“…hanno fini violente”.
«Riuscite a camminare?».
Il principe passa un braccio in torno alla vita
della guardia reale e tenta di farlo alzare con meno sforzo possibile.
Sebastian mugugna di dolore, ma riesce a stare sulle proprie gambe – è il
braccio a preoccuparlo, sta perdendo troppo sangue e sverrà presto se non
riesce a fermarlo.
«Mi servirebbe...», il respiro è pesante, ha
bisogno di prendere fiato troppo spesso e la vista è ormai sfocata «Qualcosa
per... il braccio...».
Jeff guarda la ferita e comprende subito quando
sia grave – ne ha viste tante in battaglia e sa che non c'è tempo da prendere.
Dà a Sebastian una lancia su cui mantenersi e sganciandosi l'armatura, strappa
parte del tessuto che gli copre il petto per poi fasciare stretto il braccio.
La guardia grida dal dolore, stringendo gli occhi e mordendosi le labbra e Jeff
lo prende sotto braccio perché non si accasci a terra.
«Forza, dobbiamo muoverci», lo incita, ma
Sebastian è come un peso morto, non si sposta.
«Lasciatemi qui, Maestà. Andate dal mio
principe... o tutto quello che-».
«Smettetela! Dobbiamo arrivare anche da Thad,
no? E che cosa potrei dirgli se vi lascio qui?».
Sebastian s'aggrappa con forza al principe, il
pensiero del suo compagno gli dà nuova forza e nonostante il braccio gli faccia
male da morire, stringe i denti e si incammina.
Jeff chiuse la porta alle sue spalle e vi si
accasciò contro. Respirava a fatica, il petto sembrava scoppiargli e gli occhi
erano improvvisamente pieni di lacrime. Che cosa gli stava succedendo? Perché
s'era fatto trasportare, corrompere in quel modo? Nascose il volto fra le mani,
disperato. Voleva smettere di provare, sentire qualunque cosa stesse sentendo;
voleva solo tornare ad essere il principe di una volta, quello che non aveva
mai messo piede nella corte degli Elfi di Fonte, che non faceva altro che
disprezzarli da lontano senza conoscerli.
Voleva tornare ad essere il Jeff che non s'era
mai innamorato, che trovava anzi l'amore stupido e banale, superfluo. Non
voleva essere l'elfo idiota a cui batteva il cuore in modo irrazionale ogni
volta che lo sposo di sua sorella gli passava accanto, quello stupido che s'era
lasciato abbindolare da belle parole e sorrisi affettuosi e che non aveva
potuto resistere a qualcosa che non aveva nulla di perfetto ma era bellissimo.
Perché Nick era così: aveva talmente poche cose
di perfetto, di elfo silvano, da farlo apparire ancora più bello. E come
avrebbe potuto non innamorarsi di lui dal primo momento che l'aveva visto? Da
quando aveva varcato la soglia di quel luminoso palazzo non aveva più avuto
scampo. Aveva lentamente perso il controllo di se stesso e di ciò che lo
circondava fino a trovarsi in una situazione del genere senza neanche
rendersene conto.
Ma non avrebbe dovuto, non era quello il suo
ruolo nella storia. I suoi genitori avevano pianificato quel matrimonio da
tempo e sua sorella era riuscita ad innamorarsi di chi doveva solo sposare:
perché adesso doveva rovinare tutto lui con il suo inopportuno amore? Che cosa
c'entrava lui in un quadro tanto facile da dipingere – in una scultura di così
semplice forma?
Dimenticare. Lui doveva solo dimenticare quello
che era stato e passare avanti. Sarebbero andati via fra pochi giorni, subito
dopo le nozze: gli sarebbe bastato arrivare fino a quel giorno e poi tutto
sarebbe stato solo un sogno. Un bellissimo, impossibile sogno. E lui sarebbe
tornato ad essere il Jeff di sempre e non avrebbe mai più visto Nicholas in
vita sua. Mai più.
Jeff si asciugò con forza le lacrime, facendosi
quasi male e si alzò da terra simulando una forza che ormai non aveva più e che
solo il dovere, solo ciò che era giusto provava ad ispirargli. E proprio in
quel momento, proprio mentre il principe cercava di rimettere insieme i pezzi
del suo cuore un colpo li buttò a terra. Avrebbe potuto paragonarlo ad un
grosso macigno, di quelli che le catapulte lanciavano durante gli assalti per
abbattere le fortificazioni.
Ma fu solo il lieve bussare di una mano alla sua
porta. E una voce. La sua voce.
«So che siete qui, principe Jeff... vi prego,
voglio solo parlarvi...».
Oh, Jeff avrebbe dovuto saperlo che a quella
voce non era già più capace di resistere, ma provò a fare violenza su se stesso
e non rispose, sperando che l'altro si stancasse ed andasse via, che lasciasse
perdere. Ma Nick non era abituato a lasciar perdere, aveva capito anche questo.
«Vi prego», sussurrò di nuovo il principe,
appoggiandosi alla porta con entrambe le braccia e la fronte – ed avrebbe
voluto abbatterlo quell'ostacolo, farsi strada con la forza finché non avesse
visto di nuovo gli occhi chiari di Jeff, ma a cosa sarebbe servito poi? No, la
violenza non si addiceva a quell'elfo silvano, per quanto provasse a mostrare
l'opposto.
«Il nostro bacio», riprese a parlare, la voce
bassa perché sapeva bene che lo stava ascoltando, vicinissimo «Forse è stato
improvviso ed inaspettato... ma andava bene. Non eravate il solo a volerlo ed
io... Oh, io non potevo sperare che lo voleste, credevo di essere il solo a-».
La mente di Nick stava vagando, volava come
sospesa su un alta nuvola e riviveva le sensazioni che quel bacio gli aveva
donato, la perfezione di quel momento, come se volesse impararle a memoria,
imprimerle sulla pelle come cicatrici di battaglia – lui che in battaglia non
c'era mai stato. Ma ciò che si impresse e lasciò cicatrici fu il modo brusco in
cui quelle fantasie furono interrotte.
La porta si aprì d'improvviso, così inaspettata
che l'elfo quasi cadde addosso all'altro. Nick si scontrò con gli occhi furiosi
di Jeff e se gli avessero chiesto come fosse ricevere una pugnalata al petto,
pur non avendone esperienza, avrebbe detto che sapeva in quel modo: degli occhi
di Jeff che lo guardavano carichi di odio.
«Non andava bene», soffiò freddo come Nick non
l'aveva mai sentito «Ci sono decine di ragioni per cui non andava bene e prima
fra tutte perché siete il promesso sposo di mia sorella ed io non potrei mai
farle questo, né voi dovreste!».
Per Jeff era stato facile dire quelle parole,
perché lo pensava davvero. Pensava davvero che non avrebbero dovuto per amore
di Lyan, che sua sorella non lo meritasse, che le
cose fossero già scritte e non sarebbe stato giusto per nessuno cambiarle.
Quello che risultò difficile, quasi impossibile fu guardare Nicholas negli
occhi mentre lo diceva, vedere come ogni sua gioia si sgretolasse lentamente a
causa di quelle parole e la luce si spegnesse un po' in lui.
Cercò di ripetersi che era per il bene di tutti,
che il principe – e lui stesso – se ne sarebbe fatto una ragione e sarebbe
andato avanti. Era stato solo un bacio e ad un bacio si può sopravvivere, non è
una freccia piantata nella schiena.
«Avete ragione» e Jeff credette di aver sentito
male – qualcosa si mosse in lui, fu una brutta sensazione. Era... deluso? «Non
andava bene. Non va bene. Ma non posso prendere tutto questo, metterlo in un
cassetto e dimenticarlo. Perché credo di essere innamorato di voi».
Il silvano boccheggiò. Come si sopravvive
all'amore? Lo prese una fitta al petto, qualcosa di straziante ed
insopportabile: dieci frecce nella peggiore delle battaglie che aveva
affrontato non avrebbero eguagliato quello che sentiva.
«Smettetela» sibilò nello stesso modo in cui si
uccide qualcosa di orrendo e di cui si ha paura – velocemente e senza raziocino
«Smettetela di dire assurdità».
«Assurdità...». La voce di Nick era appena un
sussurro, spezzato. Jeff si impose di resistere ancora un po', perché presto
quella conversazione sarebbe finita e Nicholas non gli avrebbe mai più rivolto
la parola. «Guardatemi negli occhi e
ditemi che ho sbagliato tutto, che ho capito male e voi... voi non-».
«Io cosa? Cosa?!». Era il ringhio di un animale
ferito che cerca di non farsi ammazzarsi.
«Che vi ho costretto. Che non avreste voluto.
Ditemi che sono stato il solo!».
«Io...». Se avesse potuto Jeff si sarebbe preso
a schiaffi. Balbettava. Balbettava come un elfo ancora bambino, lui che era
l'erede al trono della sua stirpe, e tremava forse? Dèi
del cielo, stava tremando! E tutto per un elfo appena conosciuto, un elfo che
entro pochi giorni avrebbe lasciato andare e non avrebbe più rivisto.
«Voi mi avete baciato. Come io ho baciato voi. E
se ora volete tirarvi indietro, se volete dirmi che non dovrà mai più accadere,
bene – ma non negate, non negate quello che-».
Oh, come gridava. Al Silvano pareva che quelle
grida, quel movimento lo rendessero ancora più luminoso e bello nella sua
imperfezione scomposta, terrena. E lo baciò. Lo baciò perché non ne potette
fare a meno, perché non voleva che gridasse in quel modo e soffrisse come
pareva soffrire. Il secondo bacio, il secondo errore. Un errore bellissimo.
