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Autore: LilyLunaWhite    02/11/2014    1 recensioni
Due ragazzi apparentemente diversi, ma con un lato in comune: entrambi, indossano una maschera.
Due famiglie diverse.
L'odio di entrambi verso l'amore.
Però, cosa accadrebbe se i loro cuori cominciassero a battere?
Riusciranno, i due protagonisti, a imparare ad amare?
-Dalla storia.-
"Come ogni volta, quando incontravo il suo sguardo, notavo che erano privi di luce, spenti e questo mi metteva addosso un’inspiegabile tristezza.
Agii d’impulso, mi chinai e posai le mie labbra sulle sue. Constatai che erano fredde ma, allo stesso tempo, dolci.
Fu a quel contatto che riuscii a rispondere alla maggior parte delle mie domande.
"
Storia in fase di modifiche e sistemazioni.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Titolo Storia: I'm in love now.
Titolo Capitolo: 14Where’d you go?.
Autrice: Lily Luna White
Beta: Lucia




Capitolo quattordici: Where’d you go?
 
P.O.V. Raffaele
 
Hey there now
Where’d you go?
You left me here so unexpected
You changed my life
I hope you know
cause now I’m lost
So unprotected. 1

All’improvviso le parole di quella canzone mi tornarono in mente, lasciandomi letteralmente senza fiato.
Mi ero comportato da stupido il giorno precedente, quando l’avevo riaccompagnata a casa. Ero così preso dai miei pensieri che mi stavano schiacciando sempre di più, spingendomi verso l’abisso, verso quell'oscurità dalla quale stavo cercando di tenerla lontana. Però lei doveva aver frainteso, doveva aver pensato che io non la volevo più, che la volevo abbandonare.
Ero stato così stupido ed egoista da aver dimenticato l’estrema fragilità della mia piccola Jenny.
Mai come in quel momento mi ero odiato.
Mai.
«Jenny!!!», urlai, cercando di reprimere la rabbia verso me stesso.
Non la riuscivo a trovare eppure doveva essere lì. Ne ero sicuro, o almeno avevo quel presentimento.
Ero quasi giunto alla fine del parco e non avevo ancora trovato Jenny, quando il cellulare cominciò a vibrare con insistenza tale che, dopo alcune chiamate perse, decisi di rispondere e maledire chiunque mi stava cercando in quel momento.
«Al momento non sono reperibile, quindi vedi di lasciarmi stare.», urlai con rabbia una volta aperta la chiamata.
«Raffaele, vedi di moderare i tuoi toni con me.», mi rispose freddamente il mittente di quella chiamata.
Scheiße2.
«Non avevo visto chi mi stava chiamando.», mormorai teso.
Tra tutte le persone, egli era l’ultimo che volevo sentire in questo momento.
«Dopodomani.», affermò senza scomporsi, per poi terminare la conversazione.
Mi sfuggì un’altra imprecazione ma, dopo aver riacquistato il mio equilibrio, ripresi a cercare Jenny.
Il lavoro poteva attendere.
Ripresi a cercarla e, quando stavo per perdere le speranze e chiamare Walter, riuscii a vederla.
Era stesa su una panchina, gli occhi chiusi e il corpo leggermente coperto dalla neve. Aveva il volto semi coperto dal foulard che le avevo regalato io e quel gesto mi fece sentire peggio. Mi sentivo un mostro.
Le corsi incontro, preoccupato, e la scossi piano, senza tuttavia riuscire a svegliarla. La pelle era gelida e le labbra erano diventate quasi viola, segno che ella era in quella posizione da troppo tempo e stava per avere un’ipotermia. Mi tolsi immediatamente il giubbotto, la avvolsi intorno ad esso e la presi tra le braccia, portandola speditamente nella mia auto. La adagiai sui sedili posteriori dell’auto, stando ben attento a non sballottarla troppo, e non appena entrai in auto accesi l’aria condizionata impostandola sul caldo.
