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Autore: Himenoshirotsuki    18/10/2014    9 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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22

Sentimenti


 
"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche
 
 
Ledah era nervoso e continuava a battere il piede sul pavimento. Il suo sguardo, per l'ennesima volta, saettò febbrile da una parte all'altra della bottega. 
Quella giornata era cominciata in modo strano e adesso non accennava a prendere una piega differente. 
Si appoggiò al muro e inspirò profondamente, concentrandosi sul leggero refolo d'aria che gli accarezzava la gola. 
Al mattino Copernico aveva annunciato che sarebbe andato ad Alcarin a trovare un vecchio amico, che sicuramente gli avrebbe fornito qualche informazione in più sul frammento. Lì per lì, l'elfo era rimasto un po' spiazzato: Alcarin era una cittadina ancora più piccola di Luthien, famosa sia per i suoi pregiati gioielli sia per la ben nota poca simpatia dei suoi abitanti, quasi tutti nani e gnomi artigiani. Si era chiesto come Copernico sarebbe riuscito ad entrare senza attirare l'attenzione, visto che molti dei paesani erano in grado di percepire le auree magiche, ma non aveva dato voce ai suoi dubbi. In fin dei conti, l'amico sapeva il fatto suo e, anche volendo, non avrebbe accettato di farsi accompagnare, rischiando di lasciare da sole Margharet e le due bambine.
"Non dopo quello che stava per accadere a Melwen." 
Affondò le dita nelle braccia.
Anche se non glielo aveva domandato esplicitamente, Ledah aveva capito che il mago preferiva che rimanesse in città ad aiutare la sua famiglia in caso di bisogno. 
Perciò, subito dopo la partenza di Copernico, si era ritrovato prigioniero in casa con le tre donne e, per i primi giorni, per fortuna' non aveva avuto nessun tipo di problema. La sorellina di Melwen era troppo piccola per fare qualsiasi cosa, mentre Margharet era sempre intenta a sbrigare le faccende domestiche o ad occuparsi della minore delle sue figlie. Al massimo gli chiedeva di svolgere qualche commissione in città. 
L'unica cosa che gli sfuggiva era il motivo per cui la guerriera e quella pestifera testa bionda lo seguissero ovunque. Lo infastidiva non poco, soprattutto perché assieme a Melwen ed Airis c'era sempre quella pettegola di Myria, che sembrava aver ingoiato un grillo da quanto parlava.
Sospirò stancamente, appoggiò la testa contro la parete e si mise ad osservare di nuovo la bambina, che stava correndo verso quella donna chiacchierona per mostrarle l'ennesimo abito che voleva provare. 
Il solo che sembrava annoiarsi tanto quanto lui era Zefiro, il figlio di Myria, che era stato "costretto" a seguire la madre in questi continui, e a suo avviso inutili, giri per botteghe. Però lo consolava il fatto che, grazie all'ingente quantità di pozioni lasciate da Copernico, poteva tranquillamente girare per Luthien senza rischiare di farsi linciare da una folla inferocita.
"Anche se andare a spasso con il Generale degli umani è la cosa più ridicola che ci possa essere." sbuffò, "Bravo, Copernico, già che c'eri potevi anche gettarmi in pasto a dei segugi infernali." 
Schioccò la lingua e alzò gli occhi al cielo.
- Puoi smetterla di guardarti attorno come se temessi di esser assassinato da un momento all'altro? - la voce sarcastica di Airis gli graffiò le orecchie. 
L'elfo le rivolse un'occhiata carica di odio: era stufo di avercela sempre tra i piedi, figurarsi essere costante bersaglio delle sue frecciatine.
Lei ghignò, squadrandolo dalla testa ai piedi. 
- Ascolta, anche a me non fa particolarmente piacere andare in giro con te, tanto meno mi diverto a sorbirmi il continuo chiacchiericcio. - fece un cenno col capo all'indirizzo di Myria, - Ma Margharet si sta facendo in quattro, quindi cerchiamo di sopportarci. - 
L'elfo si massaggiò le tempie e non tentò nemmeno di reprimere un altro sospiro. 
- Capisco... ma non penso di riuscire a tollerare la folla ancora a lungo. - borbottò a mezza voce.
La guerriera fece spallucce, lisciandosi poi la camicetta con espressione assorta. 
- Non dirlo a me! - 
Poi posò lo sguardo su un punto imprecisato della bottega e rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri.
Ledah la osservò di sottecchi, sfiorando con aria indecifrabile le forme di quel corpo che continuava a scatenare in lui sensazioni contrastanti. Si soffermò sui pantaloni aderenti in pelle nera che le fasciavano le gambe, mettendo in risalto quelle curve che probabilmente lei sperava di nascondere. Inoltre, la camicia bianca un po' lisa non faceva altro che accentuare il suo incarnato niveo e delicato. Le dita di Ledah fremettero e per un istante immaginò di immergerle in quella chioma rossa; sognò di accarezzare le sue labbra, toccare le sue mani e tastare dolcemente le cicatrici che costellavano la sua pelle liscia.
"Stai calmo, Ledah, stai calmo." si ripeté mentalmente, voltandosi a fissare una signora che stava provando un cappello. 
