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Autore: Abigail_Cherry    30/10/2014    2 recensioni
Tutti i diciassettenni delle razze pure (umani, fate, elfi e maghi) sono stati raccolti in un unica accademia: la "Valiant Academy". Il motivo? Nessuno lo sa ancora. Ma non si può disobbedire ad una decisione di importanza mondiale. Qui, i protagonisti: Ashley, Amy, Kay ed Anta dovranno affrontare lezioni di combattimento, medicina, latino, magie oscure... e, chissà, sboccerà anche l'amore?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8:

Domenica

 

Erano circa le sette di mattina quando Anta si svegliò. Normalmente si sarebbe sentita assonnata o moribonda, ma non quella Domenica. Si sentiva energica, felice. Perché alle 8:30 si sarebbe incontrata con Amyas, per passare assieme a lui il suo primo giorno libero.

Si guardò attorno per un momento. Stranamente, il letto di Amy era vuoto. Era già uscita? Strano. Ma non stette molto a pensarci, glielo avrebbe potuto chiedere una volta che lei sarebbe tornata a casa.

Dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo ed essersi fatta una rilassante doccia, corse in camera alla ricerca di qualche vestito carino da indossare. Aprì il suo armadio e cominciò a scavare fra i suoi vestiti. Ne notò subito uno rosa pallido, lungo fin sopra le ginocchia. Si ricordò che era stato il fratellino a consigliarglielo, giusto l'anno prima. Quando l'aveva vista con quel vestito indosso, le aveva detto che gli sembrava di aver visto un angelo. Lei gli aveva scompigliato i capelli già arruffati di loro ed in seguito aveva comprato il vestito.

Decise di indossarlo.

Si tolse il lungo asciugamano che la copriva asciugandosi le ultime gocce d'acqua che le rimanevano sul corpo, prese dal cassetto della biancheria un grazioso completo grigio chiaro e lo indossò assieme al vestito. Il suo scopo era abbinare al vestito rosa pallido degli accessori grigio chiaro (ovviamente senza esagerare). Prese da un secondo cassetto un nastro che si legò in vita ed un girocollo. Si guardò allo specchio e sorrise. Ora bisognava pensare ai capelli. Dopo esserseli asciugati, se li pettinò in un'ordinata treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, fermandola alle punte con un nastrino grigio. Come tocco finale, alle orecchie si sistemò due piccoli orecchini a brillante trasparenti.

Quando fu sicura di essere assolutamente impeccabile, uscì dalla sua stanza per andare a prendere la piccola borsetta all'ingresso.

- Hei. - la salutò una voce da dietro le spalle. Anta ebbe un attimo di sussulto. Si girò di scatto. Kay la stava guardando con aria assonnata, gli occhi socchiusi. Indossava solo i pantaloni blu scuro sciupati del pigiama. Anta arrossì subito e distolse lo sguardo. Anche se aveva due coinquilini maschi, non voleva dire che si sentiva a proprio agio a vederli a petto nudo. Aveva visto molte volte Kay così, ma ogni volta le faceva lo stesso effetto. Lo trovava troppo bello, con il suo fisico fin troppo perfetto, quasi scolpito.

- Ti sei appena svegliato, Kay? - chiese lei.

- Si, anche se è il mio giorno libero e vorrei passarlo a dormire fino a stasera, devo andare da un'altra parte. Ho un impegno.

- Che tipo di impegno?

- Non posso dirtelo. Segreto.

- Ok, ok. Tanto anche io ho un impegno.

Sembrò solo allora che Kay si accorse veramente della presenza di Anta. Aprì bene gli occhi e la squadrò da capo a piedi, notando il suo abbigliamento decisamente più grazioso del solito. Curvò un angolo della bocca con sguardo quasi... dolce. Era l'effetto “post-dormita” che lo faceva diventare più gentile? - Sei molto carina. - disse alla fine.

A quel complimento, Anta sentì le sue guance diventare ancora più rosse, in fiamme. Ma sorrise. - Grazie.

- Dove stai andando? - chiese lui.

- Al luna park, con Amyas.

- Di nuovo lui? - Kay sembrò indispettito ed avanzò di qualche passo, fino a ritrovarsi affianco ad Anta. Ma lei continuava a non guardarlo.

- Andiamo solo a fare un giro. - si giustificò lei, anche se non aveva niente di cui scusarsi.

