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Autore: aniasolary    24/10/2014    4 recensioni
Natalie Truman, diciannove anni, buone intenzioni e scarsa capacità a far andare le cose come vorrebbe, non ha paura della vita. Tra sogni difficili, l’amore per un ragazzo irraggiungibile, impropri pasticci e situazioni imbarazzanti, il desiderio di diventare grande e sentirsi grande si fa sentire, rendendo il suo nido famigliare sempre più opprimente.
Il mondo è ai suoi piedi.
Al tempo stesso, quel mondo può caderle addosso.
L’unico modo per affrontarlo è cominciare a camminare con le proprie gambe, sperando di non inciampare nelle sue stesse scarpe.
«Un po’ per volta, il dolore se ne andrà. Non dimenticherai niente, ma starai bene. È un po’ come ricominciare a scrivere una melodia, ma senza cancellare le note precedenti. Con l’esempio del vecchio, puoi metter su davvero qualcosa di nuovo e migliore.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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18.
Pamela, di fronte a me, manda giù un po’ del suo frullato al cioccolato con gusto. Chiunque lavori per la mia linea non deve privarsi di nulla: un piacere quotidiano è sempre concesso.
Io sorseggio il mio cappuccino.
«La cosa è pericolosa,» dice Pam, quasi tra sé. Ha le guance arrossate per il freddo familiare e pungente di Londra, le labbra poco contornate di cioccolato come la linea imprecisa di un rossetto scuro.
Per me è come cadere dalle nuvole. «Cosa?»
«Tu… ed Ewan.»
Mi ricordo dei sogni detti a voce con lei, la mia migliore amica da quel giorno piovoso in cui, dopo la lezione di danza, fummo le sfortunate compagne di corso a finire bagnare dall’acqua piovana di una pozzanghera rovesciata dalla corsa di una macchina. Mi ricordo di quando a quindici anni sognavamo il ragazzo perfetto, a come sarebbe stato stare con lui, attraversare la strada sulle strisce pedonali e pensare ai Beatles, camminando mano nella mano. Mi chiedevo se quel ragazzo dei miei sogni avrebbe mai apprezzato quel che sono fuori e quel che ho dentro.
Pamela immaginava, io sapevo: io vedevo qualcuno che non ho mai potuto amare davvero, perché l’amore non è univoco. L’amore è una carezza reciproca, non una sola; una stretta di mano, non una presa prepotente; un bacio restituito, non solo dato. Ed io, impegnata a saltare, ridere, arrabbiarmi, cacciarmi nei guai, non ho mai dato importanza più del dovuto a quel che ho avuto modo di provare solo pochi giorni fa.
Quel che ho provato.
Quel che provo.
Quel che proverò.
Ne ho così paura.
Mi viene fuori una risata che mi fa sentire una deficiente. «Ah-ah. No… Pam, ti stai facendo dei film inutili.»
Mi riserva una smorfia scettica. «Tu dici?»
 
Mi sveglio stordita, mi stiracchio e mi rigiro tra le coperte del tutto intorpidita.
Un bacio sulla spalla. «Buongiorno,» la sua voce sussurrata sulla pelle.
Mi volto, lentamente, e non riesco a fare a meno di sorridere:  devo avere una faccia da vera idiota. Con il sua sguardo su di me, però, riesco subito a svegliarmi.
«Ewan, io credo…» Mi porto entrambe le mani alle tempie, carezzo la pelle vicino al cuoio capelluto. «Credo che dovremmo parlare di quel che è successo.»
«Ti va di ricordarmelo?» La linea delle sue labbra si muove a formare un sorriso che sa di ricordo, soddisfatto sfinimento. Gioca con una ciocca dei miei capelli, acceso arancione tra le sue dita da pianista.
«Non dovrà più succedere,» dico in un soffio.
Il suo sguardo fermo si posa su di me, finisce nei miei occhi, mi attraversa.
«Stai dicendo… che sei pentita di stanotte?»
«Sì.»
Ewan resta in silenzio, un silenzio carico di tensione; il mio corpo teso coperto solo da un lenzuolo, separato da Ewan solo da questo sottile strato di stoffa.
Non riesco a respirare.
E scoppio a ridere.
