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Autore: Aura    10/11/2014    2 recensioni
“Aspetta un attimo, i bravi ragazzi non baciano così!”
“Fanno anche di più, cazzo”
(cit. Il diario di Bridget Jones)
Lexie ha solo ventidue anni, eppure ha ereditato una figlia. Ha chiuso le ambizioni di carriera e la sua giovinezza dentro a un cassetto, la sua vita gira intorno alla piccola Alanis: fa la commessa in una libreria e il suo momento di trasgressione settimanale è quando può avere il controllo del telecomando e gustarsi Dirty Dancing fantasticando su Johnny, il primo di una lunga lista di bad boy che le hanno rubato il cuore. Il suo nemico giurato? L'altezzoso maestro di Alanis, tale William Parker ribattezzato Testa di Corno, la classica persona che guarda tutti dall'alto in basso e che vuole sempre aver ragione, anche sull'educazione di sua nipote. O no? Comunque Lexie lo trova ridicolo e insopportabile, fuori moda ed esasperante nella sua ostinazione a volerla chiamare Miss Spencer, quasi per tenere le distanze da lei. O no?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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sconvolta


Comunicare. È la prima cosa che impariamo davvero nella vita. La cosa buffa è che più noi cresciamo, impariamo le parole e cominciamo a parlare e più diventa difficile sapere cosa dire, o peggio ottenere quello che davvero vogliamo. [...] E alla fine della giornata ci sono delle cose delle quali non si può fare a meno di parlare. Certe cose semplicemente non vogliamo sentirle, e altre le diciamo perché non possiamo più tenerle dentro. Per certe cose non servono parole, certe cose si fanno e basta. Alcune cose si dicono perché non si ha altra scelta. E alcune cose le lasciamo dentro noi stessi. E non accade molto spesso ma di tanto in tanto alcune cose semplicemente parlano da sole.

(Grey's Anatomy, stagione 2 episodio 7)







Mi capita di vederlo sempre più spesso, quando vado a prendere Allie a scuola: nel cortile, alla finestra della sua aula, nell'atrio mentre sta uscendo. E tutte le volte devo trattenermi dal chiedergli che cos'ha da guardare o mandarlo a quel paese. È come se mi stesse tenendo d'occhio, e io questa cosa non riesco a sopportarla: sarò anche giovane, ma di sicuro sono in grado di badare a mia nipote, non ho nessun bisogno del controllino da parte dell'esperto.
Le mamme della classe sembrano tutte entusiaste di lui, ma questo è perché sicuramente lui sa quale culo leccare.

È stata una settimana terribile e sono contenta che sia già arrivato il venerdì: il culmine è stato svegliarmi stamattina con la febbre e sapere di non potermi concedere il lusso di fare la malata. Pam e Paul passano il week end fuori per un matrimonio, Beth usa ogni momento libero per cercare di organizzarsi con il trasloco e mamma oggi ha la dialisi e papà non può lasciarla sola; così devo trascinarmi fuori dal letto, accompagnare Allie a scuola e vegetare in libreria cercando di stare in piedi fino al momento di andarla a prendere; poi potremo andare a casa e chiuderci dentro per due giorni, sperando di guarire nel frattempo.
- Zia, hai la faccia verde. - mi dice, preoccupata.
- Zia ha solo un po' di raffreddore. - la tranquillizzo con voce nasale, bevendo un po' di sciroppo, - Questa mattina vanno bene i cereali per colazione, vero? Svegliami quando finisci di mangiare. - Le metto davanti la scatola e collasso sul tavolo della cucina, godendomi la sensazione di fresco sulla faccia. Pensavo di voler riposare solo gli occhi e invece quando Allie mi chiama mi rendo conto di essermi addormentata davvero, ma per quel poco è stato bello. Arranco verso l'ingresso, senza scordare di dirle di mettersi il cappello: se si ammala anche lei siamo fritte.
Per fortuna sapevo che non potevo lasciare Allie a nessuno e ho detto alla Fitzpatrick che non avrei potuto coprire il turno pomeridiano di Pam, perché quando lei arriva con un'ora di anticipo per darmi il cambio non ce la faccio più a rimanere.
- Potevi chiamarmi, ti avrei detto di stare a casa in queste condizioni. - mi rimprovera.
- Tanto dovevo portare Allie a scuola. - provo a giustificarmi.
Lei fruga nella sua borsa da nonna e tira fuori un blister di paracetamolo che accetto riconoscente,
- Grazie, per farmi andare via prima.
- Non ti preoccupare, Lexie: sono vecchia ma la libreria è mia e un turno ogni tanto sono in grado di farlo. Mettiti sotto alle coperte, mi raccomando!
Dopo che avrò recuperato Allie a scuola, di sicuro.

