava il nervosismo di ogni minuto che passava senza aver notizie da Jeff, quasi percepisse l'importanza di ciò che stava per accadere. Eppure si era preparato a tutto fuorché alle parole decise del Silvano. Aveva una soluzione lui, una soluzione definitiva. Una di quelle che fece tremare davvero per la prima volta Nick.

 

La tenda del re e della regina dei Silvani non è distante da dove Jeff e Sebastian hanno trovato Thad e il principe è quasi sollevato della lentezza che i due elfi impiegano a muoversi perché così ha tempo per prepararsi a ciò che potrebbe attenderlo. In questo momento la scelta fatta non gli pare per nulla risolutiva: è stata una follia, un pensiero venuto fuori dalla disperazione e approvato dalla paura. E se il loro intento anziché la fine della guerra avesse solo accumulato ai cadaveri qualche altro cadavere e alla morte altre morte? E se Nick non ci fosse riuscito o peggio se pur riuscendo la guerra semplicemente non si fosse fermata?

Quando entra nella tenda, Jeff trattiene il fiato: gli anni di orrore e di morti non sono serviti a prepararlo a quello che sta venendo - niente lo avrebbe reso pronto all'immagine di Nick riverso in una pozza di sangue. Non reagisce: a differenza di Sebastian poco prima, non è in grado di muovere neanche un passo verso il corpo dell'amato, ma la drammaticità di quel corpo privo di vita lo distrugge dall'interno, lasciando solo le pareti vuote del suo corpo e appena l'eco del dolore a scandire la fine di tutto.

Il grido di Thad alle sue spalle sembra provenire da oltre il Grande Lago e il silvano percepisce appena i due corpi muoversi verso il loro principe. Improvvisamente la sua visuale è sfocata e ci mette tempo a capire che sono le sue stesse lacrime a rendere tutto poco nitido - oh, e il cuore ora batte così forte da fargli venir mal di testa e il respiro non vuole saperne di restare nei polmoni ma fugge ad ogni nuova, fisiologica prova di tenerlo dentro quanto basti per poter sopravvivere. Vuole sopravvivere?

«È vivo».

Un lungo respiro. Aria dentro i polmoni, aria fuori. Sa ancora come si fa, sì. Bastano le parole giuste. Jeff guarda la figura accanto a sé, Thad: dèi, il suo viso è talmente pallido e le lacrime lo sporcano, sciupandolo. Ma gli occhi brillano ancora, scuri come quelli del suo Nick.

Si muovono con lentezza, finalmente il silvano riesce a fare i pochi passi che lo separano da se stesso e da ciò che di lui ne sarebbe stato. Nick è stretto tra le braccia di Sebastian con dolcezza e le poche forze che ha gli permettevano appena di sorridere al volto bellissimo nel pallore marmoreo della guardia. Ma il sorriso più bello Nick lo riserva a lui e quando Sebastian lo adagia tra le sue braccia le labbra si schiudono in un gesto che ridà vigore ad entrambi; per Jeff è impossibile non baciarle. Un bacio leggero, un "mi sei mancato" appena sussurrato, un "è naturale come respirare, è tutto quello di cui ho bisogno" che nessuno dei due sente la necessità di dire ad alta voce.

«Ciao», lo saluta Nick, come fosse un giorno qualunque, come se si fossero appena svegliati.

«Ciao», gli tiene il gioco Jeff - perché la ferita che vede all'altezza dello stomaco lo spaventa troppo ed è facile far finta che non esista se è per primo l'altro a volerlo.

«Sono stati un po' maldestro, ma ci sono riuscito», sussurra questi, leggendo i suoi pensieri con una facilità unica. Minimizza perché, ancora una volta, è più facile così - e gli dèi gliela devono, un po' di facilità, dopo tutto quello che hanno passato, fosse anche alla fine.

Il Silvano gli sorride appena, scostandogli i capelli dalla fronte bagnata di sudore. Solo in quel momento alza gli occhi sul resto della tenda e si rende conto degli altri due corpi stesi al suolo, privi di vita. Tenere la mente distaccata, impegnarsi a pensare che era necessario è difficile e il dolore lo attanaglia tanto che stringe involontariamente con più forza le dita intorno al corpo di Nick.