Mi copro la bocca con le mani. «Ti ho fatto prendere un colpo, vero?»
Il viso di Ewan è attraversato da un’espressione sconvolta che si trasforma subito in un ghigno. Continuo a ridere, sempre più forte, non smetto nemmeno quando Ewan mi prende le mani e chiude i miei polsi nella sua presa. I nostri nasi si sfiorano, il suo respiro diventa anche il mio.
«Tu lo sai che,» comincia. «Se noi fossimo i protagonisti di un film, o un libro, tutti quelli che guardano, o leggono, vorrebbero ucciderti, adesso?»
«Davvero?»
Sospira. «Davvero.»
Inclina la testa e prende a baciarmi il collo, piano.
«Hai fame?» mi chiede, tra un bacio e l’altro. «Vuoi fare colazione?»
«Una doccia, prima.»
Ewan mi carezza il braccio con i polpastrelli e mi viene la pelle d’oca, sospiro.
A un centimetro dalla mie labbra, le sue: «Una doccia con me».
 
« Mio Dio! Mio Dio! Mio Dio!»
«Pam!» La zittisco con lo sguardo.
«Naaaaatalieeeee!»
«Sì, okay… Pamela, io… io… non ero dispiaciuta.»
«Ma come esserlo! Come essere dispiaciuta!» Pamela prende il menu del bar e comincia a tirarsi il vento. «Tanto io ho sempre saputo che sarebbe finita così.»
Quasi mi viene da piangere. Vorrei solo abbracciare la mia Pamela, che ha letto i miei sentimenti ancor prima che Ewan fosse capace a dar loro voce, ancora prima che io li riconoscessi. Lei è il mio specchio: anche se non mi riflette, afferra le immagini di tutto quello che sono e provo.
Sono stata così fortunata a trovarla.
Già, ogni tanto posso esserlo anch’io.
 
***
Arrivo in ufficio in ritardo perché con Pamela il tempo vola, si accorcia eppure passa più in fretta, strana maledizione delle gioie che, quando accadono, si restringono come se seguissero una crudele legge fisica. L’atmosfera è pesante, come se qualcosa fosse bruciato e aleggiasse ancora della cenere. Da quando sono qui, lo stress per far sì che tutto fosse perfetto e la presenza di Emanuelle mi hanno impedito di interagire come avrei fatto normalmente. A scuola ero quella che gridava parolacce, si voltava e incontravo lo sguardo costernato di un professore; quella che faceva un commento senza peli sulla lingua sul sedere di un ragazzo e poi se lo trovava accanto. Io e le figure di cacca siamo amiche quasi quanto me e Pamela.
Ora che Emanuelle non c’è, non ho nemmeno il tempo di provare pace. Gli sguardi ostili che mi circondano mi fanno rimpiangere una presenza – una qualunque, non ha importanza – che non mi facesse sentire sola.
Mi metto alla scrivania con il pc davanti e, sulla tastiera, trovo il giornale del giorno. Ci sono io, ovviamente.
Natalie Truman, povera vittima della gelosia di una top model fallita, è in realtà una ragazza impeccabile, sensibile e raffinata.
«What?»
Nessuno mi ha mai visto mangiare l’arrosto della mamma, evidentemente.
Incredibile quanto possa ingannare una camicetta violetto.
«Capisco la tua faccia sconvolta, Natalie,» mi dice il signor direttore, ridestandomi dalla mia sorpresa. «Immagino che tu ci aiuterai a risolvere la situazione. »
«Risolvere la situazione? » gli faccio eco.
Il direttore mi prende il giornale dalle mani e comincia a leggere. «La buona reputazione della stilista Truman non giova alla rivista Vogue. Come la sua partecipazione ipotizzata alla droga aveva aumentato le vendite, così la sua smentita le ha fatte diminuire. Si sa che ai giovani piace chi esce dagli schemi: la forza di vita della volpe di Liverpool, evidentemente, non è sufficiente. » Mette giù il giornale e torna a fissarmi con uno sguardo duro.
