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Autore: MuraroChiara    19/10/2014    2 recensioni
"Non si muore mai da soli"
Non si vive nemmeno da soli e, a 17 anni, la vita l'affronti coi denti. Una storia vissuta da quattro ragazzi come tanti che sono costretti a scontrarsi con temi non sempre facili, quali le dipendenze, l'amore, la violenza, la diversità e la stessa morte, che devono tenere il passo con scuola, amicizie, famiglia, che si trovano ad essere protagonisti, comparse, registi e spettatori del loro grande spettacolo, fino alla sua fine.
Recensite! Mi fate molto felice! Rispondo a qualsiasi domanda sulla storia!! Grazie :)
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il bianco opprimente del soffitto di camera mia mi stava dando alla testa. Per fortuna avevo convinto i miei a pitturare le pareti di un bel azzurro cielo, altrimenti avrei già cominciato ad impazzire da un pezzo. Sbuffavo. Guardavo l'orario sbloccando il telefono. Le 3.17. Tutto sommato era solo un'altra notte insonne. Dicembre in fondo è così. Professori più che sclerati che ti tartassano con verifiche su verifiche su interrogazioni, come se la loro vita dipendesse da quello e, soprattutto, come se la nostra vita fosse incentrata sulla scuola. Certo, perché un ragazzo di 17 anni con gli ormoni impazziti pensa solo a delle dannate versioni di latino. Certe volte mi chiedo cosa passi per la testa di quei pazzi scatenati, non sono mai stati ragazzi, loro? Non hanno mai provato il gusto del vento sul viso? Il profumo della notte? Le labbra sulla pelle? La musica nelle orecchie? Guardo l'ora. Sono le 3.24. Evidentemente no.
                Non penso sia il caso di dormire. La notte porta consiglio, dicono. Io però non ho bisogno di riflettere, ho solo bisogno di dormire. Non saprei su cosa riflettere, francamente. Ora come ora ho le mani legate. Per questo vivo alla giornata. Faccio un giro su WhatsApp, sperando di trovare qualcuno online, tanto per ammazzare il tempo. Il vuoto. Solo Gio, il mio migliore amico. Apro la sua chat, leggo gli ultimi messaggi, roba di poca importanza, chiariamoci: solo la versione di compito per domani, che poi alla fine è oggi. Rileggo alcuni frammenti di conversazione. Cosa fai domani, oggi esci, come stai, hai tu il mio accendino. Le solite cose. La richiudo. Generalmente non è a lui che scrivo durante le notti insonni. Il suo ultimo accesso è stato alle 21.38. Ora starà evidentemente dormendo. Non mi pare il caso di disturbare. Se continuo a prendere in mano il telefono è evidente che non dormirò mai, considerato anche che sono le 3.39 del mattino. Devo dormire.

Il mio risveglio è piuttosto brusco. Ho dormito solo quattro ore e ne dormirei volentieri il doppio. Mi metto a sedere sul letto e fisso il mio dizionario di greco. Oggi la sfida è contro di lui. Lo guardo fisso nelle pagine, scrutandole una ad una, ne sento perfino l'odore. Vado in bagno, mi lavo la faccia, faccio colazione sempre con in mente l'immagine di quel dittatore quale la mia professoressa. Non mi fa paura e nulla mi impedirà di copiare. Mi vesto bene, pronto ad affrontare la bestia. Prendo la cartella, me la butto in spalla, ficco sulla testa la mia berretta, lasciando uscire qualche ciuffo di capelli, tanto per sembrare un po' più figo di quanto non sia, mi carico sulla spalla il dizionario e scendo le scale di corsa. Non sono in ritardo, sono solo carico. Esco di casa e lo sbatto sul sedile del motorino. Rimbalza, ma non mi importa. Mi infilo il casco, salgo in sella e parto. Il tragitto per arrivare a scuola non sarebbe troppo lungo ma, visto che ho tempo, mi permetto di allungarlo un po'. Imbocco un piccolo vialetto e passo davanti alla casa di May. Il motorino non c'è. È già in strada. Non mi stupisco. È sempre il primo ad arrivare a scuola. Nel ritornare indietro mi accorgo però che c'è ancora un casco nel portico. Le opzioni sono due. O gli hanno rubato il motorino o Gio ha trovato il modo di saltare la verifica. May porta a scuola in moto Gio da quando è diventato maggiorenne, ma ogni tanto Gio viene anche per conto suo, specialmente se fa bel tempo. Quindi oggi non è il caso. Anche io porterei Anna, se potessi. Mi rimetto in marcia e passo da Gio. Suono. Tanto i suoi sono già a lavorare. Nessuno risponde. Lo stronzo starà ancora dormendo. Appena lo becco fuori lo faccio nero. Suono di nuovo. La casa è una tomba. Torno indietro parecchio arrabbiato. Volo a scuola, di corsa, nonostante siano solo le 7.35 ma ho bisogno di parlare con May e Anna. Il cielo non è limpido e non ci si avvicina nemmeno. È di un grigio scuro e non sembra intenzionato a far traspirare nemmeno un filo di sole, tuttavia l'ambiente era chiaro.        La pioggia imminente avrebbe potuto rappresentare un problema, ma non per me. Il cancello della scuola era deserto: di solito era pieno di ragazzi e ragazze che chiacchieravano vivacemente, ma oggi rimaneva solo l'ombra di quelle persone e sopravviveva solo qualche anima solitaria che sfogliava un libro. Sgattaiolo dentro, senza farmi notare, con la cartella tenuta su con una sola spalla, continuando a strattonarla per tenerla su, con il dizionario sotto braccio. Sento un tuono. Mi tiro su il cappuccio, nonostante non cada una sola goccia. Salgo la salita che porta al piazzale difronte alla scuola. Cerco May e Anna. Guardo l'entrata ma non vedo nessuno sulla porta. Non mi avvicino neanche, so che non sono li. Ci rifugiamo sotto il portico solo quando piove e oggi non è quel giorno. Poi qui non si può fumare. Nel girarmi verso la palestra, un grande stabile giallo vicino al cancello di servizio, il nostro solito punto d'incontro.