Nick ancora una volta fu preso di sorpresa e
rispose al bacio con qualche esitazione. Sentiva ed aveva paura di sentire
perché se poi jeff avesse negato ogni cosa, di nuovo...
Aveva idea che non sarebbe riuscito a sopravvivere.
«Perché?» chiese semplicemente, quando le sue
labbra furono di nuovo sue.
«Perché è questo ciò che abbiamo». Il tono di
voce di Jeff era completamente diverso, Nick non l'aveva mai sentito così:
pareva dolce, caldo e appena un po' rassegnato, ma di quella rassegnazione già
priva di sofferenza, di quella matura, che fa quasi bene. «Io vi bacio, voi mi
baciate. È tutto quello che potremmo avere, perché sposerete mia sorella tra
pochi giorni». Gli mosse i capelli dalla fronte e l'elfo di fonte ebbe un
sussulto; non riusciva a staccare gli occhi dall'altro e nonostante le parole
che diceva facessero male erano diverse dalle precedenti e in qualche modo gli
andavano bene. Perché ora Jeff non era contro di lui, ora era con lui contro
qualunque cosa stesse loro succedendo.
«Non è giusto», sussurrò, abbassando il capo
«Non sarebbe dovuto succedere. Perché innamorarsi proprio quando il matrimonio
è stato giù stabilito?».
Aveva voglia di piangere: si stava rendendo
conto di quello che Jeff aveva già capito da momento in cui aveva lasciato le
sue labbra per la prima volta, della crudeltà di ciò che provavano. Il viso del
principe silvano, ora, s'era avvicinato e gli era di fianco, guancia contro
guancia, annullando la distanza e quella lieve differenza di altezza.
E Nick non resistette: gli gettò le braccia al
collo, nascondendo quelle lacrime incastrate tra le ciglia sulla spalla di
Jeff. Pianse, pianse sfogando tutto quello che provava, tutto il bene e tutto
il male, ogni cosa. L'altro lo strinse a sé, prima con dolcezza, poi con
bisogno: quelle lacrime erano anche le sue lacrime, le lacrime di chi non
sapeva più piangere.
«E se... e se fossi innamorato di voi?», balbettò
contro la stoffa sottile della sua camicia.
«Allora... allora...siate felice, perché credo
di essere innamorato di voi anch'io». Gli baciò la fronte, come si faceva con
ciò che si aveva davvero a cuore, con tutto l'affetto che un gesto tanto puro potesse
trattenere.
Entrambi smisero di sottolineare come
quell'affetto fosse del tutto vano, come le cose fossero già stabilite e nulla
potesse cambiarle. Rimasero lì, davanti alla porta della stanza di Jeff,
abbracciati, più vicini di quanto non fossero mai stati ad un essere umano. Per
un istante, completi.
Non notarono chi li guardava. Non notarono gli
occhi gli Lyan che li spiava. Non notarono il suo
viso distrutto.
Lyan corse via prima di essere scoperta, ma il mondo
intorno a lei aveva smesso di scorrere. Non sentiva più nulla, a stento vedeva
quello che la circondava, i corridoi ormai noti che stava percorrendo. Si
ritrovò nella propria camera senza neanche accorgersene e si gettò sul letto
con una disperazione che non credeva avrebbe mai provato.
Che cosa era successo al suo matrimonio, che
cosa al suo sposo? Era tutto perso proprio ora che lei s’era innamorata? Perché
era per questo che s’era diretta lì, per questo che s’era trovava davanti alla
porta della camera del principe Nicholas. Voleva parlargli, prima del
matrimonio, prima che quel giuramento fosse fatto davanti a tutti. Voleva
parlargli in modo sincero, fare solo davanti a lui quelle promesse che poi la
cerimonia avrebbe chiesto loro per far capire a Nick che le intendeva davvero,
che non era solo una convenzione, un matrimonio di convenienza. Che s’era
innamorata di ogni cosa in quel regno e soprattutto di lui.
Ma a quanto pareva il principe di Fonte non la
pensava allo stesso modo. Lui non provava nulla, per lui non era altro che un
accordo tra regni quel matrimonio, rapido ed indolore, senza sentimenti né
dubbi. Avulso da tutto ciò che di bello c’era al mondo.
«Mi dispiace».
La voce di Jeff è un
sussurro strozzato nel deserto di cadaveri e feriti. Sebastian sussulta appena
a quelle parole, senza capire.
«Mi dispiace di
avervi coinvolti. Voi e Thad...non avreste dovuto eseguire i nostri ordini,
rischiare tanto».
«Più di quanto non
abbiamo rischiato in combattimento?», chiede pratico, forse appena un po'
indispettito dal discorso del principe - non ha mai sopportato chi si pente di
ciò che ha fatto quando ormai è troppo tardi per poter porvi rimedio.
«Tutto questo», sta
continuando Jeff «Non sarebbe dovuto succedere, noi-».
«Risparmiate le
energie», lo blocca la guardia reale «Siamo quasi arrivati al vostro
accampamento». Non vuole parlare, non quando non sa come stia Thad, non quando
non ha idea di se il suo principe sia ancora in vita.
«Mi odiate, non è
così?».
Quella domanda lo
spiazza meno della prima, tanto che trova anche la forza per rivolgergli un
sorriso tirato e triste.
«Lo vorrei tanto.
Sarebbe estremamente facile e liberatorio. Vi odierei e desidererei che non
foste mai arrivato alla nostra terra, perché senza di voi tutto questo non
sarebbe successo, senza di voi io sarei a corte, accanto a Thad, magari a
cavallo, accompagnando il principe in una delle sue galoppate. Ma non posso: il
principe Nick vi ama, vi ha amato dal primo istante ed io non riesco ad odiarvi
per questo. Perché so che cosa significa - o credete sia stato facile per noi
solo perché non siamo di sangue reale?».
Il Silvano può
leggere furia negli occhi di Sebastian, un ardore ed una passione che non ha
mai visto prima.
Ne rimane spiazzato,
senza sapere che cosa dire e tira avanti sostenendo il peso dell'altro elfo.
«...Nick?».
Il giovane elfo sussultò sentendosi chiamare e
guardò i presenti come se fossero appena piombati in una scena in cui non
c'erano fino all'istante precedente. E gli sembrava che gli altri lo
guardassero proprio allo stesso modo mentre, seduti al lungo tavolo,
consumavano tutti insieme la cena. Sua madre e suo padre, in particolare, lo
guardavano con un misto di sorpresa e disapprovazione e lui non aveva idea di
come uscire da una situazione del genere.
«Probabilmente il principe Nicholas è troppo
impegnato ad immaginare il suo futuro per prestare attenzione alle nostre
chiacchiere di circostanza».
La voce di Jeff era uscita seria e un po'
altezzosa come sempre; non vi era alcun cambiamento neanche nella sua posa
sprezzante e nei suoi occhi di ghiaccio, eppure quando Nick lo guardò colse la
differenza. La differenza che il loro dialogo aveva fatto, che quello che si
erano detti aveva messo in entrambi. Quello era un modo – forse rude, forse
semplicemente da elfo silvano – per tirarlo fuori da un semplice impiccio.
«Vogliate perdonare la mia scortesia. Mi ero...
distratto. Pensavo – in momenti poco opportuni, temo», si scusò il principe con
un sorriso caldo, di quelli a cui non si poteva negare quasi nulla.
«Immaginiamo che un evento tanto grande come
l'imminente matrimonio occupi completamente la mente di un elfo tanto giovane»,
disse la madre di Lyan con un accenno di sorriso
«Anche mia figlia in questi giorni non pare pensare ad altro».
Nick si voltò verso di lei, che gli sedeva
accanto, per scoprire uno sguardo completamente diverso da quello che si
sarebbe aspettato: i soliti occhi accesi e lucenti dell'elfo ora erano
sostituiti da due gemme opache – e di un opaco strano, non come se fossero
coperti da polvere che sparisce in un soffio, ma bloccate da un sottile strato
di duro ghiaccio. Neanche gli occhi di Jeff erano mai stati così freddi.
«Forse in simili circostanze per le spose c'è
molto più da scegliere. E credo che le tradizioni mi impediscano di avere a che
fare con qualsiasi cosa riguardi quel genere di preparativi: mi spiace di non
poter essere utile», disse, prendendole la mano.
Lyan non si mosse, non lo guardò, non fiatò neanche,
ferma nella sua posizione marmorea. Al principe faceva quasi paura, gli
procurava un sottile dolore all'altezza dello stomaco ed uno strano
presentimento.
«Temo che in questo matrimonio io abbia scelto ben poco», sussurrò. Neanche
quel tono era il suo.
«Perché mai?», le chiese – era sorpreso da
quelle parole, ma di una sorpresa diversa da quella che provavano gli altri
spettatori della scena. La sua era in qualche modo consapevole che qualcosa non
andava: in fondo, sembrava aver capito dove quella situazione li avrebbe
portati, ne immaginava le ragioni ed aveva paura.
«Perché mentre acconsentite a sposare me,
giurate amore a mio fratello».
Oh, la bellezza di quelle parole, la
soddisfazione che provocarono nel petto di Lyan, la
sorda gioia che rilasciarono sotto la pelle, dentro le vene, annebbiandole la
mente! Avrebbe riso follemente dell'espressione sconvolta sul viso di Nick,
dell'orribile sorpresa che dipingeva le fattezze dei genitori e della coppia di
elfi di fonte e soprattutto del doloroso terrore che leggeva negli occhi di
Jeff.
