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Autore: Acinorev    10/11/2014    16 recensioni
"«Respiri, quando sei con lui?»
Lo ami?
«Non azzardarti ad usare contro di me le mie stesse parole», lo ammonì Emma, facendo aderire un po' di più la sua schiena alla parete fredda. Stringeva i pugni per scaricare su di essi tutta la tensione, perché non voleva mostrarla: ormai era migliorata moltissimo nel confinare e nascondere le proprie emozioni, fino a riuscire ad ingannare persino se stessa.
Harry le si avvicinò ancora, appoggiando l'avambraccio destro accanto alla sua testa e piegandosi lievemente verso di lei. Le stava respirando sul viso. «Rispondi».
Emma serrò le labbra in una linea dura, come a voler sigillare dentro di sé le parole che fremevano per uscire.
«Respiri?» ripeté lui a bassa voce.
Lo ami?
«Sì».
No.
Harry inspirò profondamente e si inumidì le labbra con un movimento lento: sembrava dovesse compiere un ultimo sforzo per ottenere ciò che più bramava. E quello sforzo si riversò in una semplice domanda.
«E con me? Respiri, quando sei con me?»
Mi ami?"
Sequel di "Little girl", della quale consiglio la lettura per poter capire tutto al meglio.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo dieci - Time out

 

«Anche io voglio andare a giocare!» protestò Camille, imbronciando il suo viso tondo e facendo oscillare le sue gambe magre dalla sedia troppo alta. Portava i fini capelli biondi in due trecce ordinate, che quasi contrastavano con la ribellione nei suoi occhi bruni e determinati.
Emma si sedette al suo fianco, gettando una veloce occhiata a Susan, nell’altra stanza, che aveva iniziato a giocare con le sue bambole. «Potrai farlo anche tu, quando avrai finito i compiti», rispose con pazienza, indicando con un cenno del capo il quaderno che la bambina aveva di fronte a sé, sul tavolo della cucina.
«Ma i miei sono più difficili!» insistette Camille, torturandosi le labbra della bocca piccola e rosea.
«Non si dicono le bugie», esclamò Emma, sospirando stancamente. «Pensi che mi sia dimenticata che andate in classe insieme?»
«Non è giusto», borbottò lei, smorzando la decisione nella sua voce.
«Dovresti fare come tua sorella», le consigliò Emma. «Se al posto di lamentarti ogni cinque minuti ti fossi concentrata, a quest’ora avresti già finito tutto».
La bambina non ribatté, ma sbuffò impugnando malamente la penna cancellabile ed iniziando a leggere ad alta voce l’esercizio di matematica. La voce spensierata di Susan a disturbare il silenzio della casa.
Erano appena le sei del pomeriggio ed il turno di lavoro di Emma sarebbe durato ancora per tre ore: paradossalmente, quella dei compiti scolastici era la parte più rilassante, se paragonata ai capricci per la cena e a quelli caratteristici del momento di spegnere le luci e andare a letto.
Si passò una mano sul volto e sbadigliò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia: sul tavolo in legno scuro, lo schermo del suo cellulare si illuminò senza far rumore segnalando l’arrivo di un SMS.
 
Un nuovo messaggio: ore 18.03
Da: Pete!Calciatore mancato
“Kent, tra una settimana mi tolgono il gesso: mi accompagni? Ah, ti saluta Dallas”
 
Emma fissò quelle poche parole con astio, alzando gli occhi al cielo.
«Camille: cinque più tredici non fa diciassette», disse nel mentre, seguendo distrattamente i calcoli della bambina pronunciati ad alta voce.
 
Messaggio inviato: ore 18.05
A: Pete!Calciatore mancato
“Primo: sì, ti accompagno. Secondo: PIANTALA di chiamarmi Kent. Terzo… Il deficiente è tornato in città?”
 
