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Autore: Serpentina    10/11/2014    7 recensioni
Dopo quattro anni Faith Irving e Franz Weil hanno preso strade diverse, professionalmente. Il loro amore, al contrario, è più solido che mai, tanto che, sulla scia degli amici che hanno già messo su famiglia, o ci stanno provando, decidono di compiere un grande passo: sperimentare la convivenza. I due piccioncini sono convinti che l'esperienza rafforzerà ulteriormente il rapporto, che, invece, verrà messo a dura prova da un "terremoto" che rischierà di farlo naufragare definitivamente.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Salve, mie prodi (chissà se si dice davvero così….)! Avete linciato Franz a sufficienza? Spero di no, mi serve tutto intero per il capitolo! XD
Grazie mille alle “recensitrici” abracadabra, Bijouttina, Calliope Austen, DarkViolet92 ed elev, e a Genni Andri, Grazia MR, livefearless, sbir e Vale_Patz, che seguono la storia. <3
Buona lettura ( magari ascoltando questo pezzo)!

 
Ghost heart syndrome

Ci sono abissi che l’amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.
Honoré de Balzac

In genere, se si ha un problema, la prima persona alla quale ci si rivolge per un consiglio, o uno sfogo, è un amico; se l’amico è il problema, allora non resta che ripiegare su un confidente “di riserva”. Difficile è trovarne uno fidato.
Monica, triste e sconsolata per la lite con Connie, si trovava esattamente in questa situazione: aveva bisogno di una spalla su cui piangere - coccolare gli animali del rifugio non era abbastanza: le tenere bestiole, per quanto affettuose, erano purtroppo prive del dono della parola, e a lei servivano parole di conforto - ma l’unica persona normalmente in grado di consolarla era proprio la causa del suo malumore. A chi poteva rivolgersi? Adamino era fuori questione - dal fatidico bacio la evitava come la peste - Keith anche - era innamorato del problema, non avrebbe cavato un parere obiettivo da lui - lo zio Axel, il suo parente preferito, si trovava al di là della Manica - e non era il caso di spiattellare i suoi guai su Skype - la zia Holly, la sua seconda parente preferita, era in crociera col marito - e mai e poi mai avrebbe interferito nel loro idillio: lo zio Dean (non a caso soprannominato “il Mastino”) le faceva troppa paura per osare disturbarlo - sua madre era assolutamente inadatta, perché aveva il vizio di dare ragione a chiunque meno che ai suoi figli; l’unica volta in cui l’aveva appoggiata, schierandosi contro suo marito Max, era stato quando Monica aveva insistito per invitare Adam a trascorrere il Natale da loro, a Newcastle. Rimanevano i suoi fratelli, però… Leonard ragionava con le mani, avrebbe sicuramente minacciato di pestare Connie (secondo lui la parità dei sessi lo consentiva), Charles, invece, si sarebbe sperticato in astruse dissertazioni filosofiche, condite con qualche massima in latino che avrebbe finto di capire solo per evitare di farsi friggere i neuroni con la complicata spiegazione che sarebbe seguita se avesse ammesso che lei di quella lingua morta non capiva un’acca (con somma disperazione di suo padre, Monica e il latino erano due rette parallele: se era riuscita a passare ogni anno la prova finale per il rotto della cuffia era soltanto merito di Adam). Tuttavia…
“Ma sì, dai, Chuck non è poi tanto male, e mi ha sempre dato suggerimenti azzeccati. In fondo non deve scervellarsi, solamente dirmi se, secondo lui, farei meglio a mettere da parte l’orgoglio e chiederle scusa, oppure aspettare che la principessa sul pisello - di Kyle - smetta i panni della bambina viziata e faccia il primo passo. Tutto qui!”