Sì, era ciò di cui andava più fiera. Quegli
occhi sbarrati, quel volto più pallido del solito, quelle labbra sottili e
livide, quelle belle mani tremanti: erano il capolavoro della sua vendetta, la
firma della sua disfatta. La vittima inutile di un generale che aveva perso la
sua più importante guerra.
«Di cosa stai parlando, Lyan?»,
scattò il Re Silvano – alzandosi in piedi come una furia.
«Sono sicurissimo che si tratti di un semplice
malinteso, la piccola paranoia di un passo tanto grande», provò a sistemare le
cose il Re di quelli di Fonte mentre sua moglie guardava Nick. E percepì la sconfitta
nel momento stesso in cui incontrò le iridi scuse del figlio: non c'era diniego
in quegli occhi spaventati, non c'era rimorso, non c'era nulla che avrebbe
potuto smentire una simile accusa, perché Nick non sapeva mentire. Aveva paura,
ma non negava.
«Temere di star male il giorno del proprio
matrimonio è una paranoia da giovane sposa. Vedere il proprio fratello che
scambia un bacio col lo sposo è tutt'altro».
Glaciale la voce, come glaciale erano gli occhi
e definitive le parole come definitiva era la condanna. Lyan
si alzò, muovendo qualche passo lungo la stanza, lontano da quel tavolo di
estranei; sembrava la prima attrice di una tragedia bellissima e funesta nel
momento cruciale di una massima rivelazione. Si sentiva invasata da una forza
che non aveva mai creduto di avere, la forza dell'eroina nel suo atto finale –
avrebbe giocato allora tutte le mosse che le restavano e sarebbe uscita di
scena lasciando il segno.
Si voltò a guardare suo fratello che s'era
alzato, intanto, e la fissava sconvolto.
«Lyan, te ne prego...
quello che hai visto-».
«Cosa? Non è vero? Ho frainteso? Sono solo mie
fantasie?», strillò l'elfo. Non voleva e non doveva piangere. Doveva essere
forte e portare a termine quello che stava iniziando, doveva farla pagare ad
entrambi per il dolore che da quel pomeriggio provava, che le aveva tolto aria
dal petto e stretto il cuore in una morsa gelida.
Perché era lei quella che doveva soffrire?
Perché s'era tutto improvvisamente trasformato in una tragedia? Che cosa aveva
fatto di sbagliato, per che cosa pagava quel prezzo? Aveva accettato di sposare
lo sconosciuto di un altro regno per permettere alle loro razze di unirsi
ancora una volta, era stata buona non s'era opposta a niente e nessuno e alla
fine era stata anche capace di innamorarsi di quell'elfo. Allora perché stava
male, perché gli dei le facevano questo, perché le davano tutto quel dolore?
« Lyan...». Questa volta era stato Nick a parlare, anche lui
in piedi «Mi dispiace, mi dispiace così tanto... è stato-». Avrebbe voluto dire
che era stato un errore, che se ne era pentito, che era lei che amava, ma le
parole le morirono in bocca - perché non erano vere.
La giovane elfo lo guardava dritto negli occhi e
leggeva la verità che le labbra non avevano il coraggio di dire. E più lo
guardava più sentiva il suo cuore fare male e il petto stringersi e le gambe
cedere sotto il peso di un dolore troppo grande.
«Era con te che volevo stare», sussurrò senza
più lo schermo della rabbia e della vendetta a sorreggerla «Era con te che
volevo passare l'eternità».
Nick stava male. Sentiva Lyan,
le sue parole rotte dal dolore e la colpa lo schiacciata; stava male ma non
riusciva a fare altro - l'amore per Jeff era una cosa a parte, separato da
quella scena, avulso da qualsiasi sentimento di rimorso o pentimento. Che
scampo aveva lui se s'era innamorato di quell'elfo? Non aveva avuto poi scelta,
in fondo.
Si mosse. La sala ora sembrava così grande da
togliergli il fiato e così gelida da risultare estranea e minacciosa; ogni passo
che faceva, che l'avvicinava a lei, risuonava con eco minacciosa, rimbombava
nelle orecchie dell'elfo di fonte e lo atterriva: da quando era diventato così
crudele? Da quando si era trasformato in quel l'essere senza cuore che
distrugge la felicità altrui solo per un briciolo della propria? Erano passati
pochi giorni e parevano secoli: si sentiva una persona completamente diversa e
non era certo che quel diverso gli piacesse.
«Lyan», sussurrò
quando le fu davanti, e si calò a terra, come qualche istante prima aveva fatto
lei, nella speranza di poter vedere il suo viso, ora basso e nascosto dai
lunghi capelli biondi. «Non avrei mai voluto farti del male. È... successo. Non
l'avevo programmato, era con te che dovevo stare. Ma poi-».
L'elfo silvano sussultò, percependo l'abisso tra
le parole che lei stessa aveva pronunciato prima e quelle del suo promesso
sposo. Fu l'ultimo passo da fare, il segno che stava aspettando.
«Ci sarà sempre un "ma poi" tra noi»,
disse.
Agì così velocemente che Nick, pure così vicino
a lei, non fu in grado di fare nulla se non assistere, impotente, all'orribile
scena. In un attimo, Lyan dalla veste aveva estratto
un pugnale - un pugnale dalla lama quasi trasparente, di cristallo bianco,
forgiata dai nani e decorato con sobria maestria - e l'aveva portato
all'altezza della gola, incidendo con una forza che nessun essere umano
dovrebbe avere.
Nick trattenne il fiato. Immobile, ghiacciato
dal gelo negli occhi di lei mentre le moriva davanti. C'era un odio in quegli
occhi che il principe non avrebbe mai voluto vedere, un odio che aveva creato
lui e la consapevolezza lo uccideva.
Il principe non si accorse del silvano che gli
correva accanto: entrò nel suo campo visivo con la prepotenza di un fratello
distrutto. Lo sentì gridare come non avrebbe mai creduto che Jeff potesse fare
e il suo cuore si spezzò: l'aveva uccisa lui.
«No! Lyan! Lyan, ti prego, no!», supplicò Jeff, stringendola contro il
suo petto, piangendo. Ma l'elfo aveva già scelto il proprio destino e non c'era
più nulla che lui o chiunque altro potesse fare.
Sebastian può sentire
la paura prenderlo all'altezza del petto nel momento stesso in cui riconosce i
capelli scuri di Thad e la sua schiena ancora avvolta nell'armatura leggera.
Gli manca il fiato e le sensazioni sfumano, persino il dolore sparisce,
risucchiato dalla terribile consapevolezza che potrebbe essere arrivato troppo
tardi.
Si libera dalla presa
del principe silvano con uno slancio che quasi lo fa sbilanciare e si precipita
verso il corpo inerme del compagno; lo volta verso l'alto col solo braccio che
riesce ancora ad usare e prega. Prega che Thad sia vivo, che sia arrivato in
tempo perché non saprebbe come fare nel caso i cui-
«Ti prego, Thad, ti
prego. Non lasciarmi, non farlo... ».
Jeff osserva la scena
da lontano ed è come un dejà vu: rivede se stesso nella disperazione della
guarda reale e Thad è così simile alla sua Lyan,
sembra così fragile e pallido e-
«Thad! », grida
Sebastian e Jeff non sa se sia spaventato o sollevato. Si muove di qualche
passo e nella suo petto il dolore aumenta, mentre nella mente comincia
inconsapevolmente a gridare "non di nuovo, non di nuovo". Non sa come
avrebbe reagito: nonostante tutti i morti di quella guerra, sente di non poter
sopportare un dolore del genere ancora una volta.
Ma Thad si sta
muovendo: scorge i suoi occhi aprirsi e Sebastian lo bacia per poi stringerlo
al petto.
«Non lascerò mai più
il tuo fianco, Thad. Mai più», mormora l'elfo con voce spezzata e l'altro alza
una mano fino a sfiorargli i capelli con dolcezza: la guerra è così lontana da
loro, così dimenticata...
«Sto bene, Bas, non agitarti», gli dice Thad con un sorriso, poi nota
la grossa ferita sulla spalla e sbianca «Sebastian-».
«Anche io sto bene.
Tranquillo».
Jeff non vorrebbe
interromperli, ma ha bisogno di chiedere perché la paura ora sta divorando lui.
«Nicholas...? », dice
titubante e allora Thad si aggrappa al compagno per mettersi seduto: ora si
vede chiaramente il segno di un grosso colpo che gli ha squarciato il pettorale
di ferro.
«Ci siamo dovuti
separare quando alcune delle vostre guardie ci hanno scoperti. Ho cercato di
rallentarle per dare al principe il tempo di agire ma non so... ». Ora anche
lui ha paura che a Nick possa essere successo qualcosa e il pensiero gli fa
girare la testa.
«Restate qui,
mettetevi a riparo», ordina il principe silvano, d'improvviso risoluto «Lo
cercherò io - la tenda dei miei genitori non è molto distante».
«Scordàtelo.
Noi veniamo con voi». Thad barcolla nel mettersi in piedi e si appoggia a Sebastian
che cerca di sostenere entrambi: da soli non riuscirebbero a tenersi in piedi
eppure insieme sembra che niente li abbia feriti.
Jeff per la prima
volta si rende conto di invidiarli.
Nick aveva immaginato tante volte di andare nel
mondo al di là del Grande Lago; aveva sognato di partire all’avventura, come
alle volte capitava facessero giovani elfi animati dal bisogno di forti
emozioni e di esplorare quelle terre dalle ricchezze tanto varie e dai popoli
così diversi. C’era così tanto da vedere, così tanto da conoscere – tutto
sembrava aspettare solo lui.
