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Autore: Serpentina    03/11/2014    8 recensioni
Dopo quattro anni Faith Irving e Franz Weil hanno preso strade diverse, professionalmente. Il loro amore, al contrario, è più solido che mai, tanto che, sulla scia degli amici che hanno già messo su famiglia, o ci stanno provando, decidono di compiere un grande passo: sperimentare la convivenza. I due piccioncini sono convinti che l'esperienza rafforzerà ulteriormente il rapporto, che, invece, verrà messo a dura prova da un "terremoto" che rischierà di farlo naufragare definitivamente.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Siete curiose di scoprire se l’ultimo arrivato in casa Cartridge è maschio o femmina, e come reagirà Franz alla notizia-bomba del bebè in arrivo? Non vi resta che leggere, ma prima un miliardo di grazie ad abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, che si fermano sempre a lasciarmi un commento. :-*
Raccomandazione per le più sensibili: fazzoletti a portata di mano!
 
Breaking point
 
Un po’ di sincerità è pericolosa, molta è assolutamente fatale.
Oscar Wilde
 
Ben non riusciva a star fermo, pervaso com’era dalla frenesia tipica di chi non aspetta altro che di tenere in braccio il proprio figlio. Neppure l’azione combinata di sua madre e suo fratello - che esibiva un’espressione funerea decisamente inadatta al lieto evento - era riuscita a calmarlo.
Forse stava esagerando; dopotutto non era il primo, aveva già un po’ di esperienza, ma le condizioni erano completamente diverse: Kaori era nata con parto naturale, stavolta la sua Abby era stata sottoposta a un cesareo… si trattava pur sempre di un intervento chirurgico, era normale che avesse i nervi a fior di pelle.
Alla disperata ricerca di un pretesto per sfogarsi, se la prese con Brian.
–Ti pare la faccia giusta per l’occasione? Sta per venire al mondo tuo nipote, non l’armata degli inferi!
–Scusa- gracidò l’altro con voce arrochita da troppe sigarette, abbassando lo sguardo al pavimento. –Ho avuto una giornataccia. Comunque, non vedo l’ora che nasca… così la smetterai di camminare avanti e indietro, è snervante!
–Insensibile! Non capisci quanto l’attesa mi faccia soffrire!- gnaulò Ben, quindi prese il telefono cellulare per chiamare suo padre e chiedere notizie di Kaori. Non appena aveva appreso da Faith che Abigail stava per partorire era corso dai suoi genitori; sua madre aveva deciso di accompagnarlo in ospedale, lasciando la bambina col nonno. Ben gli aveva raccomandato di farla cenare e metterla a letto, perché il giorno seguente aveva scuola, ma James Cartridge aveva il cuore tenero, meglio controllare che non si fosse fatto assoggettare dalla scaltra nipotina.
–Lo capisco perfettamente, invece- replicò Brian, strappandogli di mano il telefono. –E, per l’amor del cielo, non assillare papà: è sopravvissuto a un infarto, se gli telefoni ogni cinque minuti gliene farai avere un altro!
–Anche tu non scherzi, quanto a nervosismo. Si può sapere che succede?
–C’entra qualcosa quella grandissima… Crystal?- chiese Heather, che non si vergognava di dichiarare il proprio astio nei confronti della donna.
–Ahimè, sì- confessò Brian, omettendo alcuni particolari per non mettere ulteriormente in agitazione i suoi familiari. –Ero con lei quando ho ricevuto il messaggio che Abby era in ospedale. Vuole conoscere AJ.
–Mai!- ruggì Heather. –Dovrà passare sul mio cadavere!
–Non esagerare, ma’- esalò stancamente Ben. –Possiamo detestare l’idea, ma non cambierà i fatti: Crystal Ryan è la madre di AJ, perciò ha il diritto di vederlo.
–Ha perso ogni diritto quando l’ha abbandonato- ribatté Heather. –Mio nipote non può venire in contatto con quella lì!
–Mamma sta scadendo nel melodramma- asserì Ben, guadagnandosi un’occhiataccia di Heather, ma non ci badò: era abituato ai teatrali eccessi emotivi di sua madre. –Però non ha tutti i torti. Non credo al suo presunto ravvedimento: non le interessa suo figlio, le interessano i soldi, appena li avrà avuti sparirà di nuovo; non puoi rischiare che AJ perda sua madre due volte, sarebbe un trauma enorme per un bambino della sua età! Di qualunque età, in effetti.
–Lo so! Ma se non la accontento, rischio che si avvicini a lui comunque e gli dica che le ho cercato di allontanarla da suo figlio. AJ non me lo perdonerebbe mai! Sono in un vicolo cieco!- piagnucolò Brian, prendendosi la testa tra le mani. L’arrivo del medico interruppe la discussione; alla notizia che l’intervento era terminato senza complicazioni di sorta, Heather eruppe in esclamazioni di gioia miste a lacrime, Ben emise un sospiro di sollievo e Brian rivolse al fratello un gran sorriso e aggiunse, allegro –Bando alla tristezza, adesso: è il tuo momento. Pronto a un incontro ravvicinato con la tua progenie, paparino?
 