Cercò di concentrarsi sui dettagli dell'abito della donna, nel tentativo di ricacciare nei meandri della sua mente quel pensiero inopportuno, ma qualcosa dentro di lui si agitava, rendendolo inquieto. Non capiva perché Airis gli suscitasse quell'effetto, per quale motivo soltanto lei riuscisse a sconvolgere la sua anima fino a quel punto.
- Con le altre era diverso... - sussurrò tra sé e sé, massaggiandosi le palpebre.
- Prego? - Airis lo guardò interrogativa. 
Ledah incrociò quegli occhi opachi per alcuni attimi e si domandò quanto tempo ancora le rimanesse, prima che la cecità l'avvolgesse di nuovo.
- Nulla, parlavo da solo. - rispose sbrigativo, - Comunque, credo sarebbe meglio rinnovare l'incantesimo per prolungare nuovamente la tua vista. - farfugliò imbarazzato, poi si coprì la bocca e fece finta di sbadigliare.
La giovane sussultò e a Ledah non sfuggì l'espressione sorpresa che attraversò il suo volto. 
- Perché mai dovresti farlo, elfo? - sibilò gelida, cercando di rimanere impassibile, - Sono pur sempre una nemica da cui hai cercato di scappare. -
- Questo è vero. - rispose pacato, - Però se ci attaccano e tu vai a sbattere contro qualche albero perché non ci vedi, non sarai molto utile, Generale. - aggiunse, senza sprecarsi a compiere lo sforzo di nascondere la forte vena sarcastica nella voce, - O meglio, Caillean. - precisò ironico.
Il giorno prima di fare la vera e propria conoscenza di Myria, Airis gli aveva raccomandato di non chiamarla mai col suo vero nome davanti a lei. L'elfo, sul momento, non aveva fatto indagato sulla ragione, sapendo che la guerriera non si sarebbe degnata di dargli una qualche spiegazione. Tuttavia, qualcosa gli suggeriva che il nome che aveva fornito alla donna non era stato casuale.
La ragazza lo scrutò in cagnesco, evidentemente risentita per quello che aveva detto. 
- Guarda che, anche senza la vista, riesco benissimo a combattere. - ringhiò.
- Ne sono ben consapevole, - sospirò, - ma credo che tu abbia perso l'abitudine da quando sei tornata a vedere. -
La guerriera si morse il labbro inferiore, punta sul vivo.
Ledah ghignò compiaciuto davanti a quella reazione così insolita. 
- Non si preoccupi, Generale. Le eviterò questa brutta esperienza. Ad una condizione, però. -
Airis storse la bocca in una smorfia scontenta, palesemente esasperata: - E cosa vorresti? - 
- Nulle di che... - rispose vago e spostò lo sguardo verso la finestra della bottega. 
Un timido raggio di sole filtrò attraverso i vetri sporchi, illuminando l'ambiente con una luce opaca che sembrava sfumare i contorni degli abiti e dei bizzarri capelli esposti nella bottega. I pochi clienti esaminavano quei piccoli capolavori di sartoria ostentando disinteresse, ma sfioravano con esagerata riverenza le sete e i merletti, consci di non potersele permettere. 
Allora Ledah si chiese se anche quella ragazza scorbutica avesse mai desiderato indossarne uno.
- Beh? - lo richiamò questa, - Cosa vuoi da me? -
L'elfo fece per rispondere, quando una zazzera bionda gli si fiondò tra le braccia. 
- Grazie di avermi aspettata! - esclamò Melwen, saltellando contenta di fronte a lui per mostrargli compiaciuta il nuovo abitino rosa confetto che aveva scelto, - Guarda! Ti piace? -
Ledah corrugò le sopracciglia e finse di riflettere seriamente sul quesito. 
- Uhm... - si grattò il mento, alternando l'attenzione tra il vestito e la biondina, - Direi che ti si addice molto. - sentenziò infine.
- Davvero?! - 
Melwen si girò radiosa verso Myria e Zefiro, che l'avevano seguita. 
La donna stringeva il figlio per la mano e, non appena scorse il sorriso smagliante di Melwen, sorrise a sua volta, felice di vederla così euforica.
- Dai, su, andiamo a pagare, prima che cambi di nuovo idea. - lo esortò scherzosamente.
Ledah si avviò al bancone e il bizzarro gruppetto si accodò, come in una piccola processione. Soltanto Airis si discostò da loro, rimanendo indietro. L'elfo poteva percepire i suoi occhi sulla schiena. Era come se lo stesse studiando, impaziente di capire quali fossero le sue vere intenzioni.
Non appena uscirono dalla bottega, Myria gli si affiancò, mentre Melwen trascinò il piccolo Zefiro in una folle corsa, zigzagando in mezzo alle poche persone che erano in strada. Nei giorni in cui non c'era il mercato era raro che gli abitanti di Luthien andassero in giro a far compere, soprattutto perché la maggior parte era impegnata nella pesca o nei lavori nei campi.