Non capiva con quale faccia tosta Dallas potesse inviarle i suoi saluti e sperava che Bradford non fosse interessata da un altro ritorno inaspettato.
Si era trasferito a Manchester nemmeno dieci mesi prima, per continuare la convivenza con Ruth nella sua città natale: non che fosse stato quello il motivo del loro allontanamento, dato che il loro rapporto si era logorato nemmeno un anno dopo la maturità. Emma non aveva mai pensato che lui potesse essere il tipo di ragazzo che è disposto a rovinare un’amicizia, pur di non compromettere la sua relazione, soprattutto perché non aveva mai creduto che la loro amicizia avrebbe mai potuto compromettere qualcosa.
Eppure, quando Dallas si era innamorato della sua nuova vicina di casa, Ruth Deily, e quando lei aveva iniziato a temere la presenza di Emma, lui aveva cambiato comportamento: sicuro che, quella che avrebbe dovuto essere la sua migliore amica, non l’avrebbe mai abbandonato per alcune difficoltà, si era preso la libertà di allontanarla sempre di più, arrivando persino a fingere che tra di loro si fosse interrotto qualsiasi rapporto. E se Emma da una parte non se ne capacitava, trovando assolutamente ingiusto il suo comportamento sia nei propri confronti sia in quelli di Ruth, dall’altra aveva cercato di accettare quella nuova situazione, mettendo al primo posto la felicità di Dallas. Presto o tardi, però, gli incontri segreti ed il proprio numero salvato in rubrica sotto falso nome avevano iniziato a starle stretti.
E Dallas non le aveva chiesto di restare.
 
Un nuovo messaggio: ore 18.06
Da: Pete!Calciatore mancato
“Scommetto che nel tuo telefono sono ancora salvato con quel nome di merda, quindi NO, non smetto di chiamarti Kent. Comunque l’ho sentito per telefono”
 
Messaggio inviato: ore 18.09
A: Pete!Calciatore mancato
“Allora appena si rifà vivo mandalo a ‘fanculo da parte mia: non ha nemmeno le palle di salutarmi di persona”
 
Le sembrava di essere al centro di una commedia: mentre Dallas era ancora a Bradford e da quando non potevano nemmeno più considerarsi amici, il massimo che si concedevano era un cenno del capo in segno di saluto – solo quando Ruth non era presente, ovviamente. Con il suo trasferimento a Manchester, invece, era come se non fosse mai esistito: Emma si infuriò, la prima volta che Dallas usò Pete per cercare un contatto o qualsiasi cosa avesse in mente, e si infuriò anche le successive dieci volte.
«Questo non lo so fare. Posso andare a giocare?» esclamò Camille, con una falsa innocenza nel tono di voce acuto.
«Camille…» sospirò soltanto Emma, guardandola con blando rimprovero. La bambina sbuffò e riprese il suo dovere.
 
Un nuovo messaggio: ore 18.11
Da: Pete!Calciatore mancato
“Sapevo come avresti reagito, quindi l’ho già fatto”
 
Messaggio inviato: ore 18.12
A: Pete!Calciatore mancato
“E lui che ha detto?”
 
Un nuovo messaggio: ore 18.14
Da: Pete!Calciatore mancato
“Che è un coglione. E non hai idea di quanto io abbia aspettato che lo ammettesse: forse è dalla quinta elementare”
 
Messaggio inviato: ore 18.15
A: Pete!Calciatore mancato
“Dio, quanto è stupido”
 
Probabilmente era infantile aggrapparsi così tanto a qualcosa attraversato anni prima, ma provava una tale dose di rancore da essere impossibile far finta che non esistesse.
 
Un nuovo messaggio: ore 18.15
Da: Pete!Calciatore mancato
“Per una volta che dice una cosa sensata!”
 
Messaggio inviato: ore 18.16
A: Pete!Calciatore mancato
“Sei il migliore”
 
Un nuovo messaggio: ore 18.17
Da: Pete!Calciatore mancato
“Non fare la lecchina, mi devi ancora le dieci sterline che ti ho prestato l’altro giorno”
 
 
 