Mai però aveva immaginato che avrebbe visto
quelle terre in simili circostanze. Ora non aveva alcuna voglia di conoscere
quel mondo, anzi sentiva di usurparlo ad ogni passo che compiva, ad ogni boccata
d’aria che rubava. Si sentiva un profano appena entrato nel più bello dei
templi con nessun altro intento se non quello di defraudarne ogni tesoro.
In fondo non l’aveva già fatto? Non aveva tolto
a quella terra un bellissimo fiore, strappandolo con una crudeltà di cui non
avrebbe creduto di essere capace? O forse… no, non l’aveva strappato: l’aveva
calpestato, come uno dei tanti fili d’erba che inevitabilmente i cavalli
calpestano quando vanno al galoppo. Non s’era accorto di nulla, così preso da
quell’amore proibito, che sapeva di mito lontano, da non rendersi conto del
male che stava provocando, finché non era stato troppo tardi.
Finché Lyan non si era
uccisa davanti ai suoi occhi.
Da quella sera era tutto cambiato con una
velocità tale da farlo star male. I Silvani avevano lasciato la reggia ed il
regno con ostilità, avevano maledetto il giovane elfo di fonte, accusandolo di
aver ucciso la loro figlia e plagiato e corrotto il loro primogenito.
Avevano lasciato quelle terre con odio nel cuore
e una promossa: nessuna pace ci sarebbe stata tra le due razze ma il sangue
versato avrebbe portato solo altro sangue. Ed una guerra.
Nick aveva letto delle guerre solo nei grossi
tomi delle ere passate: aveva imparato nomi di grandi condottieri e di mitiche
battaglie, aveva sempre pensato che fossero stupendi gli elogi in cui lo
storico di turno si prolungava, parlando di tattiche e missioni grandiose e
vittoriose; il valore che gli uomini di quelle pagine mostravano gli aveva
gonfiato il cuore e lo aveva fatto battere al colpo dei tamburi di guerra o
delle asce che si schiantavano sugli scudi di legno massiccio.
O almeno così credeva. Ora si rendeva conto che
le righe di inchiostro non rendevano nulla di quello che effettivamente la
guerra significava.
Per non essere colti di sorpresa e chiusi nella
relativa ristrettezza del territorio, il Gran Consiglio degli Elfi di Fonte
aveva deciso di attaccare non appena era stato chiaro che nessun accordo
avrebbe posto fine alle ostilità - i Silvani avrebbero marciato verso il Regno
di Fonte non appena l'esercito fosse stato pronto e non avrebbe avuto senso
aspettare.
Per questo in pochissimi giorni il Re aveva
disposto che ogni elfo in età da esercito fosse arruolato: era una guerra per
l'orgoglio e l'onore - le guerre più stupide avevano tali ideologie e Nick non
poteva fare a meno di stare male perché quell'onore e quell'orgoglio sarebbero
dovuti essere in suoi da riscattare e invece lui era probabilmente il meno
coinvolto in simili sentimenti.
«Lasciate che provi, lasciare che parli con loro
che chieda ammenda per le mie colpe», aveva pregato il giorno prima della
partenza, a consiglio con suo padre e gli alti ufficiali. «Porterò un manipolo
di soldati con me per sicurezza. Potrebbero ascoltarmi, potrei far capire loro
che non avevo intenzione, che non avrei mai voluto che-».
«Non capiranno. Non staranno neanche ad
ascoltare quello che dirai. Ti uccideranno non appena avrai chiuso bocca», lo
aveva interrotto il Re, alzandosi.
«Non potete saperlo!», aveva provato ancora
Nick, alzando a sua volta.
«Posso, figlio mio. Posso perché sono un padre.
E se le parti fossero invertite non esiterei a tagliare la gola dell'assassino
di mio figlio. Senza se e senza ma».
Il principe aveva taciuto. Quelle parole avevano
spento qualsiasi nuova replica la mente avrebbe potuto elaborare e la lingua
pronunciare. Non seppe che cosa di quella risposta l'avesse bloccato per prima,
forse il pensare a suo padre come ad un portare di guerra o forse quella
semplice parola - assassino - pronunciata con tanta semplicità.
Era una condanna lasciata uscire da labbra
amiche perché fosse meno pesante e che invece fu solo più violenta. Se suo
padre lo riteneva un assassino, allora cosa ne avrebbero pensato gli elfi
silvani? Smise di chiederselo prima di farsi ancora più male e si sedette senza
più ascoltare davvero quello che gli altri continuarono a dire.
Partirono. Nicholas non aveva mai visto tante
legioni di elfi armati neanche durante gli addestramenti o nelle parate
ufficiali. Sembrava che la lunga sponda del Grande Lago non riuscisse a contenere
tutti quei giovani e meno giovani, armati e quasi resi allo stesso modo saggi
dalla serietà dei lineamenti.
Le navi percorsero le acque senza fare rumore.
Scivolavano aprendosi la strada con la facilità e l’agilità di un gatto
selvatico e neanche gli ordini dei timoniere interrompevano il silenzio serioso
perché ogni elfo sapeva esattamente che cosa fare e gli esperti osservavano
senza parlare, senza aver bisogno di dire nulla.
Arrivarono di notte, le fiaccole di fuoco blu ad
illuminare il loro cammino: sotto i riverberi freddi di quell’antica magia quel
posto sembrava minaccioso e tolse il fiato a Nick – erano predatori del buio,
giungevano in segreto e portavano guerra. Mentre avanzavano sulla sabbia il
principe sentiva i suoi passi pesanti come non mai.
Ascoltò pochissimo di quello che suo padre
comandò e fu felice di potersi allontanare quando questi dismise tutti i
soldati, dicendo loro di preparare difese ed accampamento. Se pure aveva
comandato qualcosa a lui, Nick non lo sentì e in breve fu lontano dal
silenzioso lavorio degli elfi, ai margini del rado bosco che si apriva subito
dopo la costa. Il vento che soffiava tra le foglie pareva ululare contro di lui
e il principe di fonte sopportava le forti folate come si sopporta una condanna
meritata.
“Nei giorni di quiete
gli alberi parlano, sussurrano segreti che in pochi comprendono del tutto. Nel
cuore della Foresta Reale c'è un grosso masso su cui mi piace sedermi per
ascoltare quei fruscii – mio fratello mi ha insegnato a capirli e di tanto in tanto
colgo pezzi di storie passate, amori felici e grandi imprese”.
Le parole di Lyan gli
tornarono in mente con violenza. Il suo sorriso mentre le diceva e quegli occhi
che brillavano mentre la mente era persa nel ricordo erano stati una visione
stupenda. Una visione che lui aveva spezzato. Sarebbe stato così per ogni
ricordo di lei? Non avrebbe potuto custodire la bellezza di quell’elfo senza sporcarla
con la consapevolezza di essere stato la ragione per cui si era tolta la vita?
Era di questo che parlavano anche le foglie, nel
loro muoversi a scatti? Lo accusavano, forse? Lo riempivano di insulti magari…
gli urlavano la colpa che macchiava la sua anima e di andare via. Che quelle
terre lo avrebbero visto cadere per i suoi peccati. Gli parve quasi di sentirle
quelle parole, come se la Morte gli avesse improvvisamente suggerito il suo
destino nella lingua del vento.
Rabbrividì, stringendosi nella sottile giacca di
cotone grezzo e chiuse gli occhi. La paura si stava impadronendo di ogni fibra
del suo corpo, lo stava facendo impazzire. Quello era solo vento e non c’erano
parole, non c’era nulla – e se anche ci fosse stato, lui non poteva capirlo.
Non era un Silvano, nessuno gli aveva insegnato quella lingua.
Il pensiero di Jeff arrivò quando Nick credette
di essersi calmato, quando aveva smesso di pensare e s’era accucciato contro il
primo tronco sul suo cammino. Lo aveva evitato prima, quando Lyan gli aveva fatto visita; era stato bravo a non
concentrarsi su di lui, ma aveva retto troppo poco. Ora il suo pensiero lo
invadeva e gli faceva male forse anche più della morte della principessa.
Non gli aveva più parlato dalla sera in cui Lyan… in cui era successo. Non si erano più visti – se si
escludeva quella piccola figura che Nick era stato capace di individuare su una
delle navi dei Silvani che salpava, troppo lontana perché ne distinguesse i
contorni, eppure doveva essere il suo Jeff – e l’ultimo ricordo
che aveva di lui erano gli occhi sbarrati e il viso distrutto, mentre stringeva
il corpo freddo della sorella tra i gemiti, dondolandolo come in una triste
nenia. Poi qualcuno aveva gridato, le spade erano state sguainate e c’era stata
solo confusione, mentre improvvisamente Sebastian era mezza spalla davanti a
lui e Thad al suo fianco, pronto a tirarlo via o proteggerlo.
Ma per Nick non c’era stato che lo sguardo di
Jeff. Uno sguardo distrutto, così ferito, così freddo che pensò di poterne
morire, lì davanti a tutti, accanto ai suoi migliori amici. Aveva pianto,
quella sera, tra le grida dei suoi genitori, mentre qualcuno leggeva le poche
parole con lui i silvani aveva decretato l’inizio delle ostilità. Aveva pianto
per tutta la notte e Thad gli era rimasto accanto, accarezzandogli i capelli e
sussurrandogli qualcosa di dolce, mentre Sebastian, sulla porta, guardava la
scena con una malinconia dentro che non sapeva esprimere.