«Mi dispiace Jeff», sussurra con voce rotta questi, rendendosi conto in quel momento del male che ha fatto, che entrambi hanno deciso di fare: non c'è mai stata redenzione per loro, ora lo sa.

«Abbiamo deciso di farlo insieme. Non c'è nulla per cui dispiacersi», lo rassicura il silvano, ma la voce è spezzata dal pianto e le parole non sono credibili, neanche con tutta la buona volontà di Nick.

«...e tu?». L'elfo di Fonte ha bisogno di chiederlo, ha bisogno di sapere per che cosa piangere. Jeff annuisce senza neanche parlare e quando le lacrime scorrono anche sul viso dell'amato aggiunge un «Sono morti quasi senza accorgersene, si sono come addormentati».

Nick annuisce, in qualche modo quelle parole gli danno davvero conforto: nella sua ingenuità di bambino, immaginare i propri genitori morire nel più pacato e sereno dei modi porta sollievo quasi non fosse comunque morte, quasi respirassero ancora.

 

Lo hanno deciso mesi prima, quando davvero la guerra appariva destinata a durare per sempre; l'idea sembrava disperata ma allo stesso tempo appariva l'unica soluzione ad uno scontro che si sarebbe perpetuato finché fosse rimasto ancora un elfo di Fonte ed uno silvano: uccidere re e regina di entrambe le parti, tagliare la testa della bestia feroce e lasciare che gli arti si fermino da sé. Una soluzione così pulita nella sua teoria che Jeff quasi si era sorpreso di non averci pensato prima. Nick era semplicemente rabbrividito; si era preso tempo per pensarci, per provare a scendere a patti con una cosa tanto mostruosa e per le prime settimane di era rifiutato di rispondere al silvano. Come poteva pensare di uccidere i suoi genitori? Che colpa ne avevano loro in quella guerra? Non sarebbe stato meglio se fosse stato lui ad uccidersi e lavare così l'onda gettata su entrambe le razze?

Jeff aveva interpretato il silenzio di Nick nel modo giusto e improvvisamente Ygritte era tornata indietro nonostante l'elfo di Fonte non avesse scritto nulla, richiamata da un comando del padrone. Il silvano aveva scelto le parole da mandare con attenzione e si era scusato col rapace per un messaggio tanto lungo.

Non voglio che tu creda che per me sia facile. Non lo è, gli dèi sanno quanto male stia provando al solo pensiero di ciò che ti ho scritto. Ma... oh, Nicholas vorrei che la pace potesse nascere dalla ragione, eppure non credo essa esista, non nelle guerre. Vorrei poter semplicemente chiedere ai miei genitori di smetterla e che loro acconsentissero, ma non è possibile. Gli eserciti sono al comando dei re, mai come in questa guerra: cominciano a sentirla estranea e senza una guida si fermeremo in breve tempo. Sai che non sto mentendo. Ed io so che quello che ti sto chiedendo è più di quanto tu - io - possa sopportare. Sarebbe più facile se i nostri ruoli si invertissero? Se riuscissimo a raggiungere l'uno l'accampamento dell'altro e muovere la mano contro un nemico come gli altri? Tuo.

Nick aveva trattenuto il fiato a quel nuovo messaggio. Perché non sarebbe dovuto risultare tanto più facile quel gesto sotto una prospettiva diversa, perché i loro genitori sarebbero comunque morti, eppure... eppure in tutto l'orrore e il dolore una parte di lui cominciava a vederne la necessità, più appetibile se a guardarlo fossero stati occhi chiari e carichi di odio.

Aveva accettato. Un semplice sì. Qualcosa di così freddo che Jeff, nel momento in cui lo lesse e decise davvero di realizzare il loro piano, capì anche che lo avrebbe perso; non sarebbe mai più stato lo stesso Nick. Scontava la pena prima ancora del crimine.