 
Emma scese le scale lentamente, massaggiandosi il collo e ravvivandosi i capelli meno voluminosi del solito: era leggermente in ritardo, quindi doveva fare in fretta per arrivare a casa di Melanie ad un orario decente. La sorella l’aveva infatti invitata ad uscire, promettendole una serata di placido svago.
Premette il pulsante per aprire il cancelletto della casa delle gemelle ed uscì a passi lenti, facendo mente locale per ricordarsi dove avesse parcheggiato l’automobile.
«Stavo per chiamarti», esordì una voce al suo fianco. Scherzosa, bassa. Sua.
Emma sobbalzò e si portò una mano al petto, spaventata da quell’intrusione. Sbuffò e si voltò alla propria destra, fermando il proprio sguardo sulla figura di Harry: in piedi con le mani nelle tasche dei jeans neri, sembrava infreddolito nel suo maglioncino scuro.
«Harry, santo cielo…» borbottò, passandosi una mano sul viso in segno di arrendevolezza.
«Ciao», sorrise lui, come se si stesse divertendo oltre ogni misura.
«Si può sapere cosa stai facendo?» gli chiese, corrugando la fronte stancamente. «Come fai a sapere dove lavoro?»
Lui alzò le spalle e si avvicinò di un passo, permettendo alle luci dei lampioni di illuminargli meglio il volto rilassato. «Sono venuto a prenderti, ovvio», le rispose, ricordandole di quando due sere prima si era svolta una scena simile. Un complimento inaspettato e la richiesta di spiegazioni, una risposta scontata ed uno sguardo di sospetto.
«Torna a casa, devo vedermi con Melanie», gli suggerì, facendo per allontanarsi. Si sentiva indisposta, quasi la sua sola vista potesse metterla a disagio: doveva ancora capire se fosse a causa della stanchezza o di qualche altro assurdo particolare.
«Melanie è a cena con Zayn, in questo momento».
Emma si fermò e si voltò a guardarlo, con gli occhi confusi ed una decina di domande a stuzzicarle le labbra. «Tu che ne sai?»
Harry si limitò ad alzare un sopracciglio.
«Ah, non importa», lo liquidò con un sospiro. «Ti sbagli, mia sorella mi sta aspettando a casa».
«No», la contraddisse senza scomporsi. Nell’aria una sfida, un sottinteso ilare.
Lei assottigliò gli occhi e si fece più nervosa, grazie alle dinamiche che non riusciva a cogliere. «Parla», gli ordinò soltanto, scandendo ogni lettera: non le piaceva essere in una posizione di svantaggio, ma poteva contrastarla.
«È stata la piccola Melanie a darmi l’indirizzo», sospirò Harry, indicando con un cenno del capo l’edificio alle loro spalle. Emma ignorò il protratto utilizzo di quel soprannome e si concentrò sullo strano gesto di sua sorella. Finalmente poteva capire cosa fosse realmente accaduto: Melanie l’aveva incastrata in un impegno in modo che non potesse prenderne altri, per esempio con Miles, ed in modo che Harry potesse aspettarla e farle una sorta di sorpresa. Quello che ancora non comprendeva era il perché di quell’improvvisa alleanza contro di sé.
«Che stronza», mormorò Emma, mordendosi il labbro inferiore e distogliendo per un istante lo sguardo dal viso compiaciuto di Harry. «E tu… Non potevi semplicemente chiedermi di vederci?»
«E rischiare di ricevere un no come risposta?» ribatté lui, facendo schioccare la lingua sul palato. Le mani ancora in tasca ed i capelli sciolti un po’ disordinati. «Senza contare che è divertente vederti così infastidita».
Di nuovo quelle parole.
«Per te sembra essere tutto molto divertente», lo rimproverò senza rabbia, scuotendo la testa e dirigendosi verso la propria auto. Era sinceramente allibita dalla sua presenza, dai sotterfugi ai quali era ricorso solo per non ricevere un rifiuto: e sì, era infastidita dalla sicurezza che ostentava nel credere che, una volta presentatosi sul suo posto di lavoro, lei avrebbe di certo accettato di passare del tempo insieme. A che scopo poi?
«Allora? Dove andiamo?» la rincorse Harry, affiancandola con un ghigno sul volto. La sua insistenza era familiare, era un ricordo di ciò che avevano condiviso: spesso l’aveva impugnata Emma, ma non erano state poche le volte nelle quali Harry stesso si era mostrato intraprendente.
In un certo senso, temeva il significato di quel comportamento, proprio come l’aveva temuto due sere prima.
«Io torno a casa, tu fai quello che ti pare», rispose lei, aprendo lo sportello della propria auto e gettando sul sedile posteriore del passeggero la borsa che teneva sulla spalla destra.
«Come sei scortese», commentò Harry, trattenendola con uno sguardo.
«Non ho le forze per sopportarti, in questo momento», replicò, con un sorriso beffardo sul volto.
Lui ricambiò il gesto, divertito. «Ce ne vogliono così tante?»
Emma sbatté le palpebre e «Sì?» esclamò, come se fosse stato ovvio.
«Ok», le concesse Harry, alzando le mani in segno di resa. «Ma almeno accompagnami a casa».