***
 
Franz si stupì nel non trovare Faith accanto a sé: in genere la pigrona della coppia era lei, a lui toccava l’ingrato compito di tirarla a forza giù dal letto per impedirle di tardare al lavoro, o di poltrire fino a ora di pranzo.
Tuttavia, decise di non dar peso alla cosa: probabilmente il suo sonno agitato doveva averla indotta a cercare tranquillità altrove. Stiracchiò le membra, ancora intorpidite da una notte tormentata all’insegna di strani sogni (per lui) terrificanti a base di culle, biberon e pannolini, e scrocchiò il collo e le dita delle mani, ancora scosso per l’ultimo incubo, il più vivido, nel quale gli era parso di sentire la voce di Faith che gli diceva: “Sono incinta”.
“Ora capisco perché raccomandano di non andare a dormire a pancia piena: si dorme uno schifo!”
Dopo essersi preparato di tutto punto, raggiunse Faith in cucina, dov’era intenta a preparare la colazione per loro due e le quattro piccole canaglie che avevano ospitato per la notte.
–Buongiorno- lo salutò con un bacio e una beneaugurante palpatina al suo didietro (c’era un motivo se Bridget e Demon l’avevano dichiarato patrimonio dell’umanità). –Ti spiacerebbe svegliare i marmocchi?
–Molto, e lo sai- rispose lui, acido. –Perché non li svegli tu?
–E’ la giusta punizione per esserti dimenato per tutta la notte, impedendomi di dormire. Sembrava fossi preda della febbre del sabato sera, anticipata al martedì- lo rimbeccò lei. –Avanti, su, muoviti, basta che entri nella stanza, apri le tende e urli: “Giù dalle brande”!
Franz sgranò gli occhi, allibito.
–Sei impazzita, per caso?
–Mia madre mi svegliava così- si giustificò la Irving, scrollando le spalle.
–Questo spiega molte cose- ridacchiò Weil, per poi correre nella sala svago, improvvisata stanza degli ospiti, incentivato dalla padella che gli aveva tirato dietro la sua dolce metà.
Una volta svegliati i bambini - Hans, dieci anni, Wilhelm e Aidan James, cinque, ed Ernst, due - nel modo più dolce e, allo stesso tempo, deciso possibile, Franz poté finalmente mettersi a tavola e cominciare bene la giornata con una lauta colazione. Certo, l’aveva infastidito parecchio dover rinunciare alle ciambelle, che sparivano puntualmente dal suo piatto ad opera di Hans e Aidan, ma si era rifatto ampiamente con del pane e l’eccellente marmellata di nonna Mary.
Per poco non ruggì come il leone della Metro Goldwin Mayer, quando udì il trillo del campanello e Faith gli ordinò di andare ad aprire. Raggiunse la porta ringhiando, e si trattenne dal mandare a quel paese il disturbatore semplicemente perché sorpreso si trattasse di Ben, non di Brian o Alexander.
–Ciao. Non vorrei apparire maleducato, ma…
–Ahinoi, troppo spesso, oggigiorno, lo siamo, anche senza volerlo- concluse per lui Ben. Franz strinse le labbra fino a farle impallidire: non sopportava di essere interrotto. –Sono venuto a prendere AJ e ridare questo a Faith: l’ha scordato in ospedale.
–O-Ospedale? Faith! Che significa? Stai bene? Perché hai chiamato questo qui e non me?
–Franz, rilassati, non ero in ospedale in veste di paziente- lo tranquillizzò Faith, accorsa dalla cucina. –Scusami, nella, ehm, concitazione di ieri sera non te l’ho detto: Abby ha partorito. Sono rimasta con lei fino all’arrivo di Ben.
–Esatto- confermò l’interessato. –Sai che non ti facevo tanto apprensivo, Weil?
–Tu non lo sei con Abby? Allora taci.
–A proposito di Ab… come sta? Si è ripresa dal cesareo?
–E’ provata, ma credo sia normale. Per il resto sta benissimo, l’ho lasciata che allattava- rispose il neo-papà con gli occhi che brillavano.
Franz storse il naso, ma fece lo sforzo di mostrarsi cortese e fingere interesse.
–Devo congratularmi per un maschietto o una femminuccia?
–Entrambi- rispose Ben.
Franz, ancora stordito, in attesa che la caffeina ingerita facesse effetto, esclamò –E’ un ermafrodita?
–Sono gemelli, pezzo di cretino! Non l’abbiamo detto a nessuno, escluse le nostre madri, per goderci le facce sconvolte di tutti. Uno scherzetto innocente.
–Direi che, almeno con me, ha funzionato- esalò Franz, e dopo qualche convenevole - e l’informazione che quell’anno la festa di Halloween a casa Cartridge, prevista per il giorno seguente, non avrebbe avuto luogo, dato che la padrona di casa necessitava di riposo e tranquillità - Ben e Aidan se ne andarono. Poco dopo arrivò una trafelata Serle a prelevare gli altri tre pargoli, lasciando finalmente sola la coppietta, che tirò un sospiro di sollievo e, tra le risatine, si scambiò un bacio.
Per interrompere il torrente di bofonchi di Faith, che borbottava qualcosa sull’obbligo di recarsi a far visitare ad Abigail e sul fatto che avrebbe dovuto comprare due regali, invece di uno, Franz ridacchiò –Forse ho doti paranormali: stanotte mi sono agitato perché i miei sogni erano tutti a tema bebè.
La Irving rispose ironica –Accidenti! Tu sì che possiedi la Vista!
–Non ridere! Per me è stato spaventoso!- gnaulò Franz, tentando di persuaderla a coccolarlo usando i suoi “occhioni cucciolosi”.
–Per me è stato come combattere un incontro di lotta libera: scalciavi, mulinavi le braccia… sicuro di aver sognato solo pannolini?
–Beh… no. C’eri anche tu.
–Ah, sì? Cosa facevo? Cosacce vietatissime ai minori con la mia faccia sul corpo di un Angelo di Victoria’s Secret?
Franz scosse la testa ed esclamò, rosso in viso –No! A dire il vero, non ti ho vista… ho sentito la tua voce: mi dicevi di essere incinta. Fortuna che è stato solo un sogno!
Faith, estremamente a disagio, balbettò –Ehm… tesoro... e-ecco.. v-vedi... i-il t-tuo.. n-non era un, ehm,  sogno...
–Infatti: era un incubo! Sai quanto detesto i poppanti!
–Sì, lo so, ma… il fatto è… che.. non era un incubo. Sono davvero incinta.
Weil impiegò diversi minuti per registrare l'informazione, poi, quando finalmente la ebbe elaborata, sorprese Faith col suo comportamento: invece di sbraitare, come previsto, impallidì, si alzò, prese la borsa da lavoro e, impassibile (“Espressivo come una rapa”, pensò Faith) aprì la porta d’ingresso senza proferire parola.
–Franz!- gridò lei, disperata. –Franz, ti prego, di’ qualcosa!
Lui si voltò e rispose sarcastico, prima di chiudersi alle spalle la porta –Qualcosa.
 