"Eta, dove.cazzo.è.Gio.?" Dice piano May. La sua voce è profonda come quella di uno della sua stazza Anna sta fumando una sigaretta. È visibilmente nervosa.
"May..."
"No, cazzo. Dov'è?" Dice Anna mentre tiene in bocca e accende un'altra sigaretta. Il suo viso pallido rende palese la sua nottata insonne. Il viola delle occhiaie risalta sul suo viso color latte, così delicato da sembrar fatto di carta.
"Non lo so.. speravo lo sapeste voi." Ribatto titubante. Si vede che ne sanno meno di me sulla scomparsa di Gio. Anna si sposta la lunga ciocca bionda che le cadeva sugli occhi, May si appoggia alla ringhiera che delimita il confine della scuola. Chiari segnali che non hanno dormito e che hanno le balle di traverso. "Vi dico quello che so.."
"Sarà meglio" farfuglia May, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Anna che si sta svuotando a vista d'occhio.
"Ne vuoi una?" Mi chiede con un fil di voce.
"No grazie, se mai dopo" rispondo scuotendo la testa e guardano distrattamente la ghiaia sotto di me.
"Allora?" Mi incalza.
"Prima sono passato da te, e ho visto che avevi lasciato un casco a casa. Niente, poi sono passato a casa di Gio. Suono e non risponde nessuno."
"L'hai chiamato?" Mi chiede.
"Francamente no, pensavo l'aveste fatto voi. "
"Io gli avevo mandato un messaggio ieri sera.." risponde May.
"E?"
"E mi ha detto che oggi ci sarebbe stato. Poi sono passato e ho incrociato sua mamma che mi ha detto che non stava bene. Scusatemi, ma non me la bevo." Risponde, guardando la sigaretta. Le sue parole mi hanno fatto uno strano effetto. Un senso di delusione di scorre nella mente. Da Gio una cosa del genere non me la sarei mai aspettata. Insomma, la mente criminale del gruppo è lui.
"Comunque- dice Anna spegnendo la penso quarta sigaretta in dieci minuti- lamentarci del fatto che manca Gio non ci aiuta. Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo."
"Anna ha ragione" commenta May.
"Io ho sempre ragione" risponde lei, acida. Non saprei dire se è l'acidità che fa parte di Anna o Anna che fa parte del l'acidità. May la guarda e alza le spalle. È l'unico tra noi che non ha ancora accettato la sua natura schietta.
"Allora...- ricomincia, voltandosi verso di me- stavolta ci tocca fare anche il lavoro di Gio. Ma questo è il minimo..."
"Ossia?" Chiedo.
"Il problema è che siamo distanti. Senza Gio siamo solo tre e ci manca quello in centro che ci passa i bigliettini. O speriamo in una colossale botta di culo o siamo fottuti."
"Chiaro." Commento- "ma nel caso in cui riuscissimo a metterci vicini?"
Propongo.
"Forse" commenta May facendo un lungo tiro alla sigaretta che sembra infinita.
Quando May esordisce con "Forse" la faccenda diventa seria. Anna storce il naso. Sa che non è un buon piano. I suoi occhi marroni incontrano dolcemente i miei. Non ho mai visto tanta bellezza contenuta in un così piccolo cappotto. Non spreca una parola. Il suo sguardo dice tutto. Non mi fissa a lungo, solo un'occhiata per accertarsi che io abbia compreso l'improbabilità della riuscita di questo piano. Un piano destinato a fallire. Non sono ancora le otto, anche se ormai dovrebbe mancare solo qualche minuto. May si allontana. Rimango solo con Anna.
                "Come stai?" Chiedo
"Bene, ora che sei arrivato." Sorride. Sospiro. Riprendo.
"Com'è andato il fine settimana? È un po' che io e te non facciamo qualcosa insieme..."
"Com'è andato dici? L'ho passato su quel fottuto libro di greco. Te piuttosto?"
"Non hai risposto alla mia domanda" le faccio notare, prendendo la sigaretta che mi era stata offerta prima.
"Quale domanda?"
"Quando facciamo qualcosa insieme, solo noi due dico."
"Eta.. sai che questa settimana siamo molto piena..."
"Lo so- rispondo a testa bassa- e se oggi venissi da me a studiare?"
Ride. "Sai che io e te non studieremo, vero?" "Infatti era più una proposta di venire a passare il pomeriggio da me a mangiare schifezze sotto una coperta guardandoci un bel film. Che ne dici?" Rispondo prendendole le mani.
"Mi piacerebbe molto" risponde guardandosi i piedi. Anna è così. Un po' dolce un po' salata.
Perché le cose devono essere così difficili?
