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Autore: Halley Silver Comet    05/11/2014    12 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 5



- Capitolo Quinto -
Vento di Incertezze





A
ffacciato alla finestra dell’ufficio, posizionato in un rispettoso stabile di Via del Gambero, un malinconico Gerardo osservava i passanti, affaccendati nel via vai delle spese prenatalizie. Nonostante avesse un carattere molto pacato, in quel momento non poteva fare altro che invidiare tutte le coppie che vedeva passare, cariche di pacchetti.
Ammise a se stesso che gli sarebbe piaciuto molto godersi il centro addobbato a festa, facendo una passeggiata con lei. Non aveva potuto rivelare a Marcello chi fosse la donna di cui era innamorato, poiché non sapeva come l’avrebbe presa; aveva preferito, perciò, che l’amico lo rimproverasse energicamente per la scelta che aveva preso, piuttosto che dire la verità. Comunque non avrebbe cambiato idea: aveva deciso davvero di dichiararsi a Maria Luisa, non appena ne avrebbe avuta l
occasione.
Improvvisamente, si alzò un vento tagliente che gli sferzò le guance, costringendolo a ritirarsi dentro e a chiudere la finestra.
Per un istante, pensò scioccamente che quella folata fosse stata una sorta di punizione per i pensieri poco onesti verso se stesso, avuti qualche momento prima. Si stropicciò gli occhi, concedendosi un secondo per pensare; in effetti, sapeva benissimo a chi apparteneva di diritto il suo cuore, ma doveva ripiegare sull’erede dei Foscari, dato che l’unica donna che aveva mai amato nella sua vita era impegnata. Forse con un bifolco, ma impegnata. E quindi doveva dimenticarla.
Sospirò, colto da un attimo di sconforto, poi si avvicinò alla sua scrivania e prese il telefono, con tutta l’intenzione di chiamare il bar di fronte ed ordinare un caffè.
Mentre componeva il numero, notò una busta aperta, poggiata accanto alla lampada da tavolo, e si ricordò della lettera.
Le lanciò un’occhiata guardinga, come se fosse stata una bestia feroce, in grado di assalirlo da un momento allaltro: Carter, infatti, aveva mandato la sua risposta, una risposta che aveva lasciato decisamente perplesso il povero Gerardo. E a dirla tutta, l’aveva anche leggermente inquietato, tanto che non vedeva l’ora di parlarne con il suo amico.
«Marilena, buongiorno, sono Gerardo... Sì, esatto. Il solito, ovviamente...» disse, senza distogliere lo sguardo da quei fogli. «Ricordati solo di mandarmi anche molto, molto zucchero».

Quando Marcello entrò nell
ufficio, la prima cosa che notò fu il freddo che aleggiava nella stanza; la seconda il colorito terreo del suo socio.
«Buongiorno, Gerardo. Come mai hai quella faccia?» chiese, appoggiando una bottiglietta d’acqua sulla sua scrivania, posta di fronte a quella dell’amico.
Gerardo rispose con una specie di lamento e, alzandosi dalla propria sedia, gli porse alcuni fogli. Con un’espressione interrogativa, il biondo li prese e lesse l’intestazione.
«La raccomandata con la risposta di Carter! Sono stati rapidi».
«È un resoconto molto dettagliato» spiegò l’altro ragazzo, con un tono adatto ad un funerale. «Leggila tutta, per favore. È importante».
Marcello lo fissò incuriosito e, in risposta,
Gerardo lo invitò a proseguire nella lettura con un gesto della mano.
Quando il giovane fu arrivato quasi in fondo all’ultimo foglio, finalmente capì perché il suo socio era tanto agitato.
Ecco, infatti, ciò che trovò scritto:
“Tasso interesse offerta: 5,00%
Tasso interesse selezionato: 4,999%”
Nel vedere quei numeri così stranamente simili, Marcello inarcò marcatamente un sopracciglio.
«Cosa significa quel quattro virgola novecentonovantanove?» chiese, altero.
«
Me lo chiedo anche io» chiese Gerardo, non meno irritato. «Lo scarto tra la nostra proposta e quella che ha vinto è solo dello zero virgola zero, zero, uno. Che accada casualmente è molto improbabile».
«
È come se avessero saputo in anticipo quanto avremmo offerto» convenne il biondo, alzando gli occhi dal resoconto.
«
Ma non è possibile!» esclamò l’altro. «Avevamo scelto l’interesse insieme e solo noi due ne eravamo al corrente. Sono io che ho firmato la proposta e Miller l’ha chiusa e sigillata in una busta davanti ai nostri occhi!»
«Le altre società hanno offerto dal sette al nove percento. Solo l’ultima meno di noi» notò Marcello. Poi lesse il nome del vincitore: Stigliano s.r.l.
«
Stigliano. Mh, il nome mi dice qualcosa, anche se ora non mi viene in mente niente di preciso» mormorò soprappensiero. «Tu la conosci?»
«No, deve essere una società di nuova costituzione
» ipotizzò Gerardo, serrando le braccia contro il petto.
«Be’, magari non ne abbiamo le prove, ma qui mi sembrano molto chiare due cose: la prima è che Carter sapeva perfettamente quanto avevamo intenzione di offrire. La seconda è che ci vuole provocare» continuò Marcello, alzandosi dalla poltrona. Sapeva perfettamente che l’industriale britannico non li aveva mai presi realmente in considerazione, come partners finanziatori, ma non si aspettava una presa in giro tanto plateale.
«
Secondo te, ha riferito a chi di dovere quanto avevamo offerto? Così che il responsabile di questa “Stigliano” potesse regolarsi di conseguenza?» avanzò il suo socio.
«Quel margine irrisorio di differenza è una dichiarazione aperta: ci hanno preso per i fondelli e vogliono farcelo capire».
Gerardo assunse un’espressione indignata: «Che giochetto sadico
».
Il biondo si alzò e si diresse verso la finestra, tenendo le mani dietro la schiena, come era solito fare quando voleva riflettere su enigmi particolarmente difficili.