- Stai attenta, però. Non mi fido...

- Non ti fidi di Amyas? Ma se siete sempre andati d'accordo!

- Infatti. È... un bravo ragazzo.

- Ma cosa dici?! Non sei molto coerente.

- È solo che... io... non posso... - cercò di dire Kay ma, per qualche motivo, non ci riusciva. Come se per lui fosse faticoso tirare fuori le parole. Come se qualcosa lo trattenesse.

- Senti, - cominciò Anta, questa volta guardandolo negli occhi. - fai pure quello che devi fare. Magari dormi ancora un po', magari parli così perché sei stanco. - prese la borsa e se la mise a tracolla. - Divertiti oggi. Io torno stasera. - Anta aprì la porta d'ingresso ed uscì di casa. Kay rimase a fissare la porta, incapace di muoversi. Sapeva ciò che Amyas stava cercando di fare, allora perché? Perché non riusciva a dire niente? Cosa gli stava succedendo?

Kay camminò fino alla sua camera. Come sempre, il letto di Ashley era vuoto, poiché era sempre di sua abitudine svegliarsi presto e volare fuori dalla finestra ad assaporare l'alba. Il letto di Kay, invece, era occupato. Si era quasi scordato che avevano dormito insieme. Lui e Amy. Avevano passato la notte abbracciati l'uno all'altra, poiché lei aveva bisogno di più sostegno possibile.

Il ragazzo si infilò nel letto e avvolse Amy in un abbraccio delicato.

- Kay? - fece lei, ancora mezza addormentata. - Dobbiamo alzarci? Che ore sono?

- Si. Sai, hai un cattivo alito e puzzi.

- Dovrei lavarmi?

- Se non vuoi far svenire tutta la chiesa per il funerale di tua mamma, te lo consiglio vivamente. - Kay sorrise.

- Va bene. Vado. - disse Amy, e si alzò dal letto velocemente. Poi fece per andarsene, ma Kay la afferrò per un polso.

- Aspetta! - disse lui. Amy si girò a guardarlo. - Siediti un momento.

Amy si sedette sul letto con aria triste, senza guardare più negli occhi Kay, ma continuandogli a tenere la mano.

- Dai, ammetto che non era la migliore delle mie battute, ma tu avresti risposto comunque! Lo so che sei triste per la morte di tua madre... ma non voglio che tu entri in una sorta di depressione. Quindi te lo devo chiedere: stai bene?

- Si. - rispose lei. Kay le sollevò il viso con un dito, costringendola dolcemente a guardarlo. Gli occhi di Amy erano come vuoti e gonfi.

- No. Non stai bene. Lo vedo, sai? Hai gli occhi gonfi e non ti comporti come al solito. Cerca di ricordarti che sei una ragazza forte, ok? Supererai anche questa.

- Kay...

- Lasciami finire. So che hai pianto stanotte, e lo posso capire. Ma tengo molto a te e non mi piace vederti in questo stato, quindi...

- Kay.

- Se potessi...

- Kay! - disse a voce alta Amy. Lui rimase senza parole.

- Si?

- Tu mi fai stare bene, se ti può consolare. - Amy cercò di azzardare un sorriso.

- Quindi se ti baciassi, staresti meglio?

- Penso proprio di si.

- Allora va bene.

Kay avvicinò il viso ad Amy per baciarla, ma poco prima di farlo si tirò indietro.

- Prima però vai a lavarti i denti. - sussurrò lui. Amy sul momento non si mosse, poi cominciò a ridere, Kay rise dopo di lei. Ed in quel momento, entrambi furono felici.

- Sei pessimo! - scherzò Amy.

- Sai, a volta una risata può essere meglio di un banale bacio.

- Chi sei? E che fine hai fatto fare a Kay? - Amy rise di nuovo.

- Non fare del sarcasmo e vai a lavarti, puzzi di fogna!

Amy si alzò in piedi, afferrò un cuscino e lo lanciò alla pancia di Kay, prima di uscire dalla stanza con un sorriso stampato in fronte.

Kay rimase pensieroso ad osservare il vuoto oltre la porta. Tra un circa tre ore, si sarebbe ritrovato davanti a tutta la famiglia di Amy in lacrime. Non che non volesse conoscere la sua famiglia, ma diciamo che non erano le circostanze migliori. Sarebbe stato ricordato da tutti come: “Il ragazzo che accompagnò Amy al funerale della madre”. Ma non poteva farci niente. Voleva bene a Amy, anzi, le piaceva. Ed in quel momento, aveva bisogno di lui più che mai.