Nick aveva chiesto loro di non partire. Aveva
messo su una serie di scuse poco probabili e poi era passato alle preghiere
(oh, gli ordini non avrebbero funzionato nonostante la serietà di Sebastian),
ma niente era servito a lasciarli sulle sponde del Grande Lago. No, erano
accanto a lui da troppo tempo per poter essere lasciati indietro proprio in
quel momento, in quella situazione.
Il principe poteva vederli chiaramente,
nonostante la distanza. Si erano accampati come il resto dei soldati e Bas puliva una spada corta mentre Thad parlava; di tanto in
tanto le labbra si incurvavano in un sottile sorriso, probabilmente per
qualcosa che l’altro diceva, poi tornava serio. Nick aveva sempre pensato che
fossero stupendi, che se avesse dovuto davvero innamorarsi poi, sarebbe dovuto
essere come s’erano innamorati loro: con la stessa strana perfezione
dell’amore, dal nulla, improvvisamente e poi con una quotidianità così forte
che l’assenza avrebbe fatto semplicemente troppo male.
Quando aveva conosciuto Jeff, quando si era
accorto di quello che inevitabilmente provava, aveva creduto di averlo trovato,
quel tipo di amore. Ne assaporava la futura quotidianità come se fosse una cosa
realmente possibile e quell’illudersi lo aveva ferito forse troppo quando tutto
era finito. Ma la cosa che davvero non riusciva a sopportare era non sapere che
cosa pensasse il Silvano. Lo odiava? Per quello che aveva fatto, per quello che
era successo lo odiava?
Avrebbe potuto sopportare l’intera guerra ma non
l’odio nel cuore di Jeff, di questo ne era certo.
La guerra era cominciata come comincia una
mattinata qualsiasi. Non c'era stato alcun preavviso quella mattina ma gli
eserciti schierati avevano semplicemente preso a correre l'uno verso l'altro è
poi era stato stridore di spade e sibili sottili di frecce che fendevano
l'aria. E morte. Tanta morte, ovunque e sangue. Nick non ne aveva mai visto
tanto e in quel momento in quella prima battaglia aveva capito più cose di
quante mai ne avesse capito fino ad allora. Il sangue chiamava altro sangue e
quella sarebbe stata solo la prima battaglia di una lunga guerra. E lui non
avrebbe retto così tanto, né avrebbe retto se avesse dovuto affrontare Jeff in
battaglia. No, piuttosto sarebbe morto per mano sua.
Ma gli dei erano stati clementi e i due non si
erano più visti né scontrati.
*
Successe un pomeriggio. Erano in guerra da mesi,
Nick non ricordava più neanche quanti - meno di un anno, a detta di Thad mentre
Sebastian aveva il conto preciso dei giorni ma nessuno voleva realmente
conoscerlo - e il principe era da solo come spesso accadeva: sopportava sempre
meno la vista dei soldati, delle ferite e soprattutto dei visi nuovi; quei
volti puliti e sempre più giovani che continuavano ad arrivare dal mare, ma non
tornavano indietro. Sembrava che la terra li avesse prodotti solo per
perpetuare quella guerra e ormai la semplice vista di una nuova imbarcazione
causava a Nick delle fitte allo stomaco. Perché lui era ancora vivo e in tanti
invece continuavano a morire?
Uno strano verso attirò la sua attenzione. Nick
alzò la testa e scorse qualcosa che faceva capolino tra le foglie di un alto
ramo, poco lontano da lui: l'aspetto era riconoscibile nonostante la distanza e
il petto gonfio e piumato non lasciava adito a dubbi. Un falchetto, giovane e
bellissimo, lo stava fissando con la testa appena inclinata e gli occhi scuri;
il piumaggio marrone pareva volersi mimetizzare con le foglie ingiallite
dell’albero e i riverberi che tra esse lanciava il sole sulla linea del
tramonto.
Nick non seppe dire che cosa fosse a suggerirgli
di muoversi verso il rapace ma camminò come se fosse la più comune delle cose,
quella ovvia da fare in presenza di un animale del genere e quando fu sotto
l’albero su cui quello era poggiato, sporse il braccio in avanti con una certa
naturalezza.
Una parte di lui se lo aspettava, eppure questo
non gli impedì di sorprendersi quando il falchetto lasciò il tronco e si posò
con maestria sul suo avambraccio, come se fosse stato addestrato a farlo da
anni; rimase poi impettito e con presa salda parve attendere qualcosa. Il
principe restò qualche istante ad osservare le belle piume scure che decoravano
le sue ali ed un becco chiaro che quasi incuteva timore, poi si arrischiò ad
allungare una mano verso la testolina e con un certo timore gli diede una
carezza che il rapace non parve sdegnare.
Solo in quel momento si accorse di qualcosa
all’altezza della zampetta dell’animale. Nel momento stesso in cui lo vide, il
suo cuore perse un battito e poi prese a correre, animato da una speranza così
stupida e bella che Nick non poté frenare: era un rotolino di pergamena, di
quelli che si legavano ai volatili perché li portassero lontano. Con mano più
sicura sciolse il biglietto e non appena ebbe fatto, quasi fosse in un manuale
che anche lui avrebbe dovuto leggere, il falchetto spiccò un salto e si posò
sullo stesso ramo che aveva scelto in precedenza; ora che il suo compito era
concluso, sembrava meno serio, più cucciolo mentre prendeva a pulirsi le piume
col becco.
L’elfo di Fonte dimenticò quasi in modo
istantaneo della presenza del rapace – o di chiunque altro in quel luogo: i
suoi occhi, la sua attenzione, il suo cuore furono rapiti dalle poche parole
che quel biglietto recava, in una calligrafia elegante e appena un po’
frettolosa, una calligrafia che non aveva mai visto ma che avrebbe riconosciuto
ovunque.
Lei è Ygritte,
trattala bene – mi sei mancato, J.
Oh, il bene che gli fecero quelle parole, il
calore che Nick sentì nascere nel cuore, neanche mille novelle avrebbero potuto
narrarlo, o cento cantori cantarlo. Fu come il sole che tornava a scaldare il
mondo dopo un gelo di mille anni e in quel modo egoistico con cui sanno
prendere i sentimenti quando sono tanto forti il principe dimenticò la guerra,
dimenticò la morte e il sangue. Era Jeff. Jeff che gli scriveva, che in qualche
modo, contro ogni possibilità, era riuscito ad arrivare fino a lui. Era Jeff,
al quale Nick mancava con la stessa potenza con cui gli mancava Lyan. Jeff, che aveva perso troppo prima ancora che la
guerra cominciasse.
E presero a scriversi. Da quel giorno, con
l’aiuto di Ygritte, i due principi iniziarono a parlarsi e a scoprirsi di
nuovo. Si resero conto, in realtà, di non essersi mai conosciuti veramente: il
tempo che i Silvani avevano trascorso alla Reggia era stato troppo poco perché
Nick conoscesse Lyan e ancor meno perché provasse a
conoscere Jeff, per cui fu quasi come cominciare da capo, ma in modo maturo, in
modo consapevole.
Nelle prime lettere Nick continuò a chiedergli
scusa per tutto, per quanto fosse stupido e non risolvesse niente: sentiva di
doverlo fare, perché la colpa lo dilaniava di giorno e tormentava di notte,
perché non c’era modo di fare ammenda. E Jeff fu paziente, lo rassicurò ogni
volta o semplicemente stette a leggere quelle parole che non servivano a nulla
ma di cui Nick aveva egoisticamente bisogno. Quando l'elfo di Fonte smise di
farlo, altre parole riempirono le brevi lettere: i due elfi impararono ad
amarsi da lontano, in quel modo che dà valore ad ogni sillaba scritta su carta.
La guerra era presente con drammatica costanza
nel loro rapporto eppure le sere in cui Ygritte giungeva a destinazione
sembrava più lontana, meno violenta, più vicina alla fine. C'era speranza in
quella corrispondenza, una speranza che aiutava entrambi ad indossare
l'armatura e andare in battaglia la mattina dopo.
Una sera le parole di Jeff suonano più
spaventate del solito.
Promettimi che non mi troverò mai a combattere
contro di te.
Era stato così lapidario che Nick ebbe paura.
Scrisse velocemente la risposta, poi rimase fermo chiedendosi che cosa avesse turbato tanto
l'elfo: non sapeva che quella mattina Jeff aveva colpito un giovane soldato
alla schiena, un soldato che somigliava troppo al suo Nicholas e non l'aveva
ucciso all'istante. L'elfo era rimasto in agonia per qualche minuto e lo aveva
guardato finché la vita non gli si era spenta negli occhi: Jeff non l'avrebbe
mai dimenticato. Lo aveva stretto tra le braccia e lo aveva cullato anche
quando il corpo era diventato freddo, nel bel mezzo degli stridii di lama e le
grida.
Nick attese tutta la notte prima di lasciar
andare il rapace e poco prima che sorgesse il sole strappò il messaggio che
aveva scritto e ne compose uno completamente diverso e altrettanto lapidario.
Dobbiamo mettere fine a questa guerra. A qualunque
costo.
Sentiva di non poter più sopportare tutta quella
situazione, la guerra, le morti, il dolore, i pianti, le perdite. Era qualcosa
che non riusciva a sostenere, lo attanagliava la paura che le cose non
sarebbero mai più cambiate, che ogni suo giorno sarebbe stato fatto di
battaglie e ogni sua notte di paura e rimorso e gli unici brevi sprazzi di luce
sarebbero stati le poche parole di Jeff, lontano, troppo lontano,
irraggiungibile. Freddo.