«Marcello, non te la prendere, poco importa. Tanto avevamo detto che non volevamo avere niente a che fare con Carter e soci».
«Infatti non me ne frega un accidente di aver perso, voglio solo capire come diavolo hanno fatto!»
L’amico alzò le spalle, scuotendo la testa, come a dire che non ne aveva la più pallida idea.
«Non c’erano specchi nella sala, non possono aver visto di riflesso ciò che stavi scrivendo, e Miller ha chiuso e sigillato l’offerta davanti a noi;
» considerò il biondo, mentre riordinava i pensieri, «non è una vera e propria gara d’appalto, non è un’opera pubblica, ma, per la miseria, era presente un notaio! Avrebbe notato una manomissione delle offerte...»  
«Sempre che non fosse corrotto
» suggerì Gerardo.
«C’è di mezzo lo Stato Britannico... No, sono certo che il notaio fosse integerrimo» disse Marcello, tornando verso il suo amico, mentre si stropicciava il mento, nervoso. 
«
Allora non so proprio come possano aver fatto».
«
La soluzione deve essere molto più semplice di quel che pensiamo. Fosse l’ultima cosa che faccio, devo capire come quel maledetto Carter è riuscito a prenderci per i fondelli!»

Nonostante l’avesse cucinata di persona, Beatrice trovò che quella pappa al pomodoro non avesse alcun sapore o, forse, era semplicemente troppo stanca per riuscire a coglierne il gusto.
Erano solo le due di pomeriggio e doveva ancora ripulire tutto il piano superiore, balconi compresi. Le stanze non erano adoperate tutte, ma la zia aveva deciso che 
ogni tanto, le pulizie di primavera vanno fatte in tutta casa.
Già, di primavera: peccato fosse appena iniziato dicembre!
Spezzettò il pane raffermo come meglio poté e lo mise all’interno della ciotolina, affinché si ammollasse un po’ grazie alla zuppa, anche se, oramai, era quasi completamente fredda.
La ragazza strinse le dita intorno al cucchiaio: adesso doveva mangiare sola in cucina, dopo che tutti gli altri avevano finito, come l’ultima delle sguattere. C’è, però, da dire che questo non le dispiaceva più di tanto, visto che significava desinare senza avere davanti la brutta faccia della zia e della cugina; inoltre, non le importava nemmeno di Guido, in quanto rimaneva fuori sia a pranzo che a cena, portando le sue amiche nei migliori ristoranti.
Tanto, debito più, debito meno, la cosa era irrilevante, dato che poteva disporre della sorella come pegno per saldare il tutto.
Quell
ultima considerazione, però, nauseò talmente tanto Beatrice che allontanò da sé la scodella: aveva perso tutto l’appetito. Mise da parte l’avanzo di cibo e, dopo aver lavato il pentolame, si preparò a salire di sopra, così da proseguire nelle pulizie di Pasqua, quando Guido fece il suo ingresso in cucina.
«
Ciao, Cicci, cosa hai fatto di bello oggi?» disse il ragazzo, dirigendosi immediatamente verso il tavolo, dove era posata un’incustodita e succulenta torta al cioccolato.
La fanciulla fece finta di non sentirlo, continuando ad asciugare le posate.
«Non rispondi, Bea? Se rimani così imbronciata, farai presto le rughe!» sghignazzò Guido, esilarato dalla propria battuta.
Irritata da tanta facezia a buon mercato, la fanciulla decise di interrompere il suo ostinato silenzio: «Perché non sposi tu una ricca ereditiera, così da poter pagare tutti i debiti che l’hai con il Navarra?»
«
Perché una zita1 dà più problemi d’un ragazzo scapolo» concluse Guido, servendosi unenorme fetta di torta.
Beatrice trovò la risposta
molto maleducata ed incompleta, con una forte dose di retaggio maschilista; le ricordava una frase che aveva letto su un libro di storia a proposito dei costumi dell’Antica Grecia: un figlio lo si cresce anche se si è poveri, una figlia la si espone anche se si è ricchi2.
«Sembra buona, Cicci. Cosa ci hai messo?»
La fanciulla a
ttese che il fratello addentasse un grosso pezzo di dolce e rispose, candidamente: «L’ingrediente principale è la stricnina».
Preso in contropiede, il ragazzo sputò il boccone, tossendo in preda ai rantoli e tenendosi il collo con entrambe le mani.
«Mi stai avvelenando!
» piagnucolò.
Beatrice lo guardò con fredda compassione, mettendosi le mani sui fianchi.
«Oh, sì, così l’uscirei da questa prigione per andarne in un’altra. Anche se non credo che la galera possa essere peggio» commentò, severa. «Pulisci tu questo schifo, adesso, io sono stata tre ore a lustrare la cucina, ho ancora tutto il piano superiore da mettere a posto».
«Ma come fo! Non so nemmeno la differenza tra il cencio e il detersivo!
» protestò Guido.
«Arrangiati. E, se non lo fai, convinco Navarra a raddoppiarti i debiti, anziché toglierteli
».
Il ragazzo divenne bianco cadaverico.
«Non puoi farlo
La ragazza mise su un cipiglio austero e scandì, muovendo appena le labbra: «Oh, sì, invece. Sei tu che mi stai obbligando a frequentarlo e sposarlo, non ricordi?
»

Una volta giunta al piano di sopra, Beatrice poggiò il secchio e lo straccio sul pianerottolo, cercando di riprendere fiato. Tuttavia, venne prontamente richiamata da Anna Laura: «Sbrigati, sfaticata! La mia camera aspetta da stamattina di essere rifatta!
»
La fanciulla lanciò un’occhiata tagliente alla cugina, la quale rispose con altri insulti: «Prova a guardarmi ancora così e lo dirò a mamma! Allora finirai a pulire anche il camino, diventando lurida e puzzolente di fuliggine: Cenerentola, al tuo confronto, sembrerà niente!
»
La ragazza 
fu sinceramente tentata di far ruzzolare la parente giù per le scale, ma poi pensò che non valeva la pena di sporcarsi le mani così stupidamente. Si costrinse a non rispondere e varcò la soglia della stanza di Anna Laura che, ovviamente, era l’esatto opposto della stanzetta che avevano dato a lei.
Tanto per cominciare, aveva un’ampia finestra, un grande armadio, un letto spazioso e soffice e una quantità industriale di abiti, scarpe e altri inutili fronzoli pacchiani per adornarsi in stile albero di Natale ambulante.
Beatrice si legò sommariamente i capelli in una coda alta e lanciò una veloce occhiata qua e là, al fine di stimare il tempo che avrebbe impiegato per mettere a posto. Ad occhio e croce, contando quell’immenso disordine, ci avrebbe trascorso gran parte del pomeriggio.
Cominciò a riordinare tutti i vestiti che la cugina aveva lasciato sparsi sul pavimento, mettendo in un mucchio quelli che doveva lavare e ripiegando, invece, quelli che dovevano essere rimessi nell’armadio.
«Oggi deve essere proprio la tua giornata fortunata» esordì Anna Laura, che era rimasta impalata sulla porta, senza fare niente, per puro gusto di veder sgobbare Beatrice al posto suo.
«Davvero? Non ho fatto caso all’oroscopo, stamani» rispose lei, continuando nell’ingrato compito che le era stato assegnato. Li avesse almeno rivoltati nel verso corretto, visto che erano tutti al rovescio!