«Walter, riscalda più che puoi la mia stanza del rifugio. Accendi la stufa che usiamo in inverno e prendi una coperta pesante.», sbraitai non appena il mio migliore amico rispose alla mia chiamata e, senza attendere una sua risposta, chiusi il telefono e guidai verso il piccolo appartamento che condividevo con Walter e dove mi rifugiavo con lui ogni qual volta non mi andava di vedere nessuno, nemmeno la mia famiglia.
Superavo di gran lunga il limite di velocità, ma in quel momento avevo solo un pensiero per la testa: portare Jenny in un posto caldo e asciutto.
Non appena arrivai, Walter, che evidentemente mi stava aspettando controllando dalla finestra dell’ingresso, mi aprì la porta e mi aiutò a portare Jenny nella mia camera che, come avevo richiesto, era calda. Adagiai Jenny sul mio letto e cominciai a toglierle sia il mio giubbotto che quello che indossava lei, accorgendomi solo in quel momento della borsa che ella teneva stretta al petto. Gliela sfilai velocemente, poggiandola sul comodino accanto al letto e cominciai a spogliarla per toglierle i vestiti ormai fradici a causa della neve che le si era sciolta addosso. Nel frattempo, Walter, intuendo le mie intenzioni, prese alcuni miei indumenti dall’armadio e me li poggiò sul letto, per poi comunicarmi che andava in cucina a preparare qualcosa di caldo, lasciandomi da solo con lei, gesto di cui gliene fui grato.
La spogliai, lasciandole l’intimo addosso e la rivestii immediatamente con i miei abiti, caldi e asciutti.
Risi debolmente quando un pensiero mi sfiorò la mente. Quando la mia piccola scontrosa sarebbe venuta a conoscenza delle azioni che avevo compiuto qualche minuto prima, ero sicuro che avrebbe aggiunto la voce “molestie” all’elenco dei reati da me compiuti nei suoi confronti.
Con quel pensiero divertente, la coprii con le coperte e mi stesi al suo fianco, abbracciandola forte e cercando di tenerla al caldo anche con il mio corpo.
La guardai e l’ilarità che avevo lasciò spazio alla tristezza. Le scostai con dolcezza i capelli dal suo viso e la guardai. Aveva ripreso un po’ del suo abituale colorito, ma era ancora fredda e immobile, come se fosse morta. Il pensiero che lei non potesse più riaprire gli occhi, mi lasciò senza fiato. Non poteva accadere una cosa simile. Non poteva e non doveva succedere. Non lo avrei permesso. Anche se, a malincuore, dovetti ammettere a me stesso che se Jenny si trovava in quello stato, la colpa la dovevo attribuire solo alla mia persona. Reagendo di impulso, baciai le sue fredde labbra, come se volessi trasmetterle così il mio calore.
«Svegliati piccola… Forza…», sussurrai debolmente, agitato come non lo ero mai stato.
Nemmeno durante il lavoro che facevo ero così ansioso. Avevo imparato a mantenere la calma e ad avere il sangue freddo. Eppure, in quel momento, non ci riuscivo proprio.
Mi odiavo come non mai.
Mi infilai sotto le coperte e la strinsi dolcemente al petto, massaggiandole il corpo, cercando in questo modo di far fluire più velocemente il sangue, in modo tale da poterla riscaldare almeno un po’. Inoltre, cercai di scaldarla con il calore del mio corpo, stringendola ancora di più verso il mio petto, mormorando di continuo il suo nome, come una dolce nenia.
 