Arrivo in anticipo ed entro, puntando alle sedie del corridoio e nonostante la pastiglia di paracetamolo che ho preso sento che la febbre non accenna a scendere: sono coperta come un'eschimese eppure non riesco a smettere di tremare. Mi lascio cadere su una sedia fuori dall'aula di Allie, con tutta l'intenzione di farmi un sonnellino prima del suono della campanella.
- Miss Spencer?
Socchiudo gli occhi, il signor TDC mi guarda incredulo, probabilmente schifato dal mio aspetto da film horror.
- Non darò fastidio: manca solo un'ora alla fine della scuola, non posso andare a casa e tornare qui. - tossisco, sperando che rientri in classe e mi lasci dormire.
C'è silenzio e deduco che abbia seguito il mio consiglio implicito, e invece rabbrividisco al contatto di una mano gelida che mi sfiora la fronte.
- Scotti.
- Ma va? - borbotto, vince decisamente il premio di insegnante più intuitivo dell'anno.
- Perché non vai a casa?
E perché lui deve essere così ottuso?
- Perché devo portare a casa Allie: Pam e Paul sono via, i miei in ospedale e Beth non può. - rantolo, infischiandomene del fatto che non sa chi è Beth. - Non hai una lezione da tenere? Vai, su. - lo congedo.
Eppure ancora una volta il signor TDC non sembra intenzionato a lasciarmi in pace, si presenta di nuovo davanti a me con la sua giacca in mano.
- La classe è a ginnastica, stavo solo correggendo dei compiti. Vieni, ti porto a casa e poi torno a prendere Alanis.
- Non devi. - protesto, mentre dentro di me il pensiero di andare a casa adesso e per giunta in macchina è pari al sentire le campane del paradiso.
Lui mi aiuta ad alzarmi.
- Muoviti, Miss Spencer: oggi non sei in condizione di fare di testa tua.
Mi tiene per il braccio mentre camminiamo lungo il corridoio, adattandosi al mio passo strascicato, mi guida verso la sua macchina e aspetta che io mi sistemi dentro prima di chiudere il mio sportello e fare il giro per salire.
- Signor TDC... non sono sicura di potertelo lasciar fare, Allie si preoccuperà se non mi vede a prenderla.
- Allie era preoccupata per te, stamattina: sono sicura che capirà.
- Povera cucciola, cosa avrà fatto di male per meritarsi una zia così. - mormoro, nei deliri della febbre. - Tu sei d'accordo con me, vero? - sbadiglio, prima di lasciarmi cullare dal movimento della macchina e piombare in un sonno pieno di incubi.

Mi sveglio nel mio letto, la pelle mi brucia per la sconfortevole pressione dei jeans e ho la gola secca.
Allie!
Sento dei rumori ovattati venire dalla sala e cerco di chiamarla, ma la voce è troppo debole e capisco che non mi sentirà mai. Non so che altro fare se non allungarmi e prendere il cellulare sul comodino e fare il numero di casa. Sento il telefono squillare ma non risponde nessuno, invece Scott entra in camera.
- Ti sei svegliata, finalmente. - dice, con la voce paziente che si usa con i malati.
Per fortuna Allie non è da sola.
- Che ci fai tu qui? - tossisco.
Mi porge un bicchiere di spremuta, in cui presumo avrà sciolto qualche medicina.
- Sono venuto a dare il cambio a Will: lui ti odia e non poteva rimanere.
Faccio due sorsi con fatica e gli restituisco il bicchiere.
- Perfetto, quando è così lo odio anche io. - Scott mi guarda stranito ma non ho la forza di chiedermi il perché, non vedo l'ora di tornare a dormire. - Grazie per badare tu a Allie. - gli dico, mentre sta uscendo.