«Avevo deciso che non ti avrei portata con me alla mostra del Davoli, però poi ho cambiato idea» continuò la donna, cantilenando con malignità.
«Oh, come sei altruista» rispose la fanciulla, con malcelato sarcasmo.
«
Non lo faccio mica per te!» fece, pronta, l’altra. «Sarà molto divertente portarti ad assistere al mio trionfo: userò, infatti, tutte le mie tecniche di seduzione e Marcello sarà finalmente mio!»
Beatrice trovava che in quel piano ci fosse più di una falla, a cominciare dal fatto che la cugina non padroneggiava la benché minima “tecnica di seduzione” (non che lei ne fosse esperta, ma almeno non millantava talenti che non aveva), tuttavia si guardò bene dal dirlo.
«Non ti interessa, Bea?»
«Cosa?»
«Vuoi fare l’innocentina con me? Sai bene che mi sto riferendo a Marcello!»
«No, non m’interessa, infatti. Hai ragione tu, figurati se uno come lui guarderebbe mai una ragazzina come me!»
La donna manifestò tutto il suo compiacimento ad una risposta simile: 
«Finalmente l’hai capito! Lui non ha bisogno di mocciose ai quali fare il baby-sitter, vuole una donna vera!»
Anna Laura andò avanti diverso tempo nel declamare tutte le qualità con i quali avrebbe, letteralmente, impressionato Marcello. Mentalmente, la fanciulla si permise di aggiungere dalla paura! e fece uno sforzo impressionante per non scoppiare a ridere.
Molte inutili chiacchiere più avanti, la cugina disse che doveva uscire con delle amiche e, con enorme sollievo della nostra Beatrice, si tolse dai piedi.
Senza l’opprimente presenza della parente, la giovane andò più spedita e finì le pulizie in un battibaleno. Stava giusto per finire di sistemare i cuscini decorativi sul letto, quando, casualmente,
l’occhio le andò sul calendario e notò che, al ventisette dicembre, Anna Laura aveva appuntato qualcosa con un orribile pennarello rosa, contornandolo di cuoricini rossi. Approfittando della sua assenza, si avvicinò e lesse.
Nel rendersi conto di cosa c
’era scritto, ebbe un giramento di testa: era il compleanno di Marcello!
Tralasciando il dubbio modo con cui la cugina aveva segnato l’evento, doveva appurare se corrispondeva al vero. Considerando il basso quoziente intellettivo della donna, e sapendo che le sue letture giornalistiche più evolute si fermavano a Cioè, Beatrice si chiese come fosse riuscita a scoprire una cosa tanto importante. Avevano intervistato Marcello in qualche radio locale? Proprio Anna Laura gli aveva fatto capire che il giovane era abbastanza famoso nel mondo della finanza... In quell’istante le venne in mente il famoso ritaglio di giornale, quello che la parente aveva sbaciucchiato.
Forse c’era scritto qualcosa lì sopra?
La fanciulla sapeva perfettamente che il prezioso ritaglio era conservato in un raccoglitore sulla mensola sopra al letto. Forse avrebbe potuto approfittare del fatto che fosse sola per dare una sbirciatina, così, per curiosità; ovviamente, alla fine, avrebbe rimesso tutto a posto e nessuno avrebbe sospettato nulla.
Con somma cautela, si arrampicò sul letto, stando attenta a non sgualcire le lenzuola (sia per non lasciare tracce, sia per rispetto al proprio lavoro), e prese il raccoglitore, sempre con l’orecchio teso, pronta a cogliere anche il più piccolo rumore.
Tutto tranquillo.
Lentamente, prese a sfogliare le varie bustine trasparenti e comprese che quello era una specie di dossier su Marcello. Chissà cosa ne avrebbe pensato il diretto interessato! Trattenendo una risata di cuore alle spalle della cugina, Beatrice avanzò nella sua ricerca, finché non trovò quello che cercava. Fu così che cominciò a leggere:
“...il proficuo incontro avuto con Johnatan Mitchell e soci, avvenuto lo scorso mese a Villa Adriana, ha confermato Marcello Tornatore e Gerardo Marini come le attuali stelle della finanza locale. I due giovanissimi imprenditori (giovani per davvero, Gerardo è nato il 4 aprile 1961 e Marcello il 27 dicembre dello stesso anno) hanno affermato di voler seguire una propria scala di obiettivi, senza voler strafare. Per ora, i ragazzi hanno di certo cominciato con il piede giusto e sembra proprio che Roma debba aspettarsi molto da loro...

Dunque era vero!
La fanciulla si mordicchiò il labbro, pensierosa. Marcello aveva quasi sette anni più di lei, quindi ciò che aveva detto ad Anna Laura non era poi molto lontano dalla realtà: la possibilità che quel giovane la vedesse solo come una ragazzina invadente non era troppo remota.
Eppure, era stato davvero gentile con lei e le aveva regalato un prezioso libro senza motivo, per non parlare dei fiori che le aveva portato la prima volta che erano usciti insieme... E, anche se per lui era solo una ragazzina, doveva ricambiare le sue cortesie. La fanciulla rimise tutto come l’aveva trovato e uscì velocemente dalla stanza. Sorrise, felice, perché aveva trovato il pensiero che le avrebbe fatto compagnia, in quel pomeriggio dedicato alle pulizie: avrebbe confezionato un pensierino a Marcello, cogliendo l’occasione del suo compleanno e del Natale, ormai prossimo.
Beatrice sospirò. Sempre che fosse riuscita ad evadere da Alcatraz e vederlo per quella data.

