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Autore: Acinorev    19/10/2014    13 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo sei - Again
 (Per favore, leggete lo spazio autrice :))
 

Aveva impiegato due giorni a digitare poche parole sul suo cellulare, un asciutto "Dobbiamo parlare" che le era costato un po' troppo orgoglio: inizialmente aveva categoricamente scartato l'idea di cercare Harry in qualsiasi modo, profondamente convinta che non spettasse a lei ed ancora succube dell'ira che l'aveva animata durante la discussione alla mostra d'arte. Eppure voleva sfoggiare la maturità che aveva conquistato con gli anni, dimostrandogli di avere a che fare con una persona piuttosto diversa e magari stupendolo: Miles aveva ragione, doveva assolutamente liberarsi di quel peso che si trascinava dietro come un continuo promemoria di una vecchia ferita, quindi doveva mettere da parte qualsiasi sua protesta e sforzarsi di raggiungere un chiarimento.
I brevi messaggi che si erano scambiati non contenevano che una manciata di sillabe, persino prive di punteggiatura: erano così poveri e reticenti, da rispecchiare la tensione che imperversava nei mittenti e da far serrare i pugni a chi li riceveva.
Si erano dati appuntamento da Ty per il giorno dopo, verso le cinque del pomeriggio e prima che Emma iniziasse il turno di lavoro al ristorante: la scelta non era stata contestata, perché in qualche modo il Rumpel rappresentava un luogo rassicurante e neutro, nel quale avrebbero potuto muoversi con libertà senza sentirsi troppo osservati. Il proprietario, infatti, li conosceva abbastanza da non stupirsi se avessero alzato la voce.
Emma era arrivata qualche minuto in anticipo senza nemmeno accorgersene, o forse senza volerlo fare: aveva salutato Ty da lontano, temendo domande ed insinuazioni, e si era concentrata sull'agitazione che sentiva. Seduta su una delle sedie attorno al tavolo all'angolo che aveva scelto, non riusciva a stare ferma o a non stringersi nervosamente le mani l'una con l'altra: avrebbe voluto essere a proprio agio ed un po' più spavalda, ma sapeva che era impossibile. Si trattava di ripercorrere una strada chiusa e tortuosa, di immergersi in vecchi ricordi anche se vivi, di litigare per l'ennesima volta, probabilmente, e di arrabbiarsi ancora un po'.
Spinta da queste possibilità, si ripromise di sforzarsi di mantenere la calma e di non infervorarsi.
Harry arrivò puntuale, entrando al Rumpel con una t-shirt grigia ed i pantaloni della tuta neri, abbinati a delle Nike vagamente rovinate: i capelli nuovamente raccolti in una piccola coda disordinata, le iridi coperte da un paio di occhiali da sole e le labbra umide. Rivolse un cenno del capo a Ty e si guardò intorno con attenzione, cercandola tra i pochi clienti di quel pomeriggio.
Emma lo stava già osservando, in attesa che si avvicinasse e cercando di non far trasparire alcuna goccia di tensione: poteva ancora sentire le urla con le quali si erano attaccati pochi giorni prima, il loro effetto inaspettato.
Lui si avvicinò lentamente, togliendosi le lenti ed appendendole distrattamente allo scollo della maglietta: spostò la sedia di fronte alla sua e ci si sedette con tranquillità, tirando su con il naso e strofinando per qualche istante le mani grandi sulle proprie cosce, a tradire una vaga impazienza.
Si guardavano in silenzio, come se volessero capire qualcosa prima di dirne un'altra: Emma appoggiò gli avambracci nudi sul tavolo tiepido e si sporse di poco e meccanicamente in avanti. «Dobbiamo chiarire questa storia» esordì a bassa voce, incrociando le gambe sotto il tavolo.
Harry non si mosse, ancora contro lo schienale della sedia e con il viso pulito a fronteggiarla, e non rispose, nonostante i suoi occhi parlassero per lui.
«E siamo adulti ormai, possiamo farlo anche senza urlarci addosso» continuò lei, con studiata lentezza. Quelle non erano parole spontanee, erano parole che aveva precedentemente deciso di pronunciare per iniziare il discorso: mettere le cose in chiaro sin dall'inizio le sembrava una buona tecnica precauzionale.
Lui si inumidì le labbra e prese un respiro più profondo, muovendosi per imitare la sua posizione: i loro volti si stavano affrontando apertamente, ma con un controllo più che precario. «Inizia pure» disse soltanto, in un falso gesto di galanteria che stentava a nascondere lo stesso risentimento che aveva palesato alla mostra.