Dopo circa dieci minuti, Amy uscì dal bagno con i capelli avvolti in un turbante e con indosso solo della biancheria intima bianca. Andò in camera sua, e Kay la seguì. Appena la vide, arricciò le labbra e fece un fischio. - Sexy!

- Non definirei della semplice biancheria bianca, senza neanche un cuoricino sopra, “sexy”, sinceramente. Ma pensala come vuoi. - gli rispose a tono lei.

- Hei, lasciami assaporare questo momento. È da più di un mese che non vedo una ragazza in biancheria.

- Ah, si? - Amy aprì l'armadio e ci guardò dentro. - Intendi dire che a casa avevi delle ragazze che si spogliavano per te o che avevi un computer?

- Ah-ah. - rise sarcasticamente Kay. - No. In nessuno dei due casi. È così difficile credere realmente che io possa interessare alle ragazze? Insomma, dopo tutto, anche tu ti sei invaghita di me.

- Ehi, ehi. - lo bloccò subito Amy. - Ci siamo solo baciati una volta, non vuol dire che siamo un coppia!

- Si, si, ho capito. Però... - Kay si avvicinò ad Amy, avvolgendo con le braccia il suo bacino. - Voglio sentirti dire che ti piaccio. Non me l'hai ancora detto, dopotutto.

Amy stette in silenzio per qualche secondo, accarezzando le mani di Kay. - Ok, lo ammetto. Mi piaci.

Kay sorrise. - Che stai facendo? Cerchi dei vestiti? - cambiò argomento lui.

- Si. Il problema è che ho pochissimi abiti neri, ed obbligatoriamente ad un funerale ci si dovrebbe vestire di nero. - rispose lei.

- Se ti può aiutare, posso scegliere io tra i pochi vestiti che hai, e se manca qualcosa, prenderò quel qualcosa dal mio armadio, dove praticamente ho solo abiti neri.

- Tu? Aiutarmi?

- Che c'è? Non ti fidi? Io mi vesto sempre bene.

- Non è che tu non vesta bene, è che ho paura che mi faresti vestire da cameriera francese sexy.

- Hai davvero un vestito del genere?

- Kay! - lo rimproverò Amy, ma nel suo viso si poteva scorgere un sorriso.

- Ok, ok. Fammi vedere un po' cosa c'è qui...

 

Anche per Summer la Domenica era un giorno per rilassarsi un po' e per riorganizzare i programmi della squadra. Si era seduta su una panchina in giardino, vicino ad Ashley. Lui non aveva obiettato quando lei si era seduta, e neanche quando lei cominciò a parlargli.

- Buongiorno. - disse lei, con il suo solito tono senza emozione.

- Ciao. - rispose Ashley, ma il suo tono era annoiato, stanco.

- Mi hanno informata che lei è il nuovo presidente del consiglio studentesco. Congratulazioni.

- Più che “nuovo” dire più “primo”. L'accademia è nuova di zecca e non c'era mai stato nessun altro presidente del consiglio studentesco.

- Si. Confermo. Scusi l'errore.

- Figurati, non c'è bisogno che ti scusi. - Ashley sorrise per un attimo, poi, però, tornò serio, quasi preoccupato. Aveva risposto di riflesso, come sempre faceva il suo animo dolce e sensibile, ma... perché si dovrebbe scusare con una macchina?

In quel momento, Ashley guardò Summer negli occhi. E ci fu qualcosa che attirò subito la sua attenzione: nell'occhio sinistro di Summer, si era formato un sottile strato di verde nell'angolo dell'occhio rosso. Sarà solo il riflesso del sole. Pensò Ashley, e si strofinò con forza gli occhi. Quando ritornò a guardare quelli di Summer, erano tornati tutti completamente rossi. Si, sarà stato un riflesso.

- Devo andare. - fece poi lui, alzandosi dalla panchina. - Tra poco ho la prima riunione del consiglio studentesco, dobbiamo organizzare un ballo scolastico.

- Lo so. - rispose Summer. - Buona giornata, Ashley.

- Buona giornata anche a te! - rispose di nuovo per riflesso Ashley, pentendosene subito dopo. Stava forse diventando più dolce con... una macchina? Non era da lui.

