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Autore: violaserena    21/10/2014    1 recensioni
La vita di quattro ragazzi sta per cambiare radicalmente. Improvvisamente verranno catapultati in un mondo diverso dal loro, un mondo che credevano esistesse solo nei libri o nei film. Un'oscura e terribile minaccia incombe in quel luogo. Riusciranno a sventarla prima che sia troppo tardi? Ma, soprattutto, riusciranno a tornare a casa?
Tratto dal capitolo 2: "...qualcosa di oscuro, nell’ombra, si sta muovendo. Molti uomini, elfi, nani… sono improvvisamente scomparsi. Le Terre dell’Est si stanno inaridendo, gli alberi appassiscono, la gente muore per mancanza di cibo. L’oscurità avanza velocemente e, temo, che presto arriverà anche qui".
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5

 

All’alba del ventesimo giorno di viaggio giunsero finalmente in una città, Selvapiana. Fino a quel momento non avevano incontrato nessuna particolare difficoltà o qualche nemico pronto ad attaccarli.
La città era circondata da un alto muro e, intorno ad esso, era stato fatto passare del filo spinato. Dalle feritoie potevano notarsi, disposte una accanto all’altra, una serie di balestre. Probabilmente tutte queste difese erano state prese per cercare di contrastare un possibile attacco del Sovrano delle Tenebre.
Alessandro andò a parlare con la sentinella e, dopo poco, il portone che conduceva all’interno di Selvapiana fu aperto.
I quattro giovani rimasero stupiti dalla bellezza della città e dalla sua architettura. Ogni casa era costruita all’interno del tronco di un albero per poi allargarsi verso l’esterno. Davanti ad ogni abitazione vi era o un’aiuola o un orto. Si poteva percepire, nell’aria, il profumo dei fiori e in generale della natura. Non sembrava di trovarsi in una città, o per lo meno non in una di quelle che Giovanni ed i suoi amici erano abituati a vedere.
Nella piazza centrale vi era una grande e vecchia quercia da cui pendevano, stranamente, delle liane.
I giovani avrebbero voluto fare una serie di domande ai loro compagni, ma non ne ebbero la possibilità. Difatti Brandir consigliò loro di evitarle e di non manifestare la propria meraviglia in quanto gli abitanti avrebbero subito compreso che essi non appartenevano alla Terra dell’Infinito. E se la notizia fosse giunta ad Enoren sarebbe stato un grande problema. Per quanto possibile, la loro identità doveva rimanere segreta.
Selvapiana era una importante città commerciale: era famosa per la sua produzione di legname – ricavato dalla foresta che sorgeva dietro la città stessa - per la sua frutta e verdura e per i suoi fiori. Vi arrivavano mercanti provenienti da tutta la Terra dell’Infinito, anche dalla Terra dell’Est. Pertanto non era raro incontrare anche elfi oscuri, streghe di Valle Aguzza, pirati del Sud e così via.
I quattro ragazzi passarono la giornata alla locanda insieme a Bossolo, mentre gli altri loro compagni girarono per la città per fare rifornimento di cibo.
Giunta la sera chiesero a Brandir il permesso di andare ad assistere ad uno spettacolo teatrale, di cui avevano sentito parlare durante tutta la cena. L’elfo acconsentì a patto che, una volta finito lo spettacolo, fossero subito ritornati alla locanda.
Asdrubaleo e Coco andarono con loro, curiosi di vedere la tanto decantata piece.
La piazza centrale era gremita di gente, pertanto essi dovettero rimanere in fondo.
Dopo qualche minuto di attesa, sul palco, avvolto da un lungo mantello rosso, comparve un uomo.
Come i giovani intuirono, egli impersonava Caio il Grande. A dispetto di quanto pensavano, non fu rappresentata la sua vittoria sul Sovrano delle Tenebre, ma qualcosa che li lasciò di stucco.