Quel pomeriggio, Marcello rientrò a casa con un diavolo per capello, come accadeva sempre quando qualche affare non veniva concluso nel modo sperato.
In realtà, in questo caso, il giovane era molto contento di essersi liberato di Lord Carter e della sua prosopopea, ma non aveva gradito il modo in cui l’industriale li aveva trattati, come se avesse voluto sottolineare che erano soltanto dei sempliciotti.
Mentre rimuginava sul ricordo del pomeriggio in cui avevano firmato l’offerta, tentando di richiamare alla mente particolari importanti per smascherare il magnate, Madama Claudia lo vide passare davanti al salotto e, immediatamente, lo seguì, chiamandolo: «
Marcello, per parlarti devo prendere anche io un appuntamento? Sono giorni che ti intravedo, a malapena, per questi corridoi: corri come un fuggiasco!»
Il ragazzo si fermò, prendendo un sospiro di incoraggiamento per affrontare la madre.
«Non è un bel periodo, d’accordo? Stiamo avendo dei problemi».
«Vuoi dire che non avete concluso nulla con quel famoso milionario?»
«No, mamma. Non abbiamo concluso, anzi la faccenda è abbastanza complicata».
«Ah! Scommetto che la colpa è tutta di quell’incompetente di Marini! Se tu avessi scelto con più attenzione il tuo socio...»
«Gerardo non c’entra niente!» insorse Marcello, irritato dal commento della genitrice sul suo amico. «Il problema sta a monte, ovvero siamo noi che non vogliamo avere nulla a che fare con gli sporchi affari di Carter!»
«Ma sarebbe stato vantaggioso chiudere un contratto con lui! Sai quanto ne avreste guadagnato in visibilità?»
«Come gestisco i miei affari è cosa mia. E su certe cose non scendo a compromessi, lo sai benissimo!»
La Matrona lo guardò, sorridendo beffarda.
«La tua... lealtà
» disse, pronunciando l’ultima parola con tono ironico, «non ti porterà a niente. Guardati: nonostante i miei saggi consigli, sei ancora senza una moglie! A proposito, in biblioteca c’è quella buona a nulla della Farnese, deve parlarti di quell’orribile mostra. Invece di togliere sempre dai guai quella sciacquetta, cerca di far fruttare l’occasione! Per esempio, perché non prendi in considerazione l’idea di invitare Maria Luisa...»
Marcello guardò la madre con tanto disgusto che la donna, nonostante fosse molto sicura di sé, tacque.
«Mamma, basta. Basta, hai capito? Basta. Non voglio sentire una sola parola in più! La devi piantare di dare sempre giudizi gratuiti su quello che faccio e su chi frequento!»
«Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tua madre, figlio ingrato?»
«Oggi ho cose più serie alle quali pensare, quindi lasciami stare!»
Il biondo non ebbe modo di sentire quello che continuò a gridargli sua madre dal corridoio poiché, per conservare la propria salute mentale, aveva intenzione di non ascoltare ancora ignobili improperi; entrò in biblioteca e chiuse la porta a chiave, così da evitare spiacevoli irruzioni da parte di parenti molesti.