- La guerra è ovunque. - sospirò amareggiata la donna, senza perdere d'occhio i due bambini, - Prima, qui al Nord, c'era un mercato talmente florido da fare invidia a quello delle città del Sud. Invece ora siamo costretti a patire la fame. -
L'elfo la guardò di sfuggita, osservandola con la dovuta attenzione. Airis gli aveva detto che nella città da cui veniva, Myria era stata una famosa mercante. Però non gli aveva raccontato il motivo che l'aveva spinta ad abbandonare la sua attività. L'espressione triste che in quei giorni era spesso comparsa sul viso della ragazza gli aveva lasciato intendere bene cosa poteva essere accaduto a Myria e alla sua famiglia. 
- Purtroppo in questi anni sono state spezzate molte vite. - sospirò, e il viso di Brandir emerse dalla sua memoria.
Myria piegò le labbra in un mezzo sorriso, lo sguardo vacuo, lontano, fagocitato dei ricordi. 
- E' vero. - si portò una mano al petto, stringendo la veste all'altezza del cuore, - Se tutto ciò non fosse successo, ora lui sarebbe ancora vivo... -
Ledah la fissò, non capendo a chi si riferisse.
- Mio marito. - spiegò, poi si strofinò gli occhi e trattenne stoicamente le lacrime, - Morto in una stupida imboscata, in nome di una guerra senza gloria e senza onore. -
"Quindi... quel soldato con cui suo figlio passa il tempo non è il padre di Zefiro?" 
Scoccò un'occhiata indagatrice alla donna, alla ricerca di un chiarimento. 
Lei sussultò, come se si fosse ridestata all'improvviso da un sogno. Si portò una mano alla bocca e sorrise mesta. 
- Scusami, mi sono lasciata trasportare. -
- Non preoccuparti, tutti noi abbiamo perso qualcuno di caro. - rispose conciliante.
Quando ancora faceva parte dell'élite degli arcieri di Llanowar, Ledah aveva assistito molte volte al funerale dei suoi compagni. Ricordava perfettamente i volti in lacrime dei familiari dei caduti, le loro urla di disperazione. All'epoca non aveva potuto comprendere quel dolore fino in fondo, e ancora gli risultava difficile, ma poteva immaginare cosa si provasse quando si vedeva i corpi senza vita dei propri cari.
- E' solo grazie ad Alan che siamo arrivati fin qui. - disse Myria, scostandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie.
- Alan? Intendi il soldato con cui sta sempre Zefiro? -
- Sì. - un sorriso le increspò le labbra, - Da quando ho perso mio marito, Alan si è sempre preso cura di noi. É come un padre per lui. É la miglior persona del mondo. - confessò.
Dopodiché, volse la sua attenzione verso l'elfo. 
- Anche lei ha perso qualcuno di importante, sai? - butto lì.
Ledah sobbalzò, preso in contropiede. 
- Lei... lei chi? - chiese, facendo finta di non aver capito.
Myria ridacchiò, scuotendo la testa come se avesse a che fare con un bambino testardo. Gli diede una leggera pacca sulla spalla e si distrasse un secondo per assicurarsi che i bambini fossero ancora nei paraggi: Melwen stava letteralmente trascinando Zefiro verso un panificio al lato della strada, incurante dalla faccia non del tutto convinta del suo compagno.
- Caillean! - chiamò la donna mentre arrestava il passo e si girava indietro, - Potresti stare dietro a quei due pazzi, per favore? Intanto io e Ledah andiamo a comprare le verdure per Margharet. -
Airis si bloccò, fissandoli entrambi con un'espressione interrogativa. Per tutti il tempo della loro conversazione non aveva parlato e si era mantenuta sempre a una discreta distanza, come se volesse rimanere da sola, lontana da tutto e da tutti. Senza fare domande, oltrepassò i due e si diresse verso i due bambini, tenendo gli occhi rivolti a terra con ostinazione. La noia e la scocciatura erano ben evidenti nel suo atteggiamento. Eppure, quando passò accanto a Ledah, a questi non sfuggirono i lineamenti, di norma freddi, contratti ora in una maschera di malinconia e inquietudine, celata sotto le disordinate ciocche rosse che le ricadevano sulla fronte.
"Cosa ti succede, Airis?" 
Sentì l'impulso di agguantarle una spalla, farla voltare e ottenere delucidazioni, ma lo soffocò, consapevole che la guerriera non avrebbe mai messo a nudo i suoi pensieri.
"Non con me, almeno..." 
Venne colto da un'improvvisa e immotivata amarezza, mista a un pizzico di delusione.
- Muoviti, sennò quelli si divorano anche il fornaio! - la esortò scherzosamente Myria.
La ragazza fece un cenno d'assenso, poi la sua figura sparì dentro la bottega.
Non appena rimasero soli, la donna prese Ledah a braccetto e insieme si recarono presso un'altra bottega poco più là, dove erano esposte delle casse di legno piene di frutta e verdura. Si rigirò un paio di mele tra le dita, osservandone le caratteristiche e le imperfezioni con occhio clinico. Il commerciante, un uomo smilzo dai capelli radi e il sorriso sdentato, li salutò, porgendo loro una saccoccia di pelle logora dove poter riporre i loro acquisti, dato che si era accorto che i due ne erano sprovvisti.
- Grazie, molto gentile. - gli sorrise Myria e l'uomo arrossì appena.
Per un paio d'istanti nessuno parlò, poi Ledah prese la parola: - A cosa ti riferivi prima? -
La donna tastò dei pomodori con aria meditabonda. 
