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Autore: heydrarry    19/11/2014    0 recensioni
Dopo l'impresa dell'estate precedente e la sparizione di Teri, le tre semidee Mel, Eles e Ria sono state costrette a tornare in una scuola mortale e proseguire una vita normale. Non potevano immaginare che un nuovo mondo con ulteriori pericoli le stesse aspettando fuori dal Campo Mezzosangue.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Chirone
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'T.R.E.M'
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Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
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Capitolo 2

 

RIA

 

 

Afferrai la palla e ci palleggiai per un po’, a bordo campo.
«Vuoi muoverti?!» gridarono i miei compagni di squadra. Sorrisi ad una delle ragazze che avevano alzato gli occhi al cielo e sibilato un “ragazza idiota”, credendo che non l’avessi sentita.
Portai il mio indice e il mio medio in corrispondenza dei miei occhi e poi li puntai verso di lei, mimando con la bocca un “Ti vedo”.
Fermai la palla con la mano sinistra e chiusi la destra in un pugno, per poi eseguire la migliore battuta d’inizio mai vista in quel cortile malandato.
La palla schizzò nell’altro campo e la partita iniziò.
Me la cavavo in pallavolo, di solito.
La scuola era iniziata da ormai tre settimane. Mio padre aveva deciso di iscrivermi ad una scuola superiore più vicina al Campo e il padre di Mel e la madre di Eles avevano deciso di fare la stessa cosa. Frequentavamo così la stessa scuola, ma essendo più piccola di loro non avevo nemmeno una lezione in comune. Oh, voi vi starete chiedendo cos’è il Campo. Dovete sapere che io sono una semidea. Mio padre è un avvocato, mia madre è Nemesi, dea greca della vendetta e della giustizia. Eles, figlia di Apollo e Mel, figlia di Atena sono le mie compagne d’avventura. Insieme abbiamo affrontato un esercito di vampiri l’estate scorsa. Non eravamo solo noi tre in quest’impresa. C’erano anche dei guerrieri provenienti dal futuro e Teri, la prima figlia di Persefone, la dea della primavera. Teri era stata rapita il giorno stesso in cui eravamo rientrate dall’impresa. Erano stati i Nocturni, una specie di vampiri molto vecchi e dal giorno del rapimento non avevamo avuto nemmeno uno straccio di notizia. L’unica cosa che sapevamo era che era viva, perché in caso contrario anche Mel sarebbe morta. Tra loro c’era un legame empatico, ma fino a quel momento era stato utile solo a dirci che era viva, ovunque fosse.
Segnai un punto per la mia squadra.
In quelle tre settimane di scuola Eles aveva deciso di diventare meno popolare rispetto a quando era nell’altra scuola, ma con scarsi risultati. Non poteva farci niente se era bella ed era il tipo di tutti i ragazzi. Mel non aveva ancora avuto occasione di mostrare la sua intelligenza superiore ai professori, essendo solo al ventuno di settembre. Io non avevo nessuna caratteristica che spiccasse particolarmente come loro due. Non ero un genio, né bellissima. Ma alcune delle mie compagne di classe avevano capito che era meglio non avermi come nemica.
Schiacciai la palla nell’altro campo e alcuni dei miei compagni gridarono frasi d’incoraggiamento.
L’aria mite di settembre era piacevole e mi stavo divertendo.
Qualcuno urlò una frase piuttosto volgare e mi voltai, alzando un sopracciglio.
«Bonjour finesse!» esclamai, rivolta al ragazzo. Era un tipo alto, rotondo e con l’espressione idiota. I capelli erano unticci, gli occhi piccoli e infossati. Indossava dei vestiti troppo piccoli per lui che gli lasciavano scoperta la panciona e quei prosciutti che aveva al posto dei polpacci.
Il ragazzo mi guardò e cominciò a correre nella mia direzione urlando parolacce. Poi all’ultimo secondo mi scansò e continuò a correre.