Fatico a respirare. Questa situazione è ridicola e insensata, ed io ci sono finita dentro dalla testa ai piedi, mummificata in questa follia ancor più folle di quanto io possa mai essere. «Direttore… io… io posso pensare a delle novità…»
«Non si tratta più di novità. Si tratta di fare quel che agli altri piace. Ai giovani piace che chi è trasgressivo superi chi conduce una vita normale. Trasgressivi erano i Rolling stones quando c’erano ancora i Beatles, trasgressivo è spiattellare l’intimo nel pubblico. Fare quello che gli altri non hanno il coraggio di fare per pudore, galateo, il più delle volte semplicemente buon gusto.»
Scuoto la testa, interdetta. Quando comincio a parlare la mia voce è isterica. «Che cosa dovrei fare? » La mia voce trema. «Diffondere un video porno, correre nuda inneggiando ai diritti dei transessuali, farmela con tutti gli uomini di Londra?» Fatico a respirare. Mi gira la testa e sento di aver sbagliato, esagerato.
«Non sono necessari tutti.» Il direttore assottiglia gli occhi. «Vuole davvero farmi credere che tra lei ed Arthur Benkinson ci sia solo amicizia? »
Boccheggio, convinta della risposta.
«Lo conosco… io lo-lo conosco da quando ero solo una bambina…»
«L’intimo nel pubblico. È la cosa più vergognosa che ti possano chiedere, Natalie, ma questo mondo la pretende. Questo mondo è il peggiore.»
Respiro a fatica. «Non ho intenzione di… fingere qualunque cosa con Arth… con il signor Benkinson, io non posso…»
«Signorina Truman…»
«Io non voglio, non vorrei mai. Non nego che Arthur sia importante… negare? Lo ammetto! Arthur è importante, non esiste un momento nella mia vita in cui lui non lo sia stato, lo è. Ma questo è troppo…»
«Girano voci…»
«E girassero! Che cosa succede nella mia vita è affar mio.»
«Non è più così. Quel che succede nella sua vita è affar mio, affare dello spazzino in fondo alla strada, di una ragazzina dall’altra parte del mondo. Lei è famosa, e questo è il prezzo. Sa cosa succede a chi si ostina a nascondersi, nonostante tutto? Che ti creano un’altra vita, e la spacciano per vera. Diventi un personaggio nelle mani delle fantasie di giornalisti, conoscenti…»
Sospiro. «Basta così.»
«Trovi un’altra soluzione alle vendite, non sarò io a dirle come. Se questa situazione non recupera in un paio di mesi ci saranno delle conseguenze.» Sembra dispiaciuto, eppure fermo in quella è sempre stata la sua decisione dall’inizio. «Vogue ha un’immagine. Vogue non verrà penalizzata per lei, signorina Truman. Una modella, un altro manager, ci sono tanti modi per attirare l’attenzione. Se lei non ci riesce più, non ha ragione di restare.»
«Allora perché mi ha assunta?»
«Perché lei è un caso. È brava, ha fatto vendere, ma ancora di più lo ha fatto la sua immagine. Nessuno che faccia la stilista è diventato ricco prima dei vent’anni.»
Stringo le palpebre per un attimo, come mi volessi rinchiudere nel buio di un sogno.«Io… non volevo diventare famosa. Io volevo lavorare, diventare indipendente, farlo con la cosa che mi piace di più… e credevo che lei apprezzasse i miei lavori.»
 Sorride piano. «Li apprezzo ancora.» Il sorriso svanisce, presto. «Ma non basta. Ora che è qui, però, si metta a lavoro. Ci sono dei modelli da finire e sono sicuro che non mi deluderà.»
Lei mi ha deluso, invece. Accendo la stampante e mordicchio la matita che avevo poggiato sull’orecchio. Tutto di questa storia mi ha deluso.
***
Mi sbatto la porta di casa alle spalle e butto le chiavi sul mobiletto accanto allo stipite. Accendo la luce della cucina, apro la borsa e prendo i fogli con i modelli da finire. Che rabbia, la prima linea viene storta. Che schifo, non era questo il verde che dovevo usare. Che odio, Natalie. Che odio.
Mi lascio andare sulla sedia.
Non mollare. Non adesso.
Mi rimetto a lavoro.
La luce della cucina si fa improvvisamente più fioca. Sollevo lo sguardo e noto che adesso la lampadina funziona ad intermittenza e, quando il panico mi intrappola come un grande artiglio, la luce è già spenta.