«La tua macchina dov’è?» indagò, cercando di sventare il suo volersene approfittare.
«Sono venuto a piedi».
«Fin qua?» domandò incredula: diversi chilometri dividevano casa Styles da quella delle gemelle.
«Che c’è, ti preoccupi per me?»
«Harry», lo ammonì, trattenendo un sorriso esasperato. Era combattuta: se da una parte la divertiva quel loro modo di rapportarsi, dall’altra si sentiva in dovere di tenere alta la guardia, come se un improvviso attacco avesse potuto indebolirla da un momento all’altro.
«Avanti, non vorrai farmi attraversare la città nel buio, da solo, in balìa di tutti i pericoli ch-»
«Non sono nemmeno le dieci», lo interruppe, per metter fine alla sua patetica messa in scena.
«Accompagnami a casa», ripeté Harry, in una pretesa smorzata, morbida.
Emma alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente, forse anche per fargli notare quanto le pesasse quel gesto. E per convincersene. Non gli rispose, limitandosi a salire in auto e a rabbrividire per lo sbalzo di temperatura: Settembre stava portando con sé temperature sempre più ingannevoli e la sua vecchia Golf blu non era in grado di gestirle a dovere.
Harry camminò velocemente, con la soddisfazione dipinta sul volto, e prese posto sul sedile del passeggero: il capo sfiorava il tettuccio dell’auto, mentre le gambe lunghe erano piegate leggermente più del normale per potersi adattare allo spazio ridotto.
«Sei migliorata o guidi ancora come sei anni fa?» le chiese, allacciandosi la cintura ed accendendo la radio.
Emma lo guardò stralunata, confusa dalle libertà che si stava concedendo. «Faccio sempre in tempo a lasciarti a piedi», lo avvisò, ingranando la retromarcia per fare manovra ed uscire dal parcheggio stretto. Il ricordo della sua prima volta al volante a riempire l’abitacolo.
Lui rise e non ribatté, impegnato a cambiare stazione musicale ogni tre secondi, alla ricerca di qualcosa che lo incuriosisse. Era strano rapportarsi con il suo nuovo umore, non trovare traccia della tensione che l’aveva irrigidito oltre ogni limite di sopportazione o del rancore che le riservava: lei non credeva fosse possibile che avesse superato ed accettato tutto ciò su cui avevano discusso, ed era per questo motivo che stentava a fidarsi della sua spensieratezza, del suo giocoso atteggiamento.
«Qui gira a destra», la istruì, una volta arrivati alla fine della via nella quale si trovavano.
«Conosco la strada», gli ricordò. E svoltò a sinistra.
Harry la osservò indispettito, con le labbra inclinate in un mezzo sorriso. «Infatti», confermò in una palese presa in giro.
Emma si arrestò ad un semaforo arancione e strinse il volante nella mano destra. «Passando per Lays Street si arriva prima», si giustificò, guardando dritto di fronte a sé per non dargli alcuna soddisfazione. Non le importava nemmeno di avergli suggerito che volesse porre fine a quel momento il più in fretta possibile, anche se non era del tutto vero.
Lui si accigliò, sospettoso, ed allungò una mano per cambiare nuovamente stazione musicale.
Emma sbuffò, allungò una mano e tornò sulla stazione precedente, alzando il volume in un chiaro divieto a privarla per una seconda volta della canzone che stava ascoltando.
«Rallenta», le ordinò, poco dopo esser ripartiti.
«Non siamo più nella tua macchina», gli fece presente, senza prestargli ascolto. A differenza sua, rispettava i limiti di velocità e tutte le norme stradali, nonostante lui diventasse paranoico se non si trovava alla guida.
Harry sospirò ed aumentò i riscaldamenti dell’auto, canticchiando a labbra chiuse l’ultima hit del momento. Si muoveva come se si trovasse nel suo ambiente, con una straordinaria tranquillità, e chissà se fosse solo un modo per mettersi a proprio agio.
«Non dovevi girare a sinistra?» domandò all’improvviso, voltandosi all’indietro per potersi accertare dell’errore.
Emma alzò gli occhi al cielo, di nuovo, e si sistemò meglio sul sedile. «No».
«Invece sì», la contraddisse Harry.
«Ti ho già detto che conosco la strada, piantala».
«E mi hai già dimostrato due volte di conoscere una strada del cazzo», cantilenò.
Lei si obbligò a non ribattere: semplicemente, accostò alla prima occasione ed inserì le quattro frecce, mentre il traffico continuava a scorrere intorno a loro. Si voltò a guardarlo con un sopracciglio sollevato e lo sfidò, in una tacita minaccia: sarebbe davvero tornato a piedi, se non avesse smesso di importunarla.
Harry si concesse un iniziale sorriso incredulo, solo per poi trasformarlo in una risata sommessa: gli occhi quasi chiusi e le fossette ben visibili, infantili anche se su un viso ormai da uomo. Emma ne fu contagiata, ma cercò di trattenersi il più possibile, ingranando la prima ed immettendosi di nuovo in strada.
 
