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Autore: Angelo_Stella    16/11/2014    2 recensioni
1941, Berlino.
Duncan, un ventiduenne tedesco particolarmente fedele al Fuhrer, è un nazista perfetto. "Deutschland, uber alles!" è la frase che ripete al mattino, quando si alza per mirarsi allo specchio e crede fermamente nel suo significato. Ma le convinzioni che gli sono state trasmesse con tanta foga andranno a infrangersi.
È Trent che, tra un soffio di voce e una nota di una chitarra malandata, gli insegna la bellezza dell’amore.
Tratto dal testo
“Cosa ci sarebbe di sbagliato? Che ne sappiamo noi di che cosa sia o cosa debba essere l'amore? Solo perché il matrimonio è tra uomo e donna diamo per scontato sia così sempre? O è perché ci hanno abituato? Perché siamo ancora giovani per capire o perché semplicemente il pensiero … ci fa schifo?"
“Io … Insomma … E' così che va avanti il mondo, o no? Con l'amore di un uomo e una donna."
-
Siamo nel 1941 e Hitler trova in Ernst Röhm una minaccia.
Siamo nel 1941 e: “ [...] Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali. “
Siamo nel 1941 e: "Dobbiamo sterminare la radice e i rami di questa gente... gli omosessuali devono essere eliminati!".
....................................
Baci, Angelo e Stella
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Duncan, Sorpresa, Trent
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale
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Capitolo 9
 

COLLABORAZIONE CON Stella_2000

"Rispondi!" gli fu nuovamente urlato contro, mentre si prendeva le bastonate sulla schiena nuda e ormai piena di lividi.
Emetteva sempre e solo piccoli gemiti, Duncan, tappandosi le orecchie per non sentire le parole di quel nazista, che spesso urlava così forte da farsi male alle corde vocali e sentirle stridere nella gola. Sudava sempre, mentre lo prendeva a bastonate e dopo un po' si fermava, affaticato e stordito dalle sue stesse grida, ansimando.
Per Trent, allora, crollava il silenzio nelle orecchie e l'unico rumore era il cuore, che gli martellava nel petto, arrabbiato e terrorizzato insieme e nonostante tutte quelle emozioni, incapace di spiaccicare parola. Strizzava sempre e solo gli occhi spalancati e brucianti, per far scendere quelle poche gocce d'ira che avevano la fortuna d'essere liberate lungo le sue guance.
Duncan, invece, non sapeva più cosa volesse dire la parola "silenzio": nella sua testa, si ricorrevano giorno e notte le grida e la paura di tutti coloro che aveva incontrato, anche certe parole di suo padre e di sua madre. Sentiva la voce di Courtney, forse ormai portata via. La voce di Gwen pareva quella di un angelo lontano ed irraggiungibile, ma forse era meglio così, che non vedesse!
"Rispondi!" strillò Scott.
"A quale domanda?" si chiese Duncan. "A quale delle tante domande che mi vengono fatte? Sono tutte diverse e provenienti da tantissime persone! Non vi seguo tutti!"
Continuavano tutti ad urlare e ad urlare, per lui era insopportabile! Sentiva tutti i rumori, nonostante le orecchie chiuse. Sentiva nitidi i passi di ogni individuo là dentro, di chi correva e di chi camminava; sentiva suoni sorpresi e felici. Sentiva rumori di terrore e poi ancora grida. Ma nessuna botta più!
E non vedeva quasi più niente, se non qualcosa di sfocato, là davanti, ma lontano. Un'ombra nera contro uno sfondo splendente, che forse gli tendeva la mano.
No? No!
Le mani erano su di lui, ma erano buone. Le sentiva stringerlo, come fosse una piccola bambola in braccio ad una bambina che non se ne voleva separare, mentre gli spari si facevano nelle sue orecchie. Si stava abituando a quella stonata armonia e la sentiva ormai così distintamente, che quasi non l'udiva più.
Così chiuse gli occhi, abbandonandosi a quelle dita che lo stringevano dolcemente, ma possessivamente; dita che lo accarezzavano con bontà e che parevano curargli tutte le ferite procurategli in quel tempo.
Forse sorrise persino, addormentandosi.
 