Il cuore mi batte smodatamente.
Apro la porta.
«Zot? Signor Zot?»
Zot mi sente subito e infatti apre la porta del suo appartamento, un canottiera bianca molto larga e  il solito viso arrossato per le sue bevute.
«Ciao, Natalui!»
«Scusami se ti disturbo. La luce da te funziona?»
Annuisce. «Ciuerto.»
«Non riesco a capire,» dico. «Da me si è spenta in tutta la casa.»
«Hai puagato la buolleta, vero?» Ammicca.
Resto immobile per un secondo di troppo, ripercorrendo le varie raccomandazioni e le liste di cose da fare che ho stilato da quando sono a casa – tre giorni pieni, afosi, tremendamente pieni di vita.
Saluto Zot con una scusa incomprensibile e mi chiudo di nuovo in casa. Scalcio il borsone di Ewan, ancora in corridoio con qualche jeans che emerge dall’apertura della cerniera. Sono le dieci e potrei finire per strapparmi i capelli, presa da un’assolutamente giustificata smania omicida. Mi fa male la pancia la testa, ho fame, sonno, devo disegnare i modelli e per favore, qualcuno mi porti alle Fiji e non mi faccia più tornare.
La mia crisi rabbiosa è ancora in atto, immobile ma alimentata, quando Ewan torna a casa. Appena entra in stanza mi alzo dal divano e mi avvicino a lui, che mi sorride a quel modo da istigare l’arresto, gli occhi blu di mare ad abbracciarmi ancora prima che possano farlo le sue braccia.
Il cuore mi fa male e lo ignoro.
Mi scosto.
«Perché sei al buio, Nat?»
«Perché non hai pagato la bolletta, idiota,» gli grido contro. «Toccava a te, ci siamo divisi i compiti.»
Si gratta la nuca, come se si fosse appena svegliato da un sonno profondo. Il suo sguardo dispiaciuto riesce a trapassarmi, aggiungendo uno smisurato senso di colpa alla rabbia che ho dentro. Ha dimenticato di pagare una bolletta dopo una settimana di problemi, e quando ha avuto modo di accantonarli non abbiamo fatto altro che incontrarci e rincontrarci, scoprirci e riscoprirci. Senza sosta, trovando a mala pena il tempo di mangiare qualcosa.
Ci siamo divorati a vicenda, credendo di non farcela più, capendo che invece non era ancora abbastanza. Forse è perché sono giovane – lo sono ancora, per lo meno. Forse perché ad amarlo mi scoppia il cuore, è l’ultimo pensiero che mi attraversa la mente, sempre, prima di stringere la coperta con le unghie, mordermi le labbra per fermare un grido, rabbrividire per il fiato di Ewan dietro di me, davanti a me, ovunque sulla mia pelle.
Sospira. «Natalie, sei troppo agitata. Potresti sputare fuoco da un momento all’altro,» continua, con la delicatezza sotto i piedi. «… Dracarys!»
Perché non cambieremo mai, in fondo.
«Ti sembra il momento di fare il cretino?» sbotto. Il senso di colpa si mette subito a tacere. «Sputerei fuoco su di te.»
«Sei arrabbiata,» continua, incrociando le braccia al petto.
«Da morire, Ewan. Da morire
«E te la prendi con me?»
Mi sto infervorando ancora di più. «È colpa tua se la luce non c’è! »
«Ma che ce ne frega della luce, abbiamo passato più tempo a fare l’amore che a respirare,» dice con una naturalezza che mi sconvolge, e mi fa arrossire in un modo imbarazzante che lui nota subito. «Domani vado a pagare e ci torna, che problema c’è?»
«Tutto! » sbraito, con tutta la buona intenzione di ignorare l’effetto devastante che continua a farmi solo parlare con lui. «Tutto, tutto è un problema e tu non hai fatto altro che ingigantirlo.»
«Che cos’altro ho fatto?»
Ho l’anima in subbuglio, un caos infernale dentro, il respiro mozzato sul tuo nome. E i problemi si infittiscono, perché volevo diventare grande ed ecco qui la mia vita da adulta.