Emma sbatté le palpebre e corrugò impercettibilmente la fronte: non si aspettava di poter avere la prima parola e di conseguenza non sapeva da dove cominciare. Nessun preludio e nessuna preparazione, Harry ricercava un confronto con la stessa decisione.
Lei si frizionò i capelli sciolti sulle spalle e si sistemò la canottiera bordeaux, che le si era arrotolata intorno al bacino: si sentiva i suoi occhi addosso, quindi recuperò il contatto visivo il più in fretta possibile per non lasciargli alcun vantaggio.
«Perché te ne sei andato, esattamente?» Domandò piano, optando per un filo logico cronologico. «E non dirmi che volevi cambiare aria» aggiunse subito dopo, ricordando la scusa che lui le aveva imposto e che non era stata sufficiente.
«Però è la verità» rispose Harry, mantenendo una certa compostezza. Aveva incrociato le mani sul tavolo. «E sai anche cosa significa.»
Emma sospirò silenziosamente e lo osservò per qualche istante. «Non voglio tirare ad indovinare» esclamò. «Se siamo qui è per essere il più chiari possibile e per…»
«Tu mi avevi lasciato» la interruppe lui, cogliendo la sua richiesta e rigettando qualsiasi altra spiegazione superflua. «Non mi piaceva doverti stare lontano, avendoti così vicina. Ed ero stanco della mia reputazione per la storia dell'irruzione. Avevo finito la scuola e non avevo più niente a trattenermi, ma un lavoro sicuro ad aspettarmi: ho fatto quello che dovevo.»
Aveva parlato con un tale stoicismo, da essere irreale: nessuna parola masticata dallo sforzo di esprimersi, nessuna smorfia di disagio, nemmeno stesse recitando un copione. Emma arrivò persino a sospettarlo, ma non doveva cedere all'immagine che conservava di un Harry ormai passato: dopo sei anni, era comprensibile che lui avesse imparato ad aprirsi in maniera più o meno protetta, dicendo ma non troppo.
Forse aveva semplicemente creduto che avrebbe fatto trasparire almeno un'ombra di dolore, nel ricordo di quel periodo.
Annuì piano, ragionando sulla risposta appena ottenuta: effettivamente tornava tutto al proprio posto, perché sapeva molto bene quanto la verità sul suo passato costituisse un peso per lui e quanto la sua codardia non fosse del tutto assopita, e perché era logico che apprezzasse un lavoro che avrebbe potuto aiutare la situazione economica della sua famiglia, nonostante si trovasse in una città tanto distante. Ciò che l'aveva stupita era l'ammissione dell'incapacità di starle lontano: non poteva negare di averlo immaginato, un paio di volte, ma aveva sempre scartato la possibilità per proteggersi e non illudersi. Conoscendo i suoi sentimenti mancati, aveva preferito convincersi che non gli importasse di averla vicino o meno.
«Avresti indovinato?» Le chiese, osservandola attentamente.
Emma soppesò le conseguenze di ogni risposta che avrebbe potuto dargli. «No» confessò.
Harry distolse lo sguardo e scosse il capo, come scocciato dal suo scetticismo.
«Perché credere il contrario era più facile» spiegò lei, per fargli capire cosa l'avesse spinta a metterlo in dubbio.
Lui tornò a scrutarla, serrando la mascella, ma non rispose né commentò quella verità appena svelata. Era evidente come entrambi si stessero trattenendo dal loro solito impeto ed Emma si stupiva nell'accorgersi di quanto fosse difficile contenere una natura che pensava di aver messo a tacere molto tempo prima.
«Perché non mi hai fermato?» Domandò Harry, accaparrandosi il diritto di sapere.
Lei trattenne per un attimo il fiato, colpita da quel dubbio con il quale non pensava di doversi confrontare. Parlare di quel periodo era ancora più difficile di quel che pensasse e non riusciva a capacitarsene.
«Volevi che lo facessi?» Chiese allora, nonostante stesse venendo meno alla promessa di chiarezza che avevano implicitamente condiviso. Ricordava ancora tutti gli interrogativi che l'avevano colpita quando lui si era presentato alla sua festa di compleanno, dandole la notizia e mandandola in confusione.