I giorni di attesa furono terribili. Nick
accusava il nervosismo di ogni minuto che passava senza aver notizie da Jeff,
quasi percepisse l'importanza di ciò che stava per accadere. Eppure si era
preparato a tutto fuorché alle parole decise del Silvano. Aveva una soluzione
lui, una soluzione definitiva. Una di quelle che fece tremare davvero per la
prima volta Nick.
La tenda del re e
della regina dei Silvani non è distante da dove Jeff e Sebastian hanno trovato
Thad e il principe è quasi sollevato della lentezza che i due elfi impiegano a
muoversi perché così ha tempo per prepararsi a ciò che potrebbe attenderlo. In
questo momento la scelta fatta non gli pare per nulla risolutiva: è stata una
follia, un pensiero venuto fuori dalla disperazione e approvato dalla paura. E
se il loro intento anziché la fine della guerra avesse solo accumulato ai
cadaveri qualche altro cadavere e alla morte altre morte? E se Nick non ci
fosse riuscito o peggio se pur riuscendo la guerra semplicemente non si fosse
fermata?
Quando entra nella
tenda, Jeff trattiene il fiato: gli anni di orrore e di morti non sono serviti
a prepararlo a quello che sta venendo - niente lo avrebbe reso pronto
all'immagine di Nick riverso in una pozza di sangue. Non reagisce: a differenza
di Sebastian poco prima, non è in grado di muovere neanche un passo verso il
corpo dell'amato, ma la drammaticità di quel corpo privo di vita lo distrugge
dall'interno, lasciando solo le pareti vuote del suo corpo e appena l'eco del
dolore a scandire la fine di tutto.
Il grido di Thad alle
sue spalle sembra provenire da oltre il Grande Lago e il silvano percepisce
appena i due corpi muoversi verso il loro principe. Improvvisamente la sua
visuale è sfocata e ci mette tempo a capire che sono le sue stesse lacrime a
rendere tutto poco nitido - oh, e il cuore ora batte così forte da fargli venir
mal di testa e il respiro non vuole saperne di restare nei polmoni ma fugge ad
ogni nuova, fisiologica prova di tenerlo dentro quanto basti per poter
sopravvivere. Vuole sopravvivere?
«È vivo».
Un lungo respiro.
Aria dentro i polmoni, aria fuori. Sa ancora come si fa, sì. Bastano le parole
giuste. Jeff guarda la figura accanto a sé, Thad: dèi,
il suo viso è talmente pallido e le lacrime lo sporcano, sciupandolo. Ma gli
occhi brillano ancora, scuri come quelli del suo Nick.
Si muovono con
lentezza, finalmente il silvano riesce a fare i pochi passi che lo separano da
se stesso e da ciò che di lui ne sarebbe stato. Nick è stretto tra le braccia
di Sebastian con dolcezza e le poche forze che ha gli permettevano appena di
sorridere al volto bellissimo nel pallore marmoreo della guardia. Ma il sorriso
più bello Nick lo riserva a lui e quando Sebastian lo adagia tra le sue braccia
le labbra si schiudono in un gesto che ridà vigore ad entrambi; per Jeff è
impossibile non baciarle. Un bacio leggero, un "mi sei mancato"
appena sussurrato, un "è naturale come respirare, è tutto quello di cui ho
bisogno" che nessuno dei due sente la necessità di dire ad alta voce.
«Ciao», lo saluta
Nick, come fosse un giorno qualunque, come se si fossero appena svegliati.
«Ciao», gli tiene il
gioco Jeff - perché la ferita che vede all'altezza dello stomaco lo spaventa
troppo ed è facile far finta che non esista se è per primo l'altro a volerlo.
«Sono stati un po'
maldestro, ma ci sono riuscito», sussurra questi, leggendo i suoi pensieri con
una facilità unica. Minimizza perché, ancora una volta, è più facile così - e
gli dèi gliela devono, un po' di facilità, dopo tutto
quello che hanno passato, fosse anche alla fine.
Il Silvano gli
sorride appena, scostandogli i capelli dalla fronte bagnata di sudore. Solo in
quel momento alza gli occhi sul resto della tenda e si rende conto degli altri
due corpi stesi al suolo, privi di vita. Tenere la mente distaccata, impegnarsi
a pensare che era necessario è difficile e il dolore lo attanaglia tanto che
stringe involontariamente con più forza le dita intorno al corpo di Nick.
«Mi dispiace Jeff»,
sussurra con voce rotta questi, rendendosi conto in quel momento del male che
ha fatto, che entrambi hanno deciso di fare: non c'è mai stata redenzione per
loro, ora lo sa.
«Abbiamo deciso di
farlo insieme. Non c'è nulla per cui dispiacersi», lo rassicura il silvano, ma
la voce è spezzata dal pianto e le parole non sono credibili, neanche con tutta
la buona volontà di Nick.
«...e tu?». L'elfo di
Fonte ha bisogno di chiederlo, ha bisogno di sapere per che cosa piangere. Jeff
annuisce senza neanche parlare e quando le lacrime scorrono anche sul viso
dell'amato aggiunge un «Sono morti quasi senza accorgersene, si sono come
addormentati».
Nick annuisce, in
qualche modo quelle parole gli danno davvero conforto: nella sua ingenuità di
bambino, immaginare i propri genitori morire nel più pacato e sereno dei modi
porta sollievo quasi non fosse comunque morte, quasi respirassero ancora.
Lo hanno deciso mesi prima, quando davvero la
guerra appariva destinata a durare per sempre; l'idea sembrava disperata ma
allo stesso tempo appariva l'unica soluzione ad uno scontro che si sarebbe
perpetuato finché fosse rimasto ancora un elfo di Fonte ed uno silvano:
uccidere re e regina di entrambe le parti, tagliare la testa della bestia
feroce e lasciare che gli arti si fermino da sé. Una soluzione così pulita
nella sua teoria che Jeff quasi si era sorpreso di non averci pensato prima.
Nick era semplicemente rabbrividito; si era preso tempo per pensarci, per
provare a scendere a patti con una cosa tanto mostruosa e per le prime
settimane di era rifiutato di rispondere al silvano. Come poteva pensare di
uccidere i suoi genitori? Che colpa ne avevano loro in quella guerra? Non
sarebbe stato meglio se fosse stato lui ad uccidersi e lavare così l'onda
gettata su entrambe le razze?
Jeff aveva interpretato il silenzio di Nick nel
modo giusto e improvvisamente Ygritte era tornata indietro nonostante l'elfo di
Fonte non avesse scritto nulla, richiamata da un comando del padrone. Il
silvano aveva scelto le parole da mandare con attenzione e si era scusato col
rapace per un messaggio tanto lungo.
Non voglio che tu
creda che per me sia facile. Non lo è, gli dèi sanno
quanto male stia provando al solo pensiero di ciò che ti ho scritto. Ma... oh,
Nicholas vorrei che la pace potesse nascere dalla ragione, eppure non credo
essa esista, non nelle guerre. Vorrei poter semplicemente chiedere ai miei
genitori di smetterla e che loro acconsentissero, ma non è possibile. Gli
eserciti sono al comando dei re, mai come in questa guerra: cominciano a
sentirla estranea e senza una guida si fermeremo in breve tempo. Sai che non
sto mentendo. Ed io so che quello che ti sto chiedendo è più di quanto tu - io
- possa sopportare. Sarebbe più facile se i nostri ruoli si invertissero? Se
riuscissimo a raggiungere l'uno l'accampamento dell'altro e muovere la mano
contro un nemico come gli altri? Tuo.
Nick aveva trattenuto il fiato a quel nuovo
messaggio. Perché non sarebbe dovuto risultare tanto più facile quel gesto
sotto una prospettiva diversa, perché i loro genitori sarebbero comunque morti,
eppure... eppure in tutto l'orrore e il dolore una parte di lui cominciava a
vederne la necessità, più appetibile se a guardarlo fossero stati occhi chiari
e carichi di odio.
Aveva accettato. Un semplice sì. Qualcosa di
così freddo che Jeff, nel momento in cui lo lesse e decise davvero di
realizzare il loro piano, capì anche che lo avrebbe perso; non sarebbe mai più
stato lo stesso Nick. Scontava la pena prima ancora del crimine.
Si erano preparati con lentezza, studiando gli
accampamenti e le vie di entrata ed uscita, giocando agli strateghi come quando
si è bambini: Nick si era reso conto che Jeff, come nemico, era temibile, che
era stato educato ad un ruolo di re-guerriero che lui non avrebbe neanche mai
immaginato; ascoltava le sue direttive, raramente si permetteva di intervenire,
il più delle volte prendeva appunti in codice sul proprio taccuino per esser
certo di non dimenticare, prima di bruciare il messaggio del silvano.
Thad e Sebastian si erano accorti quasi subito
che qualcosa non andava: il loro principe era cambiato, diverso, allo stesso
tempo più distante e più determinato – c’era qualcosa di nuovo nel suo cuore e
nella sua mente, qualcosa di importante, a detta di Sebastian; qualcosa di
pericoloso secondo Thad. Tuttavia, l’elfo di Fonte non aveva detto loro nulla –
né loro avevano chiesto – finché non fu deciso il giorno, o meglio la notte in
cui avrebbero agito. Allora, fu indispensabile che i due elfi sapessero,
quantomeno perché Nick avrebbe potuto non fare ritorno.
«È una follia, Nick e sono certo che anche voi lo sapete». Thad si
azzardava a chiamare il principe per nome solo nelle situazioni disperate – e
questa era una di quelle.
