Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: coldnight    22/11/2014    2 recensioni
Austin Reed ha imparato ad amare la musica sin da quando era un marmocchio; sin da quando camminava a gattoni e gemeva tentando di dire parole senza senso. La musica era il suo sole, il venticello fresco che scompigliava i capelli e l'aria buona che entrava nelle sue narici.
Non temeva la pioggia, i tuoni od i lampi, ma non gli piacevano le nuvole. Grigie o bianche che fossero. Non le amava specialmente se erano lattee o sembravano lucide. Gli ricordavano le mozzarelle, e lui odiava le mozzarelle.
Austin Reed ha diciannove anni e infondo vorrebbe saper sognare. Sa parlare - fin troppo - e si regge sulle proprie gambe meglio di quanto egli stesso possa credere. Ama il sole, il vento, la pioggia. Ma si ritrova ancora ad odiare le mozzarelle e le nuvole, quelle nuvole fastidiose che non gli permettono di vedere.
[Momentaneamente sospesa]
Genere: Fluff, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Feels like forever.
 

“If I could find the words, if I could shake the world,
If I could turn back time would you still be there?
If I could find the words to say,
If I could shake the world to break you down,
Then would you still be there?”
 


    La batteria ritmava incessantemente, mentre la chitarra dettava la melodia e la voce intonava le parole, dando forma alla sua canzone preferita che arrivava nitida alle sue orecchie. Poteva distinguere il tocco deciso della grancassa ed il picchiettio del charleston, gli accordi suonati con energia e la gola che sprigionava vita; voglia di fare musica. Quella band lo faceva letteralmente impazzire, poteva quasi sentire il sangue pompare nelle vene più voracemente del normale, sfrecciando il più lontano possibile, riempiendo i tessuti ed inondando i muscoli, per poi tornare al cuore e ripetere tutto il giro, instancabilmente.
    Pestava la punta delle scarpe rosse sul pavimento dell’autobus, a tempo; sentiva come se la canzone potesse penetrare nelle ossa e sconvolgere tutto il suo organismo. Prese un bel sospiro, guardando fuori: pioveva. Le gocce s’infrangevano nella vetrata del veicolo, ricoprendola poco a poco di particelle trasparenti. Guardava il solito paesaggio passargli davanti agli occhi, l’aria ancora un po’ assonnata e la voglia di suonare incastrata nelle dita. Diede un’occhiata alla custodia con dentro la sua, come gli piaceva chiamarla, piccoletta, come a chiederle se fosse pronta. Quando suonava la chitarra pizzicava le corde con delicatezza, quasi a non voler farle del male, suonando non solo grazie a lei, ma per lei. Continuò a fissarla, sorridente: quello strumento l’aveva soccorso molto più di quanto lui potesse credere. Ormai era una cosa naturale: quando si cimentava, leggendo gli spartiti e riproducendo le note in musica ci metteva un’energia quasi palpabile. Pensò addirittura che la sua voglia di vivere fosse nascosta lì, dentro la cassa armonica della piccoletta.
    Uno squarcio di luce si aprì in cielo, rivelando un sole debole ma ancora esistente. La pioggia era leggera, le gocce infrante erano più sottili, le foglie degli alberi si muovevano piano e i colori della cittadina si accendevano un poco. Le strade trafficate, i rumori dei passi, le grida della gente, i clacson e le case variopinte gli erano mancate. Forse quello che gli era mancato più di tutto era prendere il bus per andare all’accademia, dato che usava quasi sempre lo scooter, e godersi così, in modo tranquillo, quello che considerava un panorama. Viveva non poco distante da Londra, a Mitcham, superava il Ravensbury park e continuava dritto, superando incroci e fermate varie. La strada liscia e bagnata dalla tipica pioggerellina londinese, il sole che ogni tanto si degnava di dare la sua presenza e gli edifici che si susseguivano uno dietro l’altro. Nonostante tutto gli piaceva quell’aria fredda e composta, dava quasi un senso di tranquillità.