Eppure non avrebbe avuto senso, perché anche in quel momento era convinta che nulla l'avrebbe portato a rimanere: entrambi sapevano che la loro storia non avrebbe potuto continuare, quindi l'unica possibilità era quella di dividersi, e lui aveva appena ammesso di non essere riuscito a sopportarlo. No, non voleva davvero essere fermato.
«Volevi che ci provassi…» sussurrò Emma, lentamente e con una maggiore comprensione delle cose.
Harry si irrigidì appena, senza esporsi, e lei sentì qualcosa di tumultuoso disturbarla per un attimo. Poteva ricostruire il loro ultimo incontro senza troppi sforzi, ritrovarsi davanti al suo volto serio e da adolescente, percepire ogni emozione provata o sperata: forse Harry avrebbe voluto cogliere ancora un segno di amore da lei, prima di andarsene, e forse avrebbe voluto scatenare in lei una reazione in grado di scaldarlo almeno un po'.
«Non hai risposto» le fece presente. Non confermò né smentì la sua ipotesi, perché non ce n'era bisogno e perché se con il tempo aveva imparato ad aprirsi un po' di più, non gli era comunque facile.
Emma deglutì a vuoto e si diede un contegno. «Ti sei presentato lì dopo un mese, dopo le ultime cose che mi avevi detto: mi ero persino illusa che volessi riprovarci, dopo aver visto il tuo regalo. E mi hai semplicemente detto che te ne saresti andato entro due giorni, senza nemmeno avermene parlato» raccontò quindi, stringendo i pugni. «Non credevo che un mio parere potesse servire, né che lo volessi» concluse, lasciando sottinteso il risentimento che aveva provato a quel tempo, per non essere stata coinvolta in una decisione tanto importante e per la sofferenza di doverlo salutare una volta per tutte.
«Avresti voluto darmene uno?» Le domandò a bassa voce.
La stupiva parlare con lui in quei toni, soprattutto perché sapeva di non doversi abituare: erano una bomba ad orologeria.
«Sì.»
«Sarebbe cambiato qualcosa, se io fossi rimasto?»
«No» rispose flebilmente.
Restarono in silenzio, respirando con lentezza ed in modo trattenuto. Entrambi erano consapevoli della veridicità di quelle parole ed Emma era convinta che Harry conoscesse la risposta alla propria domanda prima ancora di pronunciarla: era qualcosa che dovevano esplicitare ad alta voce, rendere un po' più reale, quasi con lo scopo di rassicurarsi. A prescindere da tutti gli errori che entrambi avevano commesso, l'unica cosa della quale potevano essere certi era l'incompatibilità delle due parti nel loro rapporto. Emma avrebbe potuto pregarlo di restare ed Harry avrebbe potuto deciderlo di sua spontanea volontà, ma lei sarebbe comunque stata affetta dall'insoddisfazione per un sentimento non ricambiato e lui avrebbe continuato a stridere con le sue differenze, portando il tutto ad una fine inevitabile.
I secondi passavano, costituendo interminabili minuti, ed i loro occhi non si lasciavano: fermi nelle loro intenzioni, continuavano a scrutarsi e a riconoscere quelle sfumature che avevano caratterizzato il loro primo incontro, studiando cautamente quelle che invece si rivelavano essere un po' più estranee.
Emma non resistette oltre ed abbassò lo sguardo sulla superficie del tavolo.
«Mi sono stancato» esordì lui, attirando nuovamente la sua attenzione su di sé: aveva il volto serio, le labbra socchiuse ed un sospiro in procinto di liberarsi. «Abbiamo sbagliato talmente tante volte ed in talmente tante cose che...»
Si interruppe, come per cercare le parole adatte. «Non c'è bisogno di elencare uno per uno tutti i nostri errori, perché sappiamo entrambi che non arriveremo mai a capirli: sicuramente tu stai continuando a pensare che non avrei dovuto cambiare numero e che sono stato uno stronzo, mentre io continuo a pensare che tu sia stata un'ipocrita. E allora? Parlarne fino allo sfinimento non cambierà le cose.»
Lei lo ascoltò con attenzione, soppesando i significati che esprimeva con controllata calma e cercando di dosare le proprie reazioni. Aveva ragione, ma non credeva che quello che avevano fatto fosse stato completamente inutile: sicuramente non avrebbe cambiato il passato, ma almeno avrebbe insinuato tra di loro una maggiore sincerità ed una maggiore chiarezza, senza lasciare punti in sospeso e facilmente soggetti a fraintendimenti. «Cosa proponi di fare?» Gli chiese allora, incrociando le braccia sul tavolo.