«È un piano ben studiato. Con cosa avete
intenzione di colpire?», era intervenuto invece Sebastian – lui comprendeva e
taceva, analizzava in modo freddo: era stato addestrato per essere una guardia
reale da quando era nato, andava ben oltre la poca esperienza che Thad aveva a
riguardo, né si sarebbe lasciato fermare da sentimentalismi quando la posta in
gioco era tanto alta.
«Jeff mi ha inviato un veleno: agisce
velocemente ed è indolore. Mi ha detto che sarà come dormire». Nick aveva
tirato fuori dalla tasca una boccettina che conteneva uno strano liquido
ambrato: un distillato di erbe che Jeff aveva imparato a preparare il giorno in
cui c’era stata la cerimonia reale per la sua maggiore età – suo padre aveva
insistito che pensare alla morte, e a come darla se necessario, era il modo più
appropriato per diventare adulto e la notte prima dell’investitura l’aveva
trascorsa a insegnargli come preparare il veleno.
Thad si era alzato ed aveva passeggiato nel poco
spazio davanti la tenda con aria cupa, finché Sebastian non lo aveva fermato,
poggiandogli una mano sulla spalla – solo allora i due elfi si erano accorti
che la guardia stava piangendo: piangeva di rabbia e dolore, piangeva per
l’ingiustizia e il male che si preparavano a sopportare e che nessuno di loro
meritava.
La sera prima di agire, Thad aveva deciso che
sarebbe andato con lui. Nick aveva provato a dissuaderlo da quell’intento –
aveva gridato che ne bastava uno a morire in quel modo, che non c’era bisogno –
ma l’elfo era stato irremovibile.
«Ti devo tutto, tutto quello che sono, la mia
vita e la mia felicità. È il minimo che posso fare per-». Il principe allora lo
aveva abbracciato e non aveva più insistito. Far ragionare Sebastian, invece,
era stata una cosa completamente diversa. La furia negli occhi della guardia
più esperta era qualcosa che Thad raramente aveva visto e ancor meno contro di
sé – s’era sentito piccolo e sporco, indifeso, come il giorno in cui lo aveva
trovato. C’erano volute tutte le sue forze e il suo coraggio per insistere e
controbattere alle parole dell’amato.
«Fino a qualche giorno fa aborrivi la sola idea
di questo piano e adesso… che cosa è cambiato adesso?», aveva gridato
Sebastian, furioso, ma il realtà col cuore pieno di dolore.
«Ti prego, ti prego, non gridare! Non capisci?
Non posso restare qui senza fare nulla! Nick… Nick potrebbe morire-».
«E tu con lui!».
«Non posso lasciarlo andare da solo, glielo
devo!».
«E a me? A me non devi nulla? Per te non significo
niente?!».
Thad aveva trattenuto il fiato, colpito da
quelle parole, sentendosi allo stesso tempo ferito e meschino, come un ladro
colto nel bel mezzo di un crimine, come la prima volta che Sebastian lo aveva
visto, lui piccolo ed insignificante elfo che rubava dalle scorte reali contro
la guardia integerrima che lo catturava prima che potesse scappare. O quasi.
«Mi dispiace. Non era quello che intendevo dire,
non volevo intendere che tu… vorrei solo… Verrò con te».
Thad gli si era avvicinato e lo aveva stretto a
sé con bisogno, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, respirando quel
profumo di acqua dolce che Sebastian portava con sé dalla loro terra, che gli
anni in guerra non avevano cancellato, che gli ricordava la calma e la gioia
che avevano avuto prima che tutto precipitasse.
«Non puoi, Bas… Già in
due siamo troppi: dovremo essere silenziosi e veloci. In tre ci scopriranno»,
aveva sussurrato e allora Sebastian aveva pianto – poche lacrime e qualche
singhiozzo, la paura di essere sul punto di perderlo e la consapevolezza di non
poterlo sopportare. Poi lo aveva baciato, per bene, con così tanta passione che
a Thad era girata la testa, come la loro prima volta; gli stava chiedendo di
vivere, gli stava chiedendo di non lasciarlo e gli occhi avevano continuato a
pregarlo anche quando si era allontanato con Nick, anche quando non era rimasto
più nulla da guardare se non l’oscurità davanti a lui.
Jeff s’era mosso da solo, invece. Non aveva
nessuno di cui potersi fidare tanto, al contrario di Nick e la cosa, in fondo,
gli andava bene: non avrebbe fatto rischiare a nessun altro quello che stava
rischiando lui e se avesse potuto non avrebbe coinvolto neanche il principe di
Fonte, ma questi alla fine era stato irremovibile ed agire insieme era stata la
sola soluzione possibile.
Scivolare fra le tende di elfi addormentati per
un solo silvano era stato qualcosa di estremamente facile: erano addestrati a
mimetizzarsi e il sottile, impercettibile rumore di uno solo non aveva
insospettito le guardie accanto al fuoco. Quando era entrato nella tenda del
re, Jeff aveva l’arco e la freccia già pronti, il veleno che sporcava la punta
e la mira pronta a colpirli nel modo più gentile e rapido. Aveva trovato il re
sveglio: passeggiava in preda a qualche tormento ma gli rivolgeva le spalle;
gli diede il tempo di voltarsi, forse in maniera incauta, forse per uno strano
affetto che improvvisamente si rendeva conto di provare per i genitori della
persona che amava.
L’elfo lo aveva guardato, disarmato, rendendosi
conto di quello che stava succedendo e gli aveva sorriso appena, in modo
triste, prima di muoversi verso la moglie che ancora dormiva; Jeff non seppe
mai che cosa stesse pensando il re mentre con una lama le trafiggeva il petto
senza neanche darle il tempo di svegliarsi per poi lasciar cadere la lama ed
attendere la freccia avvelenata. Non era mai stato tanto difficile uccidere
qualcuno come in quel momento: il silvano ne aveva sentito la colpa aumentare
ad ogni goccia di sangue che lasciava il corpo sempre più freddo dell’elfo di
Fonte. Dove erano arrivati? Quanto in basso era caduta la loro bellissima razza
e che fine aveva fatto l’antica saggezza? A che diritto ora avrebbero reclamato
il loro ruolo nel mondo, caduti così in basso, alla stregua di bestie che lottano
per la mera supremazia di un branco sull’altro e si nascondono dietro blando
onore e sangue da vendicare?
Era scivolato via da quella tenda, Jeff, come il
peggiore dei criminali e forse lo era. Un regicida che piange i corpi delle sue
vittime e trema nella notte. Ora comprendeva tutti i timori di Nick, ora sapeva
che per lui sarebbe stato anche peggio: lui che era tanto buono e tanto dolce,
temeva non avrebbe retto il confronto con i Silvani.
Per Nick era stato più difficile – Jeff aveva
compreso la sua persona, la sua anima, fin troppo bene – ma i problemi erano
cominciati ancor prima che la coscienza si svegliasse e l’elfo agisse. Alcune
guardie lo avevano riconosciuto, poco lontano dalla tenda del re ed avevano
costretto lui e Thad a combattere.
«Il rumore attirerà altri soldati», aveva
gridato la guardia reale, tra un colpo e l’altro «Dovete andare ora, se sperate
di avere ancora successo. Qui resterò io e li rallenterò».
Nick sapeva che non c’era tempo per contestare
quella decisione, eppure cominciava a sentirsi un mostro, il mostro che aveva
ucciso Lyan, che aveva scatenato la guerra tra due
nobili razze e che ora lasciava a morte certa uno dei suoi migliori amici. Era
corso via da quello scontro come si fugge dalla più terribile delle paure,
aveva perso lucidità, aveva perso forza. Non era mai stato forte, lui, in
fondo.
Per questo, quando era entrato nella tenda gli
erano mancati fiato e coraggio. Ed era stato preso in contropiede: il re dei
Silvani era sveglio ed armato e anche sua moglie era pronta a vendere cara la
pelle – Thad non aveva né l’addestramento né l’esperienza per poter battere
entrambi e si era trovato a combattere per la propria vita piuttosto che per
toglierla a loro. In breve tempo si era reso conto che senza rischiare, senza
esporsi, non sarebbe mai stato in grado di avvicinarsi abbastanza da ferirli –
era stato quantomeno abbastanza furbo da bagnare la sua lama col veleno che
Jeff gli aveva dato: un solo colpo, una ferita anche leggera, sarebbe bastata.
Così era riuscito a colpire la regina: un taglio
appena visibile alla spalla ed un grosso colpo alla propria gamba, ma ne era
valsa la pena perché la guerriera si era accasciata a terra con qualche lieve
spasmo ed aveva spirato prima ancora che il marito se ne accorgesse. Erano rimasti,
allora, uno contro uno, ma la rabbia del Silvano non era minimamente
paragonabile alla poca forza che ancora restava a Nick.
«Hai ucciso mia figlia, hai corrotto mio figlio
ed ora giungi fin qui ad uccidere mia moglie!», aveva gridato con furia negli occhi,
gettandosi contro l’elfo di Fonte e sfinendolo con colpi che il giovane faceva
sempre più difficoltà a parare; la gamba aveva sempre meno intenzione di
sostenerlo e la determinazione veniva meno a mano a mano che le forze si
tiravano indietro.
Era stato quando Nick aveva capito di essere
pronto a morire che le cose erano cambiate. Aveva cominciato a vedere quello
scontro da una prospettiva completamente diversa: non si trattava più di
difendere se stesso, ma di dare il tutto per tutto nel colpire l’elfo che aveva
di fronte. Perché ne andava della fine della guerra, perché quando avrebbe
portato a termine quella missione sarebbe potuto morire in pace.