Arrivato alla sua fermata scese, sistemandosi zaino e custodia nelle spalle, urtando persone un po’ a caso e chiedendo sottovoce di perdonarlo, con un sorriso impacciato nelle labbra. Capitava spesso, ma non era colpa sua. Sospirò, giunto sul marciapiede, aspettandosi qualche urla disumana o un agitare di mani velocissimo, quasi invisibile a occhio nudo. Il suo sguardo si poggiò sulla fermata, sulla strada che si era appena lasciato alle spalle, sulle ragazzine che, con borse, giubbotti, cellulari e cappelli tra le mani, correvano, probabilmente in ritardo. La scuola ricominciava per tutti, e un po’ gli era mancata, anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno. Gli mancava il suo posto vicino alla finestra, con quel spaccatimpani affianco, o la ragnatela all’angolo sinistro della classe, che ogni tanto disegnava sul quaderno di storia, o l’armadio che sapeva di muffa dove nessuno voleva mai cercare qualcosa. La sua scuola era antica, ma nonostante tutto curata. Le ragnatele e la muffa potevano anche esserci, ma si cercava sempre di far trovare tutto al proprio posto per gli studenti. Ovviamente dipendeva dal personale, perché se si aveva Lucinda come bidella di corso allora sì che si era nella merda, e lui, ovviamente, quella fortuna l’aveva.
    Diede uno sguardo al cielo, sentendosi umido per via delle goccioline quasi invisibili che cadevano dalle poche nuvole rimaste, spazientendosi. E poi eccolo lì: capelli biondi come il grano, occhi chiusi e labbra piene a formare quel suo solito disarmante sorriso. Era certo avrebbe potuto far invidia a una stella, talmente brillava. Era quasi invidioso della dentatura del suo migliore amico, sebbene anche lui non avesse denti storti o sporgenti ovunque. Aveva un sorriso carino, solo che non era abituato a mostrarlo troppo, ecco tutto. D’altronde nove anni di apparecchio erano pur serviti a qualcosa, no?
    Vide la mano del ragazzo salutarlo vistosamente, le gambe correre e due braccia avvolgerlo completamente. « Sei sempre la solita mozzarella, Austin » gli urlò all’orecchio, facendolo sobbalzare. Rinchiuso fra quelle braccia enormi riusciva a sentire il calore familiare dell’amico e non poté che esserne felice. Arrossì, un po’ per l’imbarazzo e un po’ per il nervoso. Si slegarono, mentre il biondino continuava a sorridere. « E tu sei sempre il solito rozzo e impulsivo, Nathan » rispose piccato. Gli passò per la testa di fargli la linguaccia, ma aveva diciannove anni – non sette – e un orgoglio da difendere. Notò che il suo compagno di banco era cresciuto visibilmente in altezza, quasi superandolo. Sbuffò internamente: quell’anno non avrebbe potuto sfotterlo. Lo guardò negli occhi blu, notando la tipica espressione luminosa e contenta, che mai lo abbandonava, e sorrise. Quelle sensazioni sarebbero passate presto, d’altronde erano solo tre mesi che non si vedevano, e soprattutto entrambi sapevano che, da quel momento in poi, non si sarebbero più chiamati con il nome proprio. In effetti avevano uno strano modo di essere amici, troppo complicato da poter spiegare agli altri, e a loro andava bene così. Nathan era come il fratello che Austin aveva mai avuto, un amico importante, e anche se non riusciva a dirlo apertamente era certo che lui sapesse.