***
 
Mentre percorreva con la punta del dito il profilo della mandibola dell’uomo beatamente addormentato accanto a lei, Connie ripensava alla notte appena trascorsa e a quanto fosse stato facile fargli accettare il suo intricato rapporto con Keith: a parte il fisiologico sbigottimento, seguito da un momentaneo e inspiegabile moto di tristezza, Kyle non aveva fatto una piega.
All’improvviso, quasi avesse intuito di essere oggetto dei suoi pensieri, Kyle si svegliò, le baciò una spalla e biascicò –Buongiorno. Che ore sono?
–Tranquillo, è presto. Abbiamo tempo per una doccia… ti va di insaponarmi?- gli propose, sconcertata dalla sua sfacciataggine: non si sarebbe mai sognata di fare una simile proposta indecente a Keith; nella migliore delle ipotesi, le avrebbe posato un bacio delicato sulle labbra e risposto che si era già lavato e aveva preparato la colazione, nella peggiore… avrebbe boccheggiato, scandalizzato dalla malizia della sua Ciambellina glassata di rosa.
“E’ questo il suo problema: è troppo buono e servizievole! Non dico debba sbattermi al muro e chiamarmi troia quando lo facciamo, ma neppure trattarmi come una statuina di porcellana! Maledetto lui… e maledetta io: ho qui un UOMO che sprizza sesso da tutti i pori, e penso a Keith? Sveglia, Connie!”
–Ehi, dolcezza, sei ancora tra noi?
–Eh? Oh, ehm, scusa, stavo pensando- “Al mio finto fidanzato, hai presente? Quello che ci ha rovinato il week-end a Edimburgo e il giorno del mio compleanno mi ha fatto recapitare venticinque rose rosse, una per ogni anno compiuto. Un gesto così dolce… no, non è dolce, è melenso, e lui è off limits: sta con quella Hailey, adesso.” –A stanotte.
–Ah, sì… stanotte- sospirò Kyle, accarezzandosi gli addominali (che, a detta della quasi totalità del genere femminile, parlavano, cantavano e facevano magie), dopodiché si alzò e andò in bagno, seguito da Connie, che si spogliò dell’intimo ed entrò nella doccia. –Stupendo, eccezionale, paradisiaco… neanche tu sei stata male!
–Ah, però: modesto!- ridacchiò la Bishop, prima di trascinarlo sotto il getto d’acqua.
–Ti sconvolgerà scoprirlo, ma per me la modestia non è una virtù- le sussurrò all’orecchio mentre spandeva il sapone su schiena e fondoschiena (indugiando su quest’ultimo). –Che gusto c’è a sminuirsi?
–Che gusto c’è a pavoneggiarsi?- argomentò lei. Peccato che la sua affermazione venisse screditata dalle movenze sensuali in cui si stava cimentando, nonostante lo spazio ristretto.
–Ti faccio vedere io che gusto c’è- mormorò Kyle, ma l’idillio a luci rosse si interruppe sul nascere perché il cellulare di Connie prese a squillare e la ragazza, temendo che la stesse chiamando Keith, si affrettò ad andare a rispondere, scivolando due volte lungo la breve distanza che separava il bagno dalla camera da letto.
–Pronto, Keith?
–Keith? No, Ciambellina: è vero che ho poche tette, ma mi manca ancora qualcosa per diventare maschio!- esclamò all’altro capo una voce femminile.
–Nicky! Oddio, scusami! Nella fretta di rispondere non ho visto il nome di chi stava telefonando. E’ successo qualcosa?
–Volevo avvertirti, Ciambellina: malauguratamente, Adam mi ha avvistata ieri, insieme ai miei fratelli; dato che non sa tenere la lingua a posto- “Specialmente se deve ficcarla nelle bocche altrui”, pensò, ricordandosi del bacio ­–L’ha detto a Keith, quindi… la copertura è saltata. Inventa scuse plausibili che non mi coinvolgano, non potrai più usarmi come jolly.
–Maledizione!- soffiò Connie, pervasa da pura furia omicida: se avesse avuto davanti Adam, in quel preciso istante, gli avrebbe fatto rimpiangere di aver imparato a parlare. –Gli avevo detto che saremmo uscite insieme. E ora?
–Potresti sempre confessare- suggerì Monica. –Dubito la prenderebbe male, sarebbe veramente ipocrita da parte sua fartela pagare per qualcosa che ha fatto anche lui.