«Continuo a pensare che se avessimo fatto la mia strada, saremmo arrivati più in fretta», esclamò Harry, slacciandosi la cintura mentre Emma parcheggiava di fronte casa sua: avrebbe potuto semplicemente accostare, ma le era venuto naturale.
Sapeva che il problema non era arrivare prima o dopo rispetto ad una tabella di marcia, ma solo vincere una delle loro solite schermaglie: dopo sei anni, non erano ancora scomparse.
«Che palle che sei», si lamentò lei, accennando un sorriso nel voltarsi ad osservarlo. La radio era ancora accesa, i riscaldamenti erano stati spenti.
«Va bene, time out», sospirò lui.
Emma prestò attenzione all’atmosfera che li circondava, alla leggerezza che l’aveva sostenuta per tutto il tragitto impedendole di pensare: i lineamenti di Harry così rilassati, però, la obbligavano ad interrogarsi sulla loro natura.
Si fece più seria, accogliendo con naturalezza il silenzio che si fece spazio tra di loro.
«Non riesco a capirti», sussurrò dopo una manciata di secondi, rischiando di essere sopraffatta dalla voce concitata dello speaker radiofonico. Le sue iridi lo stavano studiando, per avvicinarsi ad una risposta.
«Cosa non capisci?» le domandò lui, senza alcun tono beffardo o compiaciuto.
«Non capisco perché tu sia cambiato così all’improvviso», gli rispose con decisione. «Perché tu ti comporti in questo modo, se fino a poco fa eri disposto solo a rinfacciarmi tutti i miei errori». Non c’era bisogno di spiegare in quale modo si stesse comportando, perché era evidente e loro, per quanto potessero giocare a non accorgersene, non erano stupidi.
«Mi hai chiesto di smettere di farlo», le spiegò Harry, risoluto.
Emma assottigliò gli occhi. «Sì, ma tu non sei il tipo che fa qualcosa solo perché gli viene chiesto. Non lo sei mai stato», rifletté. La sincerità che si era evoluta con la loro crescita era confortante, come se le difficoltà di un tempo, nella comunicazione, potessero essere smorzate e ridotte.
Harry attese qualche istante prima di rispondere con serietà, stringendosi nelle spalle. «Magari lo sono diventato».
«È questo il punto: ogni tanto scorgo qualcosa dell’Harry di sei anni fa, ma poi penso che forse è solo un’illusione, che forse sei davvero un’altra persona, e allora non sono più sicura di conoscerti, di sapere quello che ti passa per la testa».
«Perché, cosa credi mi passi per la testa?» chiese lentamente, come se fosse stato sinceramente curioso di avere una risposta. Stava riflettendo, lo si notava dal mondo in cui la osservava con attenzione, e probabilmente stava valutando se scoprirsi un po’ di più oppure no.
«Sembra quasi che tu ci stia provando con una ragazza fidanzata», spiegò Emma: il suo essere diretta e consapevole non era affatto cambiato. Non era ingenua, sapeva riconoscere le attenzioni di un ragazzo ed era abbastanza sicura di sé da non dubitarne: aveva incluso in quella risposta la puntualizzazione su Miles per stabilire un limite prima ancora che fosse necessario, come a ricordargli la situazione, come a sottolinearla anche a se stessa.
«Lea è fidanzata? Non lo sapevo», commentò Harry, corrugando la fronte.
Emma sbatté più volte le palpebre e schiuse le labbra, allibita da quelle parole inaspettate ed inaspettatamente serie: che diavolo c’entrava Lea? E perché si era sentita pungere da uno spillo affilato proprio quando aveva compreso l’allusione? Percepì una sensazione simile a quella che aveva provato quando li aveva visti insieme.
«Lea non è fidanzata», disse a denti stretti. Si sentiva una vera stupida ed un’illusa.
Harry inclinò le labbra in un sorriso e si inumidì le labbra. «Lo so, stavo scherzando», esclamò, con un’espressione compiaciuta. Aveva sicuramente notato i lineamenti di Emma tendersi per la stizza e si stava sicuramente crogiolando nella soddisfazione: stava evitando il discorso, puntando su una breccia di debolezza che aveva scorto.
Lei lo fulminò con lo sguardo e sbuffò, osservando qualcosa di indefinito fuori dal parabrezza.
«Sai, non credo che parlare di me e Lea dovrebbe farti ingelosire in questo modo», riprese Harry, sferrando l’attacco che era prevedibile.