                Suona la campanella. È ora di dare il via al piano. Anna è disposta di fronte a me e a May. Solitamente Gio avrebbe dovuto piazzarsi nella fila centrale e fare da tramite tra me e May e tra noi e Anna. Copiare così era a dir poco semplicissimo. Oggi invece che manca Gio le possibilità di essere sgamati aumentano esponenzialmente. Nessuna chance di sopravvivenza. Che i giochi comincino. La prof passa e consegna i fogli con stampata la versione. Solo a vederla mi sento male. È spaventosamente lunga. Apro il dizionario e inizio a cercare. Mille significati possibili per ogni parola e un solo significato esatto: il margine di errore è inesistente. A circa una mezz'oretta dalla fine del tempo, cominciano i primi segnali. May fa cadere la penna. Anna inizia a far tremare la gamba. Hanno finito la loro parte di versione. Io picchietto le dita sul tavolo. Chiedo ancora cinque minuti per finire la mia parte. Anna e May nel frattempo si portano avanti, scambiandosi il testo in un modo molto ingegnoso. Anna aveva appeso il suo zaino allo schienale della sedia e May aveva trascritto la sua parte in matita su un foglio di protocollo. Bastava inserire il foglio nella cartella di Anna e il gioco era fatto. La storia diventava più difficile quando si trattava di passare il foglio a quello dietro. Se ti volti ti beccano, se parli, anche per chiedere un fazzoletto, vengono a controllare. Qui entra in gioco Anna. Anna usa i post-it. Lei non ha mai passato nulla, nemmeno girata: lei ha sempre fatto leggere ed ecco perché lei è davanti. Scrive a pezzi sua versione su dei post-it per poi incollarseli sulla schiena con dei gesti eleganti che non lasciano trasparire la scaltrezza di questa ragazza. Loro due sarebbero anche sistemati, io no. Qui entra in gioco Gio che mi passa versione di May e passa la mia agli altri. L'unica tecnica nelle mie corde è quella del bigliettino. È sempre stato così, fin dalla prima superiore. Avrei dovuto raffinarmi in quattro anni ma purtroppo non è mai successo. Scrivo nervosamente il pezzo di versione per il quale avevi richiesto più tempo su un piccolo foglietto, quasi certo di aver scritto una baggianata. Passo il tutto, con nonchalance, a May. Vedo i suoi occhi rimbalzare come dentro un flipper tra me, la prof e l'orologio. Il tempo stringe. Scambia il pezzo di carta che aveva in mano con quello che gli stavo passando. Faccio appena in tempo a ritrarre la mano che comincia il disastro. La prof alza di scatto gli occhi scuri e severi che fino a poco prima erano concentrati su un grosso volume. Gli occhiali appoggiati sopra la punta del naso eliminano qualsiasi barriera tra noi e l'inferno. Un passo falso e siamo finiti. Con estrema rapidità, contrapposta alla figura marmorea che qualche secondo prima, la prof si alza, butta il libro sul tavolo e si fionda come un felino in fondo alla classe. Quella donna scruta l'aria quasi per percepire molecole di inchiostro, l'annusa per trovarvi l'odore della paura. Sudo freddo. Trattengo il fiato. Chino il capo e scrivo. Se ti muovi in modo sospetto potrebbe piombarti addosso come un leone farebbe con una gazzella. Dritto al collo. Non mi converrebbe muovermi, tuttavia lancio uno sguardo a Gio. Vedo la sua faccia sconvolta alla vista del mio biglietto. So di aver scritto una cazzata, ma ormai il danno è fatto. Soffoco una risata nel vedere la sua espressione. Mi ricordo della scure che pende su di me. Do un'altra occhiata a Gio, che stavolta mi risponde. Lo vedo: ha la versione giusta. Anna l'aveva già tradotta. Ora si tratta solo di passarmela ma la cosa non sarà semplice. Faccio un cenno per indicare che avevo capito. Mossa fatale. Il falco prende il volo e piomba su di me. Sento il suo fiato caldo sul collo. È ritta, di fianco a me e guarda il mio foglio. Fortunatamente il pezzo mancante è quello finale, così riesco facilmente a camuffare il fatto di aver copiato. Vede da sopra la spalla la parte confusa di versione che non sono riuscito a fare. Sogghigna. Guarda l'orologio e torna a sedersi.
"Pasini- mi richiama. Io alzo la testa- deve sperare in un miracolo."
Io non ho bisogno di un miracolo, penso. Io ho Anna. Il pericolo è scampato. Il passaggio avviene in un battibaleno. Manca forse un minuto alla fine del tempo. Copio come un dannato, come se non ci fosse un domani.
                La campanella suona e io consegno a pelo. Prima che le prove possano essere rintracciate, mi ficco in tasta tutti i biglietti sparsi sul banco. Non importa se siano fazzoletti o ritagli di carta mai usati, tutto finisce in tasca. La professoressa recupera velocemente il pacco di verificare e se esce dalla classe con una rapidità non comune per una donna della sua età. La fisso mentre se ne va. Sollevo il banco e lo attacco vicino a quello di Gio. Io e lui siamo vicini di banco. Appena lo sistemo, vedo già Anna e May venire verso di me. Il loro sguardo è chiaro. La mia versione non aveva senso.
"Lo so." Ammetto colpevole. Mi guardano e May scuote la testa.
"Dovrebbero darti un premio per la fantasia" ride mettendo una mano sulla spalla. Anna sorride e si appoggia al mio banco, vicino a me.
"Comunque ce la siamo cavata anche senza il bidone" commento. Gio sarebbe stato d'aiuto, certo, ma abbiamo visto che riusciamo a cavarcela anche da soli. I miei due soci fanno un segno di approvazione con la testa. Le prime due ore sono passate, dobbiamo sopravvivere alla terza e poi ci sarà ricreazione. Ciccio, la nostra vedetta, è affacciato alla finestra. Scruta l'orizzonte. Nessuna traccia del prof di inglese. Ci rimane ancora qualche minuto per parlare.
"Dite che farà recuperare la versione a Gio o che lo interrogherà?" Chiedo. Anna mi guarda sorpresa, come se si fosse svegliata da un pisolino ad occhi aperti. May guarda il pavimento appoggiandosi al banco dietro e alza le spalle.
"Forse" dice "forse lo interrogherà"
Mi lascio cadere all'indietro, cadendo sul mio banco, vicino a Anna. Le passo dolcemente la mano intorno al fianco. Tanto May sa. Lei poggia la sua testa sulla mia spalla. I suoi lunghi capelli biondi platino cadono sulla mia schiena. Oggi sono raccolti in una semplice ma elegante coda di cavallo. May si limita solo a inarcare le spalle.