Si erano preparati con lentezza, studiando gli accampamenti e le vie di entrata ed uscita, giocando agli strateghi come quando si è bambini: Nick si era reso conto che Jeff, come nemico, era temibile, che era stato educato ad un ruolo di re-guerriero che lui non avrebbe neanche mai immaginato; ascoltava le sue direttive, raramente si permetteva di intervenire, il più delle volte prendeva appunti in codice sul proprio taccuino per esser certo di non dimenticare, prima di bruciare il messaggio del silvano.

Thad e Sebastian si erano accorti quasi subito che qualcosa non andava: il loro principe era cambiato, diverso, allo stesso tempo più distante e più determinato – c’era qualcosa di nuovo nel suo cuore e nella sua mente, qualcosa di importante, a detta di Sebastian; qualcosa di pericoloso secondo Thad. Tuttavia, l’elfo di Fonte non aveva detto loro nulla – né loro avevano chiesto – finché non fu deciso il giorno, o meglio la notte in cui avrebbero agito. Allora, fu indispensabile che i due elfi sapessero, quantomeno perché Nick avrebbe potuto non fare ritorno.

«È una follia, Nick e  sono certo che anche voi lo sapete». Thad si azzardava a chiamare il principe per nome solo nelle situazioni disperate – e questa era una di quelle.

«È un piano ben studiato. Con cosa avete intenzione di colpire?», era intervenuto invece Sebastian – lui comprendeva e taceva, analizzava in modo freddo: era stato addestrato per essere una guardia reale da quando era nato, andava ben oltre la poca esperienza che Thad aveva a riguardo, né si sarebbe lasciato fermare da sentimentalismi quando la posta in gioco era tanto alta.

«Jeff mi ha inviato un veleno: agisce velocemente ed è indolore. Mi ha detto che sarà come dormire». Nick aveva tirato fuori dalla tasca una boccettina che conteneva uno strano liquido ambrato: un distillato di erbe che Jeff aveva imparato a preparare il giorno in cui c’era stata la cerimonia reale per la sua maggiore età – suo padre aveva insistito che pensare alla morte, e a come darla se necessario, era il modo più appropriato per diventare adulto e la notte prima dell’investitura l’aveva trascorsa a insegnargli come preparare il veleno.

Thad si era alzato ed aveva passeggiato nel poco spazio davanti la tenda con aria cupa, finché Sebastian non lo aveva fermato, poggiandogli una mano sulla spalla – solo allora i due elfi si erano accorti che la guardia stava piangendo: piangeva di rabbia e dolore, piangeva per l’ingiustizia e il male che si preparavano a sopportare e che nessuno di loro meritava.

La sera prima di agire, Thad aveva deciso che sarebbe andato con lui. Nick aveva provato a dissuaderlo da quell’intento – aveva gridato che ne bastava uno a morire in quel modo, che non c’era bisogno – ma l’elfo era stato irremovibile.

«Ti devo tutto, tutto quello che sono, la mia vita e la mia felicità. È il minimo che posso fare per-». Il principe allora lo aveva abbracciato e non aveva più insistito. Far ragionare Sebastian, invece, era stata una cosa completamente diversa. La furia negli occhi della guardia più esperta era qualcosa che Thad raramente aveva visto e ancor meno contro di sé – s’era sentito piccolo e sporco, indifeso, come il giorno in cui lo aveva trovato. C’erano volute tutte le sue forze e il suo coraggio per insistere e controbattere alle parole dell’amato.

«Fino a qualche giorno fa aborrivi la sola idea di questo piano e adesso… che cosa è cambiato adesso?», aveva gridato Sebastian, furioso, ma il realtà col cuore pieno di dolore.

«Ti prego, ti prego, non gridare! Non capisci? Non posso restare qui senza fare nulla! Nick… Nick potrebbe morire-».

«E tu con lui!».

«Non posso lasciarlo andare da solo, glielo devo!».

«E a me? A me non devi nulla? Per te non significo niente?!».