Ad un certo punto, Scott voltò la testa e guardò fuori da quella malandata finestra, rendendosi conto che qualcosa non andava: mai quelle creature avevano corso tanto veloce e mai si erano uditi così pochi urli disperati, in quel campo! Solitamente non avevano nemmeno la forza di rizzarsi sulle proprie gambe e loro li spronavano con le fruste e i manganelli, gridando parole in tedesco che quegli idioti totali non comprendevano, così da farli prendere forte per un braccio, alzare e continuare a camminare, facendoli strillare per aver toccato e fatto sanguinare tagli fatti in precedenza. Loro non avevano scarpe che facessero quel rumore sul terreno! I loro piedi erano sempre nudi, immondi da vedere, sempre sporchi e malati, nessuno mai correva senza emettere lamenti!
Lasciò perdere bellamente Duncan e Trent, sputando, però, nella loro direzione, e si diresse verso la porta, con le sopraciglia aggrottate.
La sbatté, con un insulto pronto ad uscire dalle labbra, quando la vista di quelle divise lo fece rabbrividire da capo a piedi. Le parole gli morirono in gola.
Rientrò nel capanno, per paura di essere visto e si rannicchiò in un angolo, facendo insospettire Trent: cos'aveva avvistato, così all'improvviso? Cos'era successo, chi c'era? Non l'aveva mai visto così terrorizzato, di solito era spavaldo più di chiunque, sicuro di sé e disprezzava chi gli fosse avverso per idee o anche semplicemente per Patria. Non capiva!
Ciononostante, ringraziò in cuor suo ogni persona che lo avesse ridotto in quello stato, per poi avvicinarsi al suo amante e mettergli la testa sulle sue gambe, passandogli carezze sulla schiena e guardandolo, sussurrandogli qualche parola nell'orecchio. Non era in sé!
Non perse mai di vista il rosso, ma a lui pareva non interessare affatto quello che stesse facendo il giovane dagli occhi smeraldini: era immerso nel suo terrore! Era un codardo e se ne rese conto allora: il coraggio non era combattere chi nemmeno sa impugnare un'arma, chi non si regge in piedi. Coraggio, non era essere più forti delle persone a cui tu hai tolto vita, speranza, umanità; non era togliere alla gente la capacità di guardarsi allo specchio, per paura di vedersi in volto.
In quel momento, avrebbe dovuto dimostrare le sue capacità, allora avrebbe dovuto guardare in faccia gli americani e combattere per i suoi ideali, per la sua nazione, per il Fuhrer, per essere l'orgoglio della sua famiglia, come questa aveva sempre detto che lui fosse!
Invece no!
E quando sarebbe tornato a casa, sarebbero stati felici di vederlo. Però, gli avrebbero chiesto quanti ne avesse uccisi, quanti prigionieri sarebbero morti sotto il suo manganello o le sue fruste, e quanti ne aveva portati ai forni. Gli avrebbero domandato chi fosse morto, tentando di proteggerlo, perché si sapeva fosse un onore morire per lui. Lui, Scott Voeller, il nuovo idolo di Berlino!
Cos'avrebbe detto? Bugie, bugie e bugie. Avrebbero creduto ad ogni parola, anche contro chi diceva che non era vero, anche contro chi diceva la verità, loro avrebbero creduto a lui, alle sue menzogne. Ci avrebbe creduto mezza Germania e forse sarebbe passato per un eroe!
Ma che sarebbe successo, quando si sarebbe svegliato urlando, colto dai rimorsi e dagli incubi, in preda alla pazzia di aver mentito alla Patria e alla famiglia, di non aver onorato la pura razza ariana?
No! Non poteva andare così. Lui si conosceva bene e vedeva già il suo futuro morto, se fosse stato lì, sperando di essere lasciato in pace da tutti, di essere risparmiato perché nessuno l'aveva visto!
Per cui, i suoi occhi s'accesero di una debole sete di gloria, mentre s'alzava e recuperava due fucili appesi alla parete, per poi dirigersi verso la porta, senza mai guardare i due prigionieri ancora sulla destra.
L'avesse fatto, avrebbe visto un Duncan ormai svenuto e un Trent più che mai stupito, dato che aveva visto il rosso sempre insicuro, anche quando s'era alzato, prendendo con sé le armi. Come si fosse spento quel fuoco freddo che lo animava quando li bastonava. Nei suoi occhi, le faville senza luce non esistevano più; c'era solo nebbia opaca d'inverno, neanche la tempesta. Vacue iridi grigie, che guardavano avanti senza più vita, quasi resesi conto di non avere più speranza né futuro.
Ed infatti era così: Scott sentiva che non avrebbe più avuto nulla, che tutto finiva lì ed allora. Che il suo futuro sarebbe stato in un luogo lontano, probabilmente sotto terra, pieno di fuoco; un luogo che forse avrebbe scaldato quel cuore di ghiaccio che si ritrovava. Ciò che lo consolava, era che tutti gli altri sarebbero andati con lui. Tutti quanti, perché chiunque cerca il fuoco, va nel fuoco.
Così uscì, affiancando i suoi compatrioti e urlando come un ossesso, sparando davanti a sé con gli occhi chiusi, prendendo molta gente, ma non sapendo chi, finché non venne preso lui, che cadde subito dopo.
Il terreno era freddo e si sentiva infinitamente solo, la sensazione più brutta che avesse mai provato, anche perché stava camminando in un tunnel pieno di luce. Andava verso una porta nera e poi giù, lungo delle scale, fino a non vedere più il cielo. Solo due passi ancora. Due passi dall'inferno.
 