 

- Non sono d'accordo. Mi prenderanno per una sgualdrina. Non posso andare al funerale di mia madre conciata così. - disse Amy, guardandosi allo specchio.

- Per la trecentesima volta... non è vero! La smetti di essere così ansiosa? - ribadì Kay. - Non si nota che quella maglietta è mia.

- Si, invece! Guarda! - Amy prese i lati della maglietta e li tirò. - È troppo larga!

- No, non lo è. Stai solo cercando una scusa per non andare al funerale.

- Non è vero! È solo che se qualcuno si accorge che questa maglietta non è mia ma, anzi, che è tua, penseranno... che ho passato la notte con te.

- Ma è così.

- Sai cosa intendo. - Amy sospirò.

- E cosa ci sarebbe di male?

- Si, certo. Già mi immagino la scena: “Hei, ciao papà, ti presento Kay, quella persona che ha rubato la mia verginità. Già, mi consolo così per la morte di mia madre.”. Non mi sembra una grande idea.

Kay ridacchiò alla battuta. - Perché, sei vergine?

- Si. Cioè, no. Non è questo... Ma mio padre non lo deve sapere. Se glielo dicessi penso che mi costringerebbe alla cintura di castità fino al matrimonio. Ah, e ovviamente ucciderebbe il ragazzo che mi ha... “profanata”, come direbbe lui. - Amy si lasciò sfuggire un sorriso, ma poi quel sorriso divenne triste.

- A cosa pensi?

- A mia madre. È vero, è da quando avevo sette anni che non è più la stessa e mi sono convinta che quella donna non sarebbe più stata mia madre ma... se chiudo gli occhi e penso a lei... rivedo la mamma che era dieci anni fa: affettuosa, premurosa, gentile, intelligente... mi manca.

- Ehi. - Kay accarezzò la schiena di Amy. - Tua madre era malata.

- Sai come l'ho scoperto? - fece Amy dopo una brave pausa. - A sette anni sono entrata in camera sua e lei non mi ha voluto vedere. Mi ha urlato di andarmene ed ha farneticato qualcosa sul fatto che non ero sua figlia, che mio padre l'aveva tradita. Che mi odiava. Ho provato ad avvicinarmi a lei perché sapevo che non si sentiva bene in quel momento e lei mi ha dato uno schiaffo. Mia madre non mi aveva mai picchiata prima. Ed è stato quello schiaffo a farmi capire che quella donna non era mia madre. E poi, alla prima visita, il medico diagnosticò un disturbo illusorio.

- Smettila di parlarne, Amy. Non ti fa bene.

- Lei credeva in ciò che non era reale, Kay! Lei è morta pensando di odiarmi! Di odiare me e mio padre! - la voce di Amy tremava, ma non stava piangendo.

Kay prese velocemente il viso di Amy tra le mani e la baciò. Fu un bacio lungo, intenso, ingarbugliato in troppi sentimenti per una sola persona. Quando Kay si staccò, continuò ad accarezzarle le guance con i pollici.

- Adesso andiamo. - disse Kay. Amy annuì.

- Grazie. - disse Amy con un sorriso.

- Ti dovevo un bacio, no?

- Si. - Amy ridacchiò. - Andiamo, su! La limousine ci aspetta.

- Limousine? - chiese Kay, stupito.

- Pensavi davvero di andare ad un funerale in cui è coinvolto anche il sindaco e viaggiare in pullman? Davvero?

- Beh, io... - Kay si strofinò la nuca con una mano. - Non ho mai partecipato ad un evento di tale importanza. Ci saranno... giornalisti?

- Si. - fece Amy. - Ma non preoccuparti. So come trattare con loro. Tu seguimi e basta. Non ti staccare mai dal mio fianco.

Kay sorrise. - Non lo farò.

 

Ancora non riusciva a crederci. Lui, Ashley, presidente del consiglio studentesco. Ne sarebbe stato all'altezza? Non era mai stato un leader, il capo di un gruppo. Però gli piaceva l'idea.

L'aula del consiglio studentesco era la stessa sala in cui i professori si riunivano. Al centro di questa, c'era un lunghissimo tavolo con disposte attorno almeno venti sedie, nella parete in fondo c'era un camino spento con affianco un paio di piante.