- Quanti anni pensi che abbia Caillean? - chiese pacata.
- Quanti anni ha? - i suoi occhi cercarono il cielo e al contempo provò a fare un rapido calcolo, - Mah, credo ne abbia al massimo sedici o diciassette. - azzardò titubante, per nulla sicuro in verità.
- E' quello che penso anche io. - sollevò un pomodoro davanti alla faccia e lo annusò, - Ti sembra normale che una ragazza così giovane sia un soldato? - lo fissò intensamente, - Te lo dico io: no, non è normale. Una della sua età dovrebbe aver già trovato marito, oppure al massimo dovrebbe essere in una qualche scuola a studiare l'arte e la musica. - 
Scosse la testa, passandosi una mano sulla bocca come se stesse ponderando le parole da usare. 
- Invece è nell'esercito e rischia la vita ogni giorno. E tutto questo perché? - si girò verso di lui, gli occhi pieni di rabbia e nuovamente velati di lacrime, - Perché, Ledah, una ragazzina dovrebbe combattere e consumarsi in una vita di sacrifici, dolore, fame e stenti? -
- Stai insinuando che è stata costretta? Come fai a dirlo? Magari è la vita che voleva lei. - commentò esitante.
- Lo vedo dai suoi occhi, da come si atteggia, dal modo in cui finge di possedere una forza che non ha. - Myria si morse il labbro e strinse la saccoccia con forza, - Mi ha salvata e si è sempre comportata come un vero cavaliere, senza mai chiedere nulla in cambio. Eppure, il suo sguardo è sempre colmo di tristezza... mi sembra quasi rassegnata, come se la vita non avesse più niente da offrirle. Combatte perché deve farlo, più per sopravvivere che per convinzione. Almeno questa è l'impressione che mi dà. - sospirò, - E' come se fosse morta. Morta dentro. -
Ledah abbassò lo sguardo, serrando le labbra. Non aveva mai considerato l'ex-Generale una ragazza. Lei era sempre stata il nemico da sconfiggere, un avversario temibile che costituiva una minaccia per il suo popolo. Solo nell'ultimo periodo aveva cominciato a vederla in maniera diversa, anche se nemmeno lui riusciva ancora a dare un nome a quel sentimento che ai suoi occhi la spogliava di qualunque preconcetto.
- E come dovrei procedere? - incrociò le braccia al petto, confuso, - Lei con me non vuole avere niente a che fare... -
- Ma come! Mentre ballavate eravate così belli! - esclamò Myira sorpresa, - Certo, all'inizio eravate un po' impacciati, ma quello succede sempre la prima volta, sai? Mi ricordo... -
L'elfo mise le mani avanti, come per fermare il fiume di parole che stava per straripare dalle sue labbra. 
- Fidati, Myria. Io e lei non abbiamo nulla da spartire, Airis per prima. - la freddò, - Avremmo anche ballato assieme, ma questo non significa nulla. Ci siamo ritrovati l'una nelle braccia dell'altro e abbiamo seguito la musica come tutti gli altri per non attirare irritanti attenzioni su di noi. -
La donna sbuffò esasperata. 
- Ascolta, non prendermi per stupida. Vi ho osservato alla festa e ho visto come Caillean era rilassata, mentre tu la guidavi sulle note della musica. - mise le mani sui fianchi e lo squadrò con cipiglio severo, - Lei stava bene con te, si sentiva al sicuro. L'ho capito dal suo viso rilassato e dal modo in cui si è lasciata stringere. Pensi che una ragazza come Caillean si sarebbe fatta toccare così, se non si fosse trovata a suo agio? -
- Cosa dovrei fare, eh?! - sbottò Ledah. 
"Starle vicino? Amarla? Io sono un elfo e lei un'umana!"
- Tanto per cominciare, potresti smetterla di negare i tuoi sentimenti per lei. -
L'arciere spalancò gli occhi, completamente spiazzato da quell'ultima affermazione. 
- I miei sentimenti... per lei? - balbettò, ma subito dopo si riprese, - Non dire sciocchezze! -
- Sì, esatto, mio caro. - insistette, infilando nella piccola sacca anche delle mele, - Me ne sono accorta in questi giorni che siamo stati a stretto contatto: lei non ti è del tutto indifferente. Entrambi siete convinti di non darlo a vedere, di essere dei bravi attori, ma io ho occhio per gli affari, anche quelli di cuore. - un sorriso furbo le si dipinse sulle labbra, - Se ti piace così tanto, perché non ti dichiari? Anche Melwen dice che stareste bene insieme. -
L'elfo scrollò il capo, mentre nella sua mente i pensieri si accavallavano in modo sempre più caotico. L'idea che tra lui e Airis potesse nascere qualcosa che andasse al di là della semplice collaborazione era davvero assurda: l'amore tra razze differenti non era ben visto da nessuno dei due popoli e avrebbero rischiato di fare la vita degli emarginati, costretti a vivere lontano da tutto e tutti. 