Aprì la porta di casa fischiettando, sorpresa dal silenzio, gettò con la consueta grazia elefantina borsa e cappotto sul divano, poi irruppe nella stanza - un tempo appartenuta allo zio Axel - che dividevano i suoi fratelli (a lei era andata di lusso: si era accaparrata in esclusiva la stanza degli ospiti).
–Chuck, fratellino, meno male che sei qui!- trillò, fiondandosi da lui, che avvampò e mormorò parole incomprensibili, vagamente somiglianti a “Non si usa più bussare?” –Cosa ci fai a letto a quest’ora? Stai male?
–Cosa vuoi, Nicky?
–Ho disperatamente bisogno della tua saggezza, Chuck- lo lusingò, consapevole che con l’adulazione si ottiene tutto. –Ho due fratelli che si sono equamente spartiti le virtù: a te la mens sana, a Leo il corpore sano.
Charles si sentì in dovere di correggerla.
–Hai sbagliato i casi, Nicky…
–Potresti parlarmi del ciclo vitale delle cucurbitacee, per me sarebbe lo stesso- lo interruppe, ansiosa di arrivare al punto cruciale. –Ora, immagino ti stia domandando perché non sto piagnucolando da Connie…. abbiamo litigato. Di brutto. Sono giorni che non ci vediamo, non eravamo mai state separate tanto a lungo. E non so come fare pace! Perché faremo pace, è sicuro: io e la Ciambellina non riusciamo a tenerci il broncio- all’improvviso, una testa castana fece capolino da sotto le coperte, annaspando in cerca d’aria. –Oh, ciao, Emily- la salutò allegramente la rossa, prima di rendersi conto della situazione. –Emily? Tu… lui… voi…
La ragazza assunse il colore dei capelli di Monica, la quale, contrariamente alle aspettative dei due piccioncini colti in flagrante, non fece una scenata da sorella maggiore iperprotettiva, anzi: corse a stritolare, ehm, abbracciare e ricoprire di baci un esterrefatto Charles ringraziando tutte le divinità norrene.
–Lasciami, Nicky!
–Il mio fratellino copula! Gaudio e tripudio! Hai già cenato? No? Bene, ti offro la cena. Tutto quello che vuoi, dove vuoi. Devi rimetterti in forze, dopo tutta questa attività fisica! Naturalmente sei inclusa nell’invito, Em… posso chiamarti Em? Di’ di sì, ti prego! Raccontatemi tutto, dai: come, dove, quando, perché… con cosa ti ha drogata per convincerti a uscire con lui…
–Piantala, Nicky, la stai spaventando!- la redarguì Chuck, subito smentito dalle risatine convulse di Emily, che aveva sempre trovato Monica spassosissima.
–Sei una manna dal cielo, Em. Cominciavo a preoccuparmi per lui, sai? Sempre chino su quei libroni noiosi, mai uno svago… niente foto o video equivoci sul telefonino, nessun sito porno nella cronologia di internet… ero sul punto di perdere le speranze- sospirò la rossa, strizzando una guancia a Charles, che soffiò come un gatto arrabbiato. –Invece, incredibilmente, non sei asessuato come pensavo.
–Grazie, eh!
–Sono tua sorella, prenderti in giro è il mio scopo nella vita- replicò lei in tono noncurante.
–Sbaglio, o volevi il mio aiuto?- esalò lui, nella speranza di distogliere la curiosità morbosa di Monica dalla sua ragazza.
–Non sbagli. Ma se hai da fare…
Charles ignorò l’occhiata allusiva di Monica e rispose –Grazie al cielo, quando sei entrata avevamo già finito. Il tempo di vestirmi e…
–Non preoccuparti: ho visto il tuo pendaglio tante di quelle volte, quando eri piccolo, mica mi imbarazzo!
–Mi imbarazzo io, però!- ribatté Charles, paonazzo fino alle radici dei capelli.
–Uffa! Come sei noioso!- gemette Monica, si alzò, raggiunse la porta, poi si voltò e aggiunse, prima di schivare con uno strilletto la scarpa lanciatale dal fratello –Quasi dimenticavo: avete fatto sesso sicuro? Io sono troppo giovane e Leo è troppo scemo per diventare zii!