Al tavolo erano già seduti nove studenti. Temendo di essere in ritardo, Ashley accennò uno sguardo all'orologio sopra il camino. Ma non era in ritardo.

Tutti lo guardarono in silenzio, finché una ragazza si alzò in piedi.

- Ciao. - lo salutò sistemandosi la minigonna nera in pizzo, che si intonava a meraviglia con la maglietta azzurra.

- S-salve... - azzardò Ashley, ed avanzò fino ad arrivare al lavoro, alla sedia a capotavola che probabilmente avevano lasciato libera per lui.

- Mi chiamo Sky. - continuò lei, seduta affianco ad Ashley. - E sarò il tuo braccio destro. - Sky accennò un sorriso cortese.

- Mi trovo alla seconda alunna più talentuosa della scuola? - scherzò Ashley cercando di rompere il ghiaccio, ma nessuno rise, neanche Sky che, però, lo trasse in salvo dall'imbarazzo di quel momento.

- Per poco. - rispose lei. - Stai attento, potrei rubarti il posto quando meno te lo aspetti. - Sky fece l'occhiolino ad Ashley da dietro gli occhiali, poi rise, e gli altri insieme a lei.

Ashley sembrò comporre con le labbra la parola: “Grazie”, poi si sedette.

Così, alla destra di Ashley c'era Sky, mentre alla sinistra un ragazzo coi capelli castani e gli occhi verdi, vestito con una maglietta nera e dei pantaloni verde militare.

- Sono Eric. - disse lui. Ed a seguito si presentarono tutti gli altri: Greta, Andres, Yuri, Marcus, Naomi, Liz e Chris.

- Bene, ora che tutti ci siamo presentati tutti, possiamo passare alle cose serie. - esordì Ashley, cercava di atteggiarsi a capo, e ci stava riuscendo abbastanza bene, ma in fondo sentiva un profondo imbarazzo. - Il preside ci ha incaricato di organizzare un ballo per il fine estate entro tre settimane. Tutto ciò che mi ha detto è che dovrà essere un evento molto colorato e vivace.

- A me ha consegnato una busta, oggi. - fece Sky, frugando nella sua borsa e tirandone fuori una busta color arcobaleno. - Ma non l'ho ancora aperta. - la ragazza passò la lettera ad Ashley, che l'aprì.

- Carissimi alunni del comitato studentesco. - lesse. - Volevo solo augurarvi buona fortuna per il vostro percorso in questo progetto. Tutto qui. Nient'altro. Ah! Di seguito troverete un assegno con il budget che vi è permesso utilizzare. Sbizzarritevi! Non avanzate neanche un centesimo! - Ashley rimase abbastanza deluso da quel poco che c'era scritto nella lettera ma, d'altro canto, cosa si poteva aspettare da una lettera color arcobaleno fuori e con motivo di unicorni dentro?

Mise da parte il foglio e tirò fuori dalla busta l'assegno, che si scoprì essere color rosa.

- C-che cosa?! - esclamò Ashley, stupito, dopo aver letto da cifra. Tutti si incuriosirono.

Eric prese l'assegno dalle mani di Ashley e lesse la cifra. Ed ebbe la medesima reazione. - D-diecimila dollari?!

 

Arrivati davanti alla chiesa, Kay e Amy esitarono prima di uscire dalla limousine.

Amy sospirò – Pronto? - chiese, preparando la mano sulla maniglia della portiera.

- Si. - rispose Kay.

- Ricorda: non lasciare dichiarazioni e non smettere mai di camminare finché non arriviamo alla chiesa. Sei la novità, ora. Se ti fermi non ti lasceranno mai un attimo in pace.

- Me l'hai già detto almeno venti volte! Ho capito! Prova a tranquillizzarti.

- Volevo solo esserne sicura, sono tranquillissima. - Amy sospirò di nuovo. - Andiamo.

Amy aprì la portiera della limousine e subito fu travolta da centinaia di flash e di microfoni. Giornalisti... pensò con una punta di disprezzo: li aveva sempre odiati.

“Come si sente per la morte di sua madre?” “È vero che sua madre era una malata mentale?” “Come ha saputo della morte della madre?” “Dov'è stata per tutto questo tempo?” queste erano le principali domande che sentì Amy appena uscita. Poi, quando anche Kay entrò nel campo visivo dei giornalisti, a quelle domande si aggiunsero anche: “Chi è quel ragazzo?” “Signore, ci può dire qual è il suo rapporto con la figlia del sindaco?” e simili.