Apro ancora gli occhi,
prima di riaddormentarmi avevo avuto la buona idea di sfilarmi i jeans, quindi ora almeno non sento più quella fastidiosa sensazione, ma ho decisamente freddo. Chiamare Scott per farmi aiutare è fuori discussione, quindi mi faccio forza e mi metto a sedere, prendo un bel respiro e mi alzo, andando verso il cassettone. Frugo e trovo un paio di pantaloni della tuta, alzo una gamba e me li infilo lentamente... pessima idea.
La porta di spalanca e se già ero a disagio all'idea che mi trovasse Scott, collassata a terra con i pantaloni mezzi su e mezzi giù con il sedere di fuori, la visione del signor TDC mi fa rimpiangere di non essere del tutto svenuta.
- Oh cielo, non tu, ti prego. - rantolo mentre tento di alzarmi senza risultato, e lui sebbene sia ancora più in imbarazzo di me non fa una piega e mi solleva.
La prima cosa che faccio, una volta appoggiata al letto, è rimediare al disastro e tiro su i pantaloni quasi fino alle ascelle.
- Ti ho sentito cadere. - si giustifica, ma non fa cenno di volersene andare e rimane in piedi a guardarmi. - Devi essere molto debole, vuoi mangiare qualcosa?
Annuisco, ma dovrà passare sul mio cadavere se pensa che lo lascerò imboccarmi.
- Vorrei mangiare a tavola però. - Cerco di rimettermi in piedi e a mio malgrado devo appoggiarmi a lui per non cadere. - Allie? - chiedo.
Parker mi aiuta a sedermi su una sedia in cucina e poi cerca qualcosa in un sacchetto appoggiato al bancone.
- Dorme, sono le nove.
Mia nipote che dorme alle nove? Sto davvero delirando. E forse anche Parker è il frutto della mia immaginazione.
- Scott?
Lo guardo muoversi nella mia cucina, incapace di provare risentimento contro quella allucinazione.
- È a casa, domani mattina vanno delle persone a vedere il vecchio appartamento e lui sta dando una mano a Gabrielle a sistemarlo.
Scalda al microonde quella che deve essere una zuppa di pollo e poi la travasa in un piatto fondo, me la mette davanti e si mette a spremere delle arance.
- E tu perché sei qui, se mi odi? - non sono riuscita a fare a meno di chiederglielo, ma se è un'allucinazione forse non me ne devo preoccupare. Anche se il profumo di questa zuppa di pollo è reale, e anche il brontolio allo stomaco. Lui si è fermato e mi sta guardando, perplesso.
- Cosa?
Accidenti, l'ho proprio lasciato senza parole: ora è certo che è un'allucinazione.
- Me l'ha detto Scott prima: tu mi odi e non potevi rimanere.
La sua espressione si fa ancora più confusa, rinuncia alle arance e si siede di fianco a me.
- Dubito che Scott ti abbia detto così: il venerdì pomeriggio tengo un corso alla NYU, è per quello che gli ho chiesto di sostituirmi. E per inciso: non ti odio affatto. - Ha un modo di dirlo, così serio e determinato, che mi fa sentire in colpa.
- Non mi va più. - dico per cambiare argomento, spingendo leggermente il piatto in avanti: è troppo calda, e inoltre mi sento già più lucida per quelle due cucchiaiate che ho preso: immagino che la febbre si sia abbassata, e stare seduta mi fa bene.
- Mangia, miss Spencer. - mi intima, alzandosi e tornando allo spremiagrumi.
- Hai visto il mio sedere, non ti sembra che puoi passare a chiamarmi Lexie? - gli chiedo, sperando che neghi di averlo visto.
- No.
Ottimo, non so a che cosa si riferisca. Sospiro e prendo un altro po' di zuppa, e quando decide che ne ho preso a sufficienza mi porge due pastiglie e il bicchiere di spremuta.
- Ora vai a casa, vero? - gli chiedo, non vedendo l'ora che se ne vada e allo stesso tempo preoccupata per come supererò la notte da sola. Faccio per alzarmi e tutte le forze che ho racimolato mi abbandonano, facendomi cadere come un sacco di patate tra le sue braccia.
- Non mi sembra il caso, cosa dici?
Mi sento inutile, mentre lui mi solleva agilmente e mi porta in camera da letto. Odio aver bisogno di lui.

Lascio che mi appoggi a letto, spegne la luce e socchiude la porta dicendo che se ho bisogno di lui sarà sul divano.
Aspetto un po', nonostante la debolezza ho dormito tutto il giorno e il sonno non si decide ad arrivare, così cercando di non ripetere gli stessi errori mi alzo molto lentamente per mettere su un dvd. Ho un altro capogiro ma riesco ad afferrare il comò ed evitare di cadere, ma il rumore della custodia del dvd a terra deve averlo messo in allerta perché in una frazione di secondo è di nuovo in camera.

