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Autore: heydrarry    09/11/2014    1 recensioni
Dopo l'impresa dell'estate precedente e la sparizione di Teri, le tre semidee Mel, Eles e Ria sono state costrette a tornare in una scuola mortale e proseguire una vita normale. Non potevano immaginare che un nuovo mondo con ulteriori pericoli le stesse aspettando fuori dal Campo Mezzosangue.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Chirone
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'T.R.E.M'
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Questa storia appartiene ad una serie. Prima di questa fan fiction che tu, amato lettore, stai per leggere, ce n’è un’altra. Se l’hai letta, prego, continua pure a leggere e grazie per aver voluto leggere il sequel. Se non l’hai letta e non ti interessa nemmeno, continua pure e buona lettura, ma ti avverto: non ti garantisco che tu possa capire proprio tutto perché non so se sono stata abbastanza brava a fare in modo che tu capissi lo stesso, (dovrai dirmelo tu) ma ti assicuro che ho fatto del mio meglio.
Lettore avvisato, mezzo salvato.
Se invece vuoi scoprire cosa è successo prima perché non vuoi fermarti durante la lettura e domandarti “Ma di che Ade sta parlando?”
clicca qui.

 

Capitolo 1

 

TERI

 

 

Mi sedetti sull’erba, vicino a Nico e a Gregor, i miei fratelli. Lasciai appositamente spazio accanto a me, sperando che qualcuno di speciale lo occupasse. C’erano le coppiette che si sbaciucchiavano, come al solito, ma per la prima volta, dopo un anno dalla mia delusione amorosa, non mi infastidiva. I miei fratelli parlavano tra loro, io fissavo le Cabine, sperando che quel ragazzo mi raggiungesse. Mi sentii un po’ idiota. Non volevo prendermi di nuovo una cotta. Ne avevo avuta una sola ed ero stata così tremendamente delusa da essermi chiusa in me stessa e diventare ciò che ero, una ragazza dall’aspetto poco raccomandabile. Non ero mica nata dark, nossignore. Prima ero una ragazza simile a Eles, la bellissima figlia di Apollo, non propriamente popolare, ma mi piaceva stare in compagnia, andare al parco e ridere. Quella dark era la mia modalità di difesa, attiva da così tanto tempo da non riuscire a disattivarla. Qualcuno si sedette accanto a me, appoggiando la sua lanterna sul prato.
«Hey» mi salutò Leo, sorridente. Ricambiai con un sorriso appena accennato. Quando iniziava lo spettacolo dei fuochi d’artificio? Non vedevo l’ora che spegnessero le lanterne. Arrossire davanti a lui sarebbe stato più che imbarazzante.
«Senti, Teri...» disse Leo, così a bassa voce che dovetti sporgermi verso di lui per sentire.
«...Domani parti per l’impresa e non hai ancora un’arma tutta tua. Ecco io...ne avrei fabbricata una. Mi chiedevo se durante i fuochi d’artificio ti andasse di venire a vederla».
Un’arma era ciò che desideravo e stare con lui anche. Ma evitai di mostrarmi troppo felice.
«Certo, mi piacerebbe» risposi, sorridendo appena.
Il volto di Leo sembrò illuminarsi, ma probabilmente era solo una mia impressione.
«Okay, appena inizia lo spettacolo ti porto nel Bunker 9».
Fece appena in tempo a finire la frase che le altre lanterne si spensero e il botto iniziale esplose nel cielo. Leo si affrettò a spegnere la sua lanterna e ad alzarsi in piedi. Mi misi in piedi cercando di essere più silenziosa possibile e seguii Leo verso la Foresta. Leo accese il fuoco nella sua mano facendo luce. Non parlammo durante il percorso. Si sentiva solo il crepitio del fuoco e il rumore dei rami sotto i nostri piedi. Era strano. Avevamo iniziato a parlare durante gli allenamenti di corsa e mi aveva fatta ridere. E, come se le risate fossero droga, ne volevo di più. Volevo ridere e sentirmi felice, in quella nuova vita al Campo.
«Eccoci arrivati» annunciò il figlio di Efesto, spegnendo il fuoco nella sua mano. Lo seguii nel Bunker, trattenendo a stento un sorriso di impazienza.
«Il tuo mondo» mormorai, guardandomi intorno. Quel posto era pieno di attrezzi, armi e altri progetti lasciati a metà.
Leo sorrise fiero.
«Sì, lo è. Mi sento molto più a mio agio qui, tra le macchine»
«Piuttosto che con le persone» dissi, proseguendo la sua frase. Aveva tutta la mia comprensione.
Ci fu un istante di silenzio. Poi Leo sorrise e prese da un chiodo un laccetto nero con qualcosa che luccicava. Afferrò un lembo della sua maglietta arancione e ripulì quell’oggetto facendolo brillare ancora di più. Poi si avvicinò per mostrarmelo. Era un laccetto di cuoio nero con quattro perline dorate.
«Permetti che te lo allacci?» chiese. Annuii e spostai i capelli. Leo appoggiò la collana sul mio collo e la strinse in un nodino. Il contatto delle perline dorate sulla mia pelle non fu freddo come mi aspettavo, anzi, emanavano un lieve calore. Le dita di Leo che trafficavano per annodare il laccetto mi facevano appena il solletico sul collo, ma erano piacevolmente calde.
«Ecco fatto» disse il figlio di Efesto. Lasciai ricadere i capelli sulle spalle.

