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Autore: LilyLunaWhite    26/10/2014    1 recensioni
Due ragazzi apparentemente diversi, ma con un lato in comune: entrambi, indossano una maschera.
Due famiglie diverse.
L'odio di entrambi verso l'amore.
Però, cosa accadrebbe se i loro cuori cominciassero a battere?
Riusciranno, i due protagonisti, a imparare ad amare?
-Dalla storia.-
"Come ogni volta, quando incontravo il suo sguardo, notavo che erano privi di luce, spenti e questo mi metteva addosso un’inspiegabile tristezza.
Agii d’impulso, mi chinai e posai le mie labbra sulle sue. Constatai che erano fredde ma, allo stesso tempo, dolci.
Fu a quel contatto che riuscii a rispondere alla maggior parte delle mie domande.
"
Storia in fase di modifiche e sistemazioni.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 13Natale.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia. 


Capitolo tredici: Natale.
 
P.O.V. Jenny
 
Erano le dieci quando Raffaele mi aveva riaccompagnata a casa e ora eravamo nella sua auto, fermi sotto casa mia. Durante tutto il tragitto eravamo rimasti in completo silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, a riflettere sulle parole che Alajos ci aveva detto. Avevo notato che Raffaele era più rigido e non riuscivo a capire se la causa ero io o se era successo qualcos’altro che io non sapevo. Anzi, di Raffaele non sapevo quasi nulla. Lo avevo fissato di sottecchi e il suo viso era rimasto impassibile per tutto il tempo, ma di tanto in tanto lo avevo udito sospirare. Ora, eravamo sotto casa mia e lui non accennava a spostare lo sguardo dalla strada che aveva di fronte a sé. Pareva completamente assente e questo mi rattristava. Quando avevo accettato di lasciarmi andare e di affidare il mio cuore alle cure di Raffaele, sapevo bene che avrei ricominciato a provare dei sentimenti e avevo accettato di correre quel rischio, nonostante fossi riluttante a provare nuovamente dolore a causa di qualcuno. Però, il dolore e la tristezza che stavo provando in quel momento non erano causate da Raffaele in sé, ma avvertivo quelle emozioni perché egli le stava provando, era come se il mio animo fosse collegato al suo.
«Raf, che succede?», gli domandai preoccupata, senza tuttavia ricevere una risposta.
Lo continuai a guardare per diversi minuti finché, con un sospiro, uscii dall’auto e mi diressi verso casa, stringendo forte al petto la borsa ove era custodito il pacco regalo per lui. Prima di entrare in casa, con un rombo di motore, notai la macchina di Raffaele sfrecciare via, ignorandomi completamente.
Cosa gli era successo?
Ero nel panico, ma dovevo resistere. In fondo lui mi aveva detto che non mi avrebbe mai lasciata sola e che mi avrebbe protetta. Mi convinsi che doveva essere fin troppo in sovrappensiero e che preferiva stare da solo per un po’. Forse, la causa del suo malumore era il mondo dal quale lui voleva proteggermi e quindi non me ne poteva parlare. Il suo mondo.
Prima di entrare a casa, presi un bel respiro e cercai di ignorare gli ultimi avvenimenti, concentrandomi su quelli precedenti. In questo modo, sorridere sarebbe stato più semplice: non volevo rovinare la festa a nessuno. Non di nuovo.
 
***
 
Il pranzo di Natale nel ristorante era terminato da un paio di ore e di lui ancora nessuna traccia. In quelle lunghe ore non avevo fatto che pensarlo, chiedendomi di continuo dove fosse, con chi fosse e se stava bene. Ero completamente piena di dubbi e paure e ormai non riuscivo più a sorridere, nemmeno pensando a quei momenti sereni che avevo passato con Raffaele prima di ieri sera.
Mi rifugiai nel parco, in un luogo appartato dove nessuno mi avrebbe potuto trovare. Faceva freddo, ma il foulard che egli mi aveva regalato il giorno prima riusciva a tenermi al caldo. Sedevo su una panchina e i primi fiocchi di neve di quella giornata stavano cominciando a scendere lentamente mentre io continuavo a stringere forte al petto la borsa ove tenevo ancora custodito il suo regalo.
Con una scusa ero riuscita a liquidare la mia famiglia, avvertendoli che sarei rincasata tardi, però non avevo voglia di rientrare. Non avevo voglia di andare da nessuna parte.
In quel momento sentivo solo di aver sbagliato tutto.
Non dovevo permettere al mio cuore di uscire fuori dalla gabbia nel quale lo avevo rinchiuso per anni. Se non lo avessi fatto non avrei mai avvertito quel dolore che mi stava piegando in due e mi stava facendo piangere.
Le mie lacrime erano così calde e in completa contrapposizione con le mie guance gelide a causa del freddo di quella giornata grigia.
Repressi un brivido e mi strinsi le ginocchia al petto cominciando a tremare per la paura. Il terrore di essere abbandonata e di provare nuovamente quello che mi era successo in passato.
 
«Tu sei Jenny?», mi domandò una ragazza con un’aria da chi si sentiva superiore a tutto e tutti.
«Si, sono io, perché?», domandai a mia volta.
Ella non rispose, ma scoppiò in una sonora e falsa risata.
«Oddio, e quindi saresti tu la povera sfigata Jenny?», domandò retoricamente con scherno, «Sai, ora capisco perché il tuo ragazzo cerca consolazione da me e dalle altre. Una che come te si imbarazza persino a dare un semplice bacio, come può appagare i suoi desideri più sfrenati? Sta con te solo perché le fai pena. Ricordatelo.»
 