C’era qualcosa di strano. Uscii dal campo di pallavolo e entrò un altro ragazzo al mio posto. Corsi alla panchina e presi la mia borsa. Me la portavo sempre insieme. Era una piccola borsa di jeans un po’ scolorito che si chiudeva con una zip che sembrava poter contenere appena un cellulare (che noi semidei non usiamo), invece ci andava un mondo intero. Io ci mettevo principalmente dracme, soldi mortali, il mio coltello avvelenato, il mio scudo camuffato come un cd di bronzo e altre armi pericolose donatemi da Chirone, che non starò qui a dirvi perché altrimenti comincerete a dire che sono troppo piccola per usarle e blah, blah, blah.
Presi il mio coltello avvelenato e lo sfoderai. Il ragazzo strano si voltò di scatto verso di me.
«Tanto sei morta, Cacciatrice» sibilò, con una voce diversa.
Cacciatrice? Che cosa significava? Non avevo mai giurato la mia fedeltà ad Artemide.
Il ragazzo fece come per togliersi la maglietta ma la sua testa cominciò a girare a trecentosessanta gradi. Poi si gettò a terra e al posto delle braccia gli spuntarono due serpenti. Presi il disco di bronzo dalla borsa e feci come per lanciarlo, trasformandolo in uno scudo.
«Io non ne sarei così sicura» replicai e mi avventai su di lui. Schivai un morso di uno dei due serpenti e affondai il coltello nel collo del serpente. L’altro sibilò e mi attaccò ad una gamba, ma saltai evitando il morso. Il serpente rimasto mi sputò addosso qualcosa che a contatto con il mio scudo sfrigolò e lasciò una bruciatura. Se sul bronzo aveva quell’effetto preferivo non pensare a ciò che sarebbe potuto succedere alla mia pelle. Sentii lo scudo farsi improvvisamente più pesante e poi scottare. Lo lasciai cadere e inciampai. Il mostro mi si avvicinò sibilando.
Rotolai su un fianco e solo in quel momento mi accorsi che il secondo serpente si stava riformando. Oh, fantastico. Due serpenti che non sapevo come sconfiggere, un coltello avvelenato che non avvelenava un bel niente e niente scudo. Per fortuna quel mostro non funzionava come l’idra, a cui se tagliavi una testa ne rispuntavano due ancora più arrabbiate al suo posto.
I due serpenti sibilarono verso di me, così tentai l’unica possibilità che mi restava. Lanciai il coltello tra le due teste. La mia migliore amica al Campo Mezzosangue, Arika, figlia di Zeus, mi aveva insegnato a prendere bene la mira, anche da stesa.
I due serpenti si mossero in modo strano, ondeggiando. Poi si afflosciarono a terra.
Recuperai subito il coltello e mi rialzai in piedi. Mi aspettavo di ritrovare polvere giallognola sulla lama, invece c’era sangue nero. Alzai lo sguardo e vidi che il mostro non si era dissolto come mi aspettavo. Non ebbi nemmeno il tempo di aggrottare le sopracciglia che i due serpenti si ripresero. Riaprirono gli occhi gialli e li puntarono su di me, ancora più furiosi di prima.
Sputarono ovunque quel veleno strano che mi aveva bruciato lo scudo. Scansai i primi colpi, ma poi presero il polso e lasciai la presa sul coltello. Mi inginocchiai a terra e sentii le lacrime che mi riempivano gli occhi per il dolore, simile a mille aghi infuocati conficcati nella pelle. Trattenni un urlo e tirai un pugno ad uno dei serpenti che si innervosì ancora di più. Che brutta morte che avrei fatto.
Ad un tratto una luce più forte di quella del sole entrò nel mio campo visivo. Un secondo dopo il mostro era sparito e mi accorsi di una mano che mi offriva aiuto. L’afferrai e mi rimisi in piedi. Me l’aveva porta una figura alta, dalle spalle larghe. Un cappuccio nero calato sul volto m’impediva di vederlo in volto, o forse era il veleno che cominciava a fare effetto e mi rendeva la vista più scura del normale.