Tuttavia, l'emozione che gli scaldava il petto se ci rifletteva avrebbe dovuto disgustarlo, riscuoterlo da quelle fantasie malate e ricondurlo sulla retta via. Eppure, per alcuni interminabili istanti, aveva accarezzato seriamente la possibilità di trascorrere il resto della propria esistenza con lei, come marito e moglie. Era inutile ripetersi che si trattava soltanto di attrazione fisica. C'era qualcosa di più, ormai era palese, e non poteva più continuare a negarlo, sarebbe stato da ottusi. 
Ripensò al ballo, a quell'abbraccio che gli aveva fatto battere il cuore, a quel momento d'eternità in cui l'aveva stretta e si era finalmente sentito a casa.
Vivere come fuggitivi, estranei a tutti tranne che a loro stessi. Un'avventura degna di una ballata romantica.
"Solo io e lei..." 
Intravide uno scorcio di un futuro irrealizzabile e al contempo dolce come il miele. Lo coccolò con incertezza, ma alla fine lo respinse.
Ricorda chi sei, Ledah. Tu sei un mostro.
Una vocina crudele s'insinuò nei suoi pensieri, crudele, suadente. 
"No..." 
Si portò le mani coprire le orecchie per smetterle di sentirle.
Mostro!
Mostro!
Mostro!

Il mostro che tutto distruggerà!
Affondò le dita nei capelli, lasciando che le unghie penetrassero nella cute, e pregò che il dolore le cacciasse via. Ma le voci aumentarono, gridando, accusandolo, graffiandogli la mente con ferocia. 
"Andate via!" 
Cadde in ginocchio, incassando la testa nelle spalle, mentre i gelidi brividi cominciavano ad attraversare il suo corpo. 
C'erano mille mani su di lui, mille mani che lo violavano nell'anima e lo strattonavano con prepotenza. Avvertì una corrente ghiacciata intrufolarsi nelle sue ossa.
Tu ci appartieni!
- No! - mugolò.
Arrenditi, Ledah!
Provò ad urlare, ma la voce rimase incastrata nella gola. Lentamente la realtà perse i suoi contorni, corrosa da quella soverchiante onda nera, che inghiottì qualsiasi cosa. 
Vide i volti preoccupati di Myria, del commerciante e di alcuni passanti, facce anonime dalle sembianze grottesche, distorte. Percepì la stretta salda della donna e il suo grido spaventato gli giunse come un'eco indistinta. Qualcosa gli raschiava il torace, smanioso di uscire; una belva feroce lo stava divorando dall'interno nel disperato tentativo di aprirsi un varco. 
Spalancò gli occhi, il corpo intorpidito, stordito da quelle fitte laceranti.
Poi un suono di passi richiamò la sua attenzione. Qualcuno si piegò su di lui e rimase immobile a fissarlo. Ledah alzò lo sguardo, cercando quello della figura sconosciuta. Non sapeva cosa lo spingesse a farlo, ma era certo che quello fosse la sua unica ancora di salvezza. Da dietro il velo rosso che lo avvolgeva, riuscì a scorgere un paio di occhi verdi.
Un verde slavato, opaco, senza luce.
"I suoi occhi..." 
Sussultò e improvvisamente il gelo che lo aveva avviluppato come un serpente lo abbandonò. Con il fiato corto e il sudore che ancora gli imperlava la fronte, iniziò a scivolare nel buio. Prima di perdere i sensi, una voce minacciosa strisciò in quel vuoto e delle mani fredde lo sfiorarono.
É inutile che continui a scappare. Prima o poi, ti prenderemo.

Airis entrò nella bottega con passo sostenuto, dissimulando in quell'incedere militare un'inquietudine che ormai da giorni le annodava le viscere. Da quando Copernico era partito, quella sensazione di malessere non l'aveva dato pace e ogni giorno che passava non faceva altro che acuirsi, frizzando fastidiosamente come una ferita infetta. Aveva provato a scrollarsela di dosso, senza successo. Inoltre, per distrarsi aveva anche tentato di ideare un piano per portare a termine la propria missione il prima possibile, eppure non riusciva a togliersi dalla testa le parole del mago, la discussione che avevano avuto il giorno della sua partenza. Quell'uomo che aveva perso tutto, con quegli occhi così pieni di calore, le rammentava suo padre e questo la frenava dal prendere qualunque decisione. 
- Dai, Zefiro, scegli quello che vuoi, così lo compriamo! - esclamò Melwen, piazzandosi davanti al bancone dei dolci e osservando il tutto con aria da intenditrice.
- Ma sei sicura che possiamo prenderli? - biascicò il compagno, incerto.
- E perché non dovremmo? - sbottò, scrutandolo truce, - Non dirmi che non ti piacciono i dolcetti! - 
Si erse in tutta la sua statura e torreggiò su di lui.
Airis osservò la scena e un piccolo, impercettibile sorriso comparve sulle sue labbra. Quella peste bionda le ricordava lei alla sua età, quando la sua vita era ancora a Merite e desiderava diventare un Cavaliere per porre fine a quell'insensata guerra. In quegli anni era convinta di voler diventare un'eroina, una di quelle le cui gesta vengono cantate dai bardi alle corti dei re; una guerriera che avrebbe calcato i campi di battaglia e condotto le truppe alla vittoria. Era stato il suo desiderio, suo e di suo padre.
"Ed ecco cosa rimane adesso del prode Generale." 