 
***

–Grazie per l’ospitalità- sospirò Franz, mentalmente e fisicamente stremato.
–Nessun problema. Puoi restare quanto ti pare, anche se spero ti renda conto al più presto della tua imbecillità. Scusa, non voglio giudicarti, sono l’ultima persona al mondo a poterti fare la morale: hai preso una decisione, dettata dall’irrazionalità e dalla paura, certo, una decisione che non condivido, ma è la decisione di un adulto che stimo, devo rispettarla. Quello che mi sfugge è… perché sei venuto da me? Hai fior di amici più che disposti ad darti un posto per dormire, cosa ti ha spinto a chiedere asilo a una persona con cui, beh, non vai propriamente d’accordo?
–Ho pensato che, non andando granché d’accordo, come hai detto, a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarmi qui, perciò avrei potuto riflettere in pace… senza sentirmi giudicato- ammise Franz.
La libertà, a lui talmente cara da rinunciare alla donna che amava per preservarla, aveva un sapore decisamente amaro; la sua coscienza gli ripeteva di continuo - e con ragione - che si era macchiato di una colpa ignobile: aveva abbandonato la sua fidanzata che aspettava un bambino. Il suo lato razionale restava convinto di aver fatto la cosa giusta; Faith poteva pure essersi ammorbidita e aver anteposto la maternità ad altri sogni nel cassetto, lui no: sognava una vita in bilico tra carriera e amore… una vita a due, senza spazio per un terzo incomodo. Sebbene la Irving gli avesse mentito, tenendolo all’oscuro della gravidanza inaspettata - forse, se gli avesse detto la verità… no, inutile illudersi: aveva ragione, se gli avesse detto che aspettava un bambino qualche settimana prima, le avrebbe fatto pressioni per non tenerlo, lei si sarebbe risentita e l’avrebbe piantato - sentiva di aver pagato lui il prezzo più alto: quando aveva guardato Faith per l’ultima volta, prima di andarsene sbattendo la porta, aveva provato un dolore lancinante che non accennava ad attenuarsi, come se gli avessero strappato il cuore… eppure ne avvertiva i battiti. Com’era possibile?
–Chi altri, a parte me, sa che hai lasciato Faith?
–Nessuno. Oggi sono a pranzo da mia madre - dopo due inviti rifiutati con la scusa che i genitori di Faith l’avevano battuta sul tempo non avevo più scuse - glielo dirò a fine pasto: la pancia piena mette di buonumore, forse non mi ucciderà. Forse.
–Se non lo farà lei, ci penserà il padre di Faith: è un uomo mite, ma guai a torcere un capello alla sua Tartarughina, diventa una belva! Buona fortuna, per oggi… ne avrai bisogno.