Fin da quando era piccola, Vittoria aveva sviluppato una particolare predilezione per le poltrone adiacenti alla vetrata sul giardino e fu lì, infatti, che la trovò Marcello, acciambellata a leggere un tomo particolarmente datato, come si poteva vedere dai segni sulla pelle del frontespizio.
«
Buon pomeriggio, Vittoria» la salutò, accompagnando le parole con un cenno del capo.
«
Eccoti qui! Credevo non saresti venuto!» lo accolse la ragazza, calorosa, mettendo da parte Il giro del mondo in ottanta giorni.
«Abbiamo affrontato con Gerardo una questione spinosa
» spiegò il biondo, accomodandosi di fronte a lei. «Sei ancora nella fase di riscoperta di Verne?»
«Certi libri non ti stancano mai» ammise l’amica, accarezzando con lo sguardo la copertina consunta del libro. «Come mai hai fatto così tardi?»
«Carter
» rispose il giovane, asciutto. «Ma ora non ho voglia di parlarne, ho schiumato abbastanza per oggi, a causa sua».
«
Me lo racconterai un’altra volta, allora, anche se ti vedo particolarmente provato» dovette ammettere Vittoria, guardandolo preoccupata.
Il ragazzo fece un gesto con la mano, come a voler allontanare simbolicamente la discussione da sé.
«
Mia madre non ti ha offerto niente?»
«Credo sia già tanto che mi abbia fatta entrare, inoltre ho sentito che stava urlando. Ce l’aveva con te?»
«Come sempre. Abbiamo divergenze di opinioni praticamente su tutto» sbuffò lui, rilassandosi sulla poltrona. Si allentò il nodo della cravatta e se la sfilò.
Vittoria tese la mano per farsela dare e la piegò accuratamente, mentre esprimeva il proprio punto di vista:
«La signora Claudia dice così, ma, sotto sotto, ama il fatto che suo figlio sappia tenerle testa e che abbia una personalità così spiccata. Ti rende un ottimo leader. E nel lavoro che fai, questa è una qualità importante».
«Tu avresti dovuto fare la psicologa su larga scala, sai? Ciò che fai al volontariato è limitato» commentò il giovane, inclinando il capo da un lato.
«Non è proprio così, perché sono proprie quelle le persone che hanno più bisogno» spiegò l’altra, dando prova di grande maturità. «E poi la mia laurea non è sempre d’aiuto. Per esempio, proprio non capisco perché Gerardo continui ad evitarmi! Non lo vedo da settimane... Se mandassero ancora in onda Portobello, potrei chiamare durante Dove sei3 per avere notizie!»
Nello stesso momento in cui Vittoria tirò fuori il nome del loro amico,
Marcello si stava proprio chiedendo quando l’avrebbe fatto, giacché, quando era stato lui stesso a nominarlo poco prima, aveva visto la sua interlocutrice divenire piuttosto irrequieta.
«
Si farà sentire, prima o poi. Almeno spero».
Lei assunse un’espressione stizzita, a sottolineare il fatto che non credeva a quanto udito, e, dentro di sé, il biondo fu costretto a darle ragione, in quanto Gerardo stava davvero tirando troppo la corda. Andava bene non andare a casa di Vittoria per i dissapori con lo scultore, ma avrebbe almeno potuto chiamarla!
«
Però non mi hai ancora detto perché sei qui» proseguì il giovane, nel tentativo di cambiare repentinamente argomento.
La ragazza prese una busta di plastica e ne cacciò fuori una pila di fogli di carta: «Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse ad preparare gli inviti per la mostra. Guarda, ho anche fatto la lista con i nomi da spuntare, man mano che li imbustiamo
».
Marcello la guardò come se fosse folle.
«Sciroccata che non sei altro, se pensi che io mi presti a questo lavoraccio oggi pomeriggio, hai capito proprio male. Torna domani e potremmo riparlarne» scattò, brusco. A conti fatti, dopo quello che aveva passato in mattinata, il suo desiderio di riposare non era tanto da biasimare.
«Su, su, che un po’ di sano lavoro manuale ti aiuterà a distrarti dalle diatribe lavorative!» esclamò vivacemente Vittoria, battendo le mani a ritmo.
Non vedendo altra scelta, Marcello, rassegnato, si fece consegnare la sua parte di inviti, augurandosi di non dover passare la notte in bianco: essendoci di mezzo Vittoria, ogni cosa era possibile.
Si misero a lavorare di buona lena e, poiché l’amica era molto precisa e meticolosa in tutto quello che faceva, il biondo scoprì, con sommo piacere, che il lavoro era stato davvero ben organizzato. Inoltre, dovette convenire che eseguire gesti meccanici aiutava a distendere i nervi e a far rilassare il cervello. Fu così che gli venne in mente che Beatrice non gli aveva ancora risposto e, approfittando di avere di fronte la sua più cara amica, decise di consultarsi nuovamente con lei sul da farsi.
«
Anche questa settimana Beatrice non mi ha risposto» esordì Marcello, spuntando un nome dalla lista. «Sinceramente, sto cominciando a preoccuparmi: che le sia successo qualcosa? A meno che non voglia più parlarmi, ovviamente».
Vittoria smise di imbustare gli inviti e lo guardò:
«Togliti dalla testa che non voglia più parlarti: una ragazza che arriva a cercare un uomo a casa sua è molto interessata. Se davvero sei preoccupato, vai a casa sua, e accertati che tutto sia a posto».
«
Sì, non c’è altra soluzione» convenne il giovane, chiudendo a sua volta un altro invito.
«
Magari, evita di farti vedere dalla cugina; sai, ho come l’impressione che non aspetti altro che un pretesto per saltarti addosso» insinuò l’altra, con aria di chi la sa lunga.
«Ma si può sapere chi è la cugina di Beatrice? Tu e lei la nominate in continuazione, io, invece, ricordo il nome, ma non riesco a collegarla a nessun viso».
«
Hai presente quella ragazza che ha voluto conoscerti a tutti i costi, all’inaugurazione del ristorante di Michele?»
«
Sì, forse ricordo...» disse Marcello, dapprima socchiudendo gli occhi nello sforzo di richiamare alla mente riferimenti utili, poi spalancandoli per l’orrore. «Santo Cielo, ora sì che ho capito!»
Vittoria, a quella reazione, scoppiò in una fragorosa risata, tanto che dovette cacciare fuori dalla tasca il fazzoletto e cominciare a tamponare le lacrime.
Il giovane cacciò fuori la lingua, esibendo un’infantile espressione di disgusto: «Non ho mai conosciuto una tipa più appiccicosa di quella... Ti divertono tanto le mie disavventure, Vittoria?»
La ragazza, richiamata all’ordine, cercò di calmarsi e di ridarsi un tono.
«
Non è colpa mia» si difese. «Purtroppo, capitano tutte a te. Hai quasi più fan tu di Simon Le Bon
«Peccato che io non sappia cantare» obiettò lui, con disappunto.
«Magari con un po’ di esercizio potresti migliorare. Perché, di aspetto, ci siamo: se ti metto un pizzico di matita nera, ti cotono un po’ i capelli e ti metti vestiti di pelle, potresti essere tranquillamente il sesto Duran Duran!
»
«Proprio in stile Wild Boys4, insomma
» commentò il giovane, increspando le labbra.
Vittoria si rimise ad imbustare gli inviti, continuando a sorridere. Passarono solo alcuni secondi e alzò nuovamente lo sguardo verso l’amico, sogghignando malandrina: «Comunque, non ti avevo mai visto così preso da una ragazza. Anzi, mi correggo, non ti ho proprio mai visto preso da una ragazza: per la tua rossa fiorentina hai davvero preso una scuffia coi fiocchi!»
Marcello rimase in silenzio, ma il tenue rossore che gli aveva colorato le guance rappresentava una risposta più che affermativa, mentre
l’altra scoppiava di nuovo a ridere.
«Non c’è niente da arrossire. Magari, avessi trovato anche io un uomo che si preoccupi un po’ per me
».
A quella malinconica affermazione, il biondo rimase interdetto. Aveva intuito che tra la sua amica e lo scultore non era più tutto rose e fiori da un pezzo, ma non credeva che la situazione fosse precipitata così tanto.
Pertanto decise di informarsi, seppur con discrezione, chiedendole: «Vittoria, so che non dovrebbero essere affari miei, ma... con Bartolomeo va tutto bene?»
La ragazza scrollò il capo, in segno d’incertezza, e si intristì di colpo: «Non proprio. A dirla tutta... non so nemmeno perché mi stia impegnando tanto per questa mostra, mi sento come una bambina che aspetta un premio se si comporta bene. Sai che il pezzo forte di tutta l’esposizione sarà una statua?»
«No, non me l’avevi detto
».
«Una statua, scolpita nel ghiaccio, che dovrebbe rappresentare me. Non me l’ha detto espressamente, ma ho sentito ciò che andava ciancicando: l’ha descritta, infatti, ad uno dei suoi lavoranti, come il ritratto della sua musa ispiratrice».
«E non ne sei contenta?
»
Vittoria alzò le spalle.
«
Sono talmente tante le cose che non vanno più bene tra di noi, che non lo so. Io ci sto mettendo molto di mio per salvare questa storia, però credo che ormai non ci sia più molto da fare».
Marcello temporeggiò qualche secondo, in modo da scegliere accuratamente le parole da dire.
«Se non ti trovi più bene con lui, perché non lo lasci? Vittoria, sarò sincero con te come lo sono sempre stato: ultimamente, ti ho vista molto più assorbita dalla mostra che da lui
».
«Ma è così! Quando l’ho conosciuto, credevo fosse una persona diversa, anche se devo ammettere che non è mai stato il mio tipo ideale. Tuttavia, non pensavo che potesse rivelarsi così dannoso...
»
«Vittoria, cosa intendi per dannoso?»
«
Oh, sai, per esempio, l’altro giorno... » la ragazza si interruppe, esitando. «Prima, però, promettimi che non lo racconterai a Gerardo».
Quella richiesta sorprese non poco Marcello: tra loro tre non c’erano mai stati segreti e il fatto che Vittoria gli stesse chiedendo di non dire nulla al loro amico era alquanto bizzarro.
«Per la miseria, così mi metti in agitazione! Si può sapere cosa è successo?»
«
Prima prometti!» insistette la sua interlocutrice, alzando il tono di voce.
«Prometto, prometto, ma parla adesso!
»
La giovane sospirò: «Era nervoso per via di alcune sculture che non riescono a spedirgli da Leningrado5
, così ho cercato di risollevargli il morale, ma...»
«
Ma?» incalzò il giovane, assottigliando lo sguardo con aria inquisitoria.
«Mi ha... tirato uno schiaffo
» ammise l’amica, a bassissima voce, come se si vergognasse. Marcello poté giurare di averla vista tremare.
«Che cosa?! E ancora non l
hai lasciato?»
Vittoria non rispose, stringendo le braccia contro di sé, come a ripararsi da un freddo insistente, chinando la testa.
«Dovevi troncare subito tutti i rapporti! Un uomo che alza le mani su una donna è una bestia!
» berciò Marcello, scattando in piedi. «L’aveva già fatto altre volte?»
Lei non si mosse, né rispose ed il biondo capì che c’erano stati dei precedenti.
«
Maledetto porco schifoso... non avrei dovuto fartelo conoscere! E Gerardo deve saperlo, è una cosa troppo grave per non riferirgliela!»
«Aspettiamo. Una volta terminata la mostra, ti prometto che lascerò Bartolomeo» disse la giovane, alzandosi a sua volta dalla sedia, inquieta.
«
Secondo me dovresti dirglielo subito, altrochè! E avresti dovuto lasciare quel verme molto prima: Vittoria, sei una ragazza così intelligente, che cosa te lo ha impedito?»
«
Non lo so... Forse, credevo che con l’affetto sarebbe cambiato, invece...» pigolò Vittoria, mentre le lacrime cominciavano a rotolarle giù dalle guance. Marcello, intenerito, le si avvicinò, cingendole la vita con un braccio, e la ragazza gli si strinse contro, continuando a singhiozzare.
«
Se uno è marcio dentro, non cambia» sussurrò lui, accarezzandole la testa. «Sei una ragazza fantastica, meriti di meglio».
La risposta dell’amica arrivò soffocata dalla stoffa della camicia di lui: «
Chi piace a me non mi vuole, guarda solo le altre».
«
Questo tipo non deve essere uno tanto sano di mente, se non riesce a vedere quanto sei in gamba».
Vittoria non disse nulla, continuando il suo pianto liberatorio.