"Risolto?" Chiede. Fisso il vuoto e scuoto la testa. Non serve aggiungere altro. Ciccio fa cenno di andare a sedersi. Mi dispiace staccare le mani dai suoi fianchi. La vorrei qui, sempre, vicino a me. Non la lascio andare: la mia mano passa sul suo braccio fino a prendere la sua mano per poi lasciar andare anche quella. Lei si volta e mi regala un sorriso. La osservo destreggiarsi tra i banchi fino ad arrivare al suo. In quel momento entra il prof di inglese con un passo deciso e ci saluta con un allegro gesto della mano. Il tipo qua è sempre di buon umore. Poggia distrattamente la sua valigetta sulla cattedra color verde acqua e si lancia al computer. Guarda gli assenti, firma il registro, apre qualche scheda. Ed ecco che l'unica cosa che non volevo che succedesse accade. Gio fa la sua entrata in classe. Sono basito. Riesco a leggere tutte gli insulti che stanno passando per la testa a May. Mi dispiace solo non poterli sentire ora, perché sarei sicuro che almeno due o tre sono nuovi. Anna ha i nervi a fior di pelle. Lo si capisce dal modo in cui si sposta il ciuffo all'indietro. Lo fa con un colpo deciso e poi si gratta il collo. Vorrebbe tirargli le forbici che tiene in mano dritte in bocca. Io mantengo un minimo di contegno. In fondo è il mio vicino di banco. Non lo posso uccidere, sarebbe troppo vistoso. Mi limito a guardarlo, a fissare quella sua faccia sorridente da bamboccione, cercando di fargliela esplodere col pensiero. Quella sua allegria frivola nell'arrivare al banco, nel sedersi e nel salutarmi con un cenno della testa mi manda fuori di testa.
"Difficile la versione?" Mi sussurra mentre apre lo zaino.
"Fottiti" ringhio.
"Hai ragione"
"Lo so"
"Perché parli come Anna?"
"Perché invece tu ti salvi il culo dalla versione ed entri alla terza ora?"
"Una domanda alla volta, Eta."
Respiro. "Io non parlo come Anna."
"Invece si"
"Cosa ho detto per sembrare lei?"
"Hai detto lo so"
"Ah, quindi se io dico Forse significa che sono May?"
"Si."
La conversione può finire qui per me. E va proprio così. Nonostante Gio sia il mio migliore amico, non posso tollerare il fatto che abbia finto una vista medica per stare a casa e saltare la verifica. Quale infame farebbe ciò? Oggi va così. Oggi ho la luna storta, punto. La lezione passa veloce. La campanella suona. La fine per Gio è vicina. Anna si butta fuori dalla classe e non faccio in tempo ad alzarmi che la vedo già scappare al bar. Deve calmarsi. May, con la sua imponente figura, arriva verso Gio.
"Sei uno stronzo." Dice
"Cosa?" Chiede distratto Gio.
"Sei uno stronzo, uno stronzo, stronzo, stronzo, stronzo."
"Ah."
"E ti dico anche di peggio" Ringhia May, puntandogli il dito sullo sterno.
"Ossia?"
"Sei un cretino."
Mi aspettavo di più da May, ma evidentemente è sconvolto.
"Grazie" dice Gio. Il gelo cala tra noi tre. Siamo una così bella squadra e ci dispiace litigare. Con uno sguardo di intesa, decidiamo di uscire. May e Gio si incamminano e io li seguo a ruota. Andiamo al solito posto, senza nemmeno scambiarci una parola. Anna è già li. Fissa il suo telefono. Lo sblocca e lo blocca, in continuazione. Si sblocca con la mia data di nascita, il 23 luglio. Il mio si sblocca con la sua, il 12 settembre. Non ha una sigaretta in mano. Nel vedere Gio avvicinarsi, mette in tasca il telefono e inizia a mangiare una grossa brioches alla crema che ha comprato al bar. Lo saluta con la mano. È visibilmente arrabbiata ma ha deciso di non darlo a vedere, o almeno pensa lei. Mi avvicino e do un morso alla brioches. Lei mi guarda con un'aria giocosa.
"Oh, T-Rex! Da un morso ancora più grosso, già che ci sei..." e ride. Allora l'abbraccio da dietro e poggio il mento sulla sua spalla, spostando la coda di cavallo, e le morsico il collo. Lei ride e piega la testa all'indietro, cercando di liberarsi. Solo allora, mollo la presa. Le do un bacio dolce nel punto stesso in cui l'avevo morsa. Sento un brivido scenderle lungo la schiena. Vedo May e Gio accendere una sigaretta, ma ora a me non va. Voglio solo stare li con lei.
"Non ora" risponde. Non perché non gradisca, lei adora i baci sul collo. In risposta, allontano semplicemente le mie labbra dal suo collo candido. Mi limito ad appoggiarmi sulla sua spalla.
"Allora per oggi?" Le chiedo gentilmente.
"Per oggi? Dici venire a casa tua?" Mi chiede, spostandosi i lunghi capelli sulla spalla libera.
"Si, facciamo direttamente dopo scuola. Mangi da me. Sono solo a casa, oggi"
"Per me non ci sono problemi, avviso mia zia." Prende il telefono e invia un messaggio. La risposta è quasi immediata e affermativa. Anna e suo fratello Stefano vivono con la zia materna. I loro genitori sono morti quando Anna aveva circa 11 anni e Stefano solo 4. Da allora abitano dalla zia.
"Ragazzi, qualcuno ha studiato latino?" Ricorda May.
Giusto. Mancano ancora due ore di inferno.
                Quarta ora: scienze. La nostra professoressa, la Biganrdi, una donna sulla quarantina, un po' pesante e non l'ascolto. Per la testa ho solo Anna.
"Ma oggi? Cosa avete intenzione di fare tu e Anna...?". Il solito malizioso Gio.
"Niente."