Ricordare quelle parole mi fecero piangere con maggiore forza e non mi preoccupai di essere sentita. Con quel freddo era improbabile che sarei stata disturbata o scovata.
Mi sentivo vuota e un dolore mi attraversava il petto togliendomi il fiato.
Credevo di averla vinta quella paura, ma mi ero sbagliata.
Avevo ancora l’antropofobia.
Avevo ancora paura delle persone perché con il tempo avevo imparato che l’egoismo dell’uomo avrebbe solo portato a far soffrire chi lo circondava. La pensavo così, anche se lo psicologo mi aveva sempre detto che non tutti gli uomini lasciano che l’egoismo detti le sue azioni. Non gli credevo. Non gli avevo mai creduto. Le persone erano tutte uguali. Credevo che Raffaele fosse diverso e invece mi aveva illusa e poi era semplicemente sparito.
Sorrisi amaramente tra le lacrime.
Magari avessi solo quella fobia.
Con il mio psicologo, durante i nostri incontri mensili, scherzavo sempre sul numero notevole di fobie che possedevo. Riderci sopra mi sembrava più semplice rispetto all’affrontarle di petto.
Lo squillo continuo del mio cellulare interruppe i miei pensieri. Era da un paio di minuti che squillava con insistenza, ma continuai ad ignorarlo. Non volevo sentire nessuno, non ora che i miei demoni erano riaffiorati, non ora che sentivo un buco nel petto che mi stava uccidendo. No, non mi sarei fatta più vedere in quelle condizioni.
Mi stesi sulla panchina, con la borsa ancora stretta al petto e chiusi gli occhi, cercando di ignorare il freddo pungente che mi stava ghiacciando le ossa. C’era un altro tipo di gelo che superava quello corporeo. Era più profondo, più pungente, più doloroso.
Piansi ancora, maledicendo la mia debolezza.
Lasciai fuoriuscire le lacrime che velocemente rigavano le mie guance, perdendosi tra le pieghe del foulard.
Perché a dispetto del tempo che avevo impiegato ad ergere i muri che servivano a proteggermi, ora essi si erano sgretolati tutti in poco tempo? Perché avevo permesso ad una persona di lasciarmi così esposta e indifesa in quel mondo che non faceva che procurare dolore agli altri?
Distrattamente mi accorsi che la neve aveva cominciato a scendere con maggiore intensità, eppure non volevo muovermi d lì. Non volevo farmi rivedere dalla mia famiglia in quelle condizioni, non volevo tornare a fare visita allo psicologo ogni settimana. Ogni mese era più che sufficiente rivivere ogni mio incubo, ogni mia fobia, ogni mio ricordo doloroso.
Preferivo il gelo al rivivere di nuovo l’incubo del mio passato.
 
P.O.V. Raffaele
 
«Stia tranquilla signora, sicuramente starà con il mio amico Walter.», tranquillizzai la madre di Jenny sorridendole in modo rassicurante, cercando di ignorare i miei timori.
«Va bene Raffaele, divertitevi e buon Natale a te!», sussurrò la donna con dolcezza.
«Grazie. Buon Natale anche a lei e alla sua famiglia!», risposi prima di cominciare a correre verso la casa di Walter.
 
«Jenny non è uscita con te?», mi aveva sussurrato terrorizzata la madre di Jenny, ferma e rigida per la paura, sull’uscio dell’abitazione.
«No, non è con me!»
«Sai dove potrebbe essere? Non possiamo perderla di vista… Non dopo quello che le è successo, non sapendo i problemi che lei ha.», mentre ella parlava, sentivo il suo tono di voce incrinarsi sempre di più.
«Non si preoccupi. Le avevo detto di andare da Walter. Sicuramente si sono scordati di avvertirmi.», le dissi nel vano tentativo di calmarla, pur di capire cosa succedeva a Jenny.
«Cosa ha Jenny che tanto la preoccupa?», aggiunsi poco dopo.
«Jenny non vuole che io ne parli, ma ella ha diverse fobie a causa di eventi passati. Infatti, è in cura da uno psicologo da un paio di anni.», rispose la donna che avevo di fronte, senza tuttavia sbilanciarsi troppo.
«Stia tranquilla signora, sicuramente starà con il mio amico Walter.»
«Va bene Raffaele, divertitevi e buon Natale a te!»
«Grazie. Buon Natale anche a lei e alla sua famiglia!»
 
I ricordi del dialogo che pochi minuti prima avevo avuto con la madre di Jenny mi raggelò il sangue. Composi immediatamente il numero di Walter e non appena egli mi confermò che la mia piccola scontrosa non era da lui entrai nel panico.
«No Walter, non venire. Aspettami nel nostro rifugio, la vado a cercare io. Porta con te tutto il dispensabile.», gli dissi per poi riattaccare subito e cominciare a chiamare senza sosta Jenny, nella speranza che ella mi rispondesse.
Era tutta colpa mia. Mia e del passato che mi portavo dietro da anni.
Imprecai sonoramente, correndo verso il parco.
Se avevo imparato a conoscerla almeno un po’, sapevo che quello era un suo rifugio. Il problema, ora, era setacciare tutto il parco.
Mi odiavo. Dovevo difenderla e invece ero stato io a ferirla.
«Dannazione!», esclamai con rabbia, correndo per il parco.
Quando la neve aumentò, cominciai a preoccuparmi seriamente, ed iniziai a urlare il suo nome.
Ero spaventato.
Non volevo perderla.
Non potevo.
 
P.O.V. Jenny
 
Un angelo mi stava chiamando.
Urlava il mio nome.
Una voce che amavo tanto.
Sentivo freddo e avevo gli occhi pesanti.
Però la voce di quell’angelo era calda e accogliente.
Chiusi gli occhi e, guidata da quel suono angelico, mi lasciai avvolgere dalle tenebre.
   
 
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