«Questo deve essere tuo» disse una voce maschile, porgendomi il coltello. Cercai di prenderlo, ma mi sentii mancare la terra da sotto ai piedi. Mi sentii afferrata al volo.
«Merda. Il demone deve averti colpito con il veleno. Menomale che Alec mi ha lasciato il suo stilo» mormorò quella voce grave ma giovane.
Il ragazzo mi appoggiò per terra e sentii qualcosa di caldo sfrigolare sulla mia pelle. Bruciava appena, ma in confronto al veleno era un dolore minimo. Sbattei gli occhi e riuscii a mettere a fuoco un paio di occhi azzurri su un volto diafano. Quel ciuffo di capelli biondi mi fece pensare ad un angelo.
«Hey, tutto bene? Sembra che l’iratze stia facendo effetto...ma con voi piccolini non si sa mai»
«Non ho la minima idea di cosa sia un iratze, ma mi sto sentendo meglio» risposi, mettendomi seduta.
Mi porse il coltello, lo presi e lo rinfoderai.
«La prossima volta assicurati che ci siano le rune prima di affrontare un demone»
«Le rune? Demone? Non si chiamavano semplicemente mostri? Amico, sarà la saliva che quel coso mi ha sputato, ma tu parli decisamente strano»
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia bionde. Avrà avuto circa sedici, massimo diciassette anni. Era vestito completamente di nero e dallo scollo e dalle maniche della maglietta si vedevano delle strisce nere di tatuaggi. Alle spalle aveva degli spadoni enormi, in mano teneva una spada sottile che gli illuminava il volto con una luce azzurrognola.
«Strano? Sei tu che sei strana per essere una Cacciatrice»
«Ma che diavolo avete tutti oggi? Non sono una cacciatrice, per Zeus!»
Un tuono fece tremare il terreno.
«Già, i nomi sono potenti. Dicevo, non sono una Cacciatrice. Non ho mai giurato fedeltà ad Artemide. Sono una semplice semidea, figlia di una divinità minore, per giunta»
Mi parve che la confusione del ragazzo aumentasse.
«Ma no, tu sei figlia di Carl, sei una Shadowhunter. Gli assomigli molto»
«Come conosci mio padre? Chi sei?»
«Mi chiamo Hen. Sono uno Shadowhunter, come te e come tuo padre. Ma tu non hai la runa della vista!» esclamò, afferrandomi la mano. La ritrassi, indispettita.
«Okay, Hen. Probabilmente mi avrai scambiata per un’altra persona. Io sono Ria, una semidea figlia di Nemesi. E ti garantisco che mio padre non è uno Shadowcoso»
«Wow, figlia di Nemesi. Ecco a cosa si riferiva Carl quando ha detto che fai parte di due mondi diversi contemporaneamente».
Non mi piacevano quelle insinuazioni. Probabilmente il Carl a cui si riferiva lui non era mio padre. Era un nome piuttosto comune.
«No, caro. Appartengo ad un solo mondo, quello dei semidei greci. Fine della storia» E quel mondo mi bastava e avanzava per due o tre vite.
«No, Ria. Non hai mai notato che tuo padre è pieno di tatuaggi come questi?» chiese, sollevando una manica. Il suo avambraccio era pieno di strane linee nere che erano spaventosamente simili a quelle di mio padre. Che moda strana.
«Sono rune. Come quella che ho fatto a te per farti guarire, l’iratze. Se nel tuo sangue scorresse solo sangue mondano e divino saresti morta. Invece nel tuo sangue scorre sia l’icore di Nemesi che il sangue dell’angelo Raziel» Mi guardai il polso ferito dal veleno del demone e vidi delle strisce nere che andavano sbiadendosi e lasciavano una cicatrice. Capii perché non si fosse dissolto in polvere giallognola. Non era un mostro della mitologia greca, ma un demone. Mi sentii scombussolata. La testa mi girava vorticosamente e non saprei dirvi se fosse per colpa del veleno che mi circolava ancora nel corpo oppure per la presa di coscienza di ciò che mi stava succedendo. Non potevo far parte veramente di due mondi strani, no. C’era sicuramente una spiegazione. Le coincidenze esistono, no?
«Che significa mondano?» chiesi ad Hen.
«Okay, qui c’è da fare un bel chiarimento e la storia è bella lunga. Andiamo, gli altri avranno già salvato le tue amiche».