"Niente nel senso che non farete nulla o nel senso che non sono affari miei?" Mi provoca.
"Entrambi" ribatto. "Guarderemo un film, mangeremo schifezze.."
"Un po' di coccole?" Mi incalza, curioso come pochi.
"Ovvio..."
"Ehhhh... la porti in camera tua direttamente?"
"Non quelle coccole, Gio."
"Ma dai.."
"Sai come la penso"
"Si. Però potreste."
Lo guardo perplesso e incuriosito. Voglio capire dove vuole andare a parare.
"Nel senso: vi conoscete dalla prima elementare. A te piace. Tu le piaci. Siete innamorati da paura. State insieme da quasi un anno ormai. Lei è una bella ragazza. Tu sei un bel ragazzo. Ci sta, secondo me." Discorso che non fa una piega. Se non per un unico, mastodontico errore.
"Io e lei non stiamo insieme. "
"Lo so. Ma è come lo foste, no?" Mi fa notare. Non posso mentire perché è così.
"I fiori a San Valentino, I vostri mesiversari, I baci sul collo..."
"Non ho ancora risolto."
"come no?"
"Non ci ho ancora parlato."
"Allora fallo al più presto." Lo guardo colpevole. Lo so, avrei dovuto, avrei voluto parlarci e chiarire il tutto prima. Invece mi riduco sempre a quando è tardi. La campanella interrompe il flusso dei miei pensieri. Perché una cosa così semplice deve essere così complicata? La quinta ora è iniziata da un pezzo, ormai. Decido di fare un giro. Esco e vado in bagno. Mi lavo la faccia.
"Non devi farlo per forza." Riconoscerei quella voce ovunque. Anna era appoggiata allo stipite della porta del bagno dei maschi. La prof perde il conto di quanti escono durante la sua ora quindi abbiamo tutto il tempo del mondo.
"Ma io voglio."
"Allora trova il coraggio e vai." Dice prendendomi le mani. Le sue sono così fredde che vorrei poterle scaldare subito con uno di quelli abbracci in qui ti sciogli, ma mi limito solo a darle un bacio in fronte.
"Anna, io voglio farlo oggi. Quando torna, lo prenderò da parte e gli spiegherò tutto ok?"
"Non mi devi dimostrare nulla."
"Infatti era per dimostrare qualcosa a me"
La abbraccio. Senza alcun motivo, ne avevo essenzialmente bisogno. Guardo il vuoto dietro di lei.
Vorrei baciarla, qui e ora. Le prendo il viso tra le mani. Con un gesto del pollice, sposto la solita ciocca di capelli ribelle dal suo viso. I suoi grandi occhi castani mi ipotizzano.
"Hai degli occhi meravigliosi" mi sveglia dal mio sogno ad occhi aperti nei suoi.
 "Amo l'azzurro mare del tuo occhio sinistro e amo il verde smeraldo del tuo occhio destro."
Io sono nato così, con gli occhi di due colori diversi ma ad Anna piacciono. Le stampo un bacio sulle labbra rosse e screpolate. Un bacio caldo, leggero, dolce. Uno di quelli con le labbra socchiuse. Uno di quelli che si da in questi casi, ad occhi chiusi. Uno di quelli per dire ad una persona che la ami, non per dimostrare una passione. Restiamo li, qualche secondo, con gli occhi chiusi a sentire le labbra dell'altro sfiorare le nostre. Dimentico il mondo, con lei. Alzo le palpebre e incrocio il suo sguardo. Mi fa una carezza. Poggio la mia mano sulla sua. Sospira. Capisco che c'è qualcosa che non va.
"Dimmi." Dico.
"Niente." Risponde liberandosi dalle mie mani e andando verso la finestra. Mette una mano sul vetro, con l'altra si sposta il solito ciuffo dalla fronte.
"Anna, Amore.."
"Eta, non chiamarmi così." È fredda. Le sue parole tagliano l'aria di quel bagno celeste come coltelli. Li sento trapassarmi il petto uno ad uno.
"E come mai? Perché non posso chiamarti Amore?" Rispondo con un tono di sfida. Questa volta il manico l'ho in mano io.
"Lo sai." Risponde seria, girando velocemente verso di me. Sono esattamente dall'altra parte della stanza. Siamo così lontani. Lo spazio tra noi è così irreale.
"Certo. Ma spiegami una cosa- comincio calmo. Senza rendermene conto comincio ad avanzare verso di lei con passo deciso. La mia voce si alza.- Come mai non dici nulla quando ti bacio ma se ti chiamo Amore dobbiamo farne una questione di stato eh? Dammi una spiegazione.- mi trovo ad urlare. Chiudo immediatamente la bocca. Le sono addosso e lei si è appiattita contro la finestra. Guarda i lavandini. Sfugge al mio sguardo. Posso sentire i nostri respiri. Faccio qualche passo indietro, spaventato da me stesso.
"Anna.." la chiamo. Mi risponde alzando lo sguardo verso di me, inespressiva.
"Vorrei che le cose fossero più semplici. Non vorrei essere nella situazione in cui mi trovo. Vorrei poter prendere e andare via. Solo io e te."
Anna non risponde. Sorride. Ho già capito. Lei scapperebbe con me, se potessimo veramente farlo. Si avvicina a me mi strappa un bacio, con serenità, come se il discorso di prima non fosse mai avvenuto, cancellato dalle nostre menti. La paura del momento scomparsa. I muscoli rilassati. Se non fosse stata Anna, lei sarebbe corsa via piangendo. Anna se la mangia la paura. Io non la spavento. Lei si fida troppo di me, sa che non alzerei un dito sul suo esile corpo, che non un singolo capello sarebbe stato tolto, che nessun colpo sarebbe stato tirato sul suo incantevole viso di carta. Si limita a strapparmi quel bacio. Un bacio tutto sommato distratto, ma ricco di amore. Anna sa. Sa tutto, capisce e conosce che situazione sto vivendo. La vive con me, giorno dopo giorno. Anche lei è stressata per tutto questo. Vorrebbe volare via. Lo vorrei anche io, per lei. Non merita questo, che è un problema mio, sono dannati fatti miei ma tutto quello che riguarda me, purtroppo, riguarda lei e noi, ormai. Come ragazza, come amica, come compagna di classe, come colei che amo. È sempre al centro della mia vita e non ho intenzione di farla uscire. Rientriamo in classe prima Anna, e io dopo poco tempo. Sono passati all'incirca due o tre minuti. Tutto nella norma. L'ora di latino vola.