Thad aveva trattenuto il fiato, colpito da quelle parole, sentendosi allo stesso tempo ferito e meschino, come un ladro colto nel bel mezzo di un crimine, come la prima volta che Sebastian lo aveva visto, lui piccolo ed insignificante elfo che rubava dalle scorte reali contro la guardia integerrima che lo catturava prima che potesse scappare. O quasi.

«Mi dispiace. Non era quello che intendevo dire, non volevo intendere che tu… vorrei solo… Verrò con te».

Thad gli si era avvicinato e lo aveva stretto a sé con bisogno, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, respirando quel profumo di acqua dolce che Sebastian portava con sé dalla loro terra, che gli anni in guerra non avevano cancellato, che gli ricordava la calma e la gioia che avevano avuto prima che tutto precipitasse.

«Non puoi, Bas… Già in due siamo troppi: dovremo essere silenziosi e veloci. In tre ci scopriranno», aveva sussurrato e allora Sebastian aveva pianto – poche lacrime e qualche singhiozzo, la paura di essere sul punto di perderlo e la consapevolezza di non poterlo sopportare. Poi lo aveva baciato, per bene, con così tanta passione che a Thad era girata la testa, come la loro prima volta; gli stava chiedendo di vivere, gli stava chiedendo di non lasciarlo e gli occhi avevano continuato a pregarlo anche quando si era allontanato con Nick, anche quando non era rimasto più nulla da guardare se non l’oscurità davanti a lui.

Jeff s’era mosso da solo, invece. Non aveva nessuno di cui potersi fidare tanto, al contrario di Nick e la cosa, in fondo, gli andava bene: non avrebbe fatto rischiare a nessun altro quello che stava rischiando lui e se avesse potuto non avrebbe coinvolto neanche il principe di Fonte, ma questi alla fine era stato irremovibile ed agire insieme era stata la sola soluzione possibile.

Scivolare fra le tende di elfi addormentati per un solo silvano era stato qualcosa di estremamente facile: erano addestrati a mimetizzarsi e il sottile, impercettibile rumore di uno solo non aveva insospettito le guardie accanto al fuoco. Quando era entrato nella tenda del re, Jeff aveva l’arco e la freccia già pronti, il veleno che sporcava la punta e la mira pronta a colpirli nel modo più gentile e rapido. Aveva trovato il re sveglio: passeggiava in preda a qualche tormento ma gli rivolgeva le spalle; gli diede il tempo di voltarsi, forse in maniera incauta, forse per uno strano affetto che improvvisamente si rendeva conto di provare per i genitori della persona che amava.

L’elfo lo aveva guardato, disarmato, rendendosi conto di quello che stava succedendo e gli aveva sorriso appena, in modo triste, prima di muoversi verso la moglie che ancora dormiva; Jeff non seppe mai che cosa stesse pensando il re mentre con una lama le trafiggeva il petto senza neanche darle il tempo di svegliarsi per poi lasciar cadere la lama ed attendere la freccia avvelenata. Non era mai stato tanto difficile uccidere qualcuno come in quel momento: il silvano ne aveva sentito la colpa aumentare ad ogni goccia di sangue che lasciava il corpo sempre più freddo dell’elfo di Fonte. Dove erano arrivati? Quanto in basso era caduta la loro bellissima razza e che fine aveva fatto l’antica saggezza? A che diritto ora avrebbero reclamato il loro ruolo nel mondo, caduti così in basso, alla stregua di bestie che lottano per la mera supremazia di un branco sull’altro e si nascondono dietro blando onore e sangue da vendicare?

Era scivolato via da quella tenda, Jeff, come il peggiore dei criminali e forse lo era. Un regicida che piange i corpi delle sue vittime e trema nella notte. Ora comprendeva tutti i timori di Nick, ora sapeva che per lui sarebbe stato anche peggio: lui che era tanto buono e tanto dolce, temeva non avrebbe retto il confronto con i Silvani.

Per Nick era stato più difficile – Jeff aveva compreso la sua persona, la sua anima, fin troppo bene – ma i problemi erano cominciati ancor prima che la coscienza si svegliasse e l’elfo agisse. Alcune guardie lo avevano riconosciuto, poco lontano dalla tenda del re ed avevano costretto lui e Thad a combattere.