La ragazza si trattenne a Villa Aurelia ancora una mezz’ora, poi se ne andò a casa, dicendo che doveva mettersi a riposare per placare il terribile mal di testa che le era scoppiato.
Marcello l’accompagnò fino al cancello e, al momento dei saluti, si risparmiò ulteriori raccomandazioni, dato che sapeva che la battaglia era persa in partenza: Vittoria aveva una personalità molto ostinata e, nonostante avesse una spiccata intelligenza, a volte preferiva fare l’ottusa.
Nel rientrare in casa, diretto in camera sua, il biondo si augurò solamente che fino alla mostra non succedesse nulla di grave, così da avere almeno il tempo di convincere la giovane a riferire tutto anche a Gerardo, dato che era l’unico del terzetto a non sapere nulla della vicenda, nonostante avesse il diritto di sapere. 
L’obiettivo, che dovevano raggiungere al più presto, infatti, era far sì che Bartolomeo scomparisse dalla vita di Vittoria.
Amareggiato dalle recenti scoperte, il giovane pensò a Beatrice e si chiese se anche a lei fosse capitato qualcosa di brutto e, purtroppo, non lo poteva escludere: se perfino la sua migliore amica era rimasta invischiata in una così brutta faccenda, a maggior ragione sarebbe potuto capitare alla fanciulla, dato che viveva di per sé in una condizione tremenda.
Improvvisamente si ritrovò a temere per la sorte di quella dolce ragazza dai capelli rossi e, non riuscendo a reprimere il brutto presentimento che si era affacciato nel suo cuore, afferrò d’istinto il cappotto e si diresse a casa di lei.

Appena mise piede fuori casa, Beatrice respirò l’aria a pieni polmoni: quasi non riusciva a credere di aver lasciato quelle quattro mura, anche se per poco. Infatti, aveva miracolosamente ottenuto dalla zia il permesso di uscire per recarsi in merceria, al fine di acquistare alcune matassine per il puntocroce.
«Cicci, perché ti sei fermata?
»
«Perché non mi ricordavo più che odore avesse l’aria libera
» rispose la ragazza, tenendo gli occhi chiusi. Sarebbe rimasta così ancora per molto, ma, con suo enorme disappunto, suo fratello le mise fretta.
Purtroppo, non poteva assolutamente uscire da sola e ogni volta che lasciava Villa dei Salici doveva essere scortata da qualcuno, a scelta tra Guido e Anna Laura. Uno meglio dell’altro, insomma.
Ciononostante, a Beatrice mancava talmente tanto avere un contatto con l’esterno che aveva imparato ad apprezzare anche quella misera ora d
aria, pur di riuscire a mettere il naso fuori.
Si avvicinò al grande cancello e lo aprì a mano, poiché la chiusura automatica era rotta e non c’erano i soldi per far venire un elettricista; era talmente contenta di poter finalmente poggiare il piede in strada, che non si accorse subito di lui.
Dovette guardare due o tre volte, prima di rendersi conto che non era un miraggio; quando realizzò che non stava sognando, il suo cuore mancò un battito: dall’altra parte della strada, c’era Marcello.
«
Bea, perché ti se’ fermata di nuovo?» domandò Guido, evitando per un pelo di sbatterle contro.
«Il portafoglio!
» esclamò Beatrice con voce stridula. «Me ne son dimenticata, l’ho lasciato di sopra... Perché non lo vai a prender tu?»
Il ragazzo sbuffò sonoramente.
«Hai sempre la testa tra le nuvole! Va bene, ci vado, ma tu non ti muovere, sai che la zia Assunta non vuole che tu te ne vada a giro da sola
».
«Suvvia, dove vuo che vada, senza una lira in tasca?» fece la fanciulla, pronta. Dopo che si fu accertata che lui fosse rientrato in casa, si voltò nuovamente verso la strada, in direzione di Marcello.
Che sofferenza non potergli correre incontro! Il biondo la guardava con aria interrogativa, restando fermo al suo posto. Forse era davvero un miracolo che Anna Laura e
la zia non fossero in casa, altrimenti avrebbero già scorto il giovane da una delle finestre: non era un mistero, infatti, che fossero delle gran pettegole, sempre a ficcanasare su tutto quello che accadeva nel quartiere.
Beatrice scosse lentamente il capo, senza staccare gli occhi dal ragazzo, sperando che capisse che non si doveva avvicinare.
In risposta, Marcello affermò, con aria condiscendente, e fece un paio di passi indietro, ritirandosi nella penombra degli ippocastani.
La giovane sentì gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime: perché il destino con lei si stava rivelando tanto crudele, accanendosi contro di lei? In fondo, chiedeva solamente l’occasione di passare un po’ di tempo con il ragazzo che le piaceva, come una sua qualsiasi coetanea.
La voce di Guido le arrivò lontana: «Cicci, non c’è nessun portafoglio nella tu
camera. Sei sicura di non averlo con te?» 
«
Oh» fece Beatrice, riavendosi dai brutti pensieri, «sì, hai ragione. Non avevo guardato bene nella borsa, è qui».
«
Non per offenderti, Bea, ma ultimamente se’ un po’ svampita» commentò l’altro. «Su, andiamo, che si fa tardi!»
Con un enorme sforzo, la giovane seguì il fratello ma, prima di voltare, forse per sempre, le spalle a Marcello, gli lanciò un ultimo sguardo carico di dolore e di tristezza.