Harry si inumidì le labbra: «Niente» rispose semplicemente.
Lei inarcò un sopracciglio e attese un'ulteriore commento, qualcosa che la aiutasse a capire.
«Lasciamo perdere, Emma» riprese infatti. La pronuncia del suo nome la scosse impercettibilmente, come se fosse ancora abituata ad essere chiamata diversamente da quella voce. «Lasciamo perdere questa storia. Tu non sei stanca?»
No, non lo era.
Emma era esausta. Ogni fibra del suo corpo la pregava per una tregua che lei non era in grado di concedersi: per tutti quegli anni si era convinta di aver seppellito il suo passato sotto le fondamenta di una nuova vita, ma con il ritorno di Harry vi era stata una frana che aveva scoperto ogni punto debole ed ogni danno mai riparato.
Credeva che il motivo per cui non riuscisse a lasciar andare quegli avvenimenti fosse la mancanza di un chiarimento: lei ed Harry non si erano mai confrontati a riguardo, non avevano mai discusso e lei non aveva mai potuto arrabbiarsi, gridargli contro il proprio rancore. Ma ora che era successo, a cosa si stava aggrappando? Per quanto ancora era disposta a farsi condizionare da vecchie ferite? Perché avrebbe dovuto farlo?
La possibilità di sbarazzarsi di quella che vedeva come una maledizione la attirava come una fonte di luce: voleva tornare ad essere libera, in ogni accezione, e spettava solo a lei scegliere di farlo. Nessuno glielo avrebbe impedito, nessuno l'avrebbe contrastata e lei ne avrebbe giovato: si sentiva persino una stupida, dato che per tutto quel tempo non si era impegnata fino in fondo, rimandando il momento in cui sarebbe riuscita ad accettare qualcosa risalente a sei prima.
«Non immagini quanto» rispose allora, pronunciando quelle parole come se fossero state un sollievo immenso. Poteva leggere la stessa emozione negli occhi di Harry, la stessa stanchezza che aveva ammesso e che le aveva permesso di riconoscere: chissà se durante quel lungo periodo di lontananza aveva anche lui pensato alla loro fine, a tutte le cose che avrebbe voluto rinfacciarle. Chissà se l'aveva maledetta fino a non ricavarne più alcuna soddisfazione, chissà se anche per lui il loro litigio alla mostra aveva stipulato un punto di rottura, un limite superato ed in grado di spingerli verso una svolta.
«Ok, allora è deciso» commentò Harry, abbozzando un sorriso soddisfatto e stringendosi nelle spalla larghe. Lei rispose con un sorriso simile, ma forse più insicuro: tutto qui? si trovò a pensare.
Improvvisamente le sembrava tutto troppo facile, quasi azzardato: era intontita dalla velocità con la quale erano scesi ad un compromesso, tanto da dubitare della sua fondatezza. Che stessero solo mascherando problemi più radicati? Che stessero solo cercando di mostrarsi maturi e di fingere per non darla vinta all'altro?
«Che c'è?» Le chiese Harry, notando forse l'espressione del suo viso.
«È così strano…» sospirò lei.
«Si può provare» le rispose serio. «Nel peggiore dei casi, tra due minuti staremo di nuovo litigando e Ty dovrà cacciarci da qui» sdrammatizzò.
Si sarebbe sforzata di dargli ascolto, ma non poteva prevedere cosa sarebbe derivato dal passare del tempo insieme. In fondo si trattava di accettare, non di dimenticare, quindi i ricordi sarebbero rimasti dentro di lei ogni volta che lo avrebbe visto o gli avrebbe parlato: doveva solo sperare che smettessero di fare male.
Emma si passò una mano sul viso e poi tra i capelli, percependo il nodo di tensione sciogliersi e lasciarla respirare un po' più facilmente. «Ci credi che siamo riusciti a parlare come due persone civili?» Scherzò debolmente, sinceramente stranita da quel passo in avanti.
Harry rise appena, guardandola con la sua disarmante spontaneità. «Facciamo progressi» commentò.
E ci fu un insignificante istante, un attimo scollegato da quella realtà, che le fece trattenere il fiato: forse si era rilassata sin troppo, forse era solo stordita dalle novità, ma le era sembrato che il suo tono di voce si fosse macchiato di discreta malizia, come di una promessa.