- È un vizio, ragazzina? - dice contrariato, vedendomi piegata e aggrappata al comò.
- Volevo vedere un film. - mi giustifico, abbassando la testa.
- E non potevi chiedermi di prendertelo? - chissà dov'è finito il suo tono cortese, oggi sembra sempre arrabbiato quando mi parla.
- Non volevo disturbare.
Lui sospira e mi solleva di nuovo, ma anziché portarmi a letto si gira e andiamo in sala.
- Mi costringi a tenerti sott'occhio, se ti ostini a fare così. - mi rimprovera. Mi allunga la coperta e rimane in attesa di istruzioni. - Avanti, che film volevi vedere?
Guardare Dirty Dancing con un ragazzo? Cielo, no.
Un attimo, ragazzo? Cosa mi viene in mente di chiamarlo così, lui è un vecchio Testa di Corno.
Mi schiarisco la voce, cercando di pensare a un'alternativa, ma non me ne viene in mente nessuna, e poi ho proprio bisogno di Patrick Swayze in questo momento.
Lui, vedendomi incerta, torna in camera, raccoglie il dvd a terra e torna in sala. Lo mette su e si siede vicino a me, rannicchiata all'angolo del divano.
- Mi sento a disagio, con te qui. - o glielo dicevo, o sarei scoppiata.
Lui mette in pausa e mi guarda, aspettandosi che io continui, ma quello che dovevo dire l'ho detto.
- Posso capire, miss Spencer: non ci conosciamo abbastanza per avermi nel tuo salotto tutta notte.
Cielo, mi fa passare per una puritana: quando ero al college ho fatto cose molto peggiori con ragazzi che conoscevo da molto meno, però è diverso.
- Non si tratta di quello. Ti stai... prendendo cura di me, e io non voglio.
Lui annuisce,
- Non hai smesso un attimo di ricordarmelo, ma cosa dovrei fare? Lasciarti a te stessa? E Alanis?
Lo sapevo, si sente in dovere di rimanere per un suo codice d'onore personale.
- Non sei obbligato.
- Non mi obbliga nessuno, miss Spencer. E adesso guarda il tuo film, se ti da fastidio la mia presenza vado in cucina a correggere i compiti, dove potrò comunque tenerti d'occhio.
Ed ecco che mi fa sentire ancora in colpa, porca miseria.
Cerco di non pensarci e mi tuffo nel mio film preferito, ma questa volta sono completamente consapevole di un'altra presenza in casa, e non riesco a perdermi del tutto.

Qualcuno mi sta chiamando, e dal nome che usa è ovvio che si tratta di Parker.
- Miss Spencer? Ti è salita la febbre, ora ti porto a letto ma prima devi prendere un'altra pastiglia.
Sono troppo stanca e intontita per ribellarmi e faccio quello che lui mi dice, poi quando lui appoggia sul tavolino il bicchiere d'acqua che gli restituisco, gli tendo le braccia perché possa sollevarmi.
- È una piacevole novità vederti così arrendevole. - borbotta, oserei dire divertito ma la febbre come al solito distorce tutto quello che vedo e che sento.
- Non ti ci abituare. - trovo però la forza di dirgli.

Non so se l'ho sognato oppure è successo davvero, ma ho l'impressione che Parker sia venuto a svegliarmi un paio di volte stanotte, per farmi bere e per darmi le medicine, e effettivamente quando mi sveglio a mattina inoltrata sento che la febbre è passata.
Mi alzo, e sebbene mi senta ancora debole non mi prende nessun capogiro così, più tranquilla, esco dalla stanza.
- Ti spezzi ma non ti pieghi, eh? - Sento il suo rimprovero e immediatamente dopo l'odore acre che emana. Mi giro, o meglio emana la sua maglietta. Cerco di non fissare il suo petto nudo, trovando inappropriata più che mai questa situazione. - Immagino che tu non abbia magliette da uomo da prestarmi, vero?
Ok, qualche sbirciata la do.
- Che cosa è successo?
È magro e asciutto, eppure pur non avendo i muscoli sviluppati il suo torace risulta ben sagomato, niente tavola da surf con due etichette circolari come capezzoli, è decisamente il torace di un uomo. E se evitavo di prenderne nota era meglio.
- Allie: sta male anche lei. Adesso dorme, ma mi ha vomitato la colazione addosso.
Non posso fare a meno di ridacchiare, lui così dignitoso con in mano la maglietta piena di vomito.
- Mettila a bagno: vedo se posso trovarti qualcosa.
Torno in camera e trovo una maglietta con il logo del college che penso gli possa andare bene, poi prima di tornare da lui prendo anche un asciugamano. Non ho pantaloni e biancheria da uomo, si dovrà accontentare. - Immagino che ti vada una doccia. - dico, tornando in bagno. Sta arrossendo o mi è tornata la febbre con le sue allucinazioni? - E poi credo che tu possa andare, mi sento meglio.
Lui prende la maglietta e l'asciugamano.
- Smettila. - dice, prima di chiudersi in bagno.