Trent stette a lungo nel capanno, sempre tenendo stretto Duncan a sé, finché non piombò un assordante silenzio, meraviglioso silenzio: non si era mai reso conto della sua bellezza, prima di allora, ma in quel momento gli parve quasi di sentirvi all'interno una divina musica, con solo alcune voci a cantarvi dentro, voci di uomini.
"Trovato nessuno?"
"Sì, qualcuno sì."
"Sono in pochi!"
"Strano, tutti uomini!"
"Chissà, poi, perché quel segno sulle tuniche."
"Sono scheletri!"
"Ma cos'avranno fatto mai?"
E più parlavano, più la loro voce s'incrinava, finché non sfociava in un pianto, un pianto triste!
Quella gente era triste per loro? Perché erano così, perché i tedeschi li avevano maltrattati a quel modo? Nessuno aveva mai pianto per loro! Che dicevano, poi? Era una lingua che Trent non conosceva, non era fredda come il tedesco, ma nemmeno dolce come la sua lingua natale. Aveva suoni fluidi e puliti, tutti uniti e non si distinguevano bene le parole.
C'erano porte aperte e poi suoni sordi e termini in mille lingue, voci di coloro che erano là, espressioni spaventate.
Gli americani tendevano loro la mano, ma non si fidavano! Dovevano vedere un sorriso, prima di afferrare quelle mani tese e quando lo facevano, ci voleva uno sforzo enorme, da parte degli stranieri, per non mollare la presa, per paura di spezzare le loro dita. Spalancavano solamente gli occhi, nel sentire le ossa spigolose nel palmo della mano.
I più forti li guidavano su carri, per portarli via, mentre gli altri stavano immobili per alcuni secondi a guardare quei corpi morti e pallidi in viso, per poi continuare a cercare, smossi dai compagni.
Quando aprirono la porta dove Duncan e Trent stavano, il ragazzo dagli occhi verdi strinse il giovane tedesco di più a sé, facendo aggrottare la fronte a quegli uomini che erano venuti a prenderli.
Il quadro che si piazzava loro davanti era il più inquietante che avessero visto là dentro: quei due giovani avevano più sfregi degli altri e sanguinavano di più. I volti erano fitti di cicatrici e graffi sporchi, i corpi magri si vedevano sotto i larghi abiti e il ragazzo ancora sveglio sembrava la Morte, che abbracciava l'altro con le sue lunghe e sottili dita. Nonostante ciò, era uno dei pochi che pareva emettere calore e affetto per qualcuno. Il ragazzo sulle sue ginocchia sembrava sereno.
Capirono chi stava lì dentro e quando Trent s'accorse che s'erano fatti più vicini, prese il suo amante tra le braccia e fece cenno loro di guidarli. Non erano tedeschi e anche se avevano capito la natura sua e di Duncan, non li disprezzavano, per cui si fidò di loro. Non così tanto da affidargli il suo amore, però!   
Erano liberi e da quel momento non avrebbero più dato ascolto a nessuno, se ne sarebbero andati da quella dannata nazione e mai più avrebbero fatto ritorno. Se avessero potuto, avrebbero viaggiato, ma in caso contrario, sapeva che non sarebbero comunque stati infelici. Mai, purché insieme.
 