Quando si rese conto che le vetrine cominciavano ad essere addobbate a festa, la giovane realizzò che Natale non doveva essere molto lontano. Amava quella festività, sebbene non l’avesse più celebrata con il dovuto riguardo, da quando era morto suo padre; quell’anno, però, si era davvero illusa di poter tornare a considerare il periodo natalizio con gioia e aveva appena cominciato a crederci sul serio, quando le sue aspettative erano state prontamente dissipate, come fumo al vento.
«Ti aspetto qui fuori, Cicci. Mi raccomando, non metterci troppo, stasera devo uscire con una ragazza, non si può fare tardi
».
«Che novità!» commentò Beatrice, furibonda, giacché non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Marcello, che la guardava andare via. Probabilmente aveva cercato di chiamarla al telefono e, non ricevendo risposta, si era preoccupato.
Che sciocca era stata a fantasticare su uno scambio di regali natalizi con lui!
Stringendosi nel cappottino di panno, che aveva terminato di cucire con tanta fatica, si avviò per una traversa di Via della Mercede, alla volta della merceria dove si riforniva sempre.
La stizza, che scaturì nel notare che anche la vetrina di quel negozio era addobbata a festa, fu talmente grande che la ragazza fu seriamente tentata di tornare indietro senza aver acquistato nulla. Per fortuna, cambiò idea a breve, lasciando che prevalesse la voglia di finire il suo vestito nuovo, anche se, molto probabilmente, non avrebbe avuto occasione di indossarlo.
Non era una ragazza vezzosa, tuttavia non poteva negare che amava dare sfogo alla sua creatività, realizzando nuovi abiti.

Seduti sulla soglia della merceria, c’erano due bambini, un maschietto ed una femminuccia, che stavano mangiando un gelato quasi più grande di loro. Si somigliavano molto, sebbene l’uno fosse moro e l’altra più castana.
«
Ma non avete freddo?» chiese la fanciulla, guardandoli sorpresa.
«
No» rispose il bambino, «io mangerei sempre gelato al cioccolato. È buono!»
«In effetti, le cose buone son sempre buone» gli disse Beatrice, accorgendosi che aveva ragione.
«Devi entrare?» le chiese la bambina, alzandosi per lasciarla passare.
«Oh, sì. Grazie».
«La nostra mamma ha tutto, vende cose molto belle, sai? Troverai sicuramente quello che cerchi
» aggiunse la piccolina, dando un’altra leccata al suo cono alla crema.
La ragazza le sorrise ed entrò.
L’interno del locale era stracolmo di ogni tipo di stoffa, rotoli e tavole, fili e gomitoli di lana, un tripudio di colori e di materiali diversi. Facendosi largo tra gli articoli che vendeva, la proprietaria del negozio venne ad accogliere Beatrice con un gran sorriso: «
Buonasera, cara, in cosa posso esserti utile?»
Era una donna che doveva aver già superato la trentina, molto elegante con il suo tailleur rosa antico e i capelli legati in un raffinato chignon.
«Buonasera, signora Sofia
» rispose con garbo la fanciulla. «Avrei bisogno di altre due matassine di cotone per il punto croce».
«Colore?»
«Il settecentoquarantasette
» disse, dopo averci pensato un po’ su.
Immediatamente, la donna sparì nel retrobottega. Rimasta sola, Beatrice si guardò intorno, gioendo nel vedere tante stoffe colorate; chissà, se la sua vita fosse stata diversa, forse, sarebbe potuta diventare una stilista o un’arredatrice. Senza dubbio, avrebbe coniugato la sua passione per il disegno e per l’arte con quella per i filati.
I due bambini rientrarono in quel mentre, facendo tintinnare il campanellino che avvisava dell’entrata di un cliente. Fu proprio in quel frangente che lei notò un cartello arancione, appeso alla porta, con su scritto Cercasi personale. Ci volle solo qualche istante, perché la reazione della giovane fu immediata.
Infatti, quando la venditrice riemerse qualche minuto dopo, tenendo in mano quello che le era stato chiesto, Beatrice le chiese: «
Mi scusi, sul serio cercate personale?»
«Esattamente. Cercavo una ragazza che potesse affiancarmi nelle vendite. Mio marito ci ha provato ma, essendo un uomo, non conosce benissimo le differenze che ci sono tra i vari articoli che vendiamo. E non è nemmeno in grado di dare consigli sul cucito, povero caro. Le clienti devono sempre attendere che mi liberi io, per essere servite al meglio
» spiegò la signora Sofia.
«
Che genere di requisiti dovrebbe avere la nuova commessa?»
«In realtà, nulla di speciale. Un’ottima conoscenza dei filati, delle stoffe, dei bottoni... Se magari fosse anche esperta di ricamo e cucito e se la cavasse nei lavori di sartoria, sarebbe meglio. Ogni tanto collaboriamo con le compagnie teatrali ospitate dal Teatro Argentina, sai, per accomodare i costumi...
»
La fanciulla sorrise: che forse avesse avuto, finalmente, un segno divino?
«Potrei andar bene io?»
La donna, che le stava facendo il conto, posò la matita sul bancone e la guardò da sopra gli occhiali.
«
Cara, quanti anni hai? Non sei troppo giovane?»
«
Ho compiuto diciotto anni lo scorso maggio, son maggiorenne» affermò la ragazza, sicura di sé.
Picchiettando leggermente le dita sul legno del banco di vendita, come se stesse pensando, la donna continuò con le domande: «
Come te la cavi con il cucito?»
«Questo» disse Beatrice, volteggiando lentamente su sè stessa, «è un abito che ho cucito interamente da me».
«
Anche il modello?» chiese esterrefatta la sarta, avendo certamente notato la pregiata rifinitura dell’abito di cotone verde.
«Certo, l’ho disegnato io. Potrebbe mettermi in prova, se non dovessi soddisfare le su
aspettative può sempre rimandarmi a casa».
Il tono risoluto della ragazza sembrò convincere la signora Sofia.