«Ti dona, per essere un’arma»
«Grazie Valdez» replicai. «Come funziona?»
«Appoggia una mano sulle perle e poi tira il laccetto come se volessi strappartelo. Però sarà il caso di allontanarti un po’, a meno che non voglia tagliarmi la testa»
Indietreggiai di qualche passo e afferrai il laccetto in corrispondenza delle perle, poi feci come per strapparmelo, come aveva detto Leo. Le quattro perle si tramutarono in un’elsa dorata e il laccetto in una lama di una sciabola affilata e nera come la pece. Sull’elsa vi era scolpito il simbolo di Ade in basso rilievo. Rigirai la spada per provarne il peso. Era perfetta per me. Notai sull’altro lato dell’elsa il simbolo di Efesto e sorrisi.
«Ferro dello Stige» mormorai, stupita e facendo ruotare la spada nell’aria. Leo annuì, sorridendo.
«Sono riuscito a procurarmene un po’ quando sono stato negli Inferi» spiegò. «E dopo aver visto che amavi la spada di Nico ho deciso di usarlo per fabbricarne una simile»
Annuii. «È stupenda, Leo. Come faccio a richiuderla?»
«Appoggia la lama di taglio sul tuo collo, come se volessi decapitarti» rispose.
Così feci. Non appena la lama toccò il mio collo si assottigliò fino a diventare un laccetto e l’elsa si divise in quattro innocenti perle dorate.
«Oh miei dei, Leo! È incredibile! Grazie, davvero». Mentre provavo la spada, il ragazzo aveva afferrato qualcosa dal tavolo da lavoro e aveva cominciato a lavorarci su in modo maniacale. Sembrava nervoso.
«Ma se tipo restassi attaccata ad una roccia solo per la collana e sotto di me ci fosse il vuoto la sciabola si aprirebbe e cadrei giù?»
Leo non distolse lo sguardo da ciò che stava modificando.
«No, le perle si aprono solo se tirate dalle tue mani. E no, se qualcuno volesse ucciderti con la tua stessa arma non potrebbe, la lama si assottiglierebbe e tornerebbe a essere una collana».
«Wow» mormorai.
«Sono contento che ti piaccia. Così avrai un’arma potente anche tu nell’impresa» disse Leo, sempre concentrato sul suo lavoro. Chinò la testa, impegnato, e mi sembrò di scorgere le guance tingersi di rosso. C’erano i suoi capelli ricci a coprirmi la visuale, quindi probabilmente mi sbagliavo. In lontananza sentivo ancora i fuochi d’artificio. Ancora pochi minuti e poi le lanterne si sarebbero riaccese e gli altri mezzosangue si sarebbero accorti della nostra assenza. Meglio sfruttare il tempo rimasto, pensai. Appoggiai le mie mani sulle sue, togliendogli di mano l’affare su cui era tanto concentrato. Leo non oppose resistenza e alzò lo sguardo verso di me. Sentivo il cuore battermi forte. Appoggiai quella specie di hard disk che gli avevo tolto dalle mani sul tavolo da lavoro e gli sorrisi. Leo deglutì a fatica e sentii il suo respiro farsi più corto. Eravamo così vicini che i suoi capelli ricci mi solleticavano la fronte. Allungai le mani tremanti e le appoggiai intorno al suo collo. Leo appoggiò le sue sui miei fianchi senza smettere di guardarmi negli occhi.
Si sporse appena e avvertii la calda e piacevole sensazione delle sue labbra sulle mie. Sentii il cuore battere forte contro il petto, o forse era il suo. Non riuscivo più a distinguerli, tanta era la vicinanza. Le sue mani soffici mi accarezzavano i fianchi. Feci passare una mano tra i suoi capelli. Per tutta la durata del bacio pensai due cose. Primo, era il primo bacio più bello che potessi desiderare e Leo baciava così bene che non volevo più staccarmene. E secondo, il mio cuore batteva così forte che mancava poco alla sua esplosione.
Quando ci staccammo (troppo presto) mi accorsi di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.
«Non potevo non farlo prima di partire» dissi. Leo mi accarezzò le guance.
«Non mi dire che temi di non tornare»
Lo guardai dritto negli occhi.