–Non posso rischiare, Nicky: K… il mio amico potrebbe perdere il lavoro.
Monica trasalì, poi esalò –K? C’è un solo K che lavora alla AllBooks e non è vecchio a sufficienza da essere tuo padre. Te la fai con… Kyle Riley?
–Non devo rendere conto a te di chi mi porto a letto!- sbottò Connie, punta sul vivo.
–Ovviamente no- replicò Monica. –Però, da buona amica, sono tenuta alla sincerità, a costo di sbatterti in faccia una verità che non ti piace: ti conosco, Ciambellina, hai il vizio di affezionarti con eccessiva facilità alle persone, non vorrei che… restassi scottata, tutto qui. Kyle non è proprio un modello di, ehm, fedeltà. Ricordi come ridusse la povera Danny?
–Danny è una stronza- cantilenò la bionda.
–Non meritava comunque di essere usata e poi gettata via- sibilò aspramente la rossa. –Mi fido di te, so che non lo fai per vendetta - altrimenti l’avresti sbandierato ai quattro venti per goderti la reazione di Keith - è proprio questo che mi preoccupa: ho capito che lui, Kyle, ti piace, e sono felice per te, non desidero altro che vederti serena e sorridente, solo… stai attenta, ok?
–Va bene, mamma- la irrise l’amica.
–Non è necessario essere sarcastici, sono semplicemente preoccupata, Ciambellina. Il sesso senza impegno non è da te, ma mi toccherà farmene una ragione, anche se è impossibile per me concepire che tu e Kyle fate… certe cose- chiocciò Monica.
Connie, seccata, rispose –Dicevi lo stesso dell'eventualità che tra me e Keith potesse finire, eppure è successo. Avevi ragione su tutta la linea, Nicky: prima mi libero degli inutili sentimentalismi della vecchia me, prima potrò godermi la vita, e Kyle è utile allo scopo.
–Vai benissimo come sei, Ciambellina, non hai bisogno di cambiare. Non sei così, non lo sei mai stata. Ti supplico, non diventare una qualunque, mantieni la tua unicità: essere buoni non è uno svantaggio.
–Strano, ricordo invece che una volta dicesti l’esatto contrario. “Se solo fossi cattiva, potrei odiarlo, vendicarmi. A questo mondo la bontà è uno svantaggio”. Oh, e ricordo pure che dicesti: “il sesso non è una manifestazione d’amore, è la risposta a un bisogno”. Beh, nel mio caso il bisogno è dimenticare Keith e seppellire la Connie “Ciambellina”. Se l'interrogatorio è concluso andrei a vestirmi, sperando che a Kyle non venga in mente di togliermeli… in questo è dannatamente bravo.
–Sei un’ingrata: ti ho parato il culo per settimane senza fare domande, merito almeno un misero grazie, cazzo di Buddha!
–Ti ringrazio dell’aiuto, ma ti prego di non intrometterti nella mia vita: non accetto consigli sulle relazioni da qualcuno in lotta con i propri sentimenti da anni. Sai com’è fatto Adam, eri consapevole che non sarebbe stato capace di far finta di niente, di rinnegare i suoi sentimenti, eppure non ce l’hai fatta a trattenerti, hai voluto toglierti lo sfizio… e adesso pretendi pure di rovinare quel barlume di felicità che ha trovato con Momo!
–Momo e felicità nella stessa frase? Ossimoro ardito, Bishop- abbaiò Monica.
–Mai quanto la tua testa dura, Hawthorne- ribatté Connie. –Ti sei tenuta alla larga da lui per due anni..
–Lui mi ha tenuta alla larga!
–Perché non riusciva a fingere di voler essere soltanto tuo amico! Possibile che tu non riesca a stare con lui, né senza di lui? Ci sei o ci fai? Spero la seconda, non potrei sopportare di avere una stronza egoista per amica!
–Ah, è così, eh? Io ti confido i miei problemi con Adam e tu me li rinfacci? Sei veramente caduta in basso. Scordati di avere un’amica, la prossima volta che decidi di buttarti via!
Kyle avanzò di qualche passo nella sua direzione, ma arretrò di colpo quando Connie scagliò il telefono contro il muro e sibilò –Una parola e ti eviro.
 