 
***

Monica sostava titubante sulla soglia, scrutando ogni millimetro in cerca di Adam. L’ambiente era molto diverso dalla biblioteca della sua facoltà, moderna e ariosa: i lunghi tavoli erano in legno, così come gli scaffali, alti fin quasi al soffitto e stracolmi di libri. Il mescolarsi del fruscio delle pagine e dei bisbigli degli studenti ( non il fastidioso chiacchiericcio a mezza voce che le impediva di concentrarsi, se non indossava le cuffie anti-rumore) creava una sorta di melodia ritmata, che invitava chiunque entrasse ad accomodarsi e ampliare i propri orizzonti culturali.
–Non sono sicura di questo piano…
–Te l’ho spiegato mille volte: se riuscirai a chiarirti con Adam recupererai il tuo migliore amico e dimostrerai a Connie che sei matura e responsabile. Perciò forza e coraggio, sfodera le tue armi migliori!- le sussurrò Charles.
–Senza offesa per la tua mente geniale, fratellino, ma come puoi essere sicuro che sia qui e, soprattutto, che voglia, beh, chiarire?
–Perché siamo entrambi piuttosto abitudinari: a meno che non si verifichi una calamità apocalittica, dopo pranzo puoi trovarci sempre qui, che piova o splenda il sole- rispose sbrigativamente Charles, guidando tra i tavoli semivuoti. –E poi… Adam mi ha tartassato di domande su di te, deduco che gli stia ancora a cuore. Ehi, eccolo lì!
“Figurati se non si rintanava nell’angolo più nascosto! Cazzo di Buddha, gli sta sempre appiccicata, quella stronza!”
–Oh, merdaccia, è con l’arpia!- soffiò Monica, scoccando un’occhiata assassina alla sua antipatica omonima. –Non posso parlargli davanti a lei!
–Nascondiamoci- suggerì lui, trascinandola tra gli scaffali.
Colpita da un grosso tomo rilegato in pelle apparentemente antico, Monica allungò un braccio per prenderlo e lesse il titolo: “De philosophia legis”.
–Che palle!- esclamò, guadagnandosi occhiatacce e versi di rimprovero da parte di studenti infastiditi. –Scusate- pigolò, stringendosi nelle spalle.
Suo fratello roteò gli occhi e sibilò, iroso –Se mi bandiscono da questo posto per colpa tua ti ammazzo! Se te lo domandano, noi non ci conosciamo.
Monica sbuffò, poi, approfittando della momentanea assenza di Momo, si precipitò dal suo amico, incrociando le dita e pregando di “non mandare tutto a puttane come mio solito”.
Concentrato su un cruciverba, non si accorse che il posto di fronte al suo era stato occupato da una Monica diversa da quella che lo occupava in precedenza finché questa non aprì bocca.
–Edison.
Adam sussultò e balbettò –E-Edison?
–“Cognome di un inventore… illuminato”. E’ Thomas Edison: ha inventato la lampadina, tra le altre cose. Mi sorprende che un cruciverbista esperto come te non ci sia arrivato- Adam non se la prese: la schiettezza era una delle doti della Hawthorne che più apprezzava. Incoraggiata dall’atteggiamento non ostile dell’amico, gli chiese –Posso parlarti senza che la tua rapace metà ci piombi addosso strillando come un'aquila?- Adam, ancora stupito, annuì, Monica tirò un sospiro di sollievo, e mormorò –Ho bisogno di scambiare due parole con te. In privato.
Adam annuì una seconda volta, la prese per mano e insieme si appartarono nella parte più remota dell’edificio.
–So cosa stai per dire- la zittì posando l’indice sulle sue labbra. –Accetto le tue scuse, in fondo non sei l'unica ad avere qualcosa da farsi perdonare.
Monica annuì e, con enorme fatica, pronunciò quella che la parte più istintiva del suo essere reputava una gran cavolata. –Vero, ma sono quella che più ha da farsi perdonare. Non avrei dovuto giudicarti. Momo deve piacere a te, non a me
–Anche perché a te non piacerà mai- esalò Adam, voltandosi verso Monica, che abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello di lui. –Se può consolarti, credo che il sentimento sia più che ricambiato. Solo, vorrei comprenderne la ragione.
–Per quale motivo non mi piace quell'arpia che chiami la tua fidanzata? Sul serio non ci sei arrivato? Ti facevo più intelligente!- sbuffò lei, per poi aggiungere, di fronte all'espressione incuriosita di Adam –Lo dico e lo ripeto: siete una coppia pessimamente assortita, ma non mi stupisce, hai un gusto orrendo in fatto di donne.
–Non direi: Momo è meravigliosa.
"Che c'entra Momo? Sono io l'eccezione alla regola, dovrebbe trovare me meravigliosa!" pensò Monica, dandosi poi della stupida per quel pensiero così poco “da amica”.
Asserì –Oh, si, è stupenda: brillante, ambiziosa e chi più ne ha più ne metta, ha tutto quello che potresti desiderare… ma non fa per te!