«Sì che temo di non tornare. Sono addestrata da così poco...E poi queste creature che disturbano Ade...non credo che saranno così gentili anche con sua figlia».
Leo scosse la testa.
«Mi sei piaciuta sin da quando ti ho vista cacciare quella creatura infernale dal Campo» disse. «Sei straordinaria, Teri. Sono certo che tornerai. E lo farai ancora più bella e forte di prima».
Rimasi senza parole e mi limitai a fissarlo con un sorriso incredulo sulle labbra.
«Forse ho detto troppo...» mormorò, e fece per staccarsi ma lo trattenni e lo baciai di nuovo.
Forse sarà stato il primo bacio così bello da farmene desiderare altri, ma avrei voluto che quei fuochi d’artificio non finissero più. Leo mi strinse i fianchi con una presa più salda, facendo aderire i nostri corpi. Il bacio, dapprima timido e dolce, si stava facendo più passionale e la stanza si stava facendo piuttosto calda.
Leo si staccò all’improvviso, guardandosi le mani. Abbassai lo sguardo anch’io e vidi che stavano fumando. Trattenni a stento un sorriso.
«Scusa» disse, impacciato. «Ho perso il controllo per...per l’emozione». Le sue guance erano ancora più rosse di prima.
«Non mi hai fatto niente» lo rassicurai. «Sta’ tranquillo». Leo sorrise.
«Svegliati» rispose, con una voce non sua. Aggrottai la fronte.
«Come sarebbe a dire?»
«Svegliati, ho detto!» sbraitò quella voce aggressiva. Sentii dolore al lato destro e un secondo dopo Leo svanì. Riaprii gli occhi in una cella polverosa. Ludkar era in piedi accanto al mio letto, con uno sguardo sprezzante.
«Alzati!» gridò. Scostai la coperta e mi alzai. Era più alto e muscoloso di me, ma lo fissai con tutta la sfacciataggine che riuscii a trovare.
Mi avevano rapita dopo il funerale di Aurora e Rose, due ragazze morte nell’impresa contro i vampiri neonati, la stessa impresa da cui temevo di non tornare. Aurora era mia amica, una delle prime che mi aveva accolta al Campo. Dopo il funerale ero emotivamente e fisicamente distrutta. Così Ludkar e Kolor avevano approfittato per rapirmi. Nessuno se n’era accorto per via della confusione.
Mi avevano tagliato il laccetto regalatomi da Leo e anche la treccia in cui erano legati i miei capelli. Poi mi avevano presa a pugni e io non avevo avuto forza per difendermi.
Quando avevo sputato il sangue dalla bocca l’avevano pulito dalla mia faccia con la mia treccia.
«Così la mandiamo come avvertimento» aveva detto Ludkar a Kolor. L’altro aveva annuito, poi aveva fischiato ed una cornacchia l’aveva raggiunto. Aveva sussurrato qualcosa in una lingua che non ero riuscita a capire e poi la cornacchia era partita. Ludkar mi aveva legato i polsi e bendata. Avevo rivisto la luce in una fabbrica grigia e puzzolente di bruciato. Un altro loro amico Nocturno aveva scelto una stanza buia e mi ci aveva gettata dentro. Di quel tipo mi ricordavo solo i capelli lunghi e ricci e le braccia forti. Non avevo né detto niente né pianto. Aprivo i rubinetti dopo che mi avevano servito la cena. Non rivolgevo loro nemmeno una parola.
Facendo un calcolo approssimativo ero lì da almeno un paio di mesi. Era fine agosto, o forse settembre, ma non riuscivo a rendermene conto perché in quel posto non faceva né caldo né freddo. Non c’era nemmeno differenza tra giorno e notte. Si respirava polvere e basta.
Mi stropicciai gli occhi, e trattenni un sospiro. Ogni “notte” era lo stesso sogno. Volevo capire come contattare Mel. Era la ragazza con cui avevo un legame empatico, quindi avrei potuto mandarle un messaggio tramite sogno. Ma dopo tutti i tentativi in risposta avevo solamente un ricordo che conservavo dalla mia ultima sera al Campo prima di partire per l’impresa. Era il ricordo più bello che avessi, certo, ma non mi aiutava a chiedere aiuto.