***
 
Quando rincasò, Brian trovò ad aspettarlo una sgradita sorpresa: Crystal, comodamente seduta sul suo divano, che pasteggiava col suo champagne, la bottiglia che avrebbero dovuto stappare in serata per festeggiare la nascita dei gemelli.
–Alla buon’ora! Si può sapere dove ti eri cacciato?
–Cos…? Come hai fatto a entrare?- ringhiò, strappandole di mano il calice vuoto. –E chi ti ha autorizzata a servirti? Avevo scelto questa bottiglia apposta per mio fratello. Grazie!
–Tuo fratello non l’avrebbe apprezzata quanto me, è troppo tonto. Carino, ma tonto. Ho saputo che tua cognata ha partorito, stanotte: incredibile, la ritenevo asessuata! Oh, beh, un brindisi è d’obbligo: ai Cartridge vecchi e nuovi!
–Non hai risposto alla mia domanda: come sei entrata?
–Secondo te? Ho bussato finché la tua abulica donna di servizio non ha aperto- rispose lei, scoccandole un’occhiata assassina.
–Tess è la tata di AJ- spiegò Brian, sorridendo compassionevole alla ragazza, che se ne stava, impalata e tremante, a fissarli con espressione costernata. –In pratica, fa quello che dovresti fare tu: si prende cura di lui. Egregiamente.
–Ho i miei dubbi, ma non importa- cinguettò Crystal. –Ciao, Aidan, ti ricordi di me?
–Mi spiace, no- rispose candidamente il bimbo, per poi rivolgere un’occhiata perplessa a suo padre, che ricambiò con una stretta rassicurante e l’invito a giocare con Tess mentre lui salutava una vecchia amica.
–Vecchia? Così mi ferisci, tesoro!- gnaulò Crystal.
–Davvero?- ribatté Brian, soddisfatto. –Ottimo, era mia intenzione.
–E io che credevo di farti un favore, permettendoti di giocare in casa!
–Questo non è un gioco- sibilò Brian, sportosi in avanti fino a far sfiorare le punte dei loro nasi. –AJ è mio figlio, ti impedirò di traumatizzarlo per i tuoi futili scopi, fosse l’ultima cosa che faccio! Disgraziatamente sei sua madre, non posso impedirti di vederlo, ma posso decidere i tempi i e i modi, e ti assicuro che presentarti qui senza preavviso, o appostarti davanti all’asilo - non negare, ti ho vista, eri inconfondibile: una donna con uno o più figli piccoli non riesce a tenere immacolato un abito bianco, oltretutto griffato, e non porta eleganti scarpe col tacco alto di giorno, quando deve affrontare una dura giornata di lavoro dentro e fuori casa - non è accettabile. Non sei Darth Vader, non puoi dirgli: “AJ, sono tua madre”, così, a muso duro. Prima che vi incontriate di nuovo, devo prepararlo psicologicamente: gli racconterò i fatti… senza parzialità, lo prometto.
Intuendo il commiato implicito nell’ultima frase, Crystal si alzò, lisciò alcune piegoline formatesi sul succinto abito blu che indossava, infine schioccò le labbra - laccate, manco a dirlo, di rosso - e rispose –Hai la forza del leone e la ferocia della leonessa che difende i cuccioli… mi costa molto ammetterlo, ma sei un bravo papà.
–Genitori non si nasce, si diventa. C’è speranza anche per te… sempre che lo desideri.
 
