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Autore: ZKaoru69    20/10/2014    2 recensioni
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Turno VI: Finnick Odair incontra un ibrido...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Superare il limite



Finnick si svegliò per la luce che filtrava dalle tende di pizzo della stanza di Juno Waterhouse. Fece una smorfia di dolore e si passò la mano sulla faccia, rimpiangendo di aver assaggiato quel liquore ambrato la sera prima. Adesso aveva un mal di testa atroce, oltre che lo stomaco vuoto.

«Ben svegliato, Finnick».

La donna con cui aveva trascorso la notte passata era appena entrata con un vassoio ricolmo di cibo.

«Buongiorno, Juno». Si alzò e le tolse il vassoio dalle mani, dandole un bacio sulle labbra. «Pensavo che questo spettasse a me».

«Sciocchezze» replicò lei. I due amanti si sedettero sul letto a baldacchino e cominciarono a mangiare qualcosa. «Dormivi così placidamente che non ho osato svegliarti. Sarei restata tutto il giorno a guardarti».

Finnick sorrise, versandosi un bicchiere di succo di frutta. Il suo cerchio alla testa non accennava a diminuire, e certamente il continuo blaterare di Juno non aiutava. Continuò a mangiare senza prestare attenzione a ciò che la sua ospite diceva, finché non si accorse che lei lo stava guardando, in attesa.

«Certo, tesoro...» disse cautamente.

«E allora perché non ti fai togliere quella cicatrice?» continuò Juno, indicandogli l'addome.

«Ah, questa...» Finnick si passò la mano sulla sottile riga bianca. «È un ricordo. Prima comunque era peggio». Non sapeva ancora bene come era riuscito a contenere l'entusiasmo di Acus nel trovargli un difetto a cui poteva rimediare. Prima dell'intervento dello stilista, aveva tutto il torso e la schiena attraversate da piccole cicatrici. Di tutto quello era rimasto solo quel segno, lungo meno di dieci centimetri, invisibile alla maggior parte delle persone.

«Non deve essere un ricordo piacevole. Non capisco proprio perché tu non voglia togliertela, rovina il tuo corpo perfetto». Juno aveva aggrottato la fronte.

Finnick le avrebbe volentieri fatto vedere delle cicatrici vere, quelle che i pescatori del Distretto 4 si procuravano combattendo con i pesci più grossi e che deturpavano davvero i loro corpi, ma lasciò perdere. Invece addentò una fetta di pane bianco imburrato.


Finnick non era mai stato un bambino particolarmente rispettoso delle regole. Gli piaceva fare scherzi e mettersi nei guai, ma soprattutto provava fascino per quello che era vietato fare. A una cosa però era molto attento: non sopportava che la gente soffrisse, perciò si preoccupava sempre che le sue azioni avessero solo conseguenze innocue.

Per questa ragione, molti dei giochi che lo Spirito Tadma gli proponeva incontravano il suo netto rifiuto.

Queste regole che si era autoimposto, però, non valevano nei propri confronti.

Una delle prime serate dell'estate dei suoi otto anni, Finnick stava passeggiando con Tadma per il Distretto 4, giocando ad appendere un filo rosso ai cornicioni di tutte le case. Lo Spirito rosa gli aveva spiegato che secondo una superstizione gli Spiriti che facevano visita a una casa lasciavano dietro di sé un nastro cremisi. Finnick si divertiva già a immaginare lo sconcerto degli abitanti del Distretto la mattina successiva.

Ad un certo punto, svoltando di vicolo in vicolo, arrivarono alla siepe di ginepro rosso che delimitava il confine.

Finnick si voltò per tornare a casa, dato che avevano finito il loro giro, ma Tadma lo richiamò indietro.

«Sei mai stato dall'altra parte?»

«No, ovviamente» rispose subito Finnick. «È vietato oltrepassare il ginepraio. E poi non ci sono nemmeno passaggi!»

«Su questo ti sbagli». Tadma sorrise bieco e gli fece segno con la mano di seguirlo. Qualche passo più in là c'era un piccolo buco nella siepe, non grande a sufficienza per un uomo, ma sufficiente per far passare un bambino magrolino come Finnick.

«Sai cosa c'è dall'altra parte?»

Il bambino scosse la testa, rapito dalla possibilità di andare a vedere.

«Hai mai visto le montagne? O un lago?»

Finnick li aveva studiati la mattina a scuola, ovviamente, e li aveva visti alla televisione, ma non li aveva mai guardati con i suoi occhi.

«Però... Hai ragione, è meglio di no». L'espressione di Tadma si fece triste. «Io posso andare e venire perché sono uno Spirito, ma tu ti faresti troppo male attraversando la siepe. Certo, se tu fossi uno Spirito come me, sarebbe un altro discorso...»

«Fa male?» Finnick si avvicinò al buco stretto e osservò attentamente le spine che crescevano dai rami. Certo, non sarebbe stato come rotolarsi sulla sabbia, ma non doveva certo essere un dolore insopportabile. «Io sono forte. Ce la posso fare».

Tadma si avvicinò, allarmato. «Finnick, per passare devi diventare uno Spirito! Posso trasformarti io, se vuoi... e non dovrai più sottostare a nessun limite».

Finnick fece un sorriso disarmante. «Io non ho limiti» disse, per poi infilarsi nel passaggio.

Strisciò un po' in avanti, mentre le imprecazioni di Tadma lo raggiungevano da dietro. Era un po' doloroso, ma aveva già patito di peggio.