Emma serrò la mascella, ma non si mosse. «È la seconda volta che lo insinui, e per la seconda volta ti ripeto che non sono gelosa», replicò dura. La gelosia era un’altra, ai suoi occhi: la gelosia era quella che l’aveva consumata al pensiero di Miles con le mani e le labbra sul corpo di un’altra donna, la gelosia era quella che l’aveva condannata ad una perenne insicurezza non degna della sua risoluzione. Quella che provava per Harry era una forma blanda di possesso: come ogni donna che si trovi al centro delle attenzioni di un uomo, si sentiva mancata di rispetto, in un certo senso, nel sapere quello stesso uomo con qualcun’altra, nel sapersi scartata via.
Era vanità, la sua: ne era convinta.
«Sì, hm… Riguardo questo argomento…» ricominciò lui, lentamente. «Posso portarmi a letto chiunque io voglia senza che tu mi accusi di tramare alle tue spalle, giusto? Perché sarebbe un po’ scomodo se tu ti comportassi come l’altra sera con ogni ragazza».
Emma tornò a guardarlo, questa volta, infastidita. «Sei andato a letto con Lea?» gli domandò, tralasciando l’allusione a diverse altre ragazze. Lei e la sorella di Miles non si tenevano in stretto contatto, anche perché quella ragazza aveva un cellulare solo perché tutti gli altri ne possedevano uno, dato che raramente lo utilizzava. Di conseguenza, non sapeva nulla se non quello che aveva visto.
Lo sguardo di Harry si fece provocatorio. «Non vedo come dovrebbe interes-»
«È una mia amica, Harry», lo interruppe.
«E allora?»
«E allora è strano!» esclamò con più enfasi. Il pensiero di loro due avvinghiati in chissà quale posizione la infastidiva a livelli preoccupanti.
Vanità, si ripeté.
Nel rimuginare su quell’ultimo scambio di battute e non ricevendo alcuna risposta, si intestardì. «Comunque sai benissimo che prima non stavo parlando di lei», esordì, mettendolo alla prova. Voleva capire fino a che punto si sarebbe spinto.
«Sì, lo so», disse lui, seriamente.
«E non hai niente da dire?» lo incalzò. Se Harry non aveva ancora negato, era perché non c’era nulla da negare: le attenzioni che le stava rivolgendo erano più chiare di quanto lei temesse, mentre la sua pseudo-relazione con Lea era ancora più fastidiosa.
«Sei fidanzata», rispose lui, con la voce calda, diretta.
Era un promemoria a se stesso o ad Emma?
«Appunto», confermò lei, nel tentativo di comprendere il fine del discorso.
«E anche io non riesco a capirti», continuò Harry, ripetendo le sue parole di poco prima e quelle che lui stesso le aveva rivolto in un messaggio nei giorni precedenti. «Sto cercando di capire alcune cose».
Emma si sentì trascinata nuovamente nel passato: le sembrò di essere tornata nel famoso mezzo che li aveva segnati e guidati. Anche allora Harry non era convinto delle sue azioni e continuava a criticarla e respingerla, solo per poi avvicinarsi ed accoglierla. Che la situazione fosse simile? Che i suoi comportamenti contraddittori fossero un simile tentativo di comprendere meglio lei, se stesso e tutto il resto?
Era come se fossero condannati ad un ripetersi stancante delle stesse dinamiche.
Non gli rispose, troppo impegnata a riordinare le idee.
Harry aprì lo sportello ed un flebile soffio d’aria raffreddò l’abitacolo, scontrandosi con i vetri appannati a causa delle loro voci e dei loro respiri. Sarebbero rimasti impressi lì? Sperava di no.
«Devo andare», annunciò lui, strofinandosi per un attimo le mani grandi sulle cosce. Sul viso la bozza di un sorriso che avrebbe dovuto rappresentare un ringraziamento per il passaggio, come sempre troppo difficile da far pronunciare al suo orgoglio.
Lei annuì e si schiarì la voce. «Ciao», lo salutò semplicemente, girando la chiave per avviare il motore.
Harry la osservò per qualche fuggevole istante, uscendo dall’auto e lasciando una mano sul bordo dello sportello: la schiena piegata per non perderla di vista. Emma intercettò il suo sguardo, cercando di mantenere il proprio il più neutrale possibile, e questo gli diede il permesso di congedarsi definitivamente.
Lei ripartì subito dopo, attivando nuovamente il riscaldamento e sperando che le parole ancora impresse sui finestrini se ne andassero insieme alla patina di umidità.