***
 
Era opinione comune che Julian King, pur essendo un patologo di prim’ordine, ambizioso e assetato di potere, non avrebbe mai eguagliato Astrid Eriksson come guida del reparto di Patologia del Queen Victoria Hospital: la svedese, forse inferiore a lui sotto il profilo tecnico, possedeva un acume e un carisma che la rendevano insostituibile. Peccato che anche le persone insostituibili andassero in pensione per raggiunti (e sorpassati) limiti d’età.
Tuttavia, sebbene non possedesse particolari doti di osservatore, non poté sfuggirgli lo strambo comportamento tenuto da colui che non si vergognava di definire il miglior patologo sulla piazza: Franz Weil.
“Il ragazzo farà strada”, soleva ripetergli Astrid, e il dottor King non aveva faticato a crederle: Weil adorava il suo lavoro, era preparato, meticoloso (forse troppo), curioso, sempre disponibile a dare una mano. Faith Irving possedeva le medesime doti, unite, però, a un irritante atteggiamento di sardonica indolenza: a differenza di Weil, che faceva il suo dovere senza tante storie, andava continuamente stimolata; se qualcosa non le piaceva, oppure non aveva motivo di farla, non la faceva, e non c’era modo di smuoverla dalla posizione in cui si era arroccata.
Eppure, quel giorno, il dottor Weil pareva essere con la testa su un altro pianeta:, scattava come una molla al minimo rumore, aveva commesso degli errori da principiante, ai quali aveva reagito con rabbia sproporzionata all’entità dei danni, e più di una volta l’aveva beccato a fissare avanti a sé con occhi vacui. Sembrava un altro.
“Forse è un altro, un sosia alieno”, pensò, salvo poi darsi dell’idiota e raccomandarsi di non leggere più le storie di fantascienza che tanto amava suo nipote.
–Seguimi- gli ordinò, forse in tono un po’ troppo imperioso, ma non era tipo da formalismi.
–Qualcosa non va, dottor King?
–Tu non vai, Weil- sputò, dando voce alla frustrazione che covava dalla mattina. –Non oggi. Si può sapere cosa ti prende? Se non ti stessi guardando in faccia, direi che hai lasciato la testa a casa.
–Mi dispiace, sono perfettamente cosciente di non dare il meglio di me…
–Di’ pure che stai dando il peggio di te. Cos’hai per la testa?
–Un sacco di pensieri- sospirò Franz.
–Nessuno dei quali riguardante la patologia medica, presumo- l’altro si grattò il dorso di una mano, una chiara manifestazione di nervosismo, alla quale Julian rispose alzando gli occhi al cielo: nonostante fosse sicuro quasi al cento per cento che i tanti pensieri di Weil fossero riconducibili alla Irving, tenne per sé le proprie supposizioni. Non pretendeva che si confidasse con lui - erano colleghi, non amici - però pretendeva la garanzia che avrebbe ripreso il lavoro secondo gli standard vigenti in reparto. –Vedi quella?- indicò la porta automatica di accesso al laboratorio. –Considerala l’ingresso di un’oasi di pace. Può risorgere Merlino, scatenarsi un terremoto, scoppiare la terza guerra mondiale, finché sei là dentro non te ne deve fregare. Sono stato chiaro?
–Cristallino- mormorò Franz, mortificato. –Ho fatto veramente schifo. Credo di meritare una nota di richiamo.
–Io credo che meriti ben altro- lo contraddisse King, facendogli temere un’azione disciplinare più grave. –Una lunga boccata d’aria. Rinfrescati le idee, poi torna in laboratorio, c’è un ovaio che ti aspetta!
Franz non poteva credere alle proprie orecchie. Inondò di ringraziamenti Julian - che si schermì e gli consigliò di allontanarsi, prima che cambiasse idea - quindi corse a fare rifornimento di caffeina e aria fresca, due cose che scarseggiavano nei sotterranei.
–Salute, Husky. Cosa ci fai in superficie?- gli chiese il suo amico radiologo, Harry James.
–Husky!- trillò Christopher Hale, gioviale come al solito, prima di stritolarlo affettuosamente. –Sei tornato tra i vivi! Dobbiamo festeggiare!
–Di’ un po’, Chrissino, non dovresti, che so… lavorare?
–Già fatto. Ho pure perso venti sterline a poker.
–Tu cosa? Chris!- sbottò Harry, guardandolo male. –Non si gioca d’azzardo al lavoro! Cosa dirà Erin? Cosa diranno i pazienti?
–Non lo so… quello che mi ha fottuto i soldi ha detto che è un piacere fare affari con me. Maledetto! Avrò la mia rivincita prima che finisca sotto i ferri, parola mia!- Harry e Franz si scambiarono un’occhiata di assoluto shock, incapaci di replicare. –Allora, di cosa stavate sparlando? Sono assetato di gossip!
–Ehm… ragazzi, ho una confessione da fare- bisbigliò Franz, ma si bloccò alla vista di Julia Adler, la pettegola dell’ospedale per antonomasia. –Venite, andiamo in un posto tranquillo.