–Non mi ritieni alla sua altezza?- chiese Adam, offeso.
Monica, arrabbiata dal suo atteggiamento - possibile che le mezze calzette si pavoneggiassero impunemente, mentre persone dotate e capaci come Adam dovessero soffrire di complessi d’inferiorità? - scosse la testa e rispose –Semmai il contrario. Momo sembra perfetta, forse lo è, ma è come quelle belle mele del mercato, con la buccia liscia e lucente, che quando le apri trovi i vermi. Tu sei migliore di lei, come quelle mele meno perfette fuori, ma succulente dentro, che non ti stanchi mai di mangiare, a costo di farti venire il mal di pancia.... sembra che stia delirando, vero?
–Un tantino.
–Fingi che non abbia aperto bocca, eh?
–Mele a parte, cosa ti irrita di Momo?- domandò Adam, seccato: possibile che, per ogni passo avanti, ne facessero venti indietro?
Monica, dopo un'attenta riflessione, rispose –E' presuntuosa, sbatte in faccia al mondo la sua perfezione; quando ti guarda sembra dirti: “io sono figa, tu sei plebaglia, indegna perfino di leccarmi via il fango dalle scarpe”! Senza contare che non sopporto come ti tratta: non sei il suo cane da competizione, non può considerarti di sua proprietà!
–Forse sei fuori dal giro da troppo tempo per ricordartelo, Nicky, ma quando due persone stanno insieme è normale un certo attaccamento, essere possessivi… entro i limiti del buon senso, ovviamente- replicò Adam.
–Sarà, ma mi dà sui nervi comunque; non lo tollero, mi sta talmente sul cazzo che quando ti tocca o ti bacia in mia presenza provo quasi un dolore fisico, mi viene voglia di imbottire di stricnina lei, e di disinfettante te!- sputò Monica, sfogandosi con il suo migliore amico, che la fissò in silenzio, sbalordito dalla frase che seguì –Non mi va di condividerti con chicchessia. Ti voglio tutto per me, che c'è di male?
Senza pensare, Adam si avventò sulle sue labbra, portando una mano alla nuca per trattenerla. Come se ce ne fosse stato bisogno: se non avesse gradito quel bacio a sorpresa, non avrebbe risposto con entusiasmo, spingendo Adam contro il muro. Si fermavano di tanto in tanto per respirare, e in quei momenti si guardavano, ansanti, per poi ricominciare.
–Nicky… a-aspetta. N-Non è giusto.
–Hai ragione- convenne la rossa. –Perdonami. Io… non so cosa mi ha preso…
–Ah, no? Te lo dico io: è la stessa cosa che ti ha presa le altre volte che ci siamo baciati, e quando abbiamo fatto l’amo… sesso.
Sembrava furioso, ma la Hawthorne non riuscì a trattenersi.
–Sono recidiva, ok, e ammetto che sento… qualcosa, tra noi, una specie di... elettricità, ma non ritratto: io e te non possiamo stare insieme perché dobbiamo restare amici.
–Allora perché cavolo non mi hai allontanato?
–Perché mi piace questa strana scossa che sento quando siamo incollati per le labbra! Perché mi sembrava naturale e giusto! Perché ti voglio tutto per me, anche se non nel modo che vorresti!
–Non vuoi che stia con te, non vuoi che stia con nessun'altra… si può sapere che vuoi?- silenzio. –Non sforzarti, rispondo io per te: Momo, per tua stessa ammissione, è stupenda. Per quale motivo dovrei fare cambio con la sua brutta copia?
Delusa, Monica raggiunse il fratello, il quale, al vederla tanto sconvolta, le chiese –Allora? Avete chiarito?
–Oh, sì: è chiaro che mi odia!- piagnucolò lei.
–Credevo… non importa. Anche i migliori sbagliano. Andiamo a casa, sorellona- disse Charles, ignaro di quanto suonasse ironico quel “sorellona”, dato che superava in altezza Monica di almeno dieci centimetri.
Appena rimase da sola, osservò il proprio riflesso nel grande specchio della sua stanza, e perse tutta la smisurata autostima che la caratterizzava: Adam aveva ragione, privata di sorriso smagliante e aria da dura non era niente di speciale, e assolutamente niente di niente in confronto a Momo, bella da mozzare il fiato e dotata di uno charme sensuale da vera donna. Lei, esclusa la notevole altezza, aveva un aspetto infantile, anche per colpa delle lentiggini su naso e guance e degli occhi grandi, forse troppo; quanto allo charme, era tanto se si poteva paragonare a quello di un maiale. Per la prima volta in vita sua, guardandosi allo specchio, Monica Hawthorne badò al proprio aspetto e si sentì spazzatura rossiccia. Sfogò la frustrazione strapazzando di coccole il fulvo micione da lei battezzato Whiskers III, bisbetico come pochi (infatti si stufò quasi subito di quelle attenzioni non richieste e la graffiò).
 