«Il rumore attirerà altri soldati», aveva gridato la guardia reale, tra un colpo e l’altro «Dovete andare ora, se sperate di avere ancora successo. Qui resterò io e li rallenterò».

Nick sapeva che non c’era tempo per contestare quella decisione, eppure cominciava a sentirsi un mostro, il mostro che aveva ucciso Lyan, che aveva scatenato la guerra tra due nobili razze e che ora lasciava a morte certa uno dei suoi migliori amici. Era corso via da quello scontro come si fugge dalla più terribile delle paure, aveva perso lucidità, aveva perso forza. Non era mai stato forte, lui, in fondo.

Per questo, quando era entrato nella tenda gli erano mancati fiato e coraggio. Ed era stato preso in contropiede: il re dei Silvani era sveglio ed armato e anche sua moglie era pronta a vendere cara la pelle – Thad non aveva né l’addestramento né l’esperienza per poter battere entrambi e si era trovato a combattere per la propria vita piuttosto che per toglierla a loro. In breve tempo si era reso conto che senza rischiare, senza esporsi, non sarebbe mai stato in grado di avvicinarsi abbastanza da ferirli – era stato quantomeno abbastanza furbo da bagnare la sua lama col veleno che Jeff gli aveva dato: un solo colpo, una ferita anche leggera, sarebbe bastata.

Così era riuscito a colpire la regina: un taglio appena visibile alla spalla ed un grosso colpo alla propria gamba, ma ne era valsa la pena perché la guerriera si era accasciata a terra con qualche lieve spasmo ed aveva spirato prima ancora che il marito se ne accorgesse. Erano rimasti, allora, uno contro uno, ma la rabbia del Silvano non era minimamente paragonabile alla poca forza che ancora restava a Nick.

«Hai ucciso mia figlia, hai corrotto mio figlio ed ora giungi fin qui ad uccidere mia moglie!», aveva gridato con furia negli occhi, gettandosi contro l’elfo di Fonte e sfinendolo con colpi che il giovane faceva sempre più difficoltà a parare; la gamba aveva sempre meno intenzione di sostenerlo e la determinazione veniva meno a mano a mano che le forze si tiravano indietro.

Era stato quando Nick aveva capito di essere pronto a morire che le cose erano cambiate. Aveva cominciato a vedere quello scontro da una prospettiva completamente diversa: non si trattava più di difendere se stesso, ma di dare il tutto per tutto nel colpire l’elfo che aveva di fronte. Perché ne andava della fine della guerra, perché quando avrebbe portato a termine quella missione sarebbe potuto morire in pace. Paradossalmente era stata la stanchezza a dargli la forza per lottare ancora e si era esposto senza più alcuna difesa al colpo di spada del silvano – che lo prese allo stomaco – solo per potergli lasciare un sottile taglio sul collo.

Lo aveva visto accasciarsi a terra e maledirlo tra gli spasmi prima di morire. Poi aveva sospirato ed aveva anche lui perso i sensi. Sereno.

 

Tra le braccia di Jeff, ora, Nick sente di stare nuovamente bene, riesce quasi a dimenticare il dolore che lo attanaglia, il freddo che minaccia di divorarlo o la colpa che lo corrode da dentro. Sta bene come non è mai stato, come avrebbe sempre voluto vivere.

«Nella mia tenda… c’è una lettera…», sussurra, guardando oltre Jeff, verso le sue guardie «È scritto tutto quello che è successo in questi anni e la decisione che abbiamo preso perché questa guerra finisse».

Thad lo guarda con le lacrime agli occhi: non vuole che parli in quel modo, che dia per scontato che non sarà lui a leggere quella lettera, a parlare di quelle scelte, ma non può ingannarsi e far finta di non vedere la grossa ferita che lo sta portando sempre più vicino alla morte; allora annuisce, prima di stringersi a Sebastian e singhiozzare sul suo petto, senza pudore o vergogna.