–Qualunque cosa sia, diccela e facciamola finita. Questo posto è inquietante!- pigolò Chris, dardeggiando lo sguardo qua e là per l’obitorio.
–Serviva un posto tranquillo per parlare. Più tranquillo di così!- sbottò Franz, facendo sbellicare Harry, che mascherava l’inquietudine meglio di Chris.
–Husky non ha tutti i torti, Chrissino. E piantala di tremare, sembri un vibratore gigante!
–Rilassati, nessuno di questi corpi presenta strani segni sul collo, non rischiamo di ritrovarci a combattere con rivoltanti esseri sbrilluccicosi! So che sei in ansia, ma con la Adler a piede libero nessun segreto è al sicuro, almeno ho la certezza che quanto verrà detto non lo saprà anima viva… a parte voi due, ovvio.
–E Robert?- domandò Chris.
–Robert si frega- sputò Harry: non aveva digerito che andasse con un’altra donna all’insaputa di sua sorella Harper. –E’ troppo impegnato a fare “visite private” a quella Meigs per ricordarsi di noi? Bene! Al momento giusto sapremo ricambiare il favore. Ora sputa il rospo… ho l’impressione che sia un rospone.
–Eh, già. Lo è. Enorme- disse Franz, raccogliendo tutto il suo coraggio. –Faitncinta.
–Hai imparato l’arabo, per caso?
–Chris, che dici?
–Che ne so? Suonava arabeggiante, ho pensato…
–Pensa di meno, visti i risultati!
–Mi stai insultando? Davvero, Harry?
–Però, perspicace!
–Ho capito: vuoi assaggiare i miei pugni!
–I tuoi pugni? Possibile che per te la violenza sia la risposta a tutto?
–Faith è incinta!- tuonò Franz, e un silenzio di tomba calò nella stanza, rotto soltanto dal regolare ronzio della cella frigorifera. –Wow, mi sento leggerissimo, adesso. Ci voleva questo sfogo. Beh, che sono queste facce?
–E’… tuo, vero?- chiese Harry.
–Che razza di domanda. Certo che è mio! Credo anche di sapere quando è avvenuto il fattaccio: durante il trasloco.
–Eh, la carica erotica dei traslochi…
–Chris, chiudi il becco. Husky, ti sbagli: se l’aveste concepito durante il trasloco, Faith dovrebbe essere alla fine del primo trimestre, e non è possibile… oppure sì?
Franz storse la bocca: apprezzava che i suoi amici non si fossero prodotti in futili quesiti sul suo stato d’animo, concentrandosi sul nocciolo della faccenda.
–Non lo so, ero talmente sconvolto da dimenticarmi di chiederglielo! Ho pensato al trasloco perché è stata l’unica volta in cui ho dimenticato il preservativo. L’unica! E se lei aveva sospeso la pillola - a quanto pare ogni tanto va sospesa - et voilà, l’enfant est fait!
–Senza offesa, ma… per quale assurdo motivo non ce l’hai detto prima? E’ grandioso!
– Mini-Weil in arrivo! Chissà se è un lui o una lei…
–Conoscendo Faith, non farebbe molta differenza: anche se fosse femmina, la vestirebbe quasi come un maschio. Niente rosa, pizzi e merletti, insomma.
–L’ho scoperto stamani- intervenne Franz, stroncando la marea di domande entusiastiche di Harry e Chris. –Vi rendete conto? Stento ancora a crederci: io… papà! Io! Assurdo! Non ho mai voluto figli, non tollero i poppanti e i mocciosi, e adesso…
–Sei emozionato?
–Sono terrorizzato! E incazzato: se l’avessi saputo prima avrei potuto dire la mia, prendere decisioni insieme a lei, convincerla che stiamo meglio in due, adesso invece non ho altra scelta se non prendermi cura di lei e di un marmocchio che non voglio!- ruggì, battendo il pugno sul freddo tavolo settorio. L’ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, fu l’espressione sgomenta di Harry. –Cosa è successo? Un frontale con un tir?- chiese quando rinvenne, un paio di minuti più tardi.
–Un frontale col pugno di Chrissino- lo illuminò il radiologo, insistendo affinché facesse una radiografia. –Potrebbe averti rotto il naso, o peggio! Ha un diretto micidiale.
–Che vuoi che sia un po’ di sangue?- lo tranquillizzò Weil, tastandosi la parte lesa. –Cazzo, fa male! Picchia duro, per uno che non gioca da dieci anni.
–Quel che ha fatto è ingiustificabile… ma comprensibile- asserì Harry James. –Sai che sta passando un brutto periodo, per via di Erin e le difficoltà che stanno incontrando per…
–Avere un figlio- esalò Franz, scuotendo il capo. –Immagino come si sia sentito mentre mi lamentavo e minacciavo di abbandonare Faith e il… coso. Che gaffe di merda! Però anche lui: mi ha dato un pugno, cazzo! Un pugno! Come se l’avessi fatto apposta a trovarmi in questo casino!
–Sa che non l’hai fatto apposta- lo rassicurò Harry, tendendogli dell’ovatta e acqua ossigenata. –E’ questo che lo fa infuriare.
 