                Finita la scuola, io, May, Anna e Gio ci troviamo al cancello. Discutiamo di cose di poco conto, come alle versioni per compito, valutare se farle o no. Niente fuori dall'ordinario. Confesso la decisione di parlare con i miei, specialmente con mio padre. Ormai è definitiva. Ho trovato il coraggio. Anna mi guarda dolcemente. Gio mi abbraccia. May mi da il bocca in lupo e mi batte il cinque. Sono pronto e carico. Carico la cartella di Anna sul motorino e anche il suo dizionario. Non ho un secondo casco, purtroppo, altrimenti la farei montare in sella e sfrecceremmo a casa mia. Mi limito a spingerlo e a fare la strada con lei a piedi. Non è assolutamente un peso, mi spiace solo vederla camminare.
"Anna- la chiamo- salta su." Le propongo, porgendole il casco.
"Sai che non so guidare" mi ricorda, ridendo e infilandoselo, poi sale in sella.
"Tieniti forte" l'avverto.
Di colpo inizio a spingere il motorino da dietro. Lei sobbalza e lancia un piccolo urlo. Non c'è pericolo, la strada è poco trafficata. Io accelero alla massima potenza. Anna continua a ridere ed è il suono più bello di tutti. Arrivati a casa, metto il motorino al suo posto e porto su le nostre cartelle e i dizionari. Anna riesce a recuperarne uno, nonostante io insista per portare tutto. Apro la porta e butto tutto in terra, come facciamo sempre. Apriamo il frigo, la dispensa, tutti i cassetti e racimoliamo qualsiasi cosa ci possa servire per preparare un pranzo. Buttiamo qualche uovo sul fuoco e alziamo la radio al massimo. Passa Neutron Star Collision dei Muse. Anna prende la pentola e comincia con immensa goffaggine a far saltare le uova che hanno un ottimo aspetto. Queste uova volano nella mia cucina ed è un miracolo che ricadono sempre nella padella; in fondo, un uccello torna sempre al suo nido. Ormai stiamo cantando a squarciagola. Io prendo qualche fetta di mane e la tosto, ci sbatto sopra della salsa, la prima che ho trovato in frigo, e poi qualche fetta di salame. Iniziamo a mettere il tutto nei piatti. Le uova, tra un'acrobazia e l'altra, ormai, sono più che bruciate. Il mio panino è poco invitante. Per migliorare l'aspetto ci metto anche qualche fetta di formaggio.
"Ora si che si ragiona!" Dico soddisfatto.
La mia principessa ride piegando la testa all'indietro. Come primo piatto può andare. Ora pensiamo al secondo. Anna trova delle piadine in fondo al frigo. La data di scadenza è un optional, a casa Pasini. Ci buttiamo su di tutto, dalle patatine al formaggio fuso. Uno schifo, insomma. Tutto ha un gusto diverso con lei. La mettiamo sul fuoco e aspettiamo che si bruci. Intanto pensiamo al dolce. Alla radio ora passa Basket Case dei Green Day. Non puoi fare a meno di ballare con tutta quell'allegria in torno. Cantiamo ancora più forte di prima. Facciamo anche finta di suonare la chitarra. Per il dessert, prendiamo una ciotola di vetro, una terrina, e ci mettiamo tutto il gelato che riusciamo a trovare in frizzar. Ci mettiamo sopra del cacao in polvere e della salsa al cioccolato e, infine, l'immancabile panna montata, il tutto cosparso di caramelline gommose e zuccherini. Un capolavoro mortalmente portatore di diabete. Ci lanciamo sul divano abbracciarti. Accendiamo la televisione. Guardiamo la prima partita di calcio che riusciamo a trovare e  iniziamo a mangiare come degli animali. Ecco perché amo Anna. Perché è sia ila mia migliore amica che la ragazza che amo e vorrei lo sapesse tutto il mondo. Finito di mangiare, buttiamo i piatti nel lavabo e accendiamo la console. Giochiamo a Fifa. Vinco un discreto numero di partire ma Anna non è da meno. Finita l'ultima, lei poggia la testa sulla mia spalla. So che vuole un abbraccio. Mollo tutto e la prendo tra le mie braccia. Sono già le 18. L'orologio corre, ma noi siamo più veloci. La faccio sdraiare su di me. Non pesa più di una piuma. Inizio a stringerla delicatamente, non vorrei mai si rompesse. Iniziamo a baciarci, ma di quei baci seri, quelli che te ne fanno chiedere altri. Rotoliamo di qua e di là fino a cadere giù dal divano. Non importa, non ci siamo fatti male.
                Andiamo avanti imperterriti fino a quando non sento un rumore. Non proviene da dentro casa. Scatto in piedi come un suricato. Anna ci rimane un po' male, devo dire. È una macchina che parcheggia. Mi butto alla finestra. È mio padre. In meno di un nanosecondo, Anna si alza e spegne il televisore. Io raccatto tutte le cartacce sparse in giro e la butto nel cestino di camera mia, per eliminare le prove. Anna intanto ha tirato fuori i libri e i quaderni di latino ad una pagina a caso e ha preso in mano una penna. Mi lancio sul tavolo, mi siedo. L'immagine idilliaca che vede mio padre appena entrato è quella di due ragazzi che studiano. Lo saluto con un sorriso.