«Allora, bellina» disse Ludkar. «Oggi ti presenterò il signor Attizzatoio. Sono certo che diventerete amici. E magari vi faccio un piccolo video e lo mando al tuo papà laggiù. Così, si deciderà a fare cosa gli diciamo noi».
«Perdete il vostro tempo» replicai. E come se Ade avesse un lettore dvd.
«Ah sì?» Premette l’attizzatoio contro il mio ginocchio. Urlai, sia per il gesto improvviso che per il dolore lancinante. «Fa niente. Tanto, con tutta l’eternità davanti, chi se ne importa del tempo perso?». E schiacciò nuovamente l’attizzatoio bollente contro la mia gamba. Lanciai un altro grido, più forte del primo, che mi lasciò senza fiato. Lo guardai con tutto l’odio che riuscii a trovare e riuscii a trovare la forza di tirargli un pugno. Caricai e puntai alla mascella. Ludkar si dovette far male, perché sputò sangue nero. Ne approfittai per tirargli un calcio e allontanarlo da me. Non riuscii a spostarlo di nemmeno un centimetro. Anche mentre tossiva sangue era più forte di me.
Trattenni un conato. Quando si fu ripreso, mi guardò nuovamente negli occhi. Allungò una mano, e pensai che stesse per darmi uno schiaffo. Invece mi accarezzò le guance con fare gentile.
«Sai, mi piacciono le ribelli». Corrugai la fronte. Sì, e io detesto i Guns N’ Roses.
«Davvero» confermò, davanti alla mia espressione sospettosa. Mi spostò una ciocca di capelli dal viso e tracciò il contorno delle mie labbra con il pollice.
«Peccato che il signor Attizzatoio non la pensi così». E schiacciò l’arma incandescente contro il mio petto.

 

Angolo dell’autrice
SALVEEEE! Chiedo umilmente perdono. La storia era praticamente pronta a Settembre, mancavano le mie ultime correzioni e anche quelle della mia beta. L’avrei anche postata ad Ottobre, come avevo promesso, ma ci sono stati dei problemi. A Settembre sono stata in Romania ed è stata la mia prima esperienza all’estero e per questo bellissima, ma sono tornata in Italia con una stupenda broncopolmonite presa sul Danubio (pioveva e io avevo soltanto una felpa di cotone) che mi ha tenuta a letto con febbre e tosse per quindici giorni. Poi sono guarita e tornata a scuola, ma dovevo recuperare le cose perse in dieci giorni di viaggio in Romania più i quindici di malattia. Praticamente avevo una montagna di compiti che, grazie agli dei, sono riuscita a fare. Ed è arrivata la fine ottobre. In questi giorni ho rivisto la fan fiction con la mia beta Mela (ma dai?! Chi sarà mai? Btw, grazie raggio di sole) e oggi finalmente posso dirmi più o meno soddisfatta e postare. Posterò ogni weekend.
Spero vi piaccia, fatemi sapere in una recensione (anche critica!) e buona domenica!
           

   
 
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