P.O.V. Jenny
 
Mi ridestai dal mio sonno improvviso tenendo tuttavia gli occhi chiusi. Non volevo aprirli e poi mi sentivo troppo stordita. Infatti, mi ci vollero un paio di minuti per capire che la panchina dove mi ero stesa improvvisamente era fin troppo calda e comoda e che non stringevo più la mia borsa tra le mani. Cominciai ad agitarmi e aprii immediatamente gli occhi, alzandomi di scatto dal letto in cui ero stata adagiata, gesto che però mi provocò delle fitte alla tempia e che mi lasciarono confusa per qualche secondo. Non appena riuscii a reggermi in piedi, mi alzai dal letto e cominciai a guardarmi intorno. La stanza era semibuia e l’unica fonte di luce proveniva dalla porta leggermente aperta, dietro la quale si sentiva solo una canzone tenuta a volume basso, solo come sottofondo. Prima di uscire da lì, però, vagai con lo sguardo cercando di capire a chi potesse appartenere quella stanza, senza tuttavia riconoscerla. Era arredata in modo semplice ed era pulita ed ordinata. Non riuscivo nemmeno a capire se era di una ragazza o di un ragazzo.
Ragazzo…
Quel pensiero mi colpì con forza e avvertii distrattamente il mio respiro farsi irregolare e spezzato, mentre con le mani vagavo sul mio corpo, cercando di capire se ero stata toccata o meno, notando solo in quel momento gli abiti che indossavo: non erano miei. Erano molto più grandi e indubbiamente maschili. Indossavo una maglia bianca a maniche corte e una felpa grigia con il cappuccio, mentre le gambe erano coperte da un pantalone della tuta di color nero o blu scuro, non riuscivo a vedere bene nella semi oscurità della stanza, arrotolati più volte alla caviglia in modo da far uscire i miei piedi, ai quali calzavo delle calze lunghe e calde, anch’esse non mie. Rapidamente alzai sia la maglia che la felpa, notando che sotto gli indumenti avevo solo l’intimo, segno che chi mi aveva cambiata, mi aveva vista semi nuda e magari si era anche approfittato di me mentre ero incosciente.
Il panico mi assalì nuovamente e mi maledissi mentalmente per non essere tornata a casa ma aver fatto una pazzia come quella di dormire su una panchina.
Mi avvicinai alla finestra, in silenzio, per non attirare l’attenzione di chiunque si trovasse nelle altre stanze di quella casa, e valutai se calarmi o meno dalla finestra. Aveva smesso di nevicare e l’intero paese era coperto di uno spesso strato di quel manto bianco. Mi trovavo al piano terra, quindi ne dedussi che quella doveva essere una casa ad un solo piano, il che mi avrebbe facilitato la fuga. Sarebbe stato così se, mentre cercavo di aprire silenziosamente la finestra, un pensiero non avesse fatto capolino nella mia mente: la mia borsa con il regalo di Raffaele.
Pensare a lui e al suo abbandono mi procurava una fitta di dolore, ma nonostante lui avesse scelto di proseguire la sua vita senza di me, io volevo quel regalo. Lo volevo tenere con me. Non so per quale assurda ragione, ma non volevo lasciarlo in mano di chi mi aveva portata in quella casa.
Dopo un profondo respiro, mi diressi verso la porta e cautamente la aprii.
Mi trovai in un lungo corridoio, in fondo al quale vi si intravedeva una luce. Camminai verso di essa per poi bloccarmi. Quello alla mia destra, era solo uno specchio che rifletteva la luce della stanza che vi si trovava esattamente di fronte. Mi fermai un attimo davanti ad esso e guardai il mio riflesso: ero pallida, lo sguardo ancora leggermente assonnato, i capelli completamente disordinati e gli abiti troppo grandi per il mio esile e minuto corpo.
Scossi leggermente la testa, ricordando quale era il mio obiettivo. Svoltai a sinistra e ripresi a camminare verso la porta dalla quale proveniva sia la luce, sia una canzone tenuta a volume basso. Avanzai con passo malfermo e scostai di poco la porta e quello che vidi mi lasciò senza parole.
Raffaele e Walter stavano giocando a carte in quello che doveva essere il salotto. Erano seduti a terra e giocavano ridendo in silenzio e prendendosi scherzosamente in giro senza far alcun rumore. Evidentemente non volevano svegliarla. La musica proveniva da uno stereo di ultima generazione posizionato accanto ad un televisore a schermo piatto e a diverse console.
Ero senza parole.
Come avevano fatto a trovarmi?
E perché mi avevano portata con loro?
E dove mi trovavo esattamente?
«Che ci faccio qui?», sussurrai non appena varcai la porta, guardandoli con occhi spalancati e tremando leggermente per la paura.
Tutta quella situazione, per me, non aveva senso.
Lui se n’era andato. Mi aveva abbandonata.
O io avevo frainteso?
Mi sentivo così confusa.
Incrociai lo sguardo di lui e osservai attentamente i suoi gesti che vedevo a rallentatore: muovere la mano per poggiare le carte a terra, mettersi in ginocchio e guardarmi con uno sguardo di chi ha intuito i miei pensieri confusi e poi le sue braccia aprirsi come le ali di un angelo.
Il mio angelo.
E non ci pensai due volte a rifugiarmi lì, correndo verso Raffaele e gettandomi tra le sue braccia che prontamente mi afferrarono e mi strinsero a lui.
Si poteva amare una persona in maniera così totalitaria? La si poteva amare nonostante i segreti, le ferite, gli ostacoli e le paure? Non lo sapevo, ma io lo amavo.
Tutto girava intorno a lui. E mai come in quel momento non fui sicura di quanto ormai, in così poco tempo, egli fosse diventato importante.
Ripensai alle parole che gli avevo scritto nel biglietto del suo regalo. Agli inizi ero scettica, ma ora ero sicura di aver scelto le parole più giuste.
Lui era il mio mondo ormai.
 