«Sto male,» continuo, perdendo enfasi nella voce.
Ewan fa qualche passo verso di me. Mi riserva un sorriso che mi abbaglia di luce. «Forza, racconta.»
Sospiro e cerco di parlare in modo sensato, ma riesco a pronunciare giusto qualche frase sconnessa. Ewan mi accarezza il viso, mi scosta via i capelli e qualcosa dentro di me esplode, non so se è ancora rabbia o quella parte di me che risponde, smisuratamente, ad ogni suo contatto.
Mi sento una bambina.
«Allora avvisa il direttore, un giorno in più può aspettare per avere i modelli.»
«Ewan, che cosa ne sai? Non posso sbagliare. Dopo quello che è successo non posso sbagliare
«Ehi.» Mi inchioda sul posto con i suoi occhi azzurro mare. «Tu sei stata incastrata. Non c’entravi niente.»
«Ma questo ha influito negativamente sull’immagine della rivista. Perché sono apparsa come una povera, giovane ragazza nei guai,» dico, con tutto lo sdegno che ho dentro. «Secondo il direttore dovrei attirare l’attenzione facendo…» Mi blocco, inciampando nelle mie stesse parole, come terrorizzata.
«Cosa?»
Dovrei stare con Arthur Benkinson, che un tempo amavo.
«Niente,» taglio subito.
«Natalie… » Ewan sbuffa. «Io non ti chiedo di farmi un monologo con tutta la tua vita. Ma se c’è qualcosa di importante, se c’è qualcosa di impossibile da ignorare, qualcosa che io, visto che sono il tuo ragazzo…» Caspita, suona così bene. «… dovrei sapere, allora devi dirmelo.»
Faccio un respiro profondo, lo guardo negli occhi.
Parlarti di Arthur Benkinson, dopo tutto quello che è successo per Arthur Benkinson, adesso? Continua a carezzarmi i capelli. Parlarti di Arthur Benkinson, che sono costretta a incontrare quasi ogni giorno da quando Istyle è entrata nella compagnia, adesso? Scuoto la testa.
Rovinare tutto adesso?
«No,» mormoro. «Cioè, niente che io voglia fare. Dovrei ricostruirmi un’immagine, un’immagine che piaccia di più…»
Il sorriso di Ewan si fa più largo. «Se tu mi piacessi più di ora morirei
Mi passo una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Dovrei essere più trasgressiva.»
«Ah, perché, non lo sei?»
«Non pubblicamente.» Sbuffo. «Se Vogue non torna a vendere come prima mi cacceranno.»
«Avranno perso un talento immane.» La sua voce è ferma, leggermente roca, intensa.
«Ed io potrei buttarmi giù da un ponte.»
«Ed io te lo impedirei. Venderai, perché sei davvero brava, ci metterei la mano sul fuoco. Ora devi solo sbollire la rabbia,» continua Ewan. Fa qualche passo indietro, allontanandosi, senza smettere di guardarmi.
«Come?» Sospiro.
Ewan si siede sul divano e mi lancia un cuscino che afferro subito, con i riflessi a mille.
«Prima di tutto la soluzione c’è: la luce è giù in garage, io suono e tu disegni, sempre se non ti dà fastidio sentire i pezzi dei Coldplay senza la voce di Chris Martin,» spiega. «Ma prima, per sfogo, c’è sempre la lotta con i cuscini.»
Un sorriso, quasi impercettibile.
«Mi prendi in giro?»
«Non essere la noiosa che non sei.»
Tutto questo è assurdo, oltre i limiti, da pazzi patologici. Eppure un sorriso mi nasce dall’interno, esigendo questa presenza e facendomela percepire con una giusta tensione della pelle. Lo colpisco sul petto e poi sul viso. L’adrenalina sale, sale anche la forza, inspiro, espiro, inspiro, espiro, ed ho perso il conto dei vari colpi di cuscino che ho dato e di quelle che ho ricevuto, ora che sto ridendo senza alcun tipo di rimorso.
Un altro respiro, un cuscino premuto sulla mia guancia.
«Non te la prendere, vinco sempre a questo gioco.»
Sbuffo, rido. «Hai cinque anni e non me n’ero accorta?»