Serrò le labbra in una smorfia amara e si guardò i palmi delle mani, riportando alla mente tutte le volte che la paura l'aveva spinta a impugnare la spada. Aveva ucciso senza fare distinzioni, non aveva mai ceduto alla pietà o alla compassione, per il terrore che il coraggio le morisse in gola. Finora c'era sempre riuscita, non si era mai lasciata sconfiggere dai sensi di colpa, impedendo a qualunque altro sentimento di entrarle dentro. Perché i sentimenti l'avrebbero potuta far sentire viva, umana. Adesso, invece, vestita solo con una leggera camicia e senza la sua fidata compagna al fianco, non aveva più niente che la potesse difendere. Si sentiva vulnerabile, fuori e dentro.
Alzò lo sguardo, ascoltando l'allegro vocio dei due bambini, e nella figura di Melwen rivide se stessa quando andava in paese con il padre a fare compere per conto di sua madre. E quell'uomo che le stringeva forte la mano aveva la stessa espressione gentile di Copernico.
Improvvisamente, un urlo la riscosse dai suoi pensieri.
"Myria!" 
Si voltò verso Melwen e, prima di correre fuori, ordinò: - State qui. -
Non appena uscì, si guardò intorno, cercando l'origine del suono.
"Che cosa sarà accad-" 
Il pensiero sfumò, troncato dalla scena che vedeva a qualche metro da lei: Ledah era a terra, rannicchiato, con l'espressione sofferente e impaurita, e le mani premevano disperatamente sulle orecchie. Tremava, scosso da continui brividi, mentre Myria cercava di calmarlo e urlava alla gente di chiamare un guaritore. Probabilmente chiamò anche lei, ma Airis non la udì e rimase immobile a fissare l'elfo, incapace di articolare un pensiero logico. Il suo istinto le suggeriva di scappare, le intimava con insistenza di allontanarsi da quell'essere che lei sapeva essere mortalmente pericoloso. 
"E' un mostro."
Però, senza accorgersene, accorciò la distanza e piombò a fianco dell'arciere.
A un tratto, gli occhi dell'elfo incrociarono i suoi e Airis fu come se venisse incatenata ad essi. Due specchi rossi la fissarono, un misto di supplica e furia cieca che si agitavano violente in quelle iridi estranee: sembravano brillare di una luce sinistra, un riverbero scarlatto contornato da ciglia scure. 
- Dobbiamo portarlo immediatamente da un guaritore! - la voce di Myria le rimbombò nella testa. 
Il tempo parve fermarsi. L'atmosfera era sospesa, carica di una tensione indefinibile. Airis, incapace di agire, completamente avvinta da quel legame che si era creato tra di loro in quel momento, rimase pietrificata. Un incendio stava divampando in quegli occhi e Airis continuò a guardarli, affascinata e terrorizzata. Qualcosa, una specie d'intuizione, le diceva che quella strana sensazione l'aveva già provata, molti, molti anni prima.
Per alcuni secondi che sembrarono un'eternità restò incantata a studiare le fiamme gelide che ardevano nello sguardo di Ledah. Poi, pian piano, il verde vinse la battaglia e tornò ad inglobare nuovamente quel vortice carminio. In quell'istante, vide il viso del moro rilassarsi ed egli accennò un lieve sorriso. Infine, crollò esausto al suolo.
Qualcuno le afferrò le spalle e la scosse. Distolse a fatica l'attenzione dall'elfo e la posò sull'uomo che si stava facendo avanti per aiutare Mirya a sollevare l'arciere. 
- Caillean... cosa è successo? - il pigolio spaventato di Melwen la riportò alla realtà. 
Si voltò verso la bambina che, a differenza del piccolo Zefiro al suo fianco, cercava di non far trapelare la sua preoccupazione, ma la guerriera notò che tremava e che si stava sforzando di non piangere. 
- Non... non è morto, vero? - alzò la testa verso di lei, cercando disperatamente una risposta.
- Ci vuole ben altro per ucciderlo, Melwen. - la rassicurò, scompigliandole scherzosamente i capelli, - Si sarà solo sentito male, tutto qui. Adesso lo portiamo a casa e vedrai che si riprenderà, non preoccuparti. -
La bambina assentì debolmente e tirò su col naso, ricacciando indietro le lacrime. La guerriera accorse a dare il suo aiuto e, insieme a Myria e al mercante, riuscì a sollevare Ledah. 
- Ci dovrebbe essere un guaritore nelle vicinanze, potremmo portarlo da lui e... - la donna non fece in tempo a finire la frase, che Airis la incenerì.
- No, niente di tutto ciò. - scandì e si caricò meglio il peso del corpo, - E' semplicemente svenuto, nulla di più. Una buona dormita gli farà passare tutto. - sentenziò con un tono che non ammetteva repliche. 
Sperò che nessun altro si fosse accorto di quello che era successo. Le poche persone presenti si disinteressarono subito e andarono per la loro strada, ma comunque la ragazza ritenne opportuno defilarsi il prima possibile per evitare domande scomode.
La donna rimase perplessa, ma evitò di chiedere spiegazioni, limitandosi a ringraziare l'uomo per essere intervenuto così prontamente e declinando l'offerta di quest'ultimo, che la sollecitava a portare Ledah dal curatore del villaggio.