***

–Allora, ci sono progressi?
–Progressi? Stai parlando della disperazione di nostra figlia, dottore dei miei stivali, non di un caso clinico!- sbottò Rose Taylor in Irving, rimestando il minestrone con particolare energia. –Comunque no, nessun cambiamento: è ancora rannicchiata sul letto a piangere, abbracciata a quel peluche… come si chiama? Puffy!
–Non ha detto niente sulla ragione del crollo emotivo?
–Non una parola- gracidò Rose, asciugandosi in fretta una lacrima, prima che suo marito se ne accorgesse: doveva essere forte, per lui e, soprattutto, per Faith, la sua cucciola depressa. –Si è presentata senza avvisare, mi ha abbracciata ed è scoppiata a piangere…. e non ha più smesso. Spero che non si riduca come dopo il… fattaccio. Sì, insomma… il matrimonio mancato. Ricordi? Era diventata… scheletrica no, è impossibile, però era dimagrita troppo e troppo rapidamente, usciva a malapena di casa e per farla mangiare dovevamo minacciare di nutrirla per via parenterale!
–Mia figlia non si ciberà attraverso un’ago-cannula! Vado a parlarle.
–No! Peggioreresti la situazione!- obiettò Mrs. Irving. –Ha la testa dura, come te: deve crogiolarsi nell’autocommiserazione per un po’, e decidere lei stessa quando reagire; se glielo imponi, persisterà nella sua depressione solo per il gusto di innervosirci.
–Cosa dovrei fare, allora? Starmene qui a girarmi i pollici, mentre la mia Tartarughina soffre? Vado a parlarle. Potrà sbraitare quanto vuole, sarà obbligata a darmi retta: casa mia, regole mie.
Determinato a dare uno scossone alla sua unica figlia, il dottor Irving entrò nella stanza senza bussare, avanzò verso la figlia, le strappò gli auricolari dell’i-Pod e, incurante del flebile “Voglio stare da sola”, disse –Ascolterai dopo… i Drowning Pool. Ehi, li ho sentiti una volta, non sono male! Il chitarrista è bravino, e alcuni brani sono buoni. Ehm… basta divagare: io e tua madre stiamo male, soffriamo insieme a te, perciò abbandonerai un attimo il tuo stato depressivo e mi spiegherai cosa c’è che non va.
–Vattene- sibilò Faith, rimettendosi nelle orecchie gli auricolari. Non era in vena di predicozzi o discorsi strappalacrime, desiderava soltanto annegare la tristezza nella musica.
–Non credo proprio. Sei sotto il mio tetto, signorina, mi devi una risposta. La esigo!
“Vedi tu se devo sgridarla come un’adolescente ora che ha quasi trent’anni! Però… è una bella sensazione. Sì, dà decisamente soddisfazione. Adesso capisco perché gli altri genitori sgridano tanto volentieri i loro figli!”
–Papo, ti prego- lo supplicò. –Fa troppo male: io… non ce la faccio più! Ho provato ad andare avanti come nulla fosse, come un automa, fissa nella mia routine rassicurante: casa, lavoro, pub, casa, ma non ha funzionato. Non ho retto, e il risultato ce l’hai davanti agli occhi.
–Il risultato di cosa?
–Della sfiga che mi perseguita!- gnaulò lei. –Ho represso il pensiero per giorni, poi sono andata a far visita ad Abby - sai che ha avuto due gemelli, no? Kimberly e Kevin, due amori, l’incarnazione del neonato ideale! - e mi è piovuta addosso come una spada di Damocle  - che poi chissà chi cazzarola è ‘sto Damocle! - la consapevolezza che non posso farcela, non da sola, e ho realizzato che era inutile, respingere la realtà non l’avrebbe cambiata, né in meglio, né, fortunatamente, in peggio. Siamo nella merda!
Stupito, nonché seriamente preoccupato dall’uso del plurale, suo padre le chiese –Siamo? C’entra qualcosa Franz con tutto questo? Avete dei problemi, ehm, diciamo “di coppia”? Problemi di soldi?
Esasperata, Faith lo scostò in malo modo e latrò –Vattene via!
Essendo capace di riconoscere una causa persa, quando ne vedeva una, il dottor Irving si ritirò sconfitto, ma non piegato: aver perso una battaglia non implicava necessariamente che avrebbe perso la guerra.
–Come desideri. La cena sarà in tavola tra cinque minuti, a me e tua madre farebbe tanto piacere se ti unissi a noi- asserì, sforzandosi di assumere un tono neutro. Una volta chiusa la porta, però, si lasciò andare a considerazioni di tutt’altro genere, a voce forse troppo alta. –Lo dicevo io che era anomala! Sto scontando adesso anni senza problemi e litigi. Ecco cosa succede quando sono troppo tranquilli da adolescenti: ti ritrovi a subire una crisi isterica da ragazzina in piena tempesta ormonale da parte di una donna sulla trentina!
La porta alle sue spalle si aprì, facendolo trasalire, e Faith, il ritratto dell’alterigia, si appoggiò allo stipite a braccia conserte.
–Punto primo: io non sono isterica, anche se ammetto che gli ormoni in questo periodo mi giocano brutti scherzi. Punto secondo: fino al tredici dicembre ho ventinove anni. Capito?- sibilò, salvo poi cambiare completamente tono e aggiungere –Che c’è per cena?
Suo padre sorrise, sollevato, e pensò: “Bentornata, Tartarughina mia!”