 


HOLA!
Pubblico in un orario strano perché ho ricominciato l'università e sono appena tornata a casa (uccidetemi....): coooomunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate capito qualcosa in più! Io mi sono divertita a scriverlo, quindi spero che abbia fatto sorridere anche voi :)
- Emma/Dallas: FINALMENTE il vostro Dallas ahhaha Ormai non so più quante volte mi è stato chiesto di lui! Era evidente che i due non fossero in buoni rapporti, dato che non è mai stato nominato fino ad ora, ma ecco svelato il perché: so perfettamente che molte non se lo sarebbero mai aspettato da lui, ma vi assicuro che situazioni del genere non sono così rare (il mio "migliore amico" non si è affato comportato così INFATTI, no, no, no............................). However, che ne pensate? È ovvio che lui abbia sbagliato, ma secondo voi è possibile un riavvicinamento?
- Emma/Harry: Emma non è mai stata ingenua o insicura, quindi sa perfettamente quando qualcuno ci sta provando senza esitazioni, soprattutto se quel qualcuno è Harry. Infatti non si fa problemi a dirglielo: come commentereste il loro discorso? I loro comportamenti? Non voglio approfondire più di tanto, perché credo non ci sia molto da svelare: la situazione è un po' come quella di LG, in fondo, loro due che si respingono e si attraggono con la stessa forza, l'attimo prima urlandosi contro le peggiori cose e l'attimo dopo a stupirsi con un comportamento opposto! Insomma, entrambi hanno ammesso di avere qualcosa da capire: secondo voi, qual è questo qualcosa nel caso di Harry? E qual è il reale ruolo di Lea? (avete opinioni contrastanti su di lei :))
- Melanie/Zayn: loro continuano la loro amorevole vita amorosa in tutta tranquillità aahhaha Questa volta è la "piccola Melanie" ad aiutare Harry per concedergli di vederla: perché?

Detto questo, ci tengo a ringraziarvi infinitamente per tutti i commenti allo scorso capitolo (mi hanno fatto stra-felice, anche perché non me li aspettavo!!) e per tutto l'appoggio che mi dimostrate continuamente :) Spero di non avervi deluse con questo capitolo!



Vi lascio tutti i miei contatti: ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

 
Vi lascio con due simpatici Harry ed Emma :)


  
 
  
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