Caio parlava a quattro ragazzi di un’antica profezia: quattro persone provenienti dal pianeta Terra sarebbero giunte nella Terra dell’Infinito, precisamente nel villaggio di Lucedorata, il giorno della festa in onore di colui che sconfisse Enoren. Essi avrebbero ricevuto il simbolo dell’Armata Azzurra e sarebbero partiti alla ricerca del pugnale, con il quale avrebbero definitivamente sconfitto il Sovrano delle Tenebre. Tuttavia, ciò sarebbe avvenuto non senza perdite. La guerra, infatti, avrebbe seminato morte e distruzione da entrambe le parti e solo uno dei quattro giovani sarebbe sopravvissuto.
Giovanni ed i suoi amici si guardarono l’un l’altro comprendendo come quella profezia parlasse di loro, ma anche come fosse profondamente diversa rispetto a quello che era successo a loro fino a quel momento.
Ad un certo punto notarono una luce provenire dalla grande quercia e, visto che tutti erano impegnati a guardare lo spettacolo e che Asdrubaleo e Coco erano scomparsi tra la folla, decisero di avvicinarsi.
Con loro sorpresa videro tanti piccoli esserini luminosi volare intorno all’albero e divertirsi a muovere le liane. Questi si fermarono di colpo ad osservarli e poi uno di loro si fece avanti.
«Che cosa siete?» chiese Sonia dimentica di ciò che aveva detto Brandir sul non fare domande.
«Siamo le fate della foresta di Selvapiana. Il mio nome è Lucia».
«Piacere, noi siamo…» tentò di dire Federico.
«So perfettamente chi siete: i giovani che salveranno il nostro mondo dalla malvagità del Sovrano delle Tenebre».
«Io non direi proprio così…» affermò Giovanni.
«Eppure è così. Ciò afferma la profezia».
«Ma la vostra profezia è sbagliata. Noi non siamo giunti a Lucedorata e non abbiamo nemmeno ricevuto il simbolo dell’Armata Azzurra! Ci siamo trovati in una foresta in cui erano riunite varie razze che ci hanno condotto da Gregorio il Giusto, il quale ci ha spiegato la situazione e ci ha ordinato di trovare il pugnale di Caio il Grande» disse Giulio.
Le fate rimasero in silenzio.
«Non ce l’ha proprio ordinato…» bisbigliò Federico.
«A no? Il se volete tornare a casa vostra recuperate il pugnale, mi sembra molto un ordine!».
Ancora silenzio da parte degli esserini luminosi.
«Perché non parlate più?» domandò Sonia.
«Li ha sconvolti il fatto che quel cosiddetto Grande Mago sia un…».
«Smettila Giulio!» lo rimproverò la ragazza.
Lucia riprese la parola: «Qualcosa o meglio qualcuno ha alterato il corso delle cose. Il nemico è vicino, più di quanto immaginiate. Ciò che sembra, non è. Non dimenticatelo. Prestate attenzione e guardate al di là delle persone. Prestate attenzione».
«Ehi, finalmente vi abbiamo trovati!» eslamò Brandir, accompagnato dallo gnomo e dal folletto.
Una sensazione di terrore invase i quattro ragazzi.
«Ad un certo punto siamo stati risucchiati dalla folla e non vi abbiamo più visto. Ci avete fatto preoccupare!» affermò Coco.
L’elfo osservò i giovani, notando il loro strano sguardo. «Avanti, torniamo alla locanda. Domani dobbiamo riprendere il viaggio e dobbiamo essere ben riposati».
I quattro ragazzi, svanita la sensazione di paura che avevano provato poco prima, seguirono i loro compagni. Contemporaneamente si voltarono a guardare la grande quercia, ma delle fate non vi era più neanche l’ombra.
Si incamminarono verso la locanda, riflettendo su quanto aveva detto Lucia e su tutto quello che era avvenuto fino a quel momento.
I giovani non riuscirono a chiudere occhio per tutta la notte. Pensarono allo strano spettacolo a cui avevano assistito, alla profezia e alle parole della fata. Avrebbero voluto chiedere ulteriori spiegazioni, ma sapevano di non poterlo fare: all’alba sarebbero partiti e, probabilmente, non avrebbero mai più rivisto Selvapiana.