"Mi dovrò inventare una storia più convincente delle altre, stavolta." 
Sospirò.
- Permettetemi almeno di accompagnarvi fino a casa, signore. - il mercante indicò il cielo con un cenno del capo, - Si sta già facendo sera e non mi potrei mai perdonare se vi accadesse qualcosa. -
- Oh, non saranno sole. Le proteggerò io. - la voce stanca e provata dell'elfo la fece sussultare entrambe. 
Airis girò di scatto il capo verso di lui, domandandosi come potesse essere tornato in sé così in fretta, e forse, a giudicare dalla faccia di Myria e dei bambini, anche loro si stavano chiedendo la stessa cosa.
- Caillean ha ragione. In questi giorni mi sono sforzato molto. Sono solo stanco. - borbottò, poi lanciò un'occhiata significativa all'uomo. 
Questi ridusse gli occhi a fessure, indispettito, ma poi dovette realizzare qualcosa. Assentì, ma non si curò di nascondere un sorrisetto furbo.
- Quindi, davvero, non si preoccupi. Una nottata ristoratrice e domani sarò come nuovo. - continuò Ledah, ignorando la faccia da schiaffi del mercante. 
Sfilò il braccio da sopra le spalle della guerriera per mostrare che non aveva bisogno di ulteriore aiuto, però si trovò a barcollare, ancora molto debole. 
- Coraggio, andiamo. Margharet avrà sicuramente preparato qualcosa di buono per tutti. -
- Ma tu non stai bene... - ribatté Melwen timidamente.
- Guarda che se ripeti ancora che sto male, mi mangio tutto l'arrosto, eh! - si umettò le labbra con la lingua, imitando un animale affamato. 
Al sentire quella frase, la piccola prese per mano Zefiro e scattò lesta come un gatto lungo la strada, macerando in poco tempo una distanza considerevole.
- Ehi, voi due, fermi! - 
Anche Mirya prese la rincorsa, inseguendo la piccola peste che si stava letteralmente trascinando dietro suo figlio. 
Airis li fissò inebetita, dopodiché sbuffò arresa. Era già abbastanza stanca di suo e doveva pensare a una scusa plausibile da rifilare a Myria non appena fossero state sole, circa le sue parole di poco prima. 
Inspirò profondamente e prese a camminare accanto a Ledah, sbirciando di tanto in tanto nella sua direzione per essere certa che stesse bene e soprattutto in saldo equilibrio sulle sue gambe. Non aveva propriamente una bella cera e teneva lo sguardo basso, ma quantomeno non le sembrava sul punto svenire un'altra volta. 
Proseguirono in silenzio fino a casa, ognuno immerso nei propri pensieri. Per tutto il tragitto, Mirya e i bambini non avevano manifestato il desiderio di riunirsi a loro e avevano continuato a camminare a una discreta distanza, pur arrestandosi ogni venti passi a controllare di non averli persi. 
Non appena misero piede in casa, Margharet li accolse col solito calore di sempre, esortandoli ad andarsi a lavare le mani prima di mettersi a tavola. Melwen provò a protestare, aveva troppa fame, ma la madre l'ammonì, minacciandola di mandarla a letto senza cena. La bambina si fiondò al pozzo, scatenando le risate generali di tutti i presenti. In quella dimora così accogliente, i ricordi di quello che era successo quel pomeriggio svanirono, dissolti nell'atmosfera allegra che vi aleggiava.
Airis scosse la testa e celò un sorriso portandosi distrattamente una mano davanti alla bocca. 
Quanto tempo era trascorso da quando aveva sentito il cuore così leggero? Troppo. Quasi non se lo ricordava. 
Si sedettero a tavola poco dopo. Margharet e Mirya discussero del più e del meno come vecchie amiche, mentre i due bambini si abbuffavano voracemente. Ledah mangiava lentamente, forse per la stanchezza, forse perché voleva gustarsi quel cibo così saporito. Durante la cena, Airis lo osservò con attenzione e si meravigliò di come riuscisse ancora a reggersi in piedi. Aveva il viso tirato e, nonostante avesse riacquistato un po' di colorito, non si sarebbe fidata nemmeno a lasciarlo andare in salotto da solo. Era pallido come un cadavere.
- Scusate. - l'elfo interruppe il dolce cicaleccio delle due, - Sono molto stanco. Mi ritiro per una bella dormita. -
- Sì, effettivamente non hai una bella cera. - confermò Margharet, - Myria mi ha raccontato cosa ti è accaduto oggi. Posso fare qualcosa? Hai bisogno di una tisana o magari di una coperta in più? - chiese apprensiva.
- No, stai pure tranquilla. Tutto ciò che mi serve è un letto. - rispose Ledah con un sorriso falso.
Prima che la donna potesse ribattere, Airis si infilò nel discorso. Vedeva una sincera preoccupazione nei suoi occhi, ma l'arciere sembrava a disagio, come se non fosse abituato a essere trattato con questo riguardo.
- Lo aiuto io. - asserì, alzandosi, - Tanto anche io sono parecchio stanca e credo che seguirò l'esempio di Ledah. - 
Non sapeva perché si fosse offerta di dargli una mano. Normalmente, anche solo l'idea di dormire nella stessa stanza con lui non la entusiasmava, ma dopo aver visto quegli occhi rossi spegnersi qualche secondo dopo il suo arrivo covava la netta sensazione che, per qualche arcana ragione, la sua presenza riuscisse a calmarlo. 