Hen mi condusse sul cortile anteriore della scuola. Nessuno sembrava accorgersi di noi. La Foschia faceva vedere ai mortali ciò a cui avrebbero potuto dare una spiegazione, ma non ci faceva diventare completamente invisibili.
«Ti ho resa invisibile agli occhi dei mondani» spiegò, come leggendomi nella mente. Probabilmente si era accorto della mia espressione stupita.
«Ah, ecco Viktor e Jace! Quelle devono essere le tue amiche. Anche loro semidee?»
«Sì» mormorai. «Quella riccia con gli occhi grigi è Mel, figlia di Atena. L’altra, l’abbronzatissima, è Eles, figlia di Apollo»
Hen fece un cenno ai due ragazzi, uno moro e l’altro biondo, seduti accanto alle mie amiche. Non appena ci videro scesero dal muretto e si affrettarono a raggiungerci.
«Ehm, rinfrescami la memoria. Apollo è il dio del sole, della medicina e delle arti. Atena, invece? Dea della saggezza, giusto?»
«E della strategia militare» aggiunsi.
«Nemesi, tua madre, è la dea della vendetta»
«Esatto»
I due ragazzi e le mie amiche si avvicinarono. Vidi che anche Eles aveva una runa sulla spalla e un’altra sull’avambraccio. Anche io ne avevo due. Dedussi che una fosse l’iratze e l’altra quella per rendermi invisibile. Mel non aveva niente.
«Perché Mel non ha rune?» chiesi.
«Temo proprio che la tua amica non sia come te e Eles» disse uno dei due ragazzi. Era quello moro, con la carnagione chiara e una spruzzata di lentiggini sul naso. Anche lui vestito di nero e pieno di rune. Osservai lo scollo e le maniche del biondo e non mi stupii di vedere i segni neri che facevano capolino.
«Eles è una Shadowhunter come me?» domandai.
Eles annuì, anche se non sembrava convinta. Non sapevo lei, ma io non ci avrei completamente creduto prima di ricevere conferma da mio padre.
«Jace, è vero. Queste ragazze fanno parte di due mondi strani contemporaneamente»
«Allora Carl non aveva bevuto. Probabilmente anche la ricciolina riuscirebbe a sopportare una runa non troppo potente, non essendo completamente mondana» rispose il biondo.
«Ho un nome» borbottò Mel, per poi guardarsi intorno con aria preoccupata.
«Non parlare troppo, ricciolina, altrimenti potrai salutare questa scuola mondana ed entrare in un manicomio»
Mi resi conto che lei era l’unica visibile e se avesse parlato sarebbe apparsa piuttosto idiota. Mel sembrò fare uno sforzo immane per non mandare Jace a quel paese e si spostò con fare nervoso l’elastico azzurro che aveva al polso, che non era altro che la sua arma camuffata.
«Che c’è? Vuoi dire qualcosa, ricciolina?» continuò Jace.
«Jace, quando smetterai di fare l’idiota?» intervenne Viktor. «Andiamo, Carl ci starà aspettando all’Istituto. Dobbiamo chiarire un bel po’ di cose».

 

Angolo dell’autrice
Ciao mie margheritine! :) Innanzitutto voglio ringraziare Maia_Auro e MyrenelBebbe per aver recensito, e vi invito a passare dalle loro storie che sono asdfghjkl.
Perdonatemi ma sono totalmente idiota. Avevo già corretto il capitolo e stavo per postarlo sabato, ma non so perché me ne sono scordata. Il bello è che ero convinta di averlo postato!
Me ne sono accorta solo oggi, perdonatemi. In questo capitolo ho introdotto il crossover con Shadowhunters. Dei personaggi originali ci sono Jace, Magnus,
Alec e Hodge ed è un AU in cui Jace e Clary non si sono mai conosciuti e Jace resta un Wayland. Spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione, anche critica.
Un bacio e alla prossima!

   
 
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