"Ciao pa, come mai in anticipo oggi?"
"Eh sai- risponde togliendosi il cappotto- Giorgia voleva vederti."
 In quel momento vedo entrare il signor Mazilli, il datore di lavoro di mio padre, e Giorgia, sua figlia. L'incubo.
Lo sguardo di Anna è chiaro. 'Cosa ci fa lei qui oggi adesso ora perché' leggo.
Chiudo gli occhi. Spero sia tutto un brutto sogno, ma non è mai stato così reale.
Sento la voce stridula di quella viziata trapanarmi il timpano. Mi da un bacio passionale difronte a mio padre, a suo padre e ad Anna. Mi sento morire. Finita la tortura abbasso la testa. Anna si sforza di sorridere. È bella anche quando finge.
"Ehi ciao piccola. Non dovresti studiare oggi?" Chiedo a Giorgia con un finto entusiasmo. I nostri genitori si spostano in cucina con la scusa di un caffè.
"No, avevo voglia di stare col mio ragazzo." Mi risponde, strusciandosi su di me. Mi irrigidisco. 'Anche Anna' penso.
"Che bello, mi mancava stare con te." Commento distrattamente, alzando gli occhi verso Anna, visibilmente imbarazzata.
"Scusatemi, devi andare un attimo al bagno." Dice Anna.
So perché va via. Vorrebbe strapparle tutti i capelli e lanciare addosso il dizionario ma Giorgia è il mio problema.
"Allora Ettore, chi è la troia li?" Mi chiede disgustata guardando Anna andarsene. Non so se abbia sentito o meno, ma io mi sono sentito morire.
"È Anna, la mia migliore amica."
"Ah. Pensavo di essere io..." ribatte facendo la finta offesa.
Patetica.
"No Giorgia, tu sei la mia ragazza." Spiego, restando al gioco il minimo indispensabile.
"Lo so " dice stampandomi un grosso bacio sulla guancia, sporcandomi col rossetto, quasi per marchiarmi a vita.
Doppiamente patetica.
I suoi capelli biondi tinti in modo atroce continuano a finirmi in bocca. Passo all'incirca venti minuti sentendo le mie gambe andare in cancrena per l'eccessivo peso mal distribuito del corpo di Giorgia che continua imperterrita a giocare col suo telefono. Anna rientra in salotto. Giorgia la guarda con aria di sfida.
"È meglio che vada..." dice a voce bassa, raccogliendo le sue cose sparse.
"No dai, perché non rimani a cena?" Riesco a bloccarla prima che esca dalla porta.
"Non saprei.. dovrei già essere a casa ora." Ribatte, imbarazzata. Lei rimarrebbe tutta la vita.
"Ecco, allora vattene." Il segnale di Giorgia è chiaro.
Io sono il suo territorio. Sono il suo schiavo. Secondo lei, sono il suo ragazzo. Impotente, la lascio uscire. La posso solo salutare con un gesto della mano. Vorrei perlomeno abbracciarla, ma mi è impossibile. Rimango a subire in silenzio fino a dopo cena Giorgia e suo padre. Non so chi mi stia più in culo. Mamma era rientrato poco dopo che Anna era uscita. La cena peggiore della mia vita. Una così bella giornata rovinata.
                "Pa." Dico. La famiglia Mazilli aveva levato le tende da poco più di dieci minuti e io mi sentivo pronto ad affrontare mio padre.
"Dimmi Ettore"
Sono deciso. "Io odio Giorgia."
 Sento il volume della televisione spegnersi di colpo e l'acqua del lavabo smette di scorrere.
"Amo un'altra. Voglio mollare Giorgia per stare con lei."
La reazione di mio papà tarda ad arrivare. Non so se per lo shock o per qualcos'altro. In casa sento la temperatura calare di colpo. Il mio sudore farsi freddo e i miei muscoli irrigidirsi. Deglutisco a fatica. Voglio dare il colpo di grazia.
"La ragazza che amo è Anna."
Come sente il suo nome, mio padre si alza e mi butta contro il muro, ma non mi faccio male.
"Stammi a sentire: tu non mollerai Giorgia per stare con Anna."
"Perché no?- ribatto- io sono innamorato di lei dalla prima superiore. Giorgia è una ragazza odiosa, insensibile, strafottente, maleducata e tutte le cose peggiori di questo mondo, e tu lo sai. Hai visto come si comporta? Pensa di essere al centro del mondo, mi schiavizza, mi fa fare i suoi compiti! Capisci?! Me li manda su WhatsApp alle 10.30 di sera e io devo stare li come un deficiente a farli. E se questo non ti sembra abbastanza, perché, in effetti, questa è la cosa migliore che mi succede, ti faccio presente il fatto che lei si struscia continuamente su di me in un modo a dir poco imbarazzate: è come vedere un pachiderma ballare la salsa!- sento mia madre sogghignare- Non c'è una singola cosa che mi piace di lei e ho seriamente e ripeto seriamente paura che Giorgia mi violenti nel cuore della notte. Detto questo, penso di aver detto il minimo indispensabile."
"Hai ragione su tutto, ma non la lascerai. Io ho ancora bisogno del tuo aiuto."
"Per cosa? Per farti invitare a cena dal presidente? Pa, le cose ormai si sono sistemate, tu non rischi più di perdere il posto, hai avuto la tua promozione e sei il braccio destro del boss. Basta no? Una rottura tra me e quell'animale viziato di sua figlia non cambierà gli equilibri. E poi, non puoi costringermi a stare con Giorgia."
"E invece posso. Lo sto facendo. E continuerò a farlo finché Giorgia non troverà qualcun'altro da tormentare."
"Quindi lo pensi anche tu?" Ribatto. La sfida tra me e mio padre è più accesa che mai.