Nick rivolge nuovamente lo sguardo al silvano e gli sorride, pallidissimo e stanco. Jeff lo stringe a sé ma non lo prega di non morire – non è mai stato un sognatore o un ottimista, lui: sa che non avrebbe senso. Ha altre parole da dirgli, sa come usare quei pochi istanti che sente rimanere loro.

«Non te l’ho mai scritto perché penso che alcune cose non possano essere semplicemente scritte, ma che abbiamo valore solo se pronunciate. Ti amo, Nicholas. Sei il solo che abbia mai amato in tutta la mia esistenza».

E ha ragione, pensa Nick: certe cose hanno un sapore tutto loro e quello parole, la voce, l’intonazione, il respiro che le accompagna, tutto è così buono e giusto e stupendo che si rende conto ne è valsa la pena aspettare così tanto e non leggerlo semplicemente tra un messaggio e l’altro. Lo ricorderà per sempre, porterà quel sapore ovunque andrà e se gli dèi non li uniranno subito in quel che li aspetta dopo la morte, il ricordo di quel momento servirà a tenergli compagnia per tutto il tempo che dovrà aspettare.

«Ti amo anche io, Jeff. Ti amo come non potrò mai amare nessun altro. Come non avrei mai fatto, neanche se gli dèi mi avessero concesso secoli ancora da vivere».

È contento di sé, di essere riuscito a dire tutto senza pause in mezzo – ha preso fiato prima e ha pronunciato ogni parola con la giusta intonazione e peso: vuole lasciare anche a Jeff qualcosa da ricordare e portare con sé, qualcosa di lui, di quel poco meraviglioso che hanno avuto insieme.

Le labbra del Silvano lo baciano non appena ha finito di parlare e quel bacio, il sapore di quelle labbra, la dolcezza di quel gesto solo le ultime cose che Nick sente, quelle che porta con sé nella morte. Jeff rapisce il suo ultimo respiro e l’elfo di Fonte spira sulle sua labbra e tra le sue braccia. Ma non è triste, no, non lo è affatto. Anzi, quella morte è una liberazione perché sa quanto Nick stesse soffrendo e non avrebbe potuto sopportare oltre il tormento che si celava nei suoi occhi, sconosciuto a chiunque non lo conoscesse tanto bene come lui. E poi, dopotutto, non dovrà attendere molto prima di raggiungerlo di nuovo. Perché, in fondo, Jeff ha sempre saputo che non sarebbero sopravvissuti a quella scelta, che sarebbe stata la loro morte allo stesso modo di quella dei loro genitori. E gli va bene così.

«Anche io ho una lettera, qui», dice, volgendosi ai due elfi alle sue spalle ed incontrando lo sguardo di Sebastian, «Leggetele ad entrambi gli eserciti, mostrate loro i sigilli reali e le nostre firme. Vi crederanno. Non abbiamo voluto fare altro che porre rimedio ad una guerra che aveva privato tutti di troppe cose, che non sarebbe mai dovuta accadere. Che era solo colpa nostra».

Sebastian prende la lettera e non chiede che cosa Jeff abbia intenzione di fare – senza appena Thad fremere tra le sue braccia e sa che anche lui ha capito che cosa sta per succedere.

In fondo, gli elfi silvani sono sempre stati una razza strategica e previdente e Jeff ha conservato una boccetta di veleno per sé, per quel momento. Lo beve senza alcun pensiero, guardando la serenità sul volto di Nick, aspettando semplicemente di addormentarsi con lui: è così stanco e ha tanta voglia di chiudere gli occhi col corpo del suo amato tra le braccia. Quando il primo tepore arriva, il silvano lo accoglie come si accoglie il sonno dopo una lunga giornata e l’ultima cosa che sente è la sensazione dei capelli ricci di Nick sotto il suo tatto.

 

*

…“Dire che questa guerra non l’abbiamo mai voluta sarebbe troppo ipocrita, pur essendo la verità. Tutto quello che volevamo era amarci e il nostro amore ci ha resi ciechi di fronte a tutto ciò che avevamo contro. O almeno, ha reso cieco me. Non mi sono accorto di nulla se non quando era troppo tardi e di questo pago il fio.