- Sicura? Se sei così provata, non voglio che tu ti assuma un incarico del genere... - chiese incerta la padrona di casa.
- Margharet, non puoi lasciare soli i tuoi ospiti. - s'intromise Myria, cavandola immediatamente d'impiccio, - Se avranno bisogno di qualcosa, sono sicura che ti chiameranno. Tu ora devi servirci il dolce. - annusò l'aria, socchiudendo le palpebre, - Ne sento il profumino da qui. -
- Sì, infatti! - rincarò Melwen, - Io e Zefiro vogliamo la torta! - esclamò, alzando le mani in alto, tutta eccitata.
Airis intercettò l'occhiata dell'amica e la ringraziò silenziosamente per averle evitato un'altra discussione. Come al solito, quella donna aveva un tempismo perfetto.
- Bene, allora noi andiamo. Ci vediamo domani mattina. - inchinò leggermente il capo e poi fece cenno a Ledah di seguirla. 
Salirono le scale senza parlare, forse perché nessuno dei due riusciva a trovare uno spunto per cominciare la conversazione.
Improvvisamente, Airis si sentì afferrare per il polso. Si voltò e vide che l'elfo era dietro di lei di qualche passo e la stringeva con una presa ferrea, nonostante le poche forze che ancora aveva in corpo. 
- Che stai facendo? - inarcò un sopracciglio, squadrandolo.
- Devo ridarti la vista, te l'ho detto oggi. - soffiò Ledah, esausto, accostandosi a lei.
- Ascolta... - si tirò indietro, - non ne ho bisogno. Sono sopravvissuta per più di dieci anni senza, posso arrivare fino a domani. - affermò, convinta. 
L'elfo rimase immobile, ma poi sciolse il contatto senza aggiungere altro. 
- Muoviamoci. Non vorrei ti addormentassi in piedi. - ridacchiò nervosa. 
Quel tocco inaspettato l'aveva sorpresa e le sue dita le avevano suscitato una piacevole sensazione di calore nel petto. Sbatté le palpebre e si girò, fuggendo da quelle iridi muschiate e indagatrici. Si sentiva troppo vulnerabile in quel momento, troppo esposta a quei sentimenti che le stavano arrogantemente penetrando dentro e a cui lei non riusciva ancora a dare un nome.
Non appena giunsero in camera, Ledah si buttò sul letto e nascose il viso nel cuscino.
- Buonanotte, allora. - bisbigliò Airis, distendendosi anche nel piccolo giaciglio accanto. 
Poggiò la testa sulle braccia e attese che il respiro del compagno di stanza si regolarizzasse. Avrebbe voluto porgli tutte le domande che le frullavano nel cervello, ma aveva deciso che avrebbe aspettato fino all'indomani. Aveva atteso molto, cosa le poteva costare un giorno in più?
- Airis? - il sussurro dell'elfo ruppe il silenzio.
La ragazza lo guardò, aggrottando le sopracciglia.
- Io ti farò di nuovo vedere il mondo, te lo prometto. - sollevò il capo e cercò la sua figura. 
Nell'oscurità della stanza, illuminata solo dai chiari raggi di luna che filtravano dall'unica finestrella incassata nel muro alla loro destra, Airis non riusciva a scorgere bene l'espressione dell'altro, ma scommise che era seria e sincera, impressione che derivò dal tono di voce con cui aveva pronunciato quelle parole. 
- Ma, in cambio, tu promettimi di raccontarmi cosa è successo ai tuoi occhi.-
La guerriera esitò. 
- Non lo so... - inspirò profondamente, osservando il soffitto, - Vedremo. - farfugliò, senza avere il coraggio di guardarlo per paura che lui scorgesse il timore riflesso nelle proprie iridi opache.
"Perché ti interessi così a me, Ledah? Sono una tua nemica... perché non mi permetti di esserlo?"
L'elfo sorrise debolmente. 
- Beh, sempre meglio che un "no" definitivo. - scherzò.
- Sogni d'oro, allora. -
Lui tacque un attimo, come se volesse chiederle qualcosa, ma alla fine si girò dall'altra parte e pose fine alla discussione.
La ragazza fissò la sua schiena, aspettando che il sonno lo accogliesse. Quando fu certa di essere rimasta sola, alzò lo sguardo verso l'alto e chiuse le palpebre, concentrandosi sui suoni attorno a lei. I rumori della foresta le riempirono la mente, creando una sinfonia rilassante, e la svuotarono di tutti i pensieri e le angosce. Percepì i muscoli contratti rilassarsi, mentre con la fantasia correva in quei boschi, fra gli alberi, rivivendo i giorni precedenti, durante i quali aveva assaporato, per la prima volta dopo anni, un'esistenza normale, in compagnia dei bambini, di Margharet, Myria e Ledah. E Copernico, per quanto avessero trascorso pochissimo tempo insieme. 
Un sorriso vero e disteso le increspò le labbra.
"Sarebbe bello poter vivere per sempre così... non sarebbe affatto male."
  
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