Ha passato la notte in casa mia, ha vegliato su di me e su mia nipote che gli ha vomitato addosso e ancora sono a disagio con lui. C'è da dire che in tutto questo lui si ostina a non volermi chiamare Lexie. Quest'uomo è ridicolo.
Faccio capolino nella camera di Allie e vedo che dorme tranquilla, è calda ma non bollente quindi spero che, anche se gli ha preso lo stomaco, la sua influenza sia meno aggressiva della mia.
Raggiungo la cucina e metto su il caffè, mentre aspetto che scenda mi siedo, già stanca di quel giro della casa, e sento il suo rimprovero.
- Non hai il The. - dice, come se fosse un'eresia.
Devo sforzarmi di non sorridere: con la maglietta del college e i capelli umidi che si arricciano sulle tempie la sua età è decisamente ridimensionata.
- The? Sarebbe? - dico, fingendo di non conoscere quella parola. Lui scuote la testa e prende due tazze.
Dovevo aspettarmelo, io adoro il caffè e lui il The: non potrei trovare una persona con cui sono meno affine.
- Come ti senti? - mi chiede, mettendomi davanti oltre alla tazza di caffè anche una spremuta e una pastiglia.
- Meglio, sono certa che sto guarendo.
- Hai ancora la febbre. - mi informa, - Ma forse dopo aver passato la notte con la temperatura a quaranta gradi adesso ti sembra di volare.
Metto il termometro sotto l'ascella e quando lo sento suonare scopro che ha ragione, segna trentotto gradi. Sospiro, maledicendo la mia debolezza che lo rende così necessario.
Lui beve solo un paio di sorsi e poi si arrende, lasciando lì il caffè che sono tentata di rubargli.
- Cosa hai dato ad Allie? Ha un po' di febbre.
- Solo trentasette e mezzo, finché non sale Pamela mi ha detto di non darle niente.
- Pam? - chiedo, stupita.
Lui annuisce,
- Quando ti ho portata a casa, ieri, non sapevo in che appartamento entrare e l'ho chiamata, siamo rimasti in contatto. E per Alanis ho preferito chiedere consiglio a lei.
La mia Pam, chissà cosa farei se non ci fosse.
Mi stiracchio, sentendo che tornare a letto non mi dispiacerebbe per niente, ma anziché andare nella mia stanza viro verso quella di Allie e mi raggomitolo accanto a lei.

Ho passato l'intero pomeriggio senza febbre e anche Allie sembra sulla via della ripresa, e Parker finalmente ha acconsentito a lasciarci sole.
Averlo in casa oggi, più lucida, è stato ancora più strano di ieri perché per quanto credessi di esserlo ero decisamente intontita dalla febbre e con le difese abbassate: posso solo sperare di non aver detto niente di strano, che il filtro pensiero-bocca non sia stato totalmente fuori uso.
E stranamente anche lui, capendo che stavo meglio, non mi è stato tanto tra i piedi. Alle sei l'ho accompagnato alla porta, ringraziandolo, e quando l'ho visto prendere l'ascensore ho tirato un sospiro di sollievo: i due giorni più imbarazzanti della mia vita.











Nda Ed ecco che William Parker aka TDC prende più forma, in questo capitolo finalmente si capisce un altro pezzettino di questo uomo.  A scanso di equivoci: Scott non dice veramente a Lexie che William la odia, ma i deliri da febbre alta le hanno fatto capire così. A proposito sì, pur senza esagerare ho cercato di rendere la narrazione in linea con il suo temporaneo stato mentale, se noterete la differenza eccovi la giustificazione.
Sto provando una nuova dimensione del testo, perché c'era chi aveva difficoltà a leggere con la vecchia formattazione: fatemi sapere com'è questa, eventualmente posso cambiarla ancora.
E per il banner lassù in alto, semplicemente capita che per ispirarmi mi metto a giochicchiare con le immagini (e JJ Feild è stata una notevole fonte d'ispirazione ♥) e se mi escono decenti le allego alla storia, quindi all'alba del quarto capitolo abbiamo una copertina.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi saluto e vi auguro una buona settimana!
   
 
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