Una mano fresca gli carezzava la fronte, facendogli dolere i graffi che portava come ricordo. Passava sulle guance e poi a pulirgli il petto, tremando un po', alla vista di tutti quei tagli e di quelle cicatrici ancora parecchio aperte.
"Ehi! Tutto bene?"
"Sì …" Annuì, distogliendo lo sguardo. "Sì, sì!"
Il ragazzo allungò una mano e prese il panno che aveva la ragazza con un sorriso, per poi mettersi a curare il corpo martoriato del suo amante.
Gwen lo continuava a guardare, incapace di capire come facesse a non impressionarsi ad una tale vista, dopo tutto quello che aveva passato. Pensava non volesse più vedere corpi del genere, mentre non faceva che curarne, da quando era arrivato. S'era concesso solo una doccia breve e poi, stupendo tutti, s'era messo a servire dove c'era bisogno.
Si erano incontrati poiché anche la giovane era tornata, con suo padre, per dare una mano agli alleati. Aiutava anche lei, mentre suo papà assisteva i soldati. Aveva visto ormai tanti corpi sfregiati, ma solitamente doveva solo dar loro da mangiare o fargli compagnia. Era stata una sorpresa trovare Duncan tra loro, in braccio ad un ragazzo. Si ricordava di lui, quello che aveva una voce bellissima, gli aveva lasciato una moneta! E quando l'implorò di aiutarlo, in tedesco, capì anche la "colpa" del suo amico d'infanzia.
Aveva cercato di aiutarlo subito, ma si era bloccata davanti al suo petto, mentre quel ragazzo che aveva scoperto chiamarsi Trent, era andato sul sicuro, quasi l'avesse già fatto.
"E' da molto che è svenuto?" chiese Gwen.
"Da prima che arrivaste voi." rispose il ragazzo, stando però attento a dove andava a toccare Duncan. "Scott stava …"
"Scott Voeller?!" l'interruppe, stupita.
Fece sì con la testa.
"Lui è …" tentò d'informarlo.
"Lo so!" L'aveva visto.
"E quindi, vi amate voi, è così?" chiese poi Gwen, andando su argomenti più leggeri, ma comunque delicati.
Lei sorrise, ma Trent sussultò: non l'aveva mai ammesso davanti ad una ragazza tedesca, ma solo dinnanzi a persone che l'avevano bastonato soltanto per quello, perché amava!
La giovane s'accorse di aver toccato un tasto dolente senza accorgersene, per cui distolse lo sguardo un secondo: non voleva, davvero! Lei trovava che fosse assolutamente normale che due uomini si amassero e questo perché pensava l'amore indipendente dal sesso delle due persone.
Si morse il labbro e pose una mano su quella di Trent. "Non era mia intenzione essere indelicata, perdonami!"
"Nulla!" rispose lui, sorpreso. "Solo ... non ti scandalizza? Non ci vedi come esseri ripugnanti?"
"Gli esseri ripugnanti sono quelli che vi hanno giudicato. E per giunta colpevoli, colpevoli di amarvi!" rispose Gwen, sorridendo amara e scuotendo la testa.
Il giovane ricambiò spontaneamente, per poi rimettersi a curare l'amore della sua vita.
"Verrete a stare da me, quando tutto sarà finito!" decise di punto in bianco la ragazza, facendo fermare Trent, che la guardò con occhi spalancati.
Lei annuì. "Non siete più da soli!"
"Mm ..."
Un mugugno strano fece ridestare lo straniero dallo stupore, per poi guardare al suo amante, che finalmente riapriva gli occhi, lamentandosi.
"Ah! Brucia tutto!" Storse il volto in un'espressione di dolore, che mutò in tranquilla, quando sentì due labbra morbide sulle proprie e carezze gentili sul volto.
"Duncan, finalmente!" sentì dire, ancora mezzo appisolato, dalla voce di Trent. "Sei sveglio!"
Si sentì abbracciare e ricambiò, mentre metteva a fuoco il mondo attorno a sé. Vedendo Gwen, si stupì, ma poi si concentrò sul dolce sorriso di Trent dinnanzi al suo viso. Questo gli diede un altro bacio, mentre la giovane toglieva gli occhi da quella romantica immagine.
"Trent ... Dormo da molto?" chiese, cercando di ignorare l'amica d'infanzia alle sue spalle.
"Un paio d'ore." gli rispose, sempre felice negli occhi.
"Dove siamo?"
"Via. Sono arrivati gli americani, siamo liberi!"
Il cuore del giovane perse un battito. Liberi. Liberi, liberi, liberi! Erano liberi, nessuno li avrebbe maltrattati più! Avrebbero potuto viaggiare, davvero, andare via e non tornare? Lasciarsi dietro ogni cosa e semplicemente andarsene?
"Ti amo!" disse solo, scuotendo la testa, ancora incredulo, per poi baciarlo di nuovo, assaporando il suo sapore dopo tanto tempo e trovandolo il più buono che avesse mai avuto tra le labbra e sulla lingua, nonostante la raffinatezza della gastronomia cui era abituato quando ancora si riteneva ariano. Anche se un po' sapevano ancora entrambi di sangue e polvere.
"Anch'io ti amo!" Lo stese nuovamente a letto, non riuscendo a staccarsi dalla sua bocca, continuando a carezzarlo su una guancia e stando attento a non forzare troppo con le dita sulle ferite.
Fu solo quando sentirono i lievi passi di Gwen, che stava avviandosi fuori, che si voltarono a guardarla e lei portò le mani avanti, sorridendo. "Vi prego, non badate a me!"
"Gwen!" si allargò in un sorriso anche Duncan, contento di vederla. "Cosa ci fai qui?"
"Non é importante, sul serio! Stavo per andarmene!" Continuava a sorridere.
"Non ti scandalizza, Gwen?" domandò Duncan dubbioso, con la fronte aggrottata e lei scosse la testa. "Mai scandalizzarsi nel vedere l'amore!" disse.
"Tu stai bene?" fece poi il tedesco a Trent, che annuì felice. "E tu?"
"L'unica cosa che mi addolora e`che la mia Patria abbia fatto cose così spregevoli!" fece cupa lei, facendo scurire anche gli altri due e Duncan in particolare. "Ma ora, verrete a stare con me in Svizzera!" tornò poi ad assicurare la ragazza, facendo aprire la bocca all'amico. "Davvero?" I due annuirono.
"Ti bacerei!" esultò il giovane.
Lei rise, facendo un cenno verso Trent e mostrando la sua espressione serena. "Bacia e ama lui, lo merita!"
Dopodiché uscì, senza dare altre spiegazioni, lasciando i due amanti a baciarsi ed abbracciarsi. Col passare dei minuti, azzardavano anche qualcosa di più, andando ad ascoltare i loro cuori con una mano. Battevano forte, mentre la mente e le parole rifiutavano il passato, pur ricordandolo sempre. Come si fa per un brutto incubo e solo guardando le cicatrici si ricordavano fosse stata realtà. Ma in quel momento, solo un ricordo.