«Offre la casa» esclamò qualcuno al suo fianco, interrompendo i suoi pensieri. Millicent, una delle cameriere del Rumpel, stava poggiando sul loro tavolo un bicchiere di birra ed un thè alla pesca, sorridendo con professionalità e spensieratezza. Entrambi i clienti corrugarono la fronte e si voltarono istintivamente verso Ty, che li salutò con un cenno della mano ed una smorfia soddisfatta: quell'impiccione doveva aver assistito da lontano a tutta la scena, arrivando a voler festeggiare i sorrisi che non poteva interpretare con bibite gratis.
Ringraziarono Millicent e scossero la testa, divertiti da quel gesto.
«Allora...» sospirò Emma, giocherellando con il proprio bicchiere. Sembrava che, una volta affrontate le questioni spinose, non avessero più nulla di cui parlare, nonostante ci fossero sei anni da indagare e curiosare.
Harry bevve un sorso di birra e si leccò le labbra, alzando un sopracciglio. «Mi è piaciuta la tua mostra» esclamò dopo una manciata di secondi.
Lei temette che volesse di nuovo criticarla per la decisione di esporre quella fotografia, quindi il suo corpo si ritrasse leggermente, come a porsi sulla difensiva. «Grazie» rispose: perché non riusciva a formulare frasi che andassero oltre le poche parole?
«L'altra volta non me ne avevi parlato» continuò lui, evidentemente riferendosi alla breve passeggiata che li aveva coinvolti in surreali discorsi sulla loro situazione lavorativa.
«Non è il mio lavoro» si giustificò lei, felice di potersi rilassare con un argomento nel quale si sentiva a proprio agio. «Ed è stata la prima mostra alla quale io abbia mai partecipato» continuò con un'improvvisa fierezza ad occuparle il cuore. I risultati ottenuti erano ancora in grado di sorprenderla e di riscaldarla.
«Be', direi che è andata bene» disse Harry, inclinando il capo e prendendo un altro sorso di birra.
Emma annuì e lo imitò, chiedendosi se fosse il caso di fare alcune precisazioni sull'esposizione: se erano disposti a lasciarsi alle spalle i passati screzi, avrebbero dovuto occuparsi anche dei presenti. «Non ho esposto quella foto per dispetto, non sapevo nemmeno che saresti venuto» esordì piano, guardandolo in modo che non potesse dubitare della sua sincerità.
Harry la osservò in silenzio, irrigidendosi appena.
«Non volevo sminuirla, come tu hai pensato, anzi» continuò, come se l'assenza di una risposta le avesse dato il consenso a continuare. «E non ho mentito riguardo l'autore per sminuire te.»
Lui serrò la mascella e restò immobile.
«È che davvero non era importante che si sapesse» riprese, sperando di non essere fraintesa. «Ho scelto quella fotografia perché mi ricorda qualcosa di me, non... Non mi serviva nient'altro, né serviva a loro: per come la vedo io, ti avrei davvero mancato di rispetto se avessi raccontato quando e come mi sia stata scattata» concluse.
Harry l'aveva accusata di averla sbandierata di fronte a decine di persone, senza preoccuparsi dell'intimità che essa portava con sé e del suo significato. Eppure lei aveva cercato di tutelarla al meglio, quell'intimità, perché aveva evitato di riportare qualsiasi particolare in grado di tradirla, in grado di rendere pubblico quel ricordo.
Forse lui non si era fermato a riflettere su quel piccolo particolare, perché la sua espressione si smorzò e le sue spalle si rilassarono. «Cosa ti ricorda?» Le chiese, accordandole implicitamente un perdono non necessario e garantendole la propria attenzione, che non si era lasciata sfuggire nemmeno un dettaglio.
Emma si pentì di aver svelato troppo, nonostante non potesse più rimangiarsi niente. «Non si parlerebbe di arte, se venisse tutto spiegato» rispose con aria soddisfatta, sperando che lui non insistesse. Si sentiva sin troppo scoperta, in quel momento, quindi non voleva rendersi ancora più fragile, farlo entrare troppo nei propri pensieri.
Ogni tanto doveva ricordarsi che non erano più gli Harry ed Emma di una volta.
«Touché» disse lui con un sorriso.
Almeno all'apparenza.
C'erano ancora tonnellate di orgoglio a dividerli, poteva percepirli nell'aria che condividevano: decine di particolari che entrambi non avevano ancora superato, ma che non nominavano per evitare di sembrare un po' più deboli. Li avvolgeva un'atmosfera simile a quella della loro prima passeggiata.