1 Inizio della canzone dei Simple Plan intitolata “Gone too Soon”.
La traduzione è la seguente:
“Heilà, adesso
Dove sei andata?
Mi hai lasciato qui all’improvviso
Mi hai cambiato la vita
Spero che tu lo sappia
Perché adesso sono smarrito
Così indifeso.”
 
2 Scheiße: parola tedesca che significa “merda”.

~Angolo autrice.~
Dopo vari capitoli, torno a scrivere nel mio piccolo angolino. Volevo farlo perché ci tenevo a ringraziare un paio di persone che mi aiutano a portare avanti questa storia, commentando o semplicemente seguendomi in silenzio.
Vorrei partire subito con il ringraziare una persona, ovvero Alys93 perché sono due anni e mezzo che mi è accanto e mi sostiene in ogni storia che scrivo o in ogni progetto che la mia mente vulcanica progetta. Inoltre la ringrazio perché oltre a trovare il tempo per leggere i capitoli, trova il tempo anche per recensirli e per stare con me su Facebook a discutere di un progetto che stiamo portando aventi assieme. Quindi, mia cara Alys, per ringraziarti ti voglio dedicare questo capitolo. ♥
Continuando con i ringraziamenti, non posso non nominare Alessandro e Amy che nonostante non siano su EFP, mi seguono e mi danno i loro parere su Facebook, dove si divertono a mandarmi messaggi di morte ogni qual volta li lascio con il fiato sospeso, soprattutto dopo il precedente capitolo. Ragazzi, sono sadica lo sapete, però vi voglio bene e vi ringrazio per il tempo che mi dedicate di volta in volta. ♥
Inoltre vorrei ringraziare chi mi segue, chi mi ricorda e chi mi ha messa tra i preferiti, sostenendomi anche in silenzio e in particolare:
- giota123, Ichiro_Takahashi, Marty_0202, che hanno messo la storia tra le preferite;
- Dubhe_DB_RedRubin, che mi ha messo questa storia tra le ricordate;
- 2Sister4E, Alys93, black liberty, Cande_e_Tini, Dubhe_DB_RedRubin, Pipe99, Strawberry Swing, per aver messo, infine, la storia tra le seguite.
Nuovamente grazie a tutti voi. ♥
Infine, ma non meno importante, ringrazio colei che legge in anteprima ogni mia storia, correggendole e dandomi un primo parere della storia. Quindi, mia cara Lucia, grazie mille per il tempo che mi dedichi nonostante i tuoi innumerevoli impegni. ♥
Concludo qui i ringraziamenti e spero continuerete a supportarmi (e sopportarmi), lasciandomi un vostro parere o semplicemente continuando a seguirmi.
Alla prossima. ♥
Lily.
   
 
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