«
D’accordo. Allora comincerai domani pomeriggio e lavorerai ogni giorno, domenica esclusa, dalle sedici alle venti. Ti terrò in prova due settimane, dopo di che deciderò se assumerti regolarmente».
«Davvero l’hai fatto tu?»
La ragazza si voltò e notò che la bambina la stava guardando, interessata.

«
Sì, ti piace?» 
«Moltissimo. Se verrai a lavorare qui, me ne farai uno uguale?
»
«Molto volentieri
» rispose dolcemente la fanciulla.
La piccola sorrise
«Come ti chiami? Io sono Valentina».
«
Piacere, Valentina, io sono Beatrice».
«
Io mi chiamo Alessio!» si intromise il bambino, vedendo che stava rimanendo fuori dalla discussione. «Sono suo fratello».
«
Piacere, Alessio».
La signora Sofia si avvicinò: «A quanto pare, hai già conosciuto il resto della squadra!»

Uscita dal negozio, Beatrice si sentiva molto più contenta di quando vi era entrata. Non riusciva a credere che, per una volta, qualcosa fosse andato bene: del resto, era anche ora, dopo tutto quello che aveva subito.
Trovò Guido che l’attendeva appoggiato all’auto; certamente anche il fratello dovette notare la sua contentezza, poiché le domandò:
«Hai trovato i super sconti, Bea? Sembra che tu abbia vinto alla lotteria».
«Oh, ho fatto molto di più!
» rispose la giovane, salendo in macchina.
«Che intendi dire?
»
Beatrice attese che il ragazzo mettesse in moto, così da creare un po’ di suspense: «Ho trovato un lavoro i
n merceria. Farò la commessa».
Guido aggrottò la fronte.
«Credi che la zia te lo lascerà fare?
»
«Non potrà dire di no a ciò che le proporrò: le cederò due
terzi del mi stipendio. Però dovrà riassumere la Bettina, perché lavorando non avrò più tempo a sufficienza per riordinare tutta la casa» spiegò la fanciulla, sospirando. Non era giusto che si privasse, a causa delle parenti malvagie che si ritrovava, dei soldi che avrebbe guadagnato, eppure sapeva benissimo che non ci sarebbe stato altro modo per convincerle. Non aveva altra scelta e, tra i due mali, avrebbe dovuto scegliere il minore.
«
Stando così le cose, potrebbe anche ascoltarti» concordò il fratello, dimostrandosi, una volta tanto, assennato nel dare un parere.
«La Bettina è stata licenziata ingiustamente ed ha bisogno di quel lavoro. Come ho bisogno della mi libertà, non potete tenermi segregata in casa!» rincarò Beatrice, volendo far valere i propri diritti. Guido non rispose, lasciando la sorella libera di interpretare il suo silenzio come meglio credeva, ovvero che era consapevole che fosse anche colpa sua, se lei era costretta a subire tutti quei soprusi da parte di Anna Laura e della zia Assunta.
Senza calcolare la riprovevole corte che le faceva Navarra.
Beatrice ora riusciva a vedere uno spiraglio di luce nella sua vita: se si fosse giocata bene le sue carte, avrebbe presto ripreso a respirare aria pura.






***
[N.d.A]
1. zita: in toscano, zitella.
2. Un figlio... ricchi: la frase è estrapolata da un libro che ho letto il primo anno di liceo, tuttavia non ricordo né autori né titolo, se qualcuno dovesse conoscerlo, me lo faccia sapere così da dare i giusti credits. La citazione fa riferimento alla pratica dell’esposizione, molto usata nell’Antica Grecia, che prevedeva l’abbandono, sulla soglia di casa, dei figli che non si potevano tenere, lasciandoli così esposti alle intemperie, agli animali e ai passanti. Il destino di questi bambini era quindi di morire o, nel migliore dei casi, di essere adottati da altre famiglie.
3. Dove sei: era una rubrica, all’interno del programma tv Portobello, che trattava casi di persone scomparse. Nient’altro che un prototipo dell’attuale Chi l’ha visto? La trasmissione venne sospesa nel 1983 e ripresa, solo per poco, il 20 febbraio 1987, ovvero alcuni mesi dopo gli eventi qui narrati.
4. Wild Boys: qui Marcello sta giocando sul nome di un brano dei Duran Duran, inciso nel 1984. Ovviamente, il citato Simon Le Bon è il cantante della band britannica, molto famosa negli Anni
80.
5. Leningrado: l’attuale San Pietroburgo. Ha conservato il precedente nome fino al 1991.

***

Per la revisione, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Grazie alla mia Anto, per aver letto ancora una volta in anteprima.

***


Salve a tutti!
Che ci crediate o meno, la prima ad essere sorpresa di questi aggiornamenti costanti sono io. Anzi, per essere onesta, considerando il sadico ritmo di studio che mi si prospetta fino a Dicembre, devo ritenermi fortunata ad aver pensato di mettere da parte qualche capitolo già scritto, perché, altrimenti, questo racconto sarebbe andato nuovamente in stand-by.
Essendo - miracolosamente! - arrivati al quinto capitolo, posso dire che la storia ormai abbia preso una piega definita, sebbene ancora non sia stato detto tutto (alcune cose si sapranno solo alla fine, altrimenti leggere questa storia diventerebbe più scontato e noioso di quello che, probabilmente, è).
Ringrazio chi legge questi capitoli chilometrici, chi ha messo la storia in uno dei propri elenchi, chi mi dedica un po’ del suo prezioso tempo lasciandomi un parere, chi verrà allo scoperto più avanti.
Come sempre, se volete leggere un estratto del sesto capitolo (la cui pubblicazione è prevista per il 25 di questo mese), vi lascio il link al mio blog.
Alla prossima!
Halley S. C.

  
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