Sorte le prime luci del mattino, nonostante la stanchezza, si misero in viaggio come stabilito. Lasciarono l’affascinante città e si diressero verso la foresta di Selvapiana.
Secondo i calcoli di Brandir, se non si fossero verificati incidenti, avrebbero impiegato pressoché due giorni prima di poterla definitivamente oltrepassare. Fu a quel punto che a Federico venne in mente che la foresta era abitata dalle strane creature che avevano incontrato la sera precedente: forse, con un po’ di fortuna, sarebbero riusciti a trovarle e ad ottenere maggiori spiegazioni.
Asdrubaleo, solitamente sempre allegro e loquace, era silenzioso e teso.
Non sopportando più il silenzio che era calato Sonia chiese che cosa turbasse il folletto. Quest’ultimo non rispose, facendo infuriare ancora di più la ragazza.
Ad un cero punto prese la parola Coco, affermando che la foresta di Selvapiana era stata abitata, anticamente, dalle fate e dai folletti. Essi vivevano in armonia, ma un giorno, per un futile motivo, sorse una contesa tra le due razze che si concluse con la morte del re delle fate e l’espulsione dei folletti dalla foresta Bianca, nota anche col nome di foresta di Selvapiana. Da quel momento in poi i folletti non avrebbero più dovuto mettervi piede: coloro che avessero trasgredito tale divieto sarebbero stati severamente puniti. Ovviamente i piccoli orecchie appuntite rifiutarono tale decisione e tentarono di tornare. Ciò scatenò due guerre che si conclusero a favore delle fate.
«Quindi è per questo che hai paura! Temi che delle fate ti possano assalire» esclamò Sonia.
«Io non ho paura! Sto solo attento a quello che succede intorno a noi, cosa che dovresti fare anche tu».
«Stai forse insinuando che ho la testa campata per aria?».
«Io non insinuo niente. Ne sono assolutamente sicuro, così mi suggerisce la mia arguta mente».
«Sai di che cosa sono sicura io? Che le fate ti troveranno e ti faranno qualche bello scherzetto».
Asdrubaleo impallidì, provocando la risata della ragazza. Quest’ultima, notando gli sguardi seri dei suoi compagni rivolti dietro le sue spalle, si girò e vide un manipolo di fate. Queste erano vestite con gli abiti da guerra ed impugnavano una lancia nella mano destra. Esse guardavano in maniera ostile il folletto che si era rifugiato dietro le gambe di Brandir.
Quello che, presumibilmente, era il capo guerriero delle fate si fece avanti e disse: «I folletti non sono ammessi nella nostra terra. Deve tornare indietro e voi con lui».
L’elfo si fece avanti a sua volta, facendo inciampare Asdrubaleo, sempre nascosto dietro la sua gamba, e rispose: «So cos’è accaduto in passato e comprendo il vostro odio verso la sua razza. Ma, posso assicurarvi che egli e nemmeno noi abbiamo cattive intenzioni. Vogliamo solo oltrepassare la foresta».
«Quello che volete è irrilevante. La nostra legge vieta l’entrata ai piccoli orecchie appuntite, quindi non siete autorizzati a proseguire».
«Comprendo il vostro scrupolo a voler seguire attentamente la legge. Ma questa è la via più breve per il raggiungimento della nostra meta, non possiamo che passare di qua».
«E invece di qua non passerete. Non insistere ulteriormente elfo, o te ne pentirai. Per di più, quelli della tua razza, non sono graditi nella nostra foresta».
I quattro ragazzi notarono l’espressione cupa di Brandir ed il formarsi di piccole strisce nere sotto i sui occhi, occhi che avevano assunto una colorazione scura per poi ritornare, un attimo dopo, esattamente come prima.
«Voglio farvi una proposta» affermò risoluto Giulio. «Siete liberi di accettarla o meno. Se la rifiuterete vi prometto che ci allontaneremo da questo luogo».
L’elfo ed il nano stavano per obiettare, ma Giovanni fece loro cenno di lasciar fare all’amico.