Poi qualcosa si mosse.

Finnick non era sicuro di quello che aveva davvero sentito, quindi smise di proseguire. Un dolore lancinante lo colse alla gamba destra, mentre un rovo si avvinghiava attorno al suo polpaccio; subito dopo vennero dei colpi di frusta sulla pancia e sulla schiena. Il bambino cominciò ad agitarsi, cercando di divincolarsi dalla morsa, ma più si muoveva e più veniva intrappolato. Gli aghi che si erano conficcati nella sua pelle morbida sembravano non volersi più staccare.

Finnick si mise a singhiozzare, per il dolore e per la paura. Voleva non essere mai uscito di casa con Tadma. Voleva non essersi mai infilato in quella trappola. Voleva che la mamma lo stringesse forte. Sentiva la vista annebbiarsi e la testa ovattata, come in un brutto sogno. Forse, se chiudeva gli occhi sarebbe tutto finito. Forse non avrebbe più sentito male. Forse era davvero un incubo, e sarebbe potuto correre dalla mamma che lo avrebbe abbracciato forte e gli avrebbe preparato un bicchiere di latte caldo col miele.

Ma prima che Finnick potesse chiudere gli occhi, il ginepro rosso lo lanciò fuori, e il bambino rotolò per terra, per poi riprendere fiato. Aveva gli abiti a brandelli e sanguinava copiosamente dappertutto. Nonostante la vista annebbiata, distinse una fievole luce rosa che gli si avvicinava.

«Finnick, sei un incosciente!» La voce di Tadma, che tintinnava di campanelli, gli giungeva come una eco lontana, e dovette fare uno sforzo considerevole per capire cosa stesse dicendo. «Quella non era una semplice siepe di ginepro rosso. Era un ibrido!» Lo Spirito gli stava applicando sulle ferite delle foglie rossicce.

O forse è il rosso del mio sangue che le macchia?

«Possibile che tu non lo sapessi?» Tadma continuava a parlare, senza preoccuparsi che Finnick seguisse il filo dei suoi pensieri. «Ti avrebbe risputato fuori solo quando saresti stato un mucchietto di ossa, sai? E forse nemmeno allora! Per fortuna che c'ero io con la mia magia, altrimenti saresti stato spacciato!» Tadma gli diede un piccolo buffetto sulla guancia. «Il sole sta sorgendo, devo andare. Tu fatti degli impacchi con le foglie di acacia, va bene?»

Finnick annuì, senza aver compreso bene quello che era accaduto, e tornò zoppicando a casa.


Finnick sbarrò gli occhi. Aveva fatto di nuovo quel sogno, per l'ennesima volta. L'ibrido che confinava gli abitanti del Distretto 4 sulla costa era un suo incubo ricorrente; del resto, era stata la prima volta che aveva seriamente messo a repentaglio la sua vita... e anche il momento più doloroso di tutti. La sua mano destra vagò sulla sua pancia automaticamente, per sentire la familiare sensazione della cicatrice sotto i polpastrelli. Era stata anche la prima volta in cui si era scontrato con i suoi limiti. Da quella notte, Finnick aveva capito di non essere onnipotente e immortale. Acus e il suo team avevano fatto un ottimo lavoro nel togliergli le cicatrici per presentarlo al meglio durante gli Hunger Games, ma era contento di aver rimasto quel piccolo segno, quasi invisibile, ma che lui sapeva esserci. In quei dieci anni durante i quali Capitol City aveva fatto di tutto per fargliela dimenticare, Finnick aveva avuto un promemoria costante della sua umanità.

Si stiracchiò nel letto spartano, urtando involontariamente la donna che gli dormiva a fianco. Dalle sue labbra si levò un gemito di protesta, ma non si svegliò. Finnick si chinò su di lei, baciandola sulla testa. Non riusciva a capire come i suoi capelli potessero profumare di sole anche in quel luogo così cupo. Sorrise, quando finalmente sua moglie aprì lentamente gli occhi.

«Buongiorno, amore» le sussurrò, baciandola lievemente sulle labbra.

«'Giorno, tesoro».

Annie appoggiò la testa sulla sua spalla e intrecciò la propria mano con la sua, sull'addome. Il suo pollice delicato incontrò la leggera protuberanza della cicatrice. Incuriosita, guardò meglio.

«Hai una cicatrice? Non lo sapevo» disse un po' contrariata.

«Ti dispiace che ce l'abbia?» Finnick le prese una ciocca di capelli e la rigirò attorno al dito.

Annie restò qualche attimo in silenzio a riflettere, poi decise. «No. È bello sapere che neanche tu sei poi così perfetto». Finnick sorrise. Avere Annie al proprio fianco, invece, era meraviglioso. «Come te la sei fatta?»

«È stato durante una lezione. Ho imparato molto quella volta».

Annie non sembrò volere indagare oltre. «Se è così, allora devi proprio tenerla. Le lezioni importanti devono essere ricordate bene» gli rispose convinta.

Finnick controllò l'orario. Avevano ancora un po' di tempo per loro prima che cominciasse la vita scandita del Distretto 13. Non era tantissimo, ma del resto a lui non sarebbe sembrata abbastanza una giornata intera da passare con sua moglie.

La prese per un braccio, portandola dolcemente sopra di sé.

«Lo sai che ti amo come nessun'altra, vero?» le chiese prima di baciarla.

Superare i limiti era rischioso, ma per lei avrebbe affrontato tutti gli ibridi che gli fossero capitati davanti.

   
 
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