"Senti, non mi importa cosa vuoi e cosa non vuoi. Devi sacrificarti per la tua famiglia, come faccio io e come fa tua mamma. Se non fosse per te e per la tua storia con Giorgia, ora saremmo sul lastrico: quindi ora continua a tenere in piedi questa pagliacciata. Sono stato chiaro?"
Mio padre mi sta sbraitando contro.
"Perché non posso stare con la ragazza che amo?" Sussurro.
Sento la mano pesante di mio padre colpirmi la guancia con uno schiaffo. Fisso il pavimento. Di sicuro mia madre ora si starà tappando la bocca con la mano. Mio padre è li, fermo, vincitore.
                "Scusami, ma le cose stanno così."
Dico con tutta la voce che mi è rimasta. Scivolo in camera. Sbatto la porta: è bene che sentano. Come mi ritrovo dentro, crollo. Mi lascio scivolare per terra. Il bianco opprimente dei camera mia mi sta dando alla testa. Rimango seduto per non so quanto, poi decido di alzarmi. Gironzolo per camera mia, come fosse la prima volta, come fossi alla stazione dei treni, ad aspettare qualcuno o qualcosa, forse proprio il treno per andarmene da qui. Prendere Anna e andare via per sempre. Guardo qualche soprammobile del quale non mi ero mai accorto dell'esistenza, prendo in mano alcune cornici decorate nei più svariati modi, una con le conchiglie, una con dei ritagli di carta. Contengono foto mie, da piccolo, con mia sorella Costanza, con la mia famiglia, con i miei amici e una perfino con Anna. Era la nostra prima foto insieme. Tengo tra le mani quella cornice piena di brillantini colorati e stelline argentate, dipinta di blu. È ruvida al tatto. Dentro ci siamo io e Anna al mio sesto compleanno. Anna aveva i capelli lunghi di sempre, stavolta raccolti in due codini e una simpatica frangetta. Gli occhi bellissimi di sempre. La solita incantevole pelle di carta. Le sue guance erano rosse come due mele, come il sole che vedo tramontare ora fuori dalla mia finestra. Io avevo i miei soliti capelli neri corti corti e i miei occhi, che sembravano molto più grandi e vivaci una volta che non adesso. Nella foto sorrido e mi mancava qualche dente. Era estate. Mi sembra di ricordare la gentile brezza che tirava quel giorno. Mi rivedo correre per il prato davanti a casa mia. Non esisteva niente, non esistevano le sigarette, il cellulare, l'amore, i baci, non esistevo io, non esisteva Anna e tanto meno Giorgia. Anzi, c'era tutto, ma non mi toccava. Eravamo una quindicina di bambini tutti in costume da bagno: cercavamo di farci bagnare dall'irrigatore che stava in giardino. Osservo quei bambini finiti chissà dove dalla finestra. Il cielo è azzurro, il sole ancora alto. Riconosco alcune facce e mi stupisco di chi rivedo. Ragazzi e ragazze con i quali ho ormai perso i contatti da anni, che mi hanno voltato le spalle, che ora come ora odio, tutti li, nel mio giardino. Li guardo con nostalgia di quell'innocenza, prima di imparare a fare del male. Vedo Anna: indossa un costumino rosa, a due pezzi, con disegnate delle margherite bianche. Corre scalza, felice, ancora all'oscuro di quello che sarebbe stato il suo futuro. Vedo i suoi genitori in lontananza. Chiacchierano con i miei, ancora pieni di vita. Ed eccomi la, in fondo, nascosto dietro il tavolo a sgraffignare pezzi di torta avanzati. Ero incorreggibile, come oggi del resto. Avevo un costume rosso che mi arrivava al ginocchio. Penso di averlo ancora, da qualche parte. Sbuco fuori all'improvviso da dietro un cespuglio e spavento Anna, che inizia a scappare spaventata, ma capisco che stavamo solo giocando. Corriamo in cerchio, dimenticandoci di tutto e di tutti, solo noi, come ora. Finalmente riesco a prenderla: la catturo e la stringo forte in vita, per non farla andare via. Appena la rimetto coi piedi per terra, compare sua madre, con una macchina fotografica in mano. Le somiglia molto. Anna mi butta le braccia intorno al collo, mette la sua guancia contro la mia e scattiamo la foto. La foto che ho tra le mani. Penso che tutto sia partito da li. Precisamente dall'istante dopo. Subito dopo, infatti, Anna mi stampa un bacio sulla guancia. Un bacio da bambini, ovvio, ma in me qualcosa è cambiato. Come in un eterno flashback, rivedo tutto il tempo passato con Anna. La settimana al mare in seconda elementare, il funerale dei suoi, i pigiama party, quella volta che siamo scappati in un campo di grano muniti solo di una chitarra, quando ci siamo arrampicati sul tetto, la nostra prima sigaretta, il nostro primo bacio. Tutto passa come un fulmine. Vedo un piccolo Ettore salutarmi dalla finestra e torno alla realtà. Guardo la foto che tengo tra le mani. Il mio volto è bagnato da una lacrima, la mia. Mi ricompongo prima di subito. Devo uscire, andare via, scappare. Sono solo le 20.00. Potrei uscire. Prendo la giacca e qualche soldo. Apro la porta di camera ed esco. Non so se si vede che ho pianto, ma meglio che vedano.
"Ma, Pa, io esco."
"A che ora torni?" Mi chiede mia madre. È seduta al tavolo, da sola. Mio padre sarà sicuramente nello studio.
"Non se neanche se torno. In caso sono da Gio." Se la beve.
Salto sul motorino e parto. Ho già una meta. ___________________________________________________ ___________________________________________________ Ehi ciao! Ti prego, lasciami un piccolo commento! mi interessa moltissimo sapere cosa ne pensate dei miei lavori! grazie mille!!
   
 
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