«Il tuo ragazzo che ne pensa?» Le domandò qualche istante dopo, con un tono vagamente provocatorio: le diede l'impressione di volerla mettere in difficoltà, come se fosse stato certo che lui non ne sapesse nulla.
«Della fotografia?» Ribatté lei, senza scomporsi e cogliendo la sfida.
Harry si strinse nelle spalle. «Anche.»
«È una delle sue preferite, tra quelle che ho esposto» spiegò lentamente, cogliendolo di sorpresa. «Ed è stato lui ad insistere affinché noi due parlassimo» continuò, infierendo un po' di più. Quei giochetti non la potevano più intrappolare.
Lui assottigliò gli occhi, pensieroso. «Tu non volevi venire?» Le chiese, più teso.
«Non proprio, no» ammise, ricordando quanto avesse desiderato di farlo scomparire da Bradford e dai propri ricordi. Fare ciò che è giusto non sempre corrisponde a ciò che si preferirebbe.
«Allora che ci fai qui?» Harry aveva serrato la mascella, indurendo lo sguardo.
Lei corrugò appena la fronte, allarmata dalla sua reazione. «La stessa cosa che stai facendo tu» gli rispose, come se fosse stato ovvio. Entrambi erano lì per chiarire, per mettere un punto ad uno sproloquio infinito.
«Non credo» la contraddisse a denti stretti, alzandosi nervosamente dalla sedia e allontanandosi a passi svelti, senza nemmeno guardarla un'ultima volta. Pochi attimi dopo, era già al di fuori del Rumpel.
Emma restò pietrificata sulla propria sedia, alla ricerca di una spiegazione e forse anche di una smentita.
 

♦♦


Il Nameless era un ristorante poco frequentato, ma con una clientela fedele e soddisfatta. Incastrato in una via alla periferia della città, era composto da sole due ampie sale, con la moquette bordeaux alle pareti ed il parquet scuro ad amplificare il suono di ogni passo. L'arredamento vintage gli conferiva un'atmosfera intima ed accogliente, che anche alla fine di un estenuante turno di lavoro era ancora piacevole.
Emma si allacciò nuovamente il grembiule nero intorno alla vita, maledicendo il tessuto logoro che si faceva sempre più capriccioso: la camicetta bianca non mostrava ancora macchie di cibo - stranamente - e lo chignon in cui aveva legato i capelli era accettabilmente in ordine. Erano solo le nove di sera ed era già esausta.
Battendo alla cassa il conto di un cliente, alzò lo sguardo verso l'ingresso quando udì lo scampanellio che annunciava l'arrivo di qualcuno: vide entrare un gruppo di amici abbastanza numeroso e, tra di loro, distinse i capelli biondo grano di Lea. Non si aspettava la sua presenza, ma la rallegrava.
«Ci penso io» borbottò frettolosamente Nikole, dandole una scherzosa ed indiscreta pacca sul sedere e dirigendosi verso i nuovi clienti. Emma sorrise divertita e ringraziò il cielo di avere una collega ed amica in grado di sollevarle il morale, poi si apprestò a concludere il suo compito.
Qualche minuto più tardi, mentre si dirigeva in cucina per riferire alcune ordinazioni, Nikole la affiancò. «Perché non mi hai detto di aspettare ospiti importanti?» La rimproverò bonariamente, alzando un sopracciglio fine. I suoi occhi grigi la stavano osservando con curiosità, quasi fossero impegnati in un'analisi approfondita.
«Ospiti importanti?» Ripeté Emma con un sorriso, aprendo la porta della cucina e respirando quel mucchio di profumi culinari che talvolta le faceva venire la nausea, per quanto era intenso.
L'altra le lasciò riferire il dovuto, prima di riprendere. «Sì, quelli appena arrivati» confermò. Si strinse la coda nella quale aveva intrappolato i capelli corvini e si passò una mano sul viso poco truccato: le labbra carnose socchiuse ed il naso all'insù a conferirle un'aria perennemente buffa. «Una di loro mi ha detto che le avevi promesso il tavolo migliore, anzi, il migliore per la migliore, giusto per citarla, e mi ha fatto l'occhiolino» continuò, marcando quelle parole per enfatizzare la sua incredulità. Respirava velocemente, perché, come aveva spiegato lei stessa, "guarda quanto grasso devo portarmi dietro, credi che sia facile?". E in fondo sì, Nikole non era al massimo della forma e talvolta la confusione del ristorante la debilitava.