Ma i due ragazzi non lasciarono nessuna dichiarazione e filarono veloci in chiesa, dove i giornalisti non potevano entrare. Kay tirò un sospiro di sollievo una volta entrato. Ma scoprì che presto non ci sarebbe stato nessun sollievo.

Un uomo poco più alto di lui, muscoloso, massiccio, vestito con un abito elegante nero era andato ad abbracciare Amy.

- Piccola mia... - disse lui piano.

- Ciao, papà. - rispose Amy.

Kay s'irrigidì di colpo quando il padre di Amy, il sindaco, lo guardò.

- Lui chi è? - chiese il sindaco ad Amy.

- Un mio amico, papà. Anzi, il mio compagno di squadra, a scuola. Mi ha accompagnato qui per farmi un favore. - rispose lei.

- Solo un amico?

- Solo un amico.

- Piacere, signore. - Kay gli tese la mano. - Mi chiamo Kay.

Il sindaco non si mosse, guardando dall'alto in basso il ragazzo. - Si, capisco. - rispose, senza neanche stringergli la mano. Poi si girò ed andò a parlare con un gruppo di persone pochi metri più in là. Kay rimase basito.

- Non prendertela... lui fa così con tutti i ragazzi che abbiano un rapporto con me.

- Gabe! Ragazzo mio! - si sentì rimbombare in tutta la chiesa.

Tutti si girarono a guardare. Il sindaco stava stringendo un ragazzo giovane dai capelli castani.

- Con tutti, eh? - ironizzò Kay.

Amy alzò gli occhi al cielo e sospirò. - Tutti tranne lui.

Il ragazzo, liberatosi dal saldo abbraccio del sindaco, si stava avvicinando ai ragazzi.

- Ciao, Gabe. - lo salutò Amy con un sorriso triste. - Grazie per essere qui.

- Era il minimo. - Gabe abbracciò Amy, stringendola forte. - Tu come stai, tesoro?

Tesoro?! Pensò Kay. E questo qui chi cavolo è?

- Meglio. - rispose lei.

Kay si schiarì la voce, ed i due ragazzi si staccarono l'uno dall'altra.

- Ah, giusto. - fece Amy. - Gabe, lui è Kay. Kay, lui è Gabe.

- Piacere. - fece Gabe, stringendo la mano di Kay.

- Tuo fratello? - chiese Kay ad Amy.

- No... - cominciò lei.

In seguito, fu come una pugnalata allo stomaco. Come nei film. Sul momento, il protagonista non si accorge che l'abbiano pugnalato, poi abbassa lo sguardo, ed è solo in quel momento, quando vede il pugnale, che la ferita comincia davvero a sanguinare ed a fare male.

Per lui, quelle parole fecero il medesimo effetto. Le parole: “È il mio fidanzato”.

- Ah. - fece lui sul momento, quasi scioccato. Poi guardò Amy, ma lei non lo guardava. - Complimenti.

- Ehm... Grazie. - rispose Gabe. - Tu? Sei un suo amico?

- Si... solo un amico. - rispose, sentendo un sapore amaro in bocca.

- Oh, ci sono i miei. Vado un attimo a parlarci. - Gabe diede un bacio sulla guancia ad Amy. - È stato un piacere, Kay. - poi si dileguò velocemente.

Ci fu una lunga pausa di silenzio.

- Kay... - cercò di dire lei, ma lui la interruppe.

- No. Non... non dire niente.

- Ma, Kay... lasciami spiegare!

- No! Potevi almeno dirmelo prima!

- Prima di cosa, Kay? Il nostro non è stato un rapporto programmato. Non me lo aspettavo, ed ero triste, confusa e sola... avevo bisogno di qualcuno al mio fianco.

- Certo, e non hai mai pensato neanche ad accennarmi che fossi fidanzata?! - Kay avrebbe voluto urlare, ma sapeva che se lo avesse fatto, si sarebbe sentito per tutta la chiesa, quindi si tratteneva e sussurrava arrabbiato.

- Dio! Ne fai una cosa così seria! Ci siamo solo baciati un paio di volte! Era per divertirsi! Per svago!

- Si, certo. Forse per te!

Detto questo, Kay aprì la porta della chiesa e, rapido, se ne andò.