"Grazie Gwen!" le sorride Duncan, vedendo la camera che la ragazza ha riservato per loro.
E' bella, non lussuosa com'era quella della sua vecchia villa, ma accogliente, grande abbastanza per entrambi e che sa di casa.
Per Trent é un sogno: non aveva mai avuto una camera tanto bella, né un letto così grande, comodo e morbido. D'istinto, abbraccia la ragazza, stupendola. "Grazie mille, Gwen."
Risponde cauta, sorridendo al fidanzato del ragazzo, che annuisce, un po' divertito.
"Ora vado. La cena sarà pronta tra poco e mio marito arriverà più tardi." fa poi lei, avviandosi per uscire.
"Ovviamente, lui sa che ...?" s'assicura Duncan, mordendosi il labbro.
"Non preoccupatevi!" Fa sì con la testa e poi si dilegua, volendo lasciarli soli al più presto.
Appena chiusa la porta, i due si guardano, per poi congiungersi in un bacio, in un abbraccio ed in una carezza sulla pelle che mostra loro ciò che é stato. Si baciano le cicatrici, le toccano e ogni volta sembrano curarle un po', con un semplice sfiorarle. Intrecciano le dita e non mancano di guardarsi negli occhi, per non dimenticarli mai e di sorridersi, per scacciare la malinconia che a volte li prende entrambi. Tra le coperte, Duncan continua ad accarezzarlo leggermente, senza smettere di fissarlo negli occhi, finché non li vede brillare. Guarda dietro sé: la luce é spenta, ma s'intravede un candelabro. Accendono la candela e guardano la fiamma.
"Perdonare, ma non dimenticare!" deglutisce Duncan.
Trent annuisce. "Mai dimenticare!"
No, non vogliono essere malinconici, ma se lo sono ripromessi: loro non moriranno mai! Non li conoscevano, fa nulla! Il calore dell'affetto è ciò che rende umani gli umani.
E è il fuoco a rendere più vivi i ricordi.


WRITTEN BY Angelo Nero
 


§ L'Angelo racconta §
 
E con questo, finiamo :)
 
Buongiorno a tutti!
Questo è il mio finale poiché, come sempre accade con noi, ne facciamo due, in modo da accontentare entrambe ;)
Stella pubblicherà il suo quando l'avrà scritto e … che dire? Aspettatevi qualcosa di diverso, ecco!
 
Visto che è l'ultima volta che ci sentiamo, un immenso grazie a tutti coloro che hanno letto/recensito/preferito/ricordato/seguito/visualizzato (ho dimenticato qualcuno?) questa storia! Grazie mille davvero!
 
E grazie anche a Stella, che ha queste idee fantastiche e che le condivide con me e poi anche con voi che leggete: mi stai contagiando con la tua mentalità e ora sento davvero di essere più aperta, ti ringrazio infinitamente! <3 Un bacio enorme <3 <3 <3 <3
 
Detto ciò, alla prossima, spero.
 
Grazie ancora, un inchino,
Angelo
 
 
 
   
 
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