Non credo sopravvivrò a ciò che io ed il principe Jeffrey abbiamo deciso di fare, e forse è meglio così. Troppo a lungo con la mia colpa ho macchiato ciascuno di voi e troppo a lungo le conseguenze del mio gesto hanno sconvolto le vostre vite. Ma sappiate che ciò che stiamo per fare, lo facciamo in nome di quella pace che avremmo dovuto firmare col mio matrimonio. Siamo due figli che uccidono i propri genitori – e forse se stessi – per ridare ai loro popoli la serenità che meritano.

Chi verrà dopo di me ricordi questo sacrifico e preservi la pace con tutte le sue forze in nome di esso. Che nessuna delle vite perse in questo campo di battaglia vada perduta, che ciascuna abbia valore e la memoria ne sia perpetuata.

Ho amato ciascuno di voi e con ciascuno di voi mi scuso. Le vicende personali non dovrebbero mai portare a scontri tanto grandi e coinvolgere tante persone. Per quel che mi riguarda, non dirò che avrei preferito non amare: il sentimento che mi lega al principe Jeffrey è quanto di più bello possa avere e neanche la guerra me lo toglierà. Amate, perché l’amore è capace delle peggiori conseguenze e delle più nobili e belle conclusioni.

Vostro, Principe Nicholas, del Regno di Fonte”.

 

…“In quanto principe, in quanto vostro futuro re, ho fallito nel momento in cui non sono riuscito ad evitare questa guerra e spero, con quest’azione, di poter fare ammenda, almeno in parte. Alcuni di voi potranno pensare che non ci sia ammenda nel sangue e mi troveranno d’accordo; tuttavia, io ed il principe Nicholas non siamo potuti giungere che a questa soluzione e chiediamo perdono se nella nostra piccolezza non sarà stata quella giusta.

Credevo di detestare la debolezza dei sentimenti che gli dèi ci hanno dato finché non ho conosciuto quell’elfo e nonostante i drammi a cui il nostro amore ha condotto tutti, non chiederei mai di non averlo incontrato. Sono i sentimenti e non le mere strategie a reggere un regno – una lezione che ho compreso troppo tardi e che spero voi custodirete nel vostro cuore a maggior profitto avvenire.

Quello che ho avuto con Nicholas resterà per sempre tra di noi. Posso solo invocare il vostro perdono perché mai avrebbe dovuto coinvolgervi. Per il resto, ricordate la vostra razza, ricordate il sangue puro che scorre nelle vostre vene e la saggezza degli antenati: la follia non sta nel fare errori, sta nel non porvi rimedio quand’è possibile e se le nostre azioni per quanto scelerate hanno condotto alla pace e hanno mosso i vostri cuori al perdono e alla concordia – come spero – allora la nostra non è stata follia, ma solo amore.

Vostro, Principe Jeffrey, del Reame Silvano”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Spero che prima o poi possiate perdonarmi tutto l’angst di questa storia, ma a dirla tutta non l’ho mai pensata perché avesse un lieto fine. La guerra è orribile e sarebbe stato poco verosimile se Nick e Jeff si salvassero. È ufficialmente la shot più lunga che abbia mai scritta e ne vado almeno un po’ fiera. Spero davvero che possa piacere anche a voi e in ogni caso qualsiasi tipo di critica sarà bene accetta ♥

Ora, prima che vada, voglio annunciare una cosa: una certa personcina mi ha chiesto di scrivere un prequel sui Thadastian a cui ho dato più o meno luce durante la narrazione: erano partiti come comparse ma si sono ritagliati un loro ruolo ben preciso in tutta la dinamica. Ho appositamente fatto qualche accenno verso il finale all’inizio della loro storia e ho praticamente plottato la loro shot (anche stavolta, temo, chilometrica) che comincerò a scrivere presto. Quindi stay tuned perché né io né il fantasy abbiamo messo la parola fine a questo tipo di esperimenti.

Per il resto, ringrazio chiunque abbia presto attenzione a questo cumulo di parole ^_^

 

Alch

   
 
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