 

Anta si sentiva un po' dispiaciuta ed offesa. Si era svegliata presto per vestirsi in modo carino solo per Amyas. Ma lui sembrava non accorgersene.

Era ormai calata la sera e per terminare l'uscita al luna park, Amyas aveva proposto di salire sulla ruota panoramica, e lei non aveva obiettato.

- Vuoi? - le chiese Amyas, mostrandole una Fry. - Posso tentati?

- Di nuovo? - rispose Anta quasi ridendo. - Ne avrò mangiate almeno cinque oggi!

- È che ti vedo un po' giù di morale... quindi, voglio offrirti questa sesta Fry. È più forte delle altre, ti farà sentire ancora meglio del solito.

Anta provò a resistere a quella deliziosa pallina, ma non ci riuscì: prese dalle mani del ragazzo la Fry e la mangiò in due bocconi. Ormai ne era diventata totalmente dipendente, non riusciva a stare un giorno solo senza mangiarne almeno una.

Era vero, però, quella Fry era diversa. Diede un diverso effetto rispetto alle altre. La faceva sentire meglio, più leggera e più vivace ma allo stesso tempo... strana.

- Super buona! - esordì Anta, forse un po' troppo sorridente per quella situazione.

Poi, d'improvviso, la giostra si fermò.

- Problema tecnico? - ipotizzò Amyas. Anta fece spallucce e si sdraiò sulla panca della cabina, osservando il tramonto dal tettuccio panoramico.

Tese una mano verso l'alto – Luccica! - esclamò ridendo. Poi smise di ridere. - Vorrei andarci, in cielo. All'inizio di tutto. - lasciò cadere il braccio sullo stomaco. - Quando i miei genitori sono morti... volevo andarmene anch'io, per rivederli di nuovo e stare con loro in paradiso per sempre. Ma il fatto che Donny, mio fratello, sia ancora vivo... non mi ha mai permesso di compiere davvero il suicidio, perché altrimenti l'avrei lasciato solo. E...

- Smettila. - la interruppe secco Amyas. Anta girò la testa verso di lui, che si era già alzato per poi risedersi vicino a lei. - Non voglio che dei discorsi deprimenti sulla tua vita passata rovinino il nostro primo appuntamento, okay?

Anta lo guardò per qualche secondo - Ok. - sussurrò alla fine, poi tornò a guardare seria il cielo.

- E sorridi! Avanti! - Amyas cominciò a farle il solletico sui fianchi per cercare di farla ridere, e funzionò.

Lei per riflesso si era piegata in due ridendo, ma quel movimento le aveva fatto perdere l'equilibrio, facendola cadere a terra e trascinando giù con lei anche Amyas.

La cabina dondolò prima a destra poi a sinistra. Ad occhi chiusi per la testata al pavimento, Anta sussultò: non le piaceva l'idea di stare sospesa a cinquanta metri da terra in una cabina instabile. Per lo spavento, si aggrappò alla prima cosa che le sue mani trovarono: i fianchi di Amyas.

E solo in quel momento si rese conto in che situazione si trovava.

Le sue guance andarono in fiamme, ma le mani rimasero fisse sul bacino di Amyas: non ci pensava neanche un secondo a lasciarlo andare.

Sdraiati uno sopra l'altra in uno spazio ristretto, il sentimento si fece più intenso. Amyas spostò dolcemente una ciocca di capelli dalla fronte di Anta e sorrise.

- Sei bellissima. - le disse quasi come un sussurro.

Finalmente era arrivato. Il complimento che Anta cercava da quella mattina. Quello fu il punto di rottura. Anta non resistette oltre.

Fece scivolare le mani dai fianchi di Amyas fino al suo petto, e lì si fermò. Era caldo. E sotto la maglietta riusciva a sentire il suo cuore battere. Batteva per lei, ne era sicura. Esitò un attimo, solo un attimo. Poi prese il collo della maglietta di Amyas e lo attrasse a se, costringendo il ragazzo a reggersi sui gomiti. Giocarono di sguardi, a meno di tre centimetri di distanza l'uno dal viso dell'altra. Vicinissimi. Anta riusciva a sentire ogni singolo respiro di Amyas sulla sua pelle, sentiva il suo cuore battere, il ventre di lui contro il suo.

Sentiva lui. E le piaceva.

Alla fine, fu Amyas a fare il primo passo. Si sporse giusto poco di più verso di lei e la baciò.

   
 
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