***
 
In piedi con le spalle alla libreria del salotto, Franz sentì di provare un rispetto tutto nuovo per gli animali dello zoo. Faith lo stava fissando sconcertata, quasi fosse un fenomeno da baraccone. Mancava solo che gli tirasse delle noccioline.
–A giudicare dalla tua espressione, l’ecchimosi è già visibile- sbuffo, scocciato.
–Come te la sei procurata?
–Ho avuto una pacata discussione con Chris- spiegò, conscio che quella curiosona non si sarebbe fermata lì.
–Pacata discussione? Ti ha picchiato!
–Picchiato, che parolona!- si affrettò a precisare, in un moto di orgoglio virile. –Mi ha dato un pugno. Uno solo, nemmeno tanto forte.
–Ti pare il momento di fare il macho da strapazzo? Chris ti ha preso a pugni! Perché?
–Gli ho detto della tua… condizione.
–Condizione?- sibilò Faith, chiudendo di botto il libro che teneva in grembo (era convinta che tenendo i libri vicino all’utero avrebbe trasmesso al feto l’amore per la lettura). –Sono incinta, non malata terminale!- si accorse della fredda luce apparsa nei suoi occhi azzurri. –Anche se deduco che preferiresti quest’ultima opzione.
–Sei crudele. E ingiusta. Ti amo, e se c’è qualcosa che mi ha fatto imbestialire, più che il… coso, è che me l’abbia tenuto nascosto.
–Ho dovuto, per scegliere senza che mi facessi pressioni. Sapevo che avresti reagito… così- pigolò sconsolata Faith.
Franz latrò –Come dovrei reagire? Credevo fossimo d'accordo nel non volere mocciosi urlanti!
–Infatti. Ero completamente d’accordo con te: i bambini richiedono energia, attenzioni, impegno, tutte cose che preferisco profondere nel lavoro, però è successo, non posso certo buttarlo via!
Franz avrebbe voluto replicare, ma rimase senza parole, finché non disse, più a se stesso che a Faith –Ecco perché ultimamente eri strana: la nausea, niente alcool, niente più ristorante giapponese, le crisi isteriche, le allusioni al fatto che saresti diventata grassa e brutta... la sparizione del gatto...
–L’ho affidato a mia nonna, nel Kent.
–Meno male. Credevo l’avessero rapito, magari per cucinarlo- sbuffò Franz con finta giovialità. Faith non rispose, e lui ne approfittò per chiederle –Di quanto sei?
–Tre mesi- precisò la Irving, ma tanta sincerità le fu fatale: Franz rimase sconvolto, e tuonò –Tre? Ho controllato sul calendario, l’ultimo ciclo risale a un mese e mezzo fa!
Faith, mordicchiandosi le labbra mentre si guardava ansiosamente intorno, ammise –L’ultima X rossa sul calendario risale a un mese e mezzo fa, Franz. Io… l’ho scritto apposta per non insospettirti: non volevo che mi influenzassi, e dalla tua reazione deduco che avevo ragione.
Franz non poteva credere alle proprie orecchie: la donna che amava, per al quale avrebbe senza esitare dato la sua stessa vita, gli aveva tenuto nascosto la gravidanza, addirittura mentendogli spudoratamente!
–Che reazione ti aspettavi?- ululò Franz, furioso. –Scopro che sei incinta, nonostante avessimo deciso di non avere figli, e che me l’hai taciuto per tre mesi! Tre. Cazzo. Di. Mesi! Sei una schifosa bugiarda! Sono ancora più convinto della mia decisione.
–Mi lasci. Ho indovinato?
–Non dirmi che non te l’aspettavi: volevi mettermi fuori gioco, impedirmi di interferire nella scelta se tenerlo o meno perché conscia della mia totale avversione per la paternità. Beh, non interferirò… in nessun senso.
–Me l’aspettavo eccome, ma ho il brutto vizio di ritenere le persone migliori di quanto in realtà non siano. Non negherò che mi hai molto deluso, Franz, ma non ti biasimo, e ti assicuro che non avanzerò pretese: tu non vuoi questo bambino, io non voglio crescerlo con i tuoi soldi.
Sotto la spinta del doloroso monito di coscienza assestatogli da Chris, sospirò –E va bene. Visto che ti piace avere il controllo su tutto, lascio a te la scelta: preferisci che, da vero ipocrita, resti qui esclusivamente per senso del dovere, oppure mi lasci andare, nella speranza che mi renda conto del mio errore?
Con tutta la dignità possibile in casi del genere, Faith si erse a testa alta, e rispose –Questa non è una scelta, è un ultimatum. Ebbene, opto per la via più dura, ma più giusta: ti lascio andare… con la certezza che ti renderai conto del tuo errore, e ti assicuro che quando tornerai da me strisciando - e lo farai, oh sì che lo farai - sarà un vero piacere sbatterti la porta in faccia!
–Ammesso che torni.
Faith trattenne le lacrime fino a quando non sentì il rumore della porta, chiusa con inaudita violenza. Soltanto allora si abbandonò al dolore, illudendosi che piangere fino a non avere più lacrime avrebbe alleggerito quel peso che portava nel cuore da troppo tempo.
 
Note dell’autrice:
Prepara le scarpe da corsa, Calliope! ;-)
Potrei anche chiudere così, ma sento di dover spezzare una lancia per Franz: immagino lo odiate, e avete tutte le ragioni per farlo, si è comportato malissimo (W Chris che gli ha mollato un bel cazzotto!), però ha fatto quello che ha fatto non perché non ama Faith, ma per paura. Ebbene sì, è un cagasotto (scusate il francesismo), terrorizzato dalle responsabilità e deluso dalla donna che ama! XD
Connie e Nicky hanno litigato: da che parte state? Per me è difficile, sono entrambe mie creature, ma mi piacerebbe sapere qual è la vostra opinione, anche riguardo l’invadenza di Crystal: conquisterà suo figlio, oppure Aidan capirà che non gli vuole veramente bene?
Passando a cose allegre… diamo un caloroso benvenuto ai gemellini! Ben era emozionatissimo ( come dargli torto?) e Faith, quasi certamente, ha pensato che tra qualche mese si troverà al posto di Abby… non è un bel pensiero! XD
Infine, grazie di tutto cuore a chi, nonostante sia conclusa, continua a seguire “Dr. Irving, M.D.”!  Sapere che tanti amano F&F&Co mi illumina la giornata! ^_^
Serpentina
 
 
 
 
   
 
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