 
***

Quando si è tristi, o ci si sente in colpa, nulla è peggio di un pranzo in famiglia; sembrano essere stati creati apposta per acuire lo stato d’animo di chi vi prende parte: se si è felici, si diventa felici il doppio, se si è tristi… beh…. sono decisamente controindicati, perché la finzione comporta una fatica immane, che accresce il vuoto dentro di noi.
Difatti Gertrud Philips non aveva faticato per ottenere una piena confessione da Franz: i suoi sorrisi di circostanza erano stati troppo entusiasti per ingannarla, e l’appena percettibile contrazione dei muscoli facciali alla menzione di Faith aveva confermato i suoi sospetti.
Tutto ciò di cui necessitava, adesso, era che l’altra parte in causa vuotasse il sacco.
Sistemò il vezzoso cappellino blu pervinca ( abbinato alla borsa) e il foulard, dopodiché curvò le labbra nel sorriso più accattivante del suo repertorio ( ereditato da entrambi i figli) e premette il dito sul campanello. Senza scomporsi di fronte all’espressione di educata perplessità rivoltale dalla padrona di casa, trillò –Ho portato i migliori pasticcini di Londra, non puoi non farmi entrare!
–Prego, accomodati- rispose l’altra.
–Non sapevo avessi ristrutturato!
–Non l’ho fatto. Mi sono limitata a modificare la disposizione dei mobili e disfarmi di alcune cianfrusaglie irreparabili.
–Buona idea! L’ambiente ha acquistato luminosità e sembra molto più grande- asserì Gertrud, osservando il salotto con l’occhio critico dell’interior designer. –Oh, adoro quel vaso!
–Un dono di nozze dei parenti italiani di mio marito. Tè o tisana?
–Non saprei...
–Non mi vergogno a confessare che spero opterai per la tisana: da quando Faith è tornata a vivere qui non beviamo che rooibos, il tè rosso africano. A quanto pare ha molteplici proprietà benefiche, inclusa un’azione anti-nausea. E’ incredibile che la faccia passare e non la provochi, ha un tale saporaccio!
–Ti ringrazio della cortesia, però lascia perdere la tisana. Ich habe keine Zeit zu verlieren- sibilò Gertrud, spazientendosi: non le dispiaceva servirsi di sotterfugi e giri di parole per raggiungere i propri scopi, ma quando era vicina alla meta preferiva un approccio diretto. –Immagino tu sappia perché sono qui, Rose.
–Ho in mente un paio di ragioni, entrambe iniziano per F…
–Sai che si sono lasciati, dunque.
–Non sei l’unica a conoscere la preziosa arte del mettere sotto torchio i propri figli, Gertie- replicò sussiegosa Mrs. Irving. –Ammetto che mia figlia è un osso duro, ma sono riuscita a farla cedere, almeno in parte: non ha voluto rivelarmi la causa scatenante la rottura. Hai informazioni in merito?
–Ne so quanto te, cara. A dire il vero, speravo di apprendere particolari utili, uhm, dalla diretta interessata.
–Vorresti estorcere a Faith il motivo per cui tuo figlio l’ha scaricata?
–Che ne sai che è stato mein geliebte kind a scaricarla, e non il contrario?- ringhiò Gertrud. Stimava Rose, erano diventate amiche, ma avrebbe difeso Franz a spada tratta. Era pur sempre il suo kind.
–Intuito- rispose Rose. –Conosco mia figlia, posso assicurarti che è pazza di lui, sta soffrendo da morire. Inoltre è noto che gli uomini si stancano prima dei difetti del partner e Faith - che, per carità, è una donna fantastica, sebbene lontana anni luce dalla perfezione - ne ha parecchi. A volte fatico a sopportarla io, che l’ho data alla luce, figurarsi Franz!
–Ti do la mia parola che mein kind è devastato- celiò Getrud. –Inoltre non è esente da difetti, Faith potrebbe benissimo essersi stufata di lui: è testardo, pignolo, criticone, misantropo…
–La finite di parlar male di me e del mio uo… ex?- sbottò Faith, con le mani sui fianchi, incenerendo con lo sguardo le due madri.
–Cucciola! Non ti avevo sentita! Saluta Gertie e torna a letto: hai bisogno di riposo, dopo un turno di notte- chiocciò Rose.
–Ci torno subito, mi ero alzata per, ehm… andare in bagno- sbadigliò lei, poi notò la confezione della pasticceria ‘Il dolce mondo di Mary’. –Pasticcini! Pasticcini di Melanie! Posso?
–Perché no? Dopotutto, non hai ancora fatto colazione- sospirò Rose, rivolgendole un sorriso materno. –Ringrazia Gertie, che ce li ha portati.
–Grazie- disse Faith, prima di domandarle, preoccupata –Come sta Franz?
–Come te- rispose sbrigativa Gertrud. –Pigiama viola con la maialina sexy escluso. Il che mi induce a pensare che siate ammattiti, perché non è possibile che due persone fatte l’una per l’altra, che si amano, si lascino senza un valido motivo.
La Irving avvampò, coprì con le braccia la maialina in babydoll e guêpière che ammiccava sopra il cartello “attenzione: curve pericolose” e pigolò –Se vi dico perché Franz mi ha mollata, promettete di non, ehm, prendervela con lui? Ha sbagliato, ma sono convinta che vorrà rimediare… prima o poi.
–Non faccio promesse che non sono sicura di mantenere- asserì Rose. –Avanti, sputa il rospo.
Faith la accontentò con voce lievemente tremula.
–Aspetto un bambino, lui non lo vuole.
La prima a riprendersi dallo shock fu Gertrud, che cinguettò –Non sei ingrassata, lì- indicò la protuberanza a malapena visibile –C’è il mio nipotino!- si voltò verso Rose e insieme gridarono, esultanti –Nipotino!
–E’ grandioso! Diventerò nonna!
–Dobbiamo pensare al corredino! Finalmente una ragione per fare shopping selvaggio senza che Martin brontoli! Oh, spero tanto sia una femminuccia, vestire i maschietti non dà soddisfazione, lo so per esperienza!- squittì Gertrud.
–Eh, beh, sì, con le bambine è tutto più facile… fino alla pubertà- asserì Rose. –Ripescherò dall’armadio la copertina rosa che ti cucì tua nonna.
–Assolutamente no!- tuonò la futura mamma. –Non conosco il sesso del feto, ma so per certo che, se dovesse essere una lei, non diventerà una insulsa principessina viziata dal cervello talmente striminzito che il paragone con una gallina offenderebbe il volatile. Niente rosa, niente pizzi, niente fronzoli. Chiusa la questione!- concluse in italiano (Rose rabbrividì: a parte l’accento cockney, in quel momento sua figlia era la copia sputata di sua suocera).
–Aspetta- ringhiò Gertrud, ricordatasi, una volta scemato l’entusiasmo, del fatto che Franz non voleva il bambino. –E’ questo il motivo per cui ti ha lasciata? E’ fuggito dalle sue responsabilità?
–Ha avuto paura- lo difese Faith (paradossale, considerata la situazione). –Avevamo concordato di concentrarci sulla carriera, goderci la vita in coppia…
–Lo sappiamo- soffiò Rose, che aveva sempre disapprovato la scelta della figlia.
–La notizia l’ha sconvolto. Deve aver pensato a cosa avrebbe perso con un figlio a carico e…
–Se l’è data a gambe!- ruggì Gertrud. –Ti pare un comportamento da uomo degno di questo nome? Condannerà mio nipote a crescere senza padre… inconcepibile. So quanto basta, è meglio che vada.
Afferrò la borsa e si avviò alla porta. Faith la fermò e le chiese, quasi supplicandola –Non sarai troppo dura con lui, vero?
–Dipende. Qual è la tua definizione di durezza, cara?