Paradossalmente era stata la stanchezza a dargli la forza per lottare ancora e
si era esposto senza più alcuna difesa al colpo di spada del silvano – che lo prese
allo stomaco – solo per potergli lasciare un sottile taglio sul collo.
Lo aveva visto accasciarsi a terra e maledirlo
tra gli spasmi prima di morire. Poi aveva sospirato ed aveva anche lui perso i
sensi. Sereno.
Tra le braccia di
Jeff, ora, Nick sente di stare nuovamente bene, riesce quasi a dimenticare il
dolore che lo attanaglia, il freddo che minaccia di divorarlo o la colpa che lo
corrode da dentro. Sta bene come non è mai stato, come avrebbe sempre voluto
vivere.
«Nella mia tenda… c’è
una lettera…», sussurra, guardando oltre Jeff, verso le sue guardie «È scritto
tutto quello che è successo in questi anni e la decisione che abbiamo preso
perché questa guerra finisse».
Thad lo guarda con le
lacrime agli occhi: non vuole che parli in quel modo, che dia per scontato che
non sarà lui a leggere quella lettera, a parlare di quelle scelte, ma non può
ingannarsi e far finta di non vedere la grossa ferita che lo sta portando
sempre più vicino alla morte; allora annuisce, prima di stringersi a Sebastian
e singhiozzare sul suo petto, senza pudore o vergogna.
Nick rivolge
nuovamente lo sguardo al silvano e gli sorride, pallidissimo e stanco. Jeff lo
stringe a sé ma non lo prega di non morire – non è mai stato un sognatore o un
ottimista, lui: sa che non avrebbe senso. Ha altre parole da dirgli, sa come
usare quei pochi istanti che sente rimanere loro.
«Non te l’ho mai
scritto perché penso che alcune cose non possano essere semplicemente scritte,
ma che abbiamo valore solo se pronunciate. Ti amo, Nicholas. Sei il solo che
abbia mai amato in tutta la mia esistenza».
E ha ragione, pensa
Nick: certe cose hanno un sapore tutto loro e quello parole, la voce,
l’intonazione, il respiro che le accompagna, tutto è così buono e giusto e
stupendo che si rende conto ne è valsa la pena aspettare così tanto e non
leggerlo semplicemente tra un messaggio e l’altro. Lo ricorderà per sempre,
porterà quel sapore ovunque andrà e se gli dèi non li
uniranno subito in quel che li aspetta dopo la morte, il ricordo di quel
momento servirà a tenergli compagnia per tutto il tempo che dovrà aspettare.
«Ti amo anche io,
Jeff. Ti amo come non potrò mai amare nessun altro. Come non avrei mai fatto,
neanche se gli dèi mi avessero concesso secoli ancora
da vivere».
È contento di sé, di
essere riuscito a dire tutto senza pause in mezzo – ha preso fiato prima e ha
pronunciato ogni parola con la giusta intonazione e peso: vuole lasciare anche
a Jeff qualcosa da ricordare e portare con sé, qualcosa di lui, di quel poco
meraviglioso che hanno avuto insieme.
Le labbra del Silvano
lo baciano non appena ha finito di parlare e quel bacio, il sapore di quelle
labbra, la dolcezza di quel gesto solo le ultime cose che Nick sente, quelle
che porta con sé nella morte. Jeff rapisce il suo ultimo respiro e l’elfo di
Fonte spira sulle sua labbra e tra le sue braccia. Ma non è triste, no, non lo
è affatto. Anzi, quella morte è una liberazione perché sa quanto Nick stesse
soffrendo e non avrebbe potuto sopportare oltre il tormento che si celava nei
suoi occhi, sconosciuto a chiunque non lo conoscesse tanto bene come lui. E
poi, dopotutto, non dovrà attendere molto prima di raggiungerlo di nuovo.
Perché, in fondo, Jeff ha sempre saputo che non sarebbero sopravvissuti a
quella scelta, che sarebbe stata la loro morte allo stesso modo di quella dei
loro genitori. E gli va bene così.
«Anche io ho una
lettera, qui», dice, volgendosi ai due elfi alle sue spalle ed incontrando lo
sguardo di Sebastian, «Leggetele ad entrambi gli eserciti, mostrate loro i
sigilli reali e le nostre firme. Vi crederanno. Non abbiamo voluto fare altro
che porre rimedio ad una guerra che aveva privato tutti di troppe cose, che non
sarebbe mai dovuta accadere. Che era solo colpa nostra».
Sebastian prende la
lettera e non chiede che cosa Jeff abbia intenzione di fare – senza appena Thad
fremere tra le sue braccia e sa che anche lui ha capito che cosa sta per
succedere.
In fondo, gli elfi
silvani sono sempre stati una razza strategica e previdente e Jeff ha
conservato una boccetta di veleno per sé, per quel momento. Lo beve senza alcun
pensiero, guardando la serenità sul volto di Nick, aspettando semplicemente di
addormentarsi con lui: è così stanco e ha tanta voglia di chiudere gli occhi
col corpo del suo amato tra le braccia. Quando il primo tepore arriva, il
silvano lo accoglie come si accoglie il sonno dopo una lunga giornata e
l’ultima cosa che sente è la sensazione dei capelli ricci di Nick sotto il suo
tatto.
*
…“Dire che questa guerra non l’abbiamo mai
voluta sarebbe troppo ipocrita, pur essendo la verità. Tutto quello che
volevamo era amarci e il nostro amore ci ha resi ciechi di fronte a tutto ciò
che avevamo contro. O almeno, ha reso cieco me. Non mi sono accorto di nulla se
non quando era troppo tardi e di questo pago il fio.
Non credo sopravvivrò a ciò che io ed il
principe Jeffrey abbiamo deciso di fare, e forse è meglio così. Troppo a lungo
con la mia colpa ho macchiato ciascuno di voi e troppo a lungo le conseguenze
del mio gesto hanno sconvolto le vostre vite. Ma sappiate che ciò che stiamo
per fare, lo facciamo in nome di quella pace che avremmo dovuto firmare col mio
matrimonio. Siamo due figli che uccidono i propri genitori – e forse se stessi
– per ridare ai loro popoli la serenità che meritano.
Chi verrà dopo di me ricordi questo sacrifico e
preservi la pace con tutte le sue forze in nome di esso. Che nessuna delle vite
perse in questo campo di battaglia vada perduta, che ciascuna abbia valore e la
memoria ne sia perpetuata.
Ho amato ciascuno di voi e con ciascuno di voi
mi scuso. Le vicende personali non dovrebbero mai portare a scontri tanto
grandi e coinvolgere tante persone. Per quel che mi riguarda, non dirò che
avrei preferito non amare: il sentimento che mi lega al principe Jeffrey è
quanto di più bello possa avere e neanche la guerra me lo toglierà. Amate,
perché l’amore è capace delle peggiori conseguenze e delle più nobili e belle
conclusioni.
Vostro, Principe Nicholas, del Regno di Fonte”.
…“In quanto principe, in quanto vostro futuro
re, ho fallito nel momento in cui non sono riuscito ad evitare questa guerra e
spero, con quest’azione, di poter fare ammenda, almeno in parte. Alcuni di voi
potranno pensare che non ci sia ammenda nel sangue e mi troveranno d’accordo;
tuttavia, io ed il principe Nicholas non siamo potuti giungere che a questa
soluzione e chiediamo perdono se nella nostra piccolezza non sarà stata quella
giusta.
Credevo di detestare la debolezza dei sentimenti
che gli dèi ci hanno dato finché non ho conosciuto
quell’elfo e nonostante i drammi a cui il nostro amore ha condotto tutti, non
chiederei mai di non averlo incontrato. Sono i sentimenti e non le mere
strategie a reggere un regno – una lezione che ho compreso troppo tardi e che
spero voi custodirete nel vostro cuore a maggior profitto avvenire.
Quello che ho avuto con Nicholas resterà per
sempre tra di noi. Posso solo invocare il vostro perdono perché mai avrebbe
dovuto coinvolgervi. Per il resto, ricordate la vostra razza, ricordate il
sangue puro che scorre nelle vostre vene e la saggezza degli antenati: la
follia non sta nel fare errori, sta nel non porvi rimedio quand’è possibile
e se le nostre azioni per quanto scelerate hanno condotto alla pace e hanno
mosso i vostri cuori al perdono e alla concordia – come spero – allora la
nostra non è stata follia, ma solo amore.
Vostro, Principe Jeffrey, del Reame Silvano”.
_____________
Spero che prima o poi possiate perdonarmi tutto
l’angst di questa storia, ma a dirla tutta non l’ho
mai pensata perché avesse un lieto fine. La guerra è orribile e sarebbe stato
poco verosimile se Nick e Jeff si salvassero. È ufficialmente la shot più lunga che abbia mai scritta e ne vado almeno un po’
fiera. Spero davvero che possa piacere anche a voi e in ogni caso qualsiasi
tipo di critica sarà bene accetta ♥
Ora, prima che vada, voglio annunciare una cosa:
una certa personcina mi ha chiesto di scrivere un prequel sui Thadastian a cui ho dato più o meno luce durante la
narrazione: erano partiti come comparse ma si sono ritagliati un loro ruolo ben
preciso in tutta la dinamica. Ho appositamente fatto qualche accenno verso il
finale all’inizio della loro storia e ho praticamente plottato la loro shot (anche stavolta, temo, chilometrica) che comincerò a
scrivere presto. Quindi stay tuned perché né io né il
fantasy abbiamo messo la parola fine a questo tipo di esperimenti.
Per il resto, ringrazio chiunque abbia presto
attenzione a questo cumulo di parole ^_^
Alch ♥