«Bene, sentiamo ragazzo».
«Voi odiate i folletti e la vostra legge stabilisce che essi non mettano piede nella vostra foresta. Ma non vieta l’entrata ad UNO di loro».
«Sciocchezze, essi non possono…».
«Esattamente, essi, non uno. La vostra legge suppone che non possano passare per di qua MOLTI piccole orecchie appuntite, ma non vieta l’accesso ad uno solo di essi. Per cui, essendoci un solo folletto, egli ha il diritto di trovarsi qui e di oltrepassare la foresta».
Le fate rimasero in silenzio guardandosi dubbiose l’una con l’altra.
Brandir, Bossolo, Alessandro, Asdrubaleo e Coco guardarono con ammirazione Giulio che, con poche parole, aveva insinuato il dubbio tra le fate. Il ragazzo otteneva sempre quello che voleva e riusciva sempre a ribaltare le cose a suo favore. Questo i suoi tre amici lo sapevano molto bene.
«Ebbene, quel che dici non è del tutto sbagliato. E, siccome, occorrerebbe troppo tempo per controllare accuratamente la nostra legge, potete passare. Tuttavia il folletto deve essere bendato: questo luogo deve rimanere a lui sconosciuto».
«Faremo come dite voi. Grazie per averci permesso di proseguire».
Come promesso Asdrubaleo, nonostante non ne fosse molto contento, fu bendato e le fate si allontanarono.
Giulio, intanto, ricevette i complimenti per il suo ingegno dai suoi compagni.
Il cammino proseguì senza intoppi ed il gruppo non incontrò più nessuna resistenza da parte delle fate. Con dispiacere di Federico, che voleva ottenere maggiori informazioni riguardo a quanto scoperto la sera precedente, esse non si fecero più vedere.
Calata la sera e, ormai, prossimi all’uscita dalla foresta si fermarono per riposare in un piccolo spiazzo. Quando tutti si furono addormentati alcuni piccoli puntini luminosi comparvero al chiarore della luna. I quattro ragazzi si svegliarono improvvisamente e decisero di seguire quella scia luminosa che li condusse in un luogo poco lontano da dove si erano accampati.
Tante fate volavano allegre da albero ad albero, da cespuglio a cespuglio. Molte danzavano intorno a dei funghi. Era tutto meraviglioso e tutto risplendeva di una candida luce. Giovanni pensò che fosse per questo che la foresta si chiamava anche foresta Bianca.
Stavano per rivelare la loro presenza alle fate, quando qualcuno li bloccò.
«Che cosa state facendo? Perché vi siete allontanati di nuovo?».
«Alessandro! Ci hai spaventati!» esclamò Sonia.
«Non avete idea di che cosa sia la paura, ma state pur certi che la proverete se non vi allontanate di qui! Questa è una cerimonia d’iniziazione e nessuno, tranne le fate, possono parteciparvi. Se vi vedono, si adireranno con voi e non saranno le uniche! Forza, allontaniamoci».
I quattro amici fecero come aveva detto loro l’uomo.
«Secondo te cosa intendeva con “non saranno le uniche”?» chiese bisbigliando Giovanni a Giulio.
L’amico indicò i loro compagni addormentati. C’era qualcosa che non quadrava: l’arrivo nella Terra dell’Infinito, il Grande Mago, la missione, la profezia, le parole di Lucia, i loro compagni… Tutta la situazione era strana e quasi paradossale. Forse, presto, sarebbero giunti alla verità vera perché Giulio, così come i suoi amici e forse più di essi, era sicuro che fosse stato loro nascosto qualcosa. Di una cosa era certo però: una volta trovato il pugnale di Caio il Grande tutto sarebbe stato svelato.

Angolo Autrice. Ciao! Come sempre, grazie a tutti quelli che hanno letto questa storia! :) I quattro giovani cominciano a nutrire i primi dubbi sulla loro missione. Che cosa ha voluto dire la fata Lucia? Mah. xD Lo scoprirete prossimamente! Al prossimo capitolo. Violaserena
  
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