Emma rise di gusto, immaginandosi la scena. «Non è un'ospite importante ed io non le ho promesso proprio niente: è la sorella di Miles ed è solo molto furba» le spiegò liberamente. Lea si divertiva nell'ammaliare le persone.
«Stai dicendo che mi ha fregata?» Chiese l'altra, sbattendo più volte le palpebre.
«No, non la metterei proprio così» cercò di rassicurarla con una risata, recuperando dalla tasca del proprio grembiule il taccuino per le ordinazioni. «Penso io al suo tavolo, ok?» Le propose.
«Vai pure» le concesse Nikole. «Quella è così figa che potrebbe farmi diventare lesbica, ed io non voglio diventarlo.»
Emma scosse la testa e le diede le spalle, divertita. Quella ragazza paffuta e di qualche centimetro più bassa di lei, compresa di passione per i negozi di Camden Town e per i loro commessi, era ciò che più si avvicinava al concetto di migliore amica, una definizione che non vedeva più con gli stessi occhi.
Aveva condiviso tutto con Tianna fino all'estate dell'ultimo anno di liceo, prima che lei si spostasse a Londra per l'università e prima che i messaggi diminuissero gradualmente, affievolendo anche il loro calore, sempre più gelido. Pian piano si erano allontanate fino a non aver più nessun tipo di contatto ed Emma avrebbe giurato che non sarebbe mai potuto succedere a due come loro, eppure forse è così che dicon tutti.
Nikole era arrivata dopo circa un anno e aveva stravolto tutto.
Mancava ancora qualche metro alla sua destinazione, ma Lea la intravide da lontano, alzandosi in piedi subito dopo e correndole incontro per abbracciarla calorosamente. Il suo profumo la invase fino a scacciare quello al quale era abituata per lavoro, mentre i capelli fini le solleticavano il viso.
«Emma, Santo Cielo!» Esclamò concitata, baciandole una guancia e allontanandosi di poco per poterla guardare negli occhi. Le sue iridi brune erano colme della spensieratezza che caratterizzava i suoi venticinque anni. L'abito rosso fuoco le accarezzava delicatamente la pelle. «Mi sei mancata!»
Lei sorrise sinceramente. «Anche tu» rispose. «Pensavo fossi ancora in Irlanda» ammise subito dopo. Lea lavorava nell'ambito della moda, anche se non aveva ancora capito quale fosse effettivamente il suo ruolo, dato che ogni volta che prendevano l'argomento lei divagava e nominava almeno dieci mansioni diverse: spesso viaggiava per tener fede ai propri impegni, mancando da casa anche per diversi mesi.
«Sono tornata due giorni fa: sono riuscita a convincere il mio capo» raccontò, fiera e maliziosa. Lea era racchiusa in un corpo snello e benedetto da curve armoniose, che ad una prima occhiata permetteva a chiunque di etichettarla come donna: il viso sottile e gli occhi intraprendenti erano simili a quelli di Miles, ma erano caratterizzati da un fascino diverso, femminile fino all'ultimo particolare. Ogni suo movimento era elegantemente spontaneo, ammaliante, e lei sapeva molto bene come sfruttarlo.
«Miles non mi ha detto niente», spiegò Emma, stupita da quella mancanza di comunicazione.
«Ah, lascialo stare. Sono stata io a chiederglielo: volevo farti una sorpresa, dato che ti avevo promesso che prima o poi sarei passata in questo posto» le spiegò allegramente, arricciando il naso dalle linee morbide.
«Hai fatto bene, ne avevo proprio bisogno» le confessò Emma, riferendosi alla stanchezza che le pesava sulle spalle: inoltre Lea le era mancata, insieme all'atmosfera di leggerezza che portava ovunque andasse ed insieme alle chiacchierate che era in grado di dedicarle.
«Posso immaginare» sospirò lei amaramente, rattristando la proprio espressione. «Mi dispiace per quello che stai passando.»
Emma corrugò la fronte, cogliendo un riferimento che le sfuggiva, e Lea sembrò accorgersene, quindi si affrettò a specificare. «Ieri mi sono vista con Miles e mi ha detto che siete di nuovo in crisi.»
Il suo cuore sobbalzò senza esitazione, facendola irrigidire e mozzandole il fiato in gola. Strinse i pugni così forte che sentì la carta del taccuino rovinarsi sotto la sua pelle, sotto il suo risentimento: c'era abbastanza confidenza, tra loro, da spingerle a parlare di qualsiasi argomento, ma non di ciò che neanche Emma conosceva. Miles aveva azzardato una confessione a sua sorella, forse senza pensare che non fosse al sicuro, e le aveva rivelato un particolare del quale la sua ragazza era all'oscuro.