«Se avessi cinque anni mi limiterei a fare solo questo.» Sposta il cuscino, avvicina la bocca al mio orecchio. «Ma non ho cinque anni.»
Gli faccio un sorriso tirato. «Mentalmente sì.»
«A cinque anni ho deciso cosa fare della mia vita. Altro da dire?»
Ridacchio. «Si vedeva già di che stampo sei fatto.»
Ewan poggia la sua fronte contro la mia, chiudendo gli occhi, respirando, ed io avverto quel che ho sempre sentito, reprimendolo a forza dalle prima volte in cui ho avuto a che fare con lui.
«Ti stai lamentando di me?»
«Non me la sento proprio, di lamentarmi.»
Quando mi è così vicino, io perdo la condizione di quel che sono e divento qualcosa che non so riconoscere, ma che riesco ad ammirare. Eppure l’adrenalina non è svanita dal mio corpo, mi circola nel sangue, pompandomi il cuore, mentre Ewan scende ad accarezzarmi la schiena e a stringermi a sé. Mi carezza la pelle sotto la maglietta ed io chiudo gli occhi, mi lascio cullare dal rumore del suo respiro, dal tocco ruvido e amato che mi percorre mentre mi perdo.
Quando apro di nuovo gli occhi incontro i suoi, blu scuro, profondi eppure trasparenti, che esprimono una chiarezza che solo lui, nonostante si sia spesso mostrato enigmatico, ha sempre mostrato.
Gli sfioro le labbra con le mie, attraversata da un brivido, mentre la sua presa diventa più forte.
Lo sfioro delle mie labbra diventa carezza e poi tocco deciso, un cercarsi indenne, inevitabile. Un bacio che mi riempie di calore. Su di lui, le sue gambe tra le mie gambe, rabbrividisco prendendo fiato. La frenesia ci travolge, è mia e sua, ci guida insieme a quello che abbiamo scoperto insieme. Ewan guida le mie mani su di lui, trattiene i gemiti sul mio petto. Come se il tempo ci potesse cadere addosso in una ventata di dolore, qui troviamo il modo di appartenerci. Mi muovo lenta e ogni cosa ha le sembianze dell’agonia, perché l’amore ha sempre un po’ di dolore dentro, ma guarisce in se stesso. Il controllo mi sfugge e cerco la velocità, la forza nell’affanno dei respiri, nel tocco di Ewan, e per un istante chiudo gli occhi – le palpebre si fissano – e sto per gridare, il fiato brucia nella gola e il dolore scompare, si trasforma in un fuoco vivo che non si spegne, le cui fiamme si ingrandiscono, si infrangono, poi scoppiano.
Mi accascio su Ewan. Lui ancora trema e, nel suo tremore, mi bacia di nuovo.
«Tu, tu mi distruggi.»
Gli morsicchio l’orecchio. «È un modo per dire che non mi puoi resistere?»
«Ehi, non puoi parlare così.» Mi fa stendere sul divano e mi viene addosso. «Il figo della situazione sono io. E il figo della situazione è quello che fa domande del genere.»
«Ma se fossi tu a fare domande del genere sarebbe banale.» Gli passo una mano tra i capelli. «Facciamo che questa storia è diversa, okay? »
Ride, un ruvido sussurro sulla mia pelle.
Mi bacia il collo. «Be’, è una storia degna di te.»
*
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*
Un buon pomeriggio speciale a tutte le mie volpi (che siete voi! : ) )
Come al solito mi ritrovo senza cose sensate da dire su quello che ho appena pubblicato, spero solo che vi piaccia la piega che sta prendendo la storia. Nonostante le cose tra Ewan e Natalie si siano chiarite – relativamente – la vita della nostra protagonista non è esente dai problemi.
Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo e spero che vi siate sentiti un po’ come Natalie.
Vi ringrazio tutti per leggermi, in particolare un pensiero speciale a chi mi regala un po’ del suo tempo lasciandomi due parole, sia qui come recensione che per messaggi su facebook.
Siete i benvenuti nel gruppo dedicato alla storia, in cui c’è tanto fangirling compulsivo <3
Siete stupendi.
P.s ora rispondo alle vostre splendide recensioni *-*
Un grande bacio
Vostra Ania <3
   
 
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