Note dell’autrice:
Il titolo si rifà alla Ghost Limb Syndrome (Sindrome dell’arto fantasma), un fenomeno che può colpire i pazienti amputati o resecati (ai quali hanno asportato un organo intero o una sua parte): continuano ad avvertire sensazioni (perlopiù dolorose, ma anche di natura termica o formicolii) dalla parte mancante, come se l’avessero ancora. Ho pensato fosse calzante perché, quando un amore finisce, si ha la sensazione che ci venga tolto il ( o un pezzo di ) cuore, anche se continua a battere nel torace… un cuore fantasma, appunto.
Mamma Sauerkraut è sul piede sul guerra: trema, Franz! XD A proposito del nostro Weil, chi mai l’avrà ospitato?
Assurdo che Faith abbia difeso tanto accoratamente il suo ormai ex, ma c’è da capirla: lo ama ancora, e lui ricambia. Chissà che questo non ponga le basi per una riconciliazione…
Nicky riesce a dire e fare solo cose sbagliate, con Adam. Forse perché è difficile continuare a convincersi che per lei è solo un amico? ;-)
Vi piacciono i nomi dei gemellini? Kimberly era scontato (vedi capitolo uno di ‘Dr. Irving’), Kevin l’ho scelto per come suonava col cognome e col nome della sorellina.
Chiudo con un applauso a papà Irving: ha mantenuto il sangue freddo nonostante l’irritante atteggiamento della figlia. Invidiabile: al suo posto l’avrei insultata, o peggio! Citando Rose, Faith è fantastica, nonostante i numerosi difetti, tuttavia non la vorrei diversa: non è un’eroina, è imperfetta, (spero) vera; potrebbe essere la sorella, cugina, amica, vicina, fidanzata di chiunque, la donna seduta accanto a voi sull’autobus, o in fila al supermercato, oppure che incrociate in giro per negozi (quasi sicuramente in libreria ;-) )… è una di noi.
Au revoir!
Serpentina
Ps: w il rooibos! Ha davvero molte proprietà assai interessanti: anti-nausea, rilassante, è ricco di antiossidanti, magnesio, zinco, fosforo e calcio, povero di acido ossalico (che predispone ai calcoli renali) e privo di teina. Promosso a pieni voti!
 
 
 
   
 
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