Non che Emma fosse stupida e non cogliesse le difficoltà che minavano il loro rapporto, ma Lea era stata chiara: di nuovo in crisi. Dato che conosceva alla perfezione ogni loro problema, forse anche quelli più indiscreti, non poteva riferirsi al periodo che aveva seguito il tradimento, altrimenti avrebbe usato altre parole, avrebbe detto ancora. Invece aveva accennato a qualcosa di nuovo, a qualcosa di diverso e che Emma forse non era nemmeno riuscita a distinguere.
Era così furiosa nei confronti di Miles, che stava continuando ad indossare la sua maschera da ottimista e a privarla di una sincerità che invece pretendeva da lei, così piccata da se stessa, che era stata tanto cieca, e faceva così male, che le costò molto fingere indifferenza di fronte a Lea. «Sì, purtroppo non ce la caviamo molto bene» esclamò, distogliendo lo sguardo per non affrontare una discussione su due visioni contrastanti della situazione.
Lea la abbracciò nuovamente, inconsapevole dello screzio appena provocato, e le massaggiò la schiena. «Se non stessi lavorando, ti inviterei a mangiare con noi e ti pagherei tutte le porcate di cui avresti voglia. Il cibo è sempre il miglior rimedio» le disse all'orecchio, cercando di farla sorridere.
Emma la accontentò con difficoltà, accompagnandola al tavolo per potersi allontanare il più in fretta possibile. Presto avrebbe abbassato le sue difese e avrebbe mostrato le proprie ferite agli occhi attenti di Lea, ma sapeva già che sarebbe stata così impegnata da non aver tempo di fermarsi a parlare. A costo di pulire tutte le cucine fino all'indomani.

 
Messaggio inviato: ore 00.12
A: Miles
"Stanotte dormo dai miei"





 


Buoooongiorno e buona domenica :)
Dato che so che alcuni lettori di solito non leggono lo spazio autrice, do subito il piccolo annuncio, che per alcuni non sarà una novità: ho pubblicato un missing moment ambientato tra la fine di Little girl e l'inizio di High hopes, dal punto di vista di Harry! Si intitola "And then what?" (cliccate
qqqqqqui) e mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate :)
Detto questo, passiamo al capitolo! So di essere un po' in ritardo, scusatemi! 
- Harry/Emma: so benissimo che il loro """chiarimento""" è quasi surreale, per come si è svolto e soprattutto se si pensa a come si erano lasciati l'ultima volta, ma è proprio questo il punto :) Infatti lascio a voi i commenti, anche se nel testo ho già lasciato qualche indizio su cosa stia realmente accadendo! Io ho provato a scrivere tutto diversamente, a farli agitare un po' di più, ma quei dannati dei miei personaggi hanno protestato e hanno voluto a tutti i costi che andasse così hahaha Più che altro mi piacerebbe conoscere le vostre interpretazioni della parte finale del loro incontro eheheh Harry che se ne va così, all'improvviso (sai che novità)!!
- Tianna/Emma: finalmente avete la vostra risposta hahah Con Tianna il rapporto è andando logorandosi senza nemmeno un motivo, come spesso capita nelle amicizie nate fra i banchi di scuola. Nessun litigio, nessuno screzio, solo due vite che continuano per conto proprio. Inoltre, ora c'è la paffuta Nikole a rappresentare un degno rimpiazzo :) Non so ancora di preciso lei e Lea che ruolo avranno e che importanza, ma don't worry! Spero non vi siano dispiaciute!
- Miles/Emma: EH! Altri problemi all'orizzonte, dato che Miles si è lasciato sfuggire un po' troppo. Spero sia chiaro il ragionamento di Emma! Secondo voi a cosa è dovuta questa "nuova crisi"? Credete che Harry c'entri qualcosa? Dico solo di ricordarvi che è di Miles che si parla :)
Bene, ho parlato abbastanza, quindi mi dileguo!
Come sempre, grazie infinite di tutto! Nello scorso capitolo ho notato un calo nelle recensioni e, dato che sono uno dei pochi mezzi che ho per avere un confronto su ciò che scrivo, vi chiedo se avete notato qualcosa che magari non vi è piaciuto! Fatemi sapere, sia in positivo, sia in negativo :)


Vi lascio tutti i miei contatti: ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
  
  
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