     « Non ci credo, non sei davvero andato al mare? Nemmeno una volta? Sembri un cadavere » gli chiese, sbalordito. Cominciarono a camminare, dirigendosi verso la scuola. L’edificio si notava anche da una notevole distanza, con la tonalità di rosso e bianco che quasi faceva splendere il quartiere. Fiumi di ragazzi camminavano, proprio come loro, verso l’entrata. Il portone era in legno, doveva misurare qualche metro. Esternamente non sembrava nemmeno una scuola, con le finestre bianche da un’aria gotica, i vetri grandi e vicini l’un l’altro. Era imponente, con i merletti sul tetto a farlo sembrare un castello. Austin lo vedeva un po’ come la sua fortezza, lì dentro riusciva a concentrarsi e a dare il meglio di sé. « No, non mi andava. Tu invece sembri un africano, deduco che ci sei andato » sorrise ironico, osservandolo. Nathan lo spostò con la mano, agitandola nell’aria dicendogli di togliersi di torno, corrucciando il viso. « Tutta invidia. Mi sono divertito da matti » rispose, guardando dritto davanti a sé. Susanne, la ragazza cui andava dietro da tre anni, gli era appena passata di fronte e gli aveva rivolto un cenno con la mano, salutandolo. Austin gli diede una gomitata, vedendo l’espressione imbambolata e la bocca socchiusa dell’amico, che subito si mise ad agitare un braccio convulsamente. Il rosso sospirò ad alta voce, guardandolo con gli occhi socchiusi. Poteva davvero essere così imbranato? Sembrava una quindicenne davanti al ragazzo più ambito della scuola, con tanto di piercing anche negli occhi e cappellino da vero uomo crudele. Pensò di vederlo sull’asfalto come pozzanghera: si stava sciogliendo, e lo paragonò ad un budino alla vaniglia, di quelli gelatinosi e dannatamente morbidi. La bile gli salì in gola. Che schifo.
    « Deduco anche che a livello sentimentale sei rimasto al punto di partenza » tossicchiò, prendendolo in giro. Ricevette in cambio un pugno nello stomaco che gli fece un po’ male, ma non tanto da piegarlo in due o da sputare sangue. Nathan lo guardò contradditorio, e mise su un broncio che Austin avrebbe definito adorabile, se solo non avesse avuto la sua età. « Ti avrei detto tutto, se avessi trovato qualcuno » sputò velenoso, per poi girarsi nella direzione opposta. Il prato della scuola era sempre curato nei minimi dettagli, e i giardinieri erano sempre gli stessi. Quasi li riconosceva tutti. Quando andavano a fumare durante le ore di grammatica nel retro dell’edificio il signor Markus – capelli neri, occhiali tondi e spessi, naso all’insù e pancia esageratamente grande – si soffermava e chiacchierava con loro, parlandogli di come fosse noioso restare per mattinate intere a tosare cespugli o siepi di una scuola. Secondo lui la tosatura era un’arte, e in una scuola dovevano crescere solo alberi d’abbellimento, come le querce. Austin rimaneva affascinato dal ciliegio in mezzo al giardino, l’albero più grande e con indubbiamente i fiori più belli. All’ora della pausa si sedeva sul tronco e disegnava sino a quando il sonno non gli giocava qualche brutto scherzo, o più che il sonno il suo caro compagno di stanza: Nathan.
    « E quindi siamo sempre alle solite. Susina ti ha proprio folgorato » sorrise pensando al nomignolo che tre anni prima gli era venuto in mente. Le stava a pennello: i capelli erano di un viola strano, proprio simile al frutto, inoltre era formosa e slanciata. Quell’anno i capelli li portava rosa confetto, le lentiggini erano più scure del solito e gli occhi verdi risplendevano alla luce del sole poco sole rimasto. Indubbiamente non passava inosservata, così come tantissime altre ragazze alla Royal. « Non chiamarla così » sussurrò, le gote arrossate per l’imbarazzo. Austin rise, toccandogli le guance con fare giocoso. « Pooovero piccolo » canzonò, sfottendolo. « Davvero divertente, micio. Non sarai mica geloso? » il biondo continuò, rispondendo alle suddette provocazioni. « Oh certo, io sono tanto geloso. Dio, ma ti ricordi quando abbiamo finto di stare insieme per toglierti di torno Alexandra, al primo anno? Tutti ci hanno preso seriamente, e dicevano che stavamo bene insieme » al ricordo delle loro mani unite per i corridoi, dell’imbarazzo che non ne voleva sapere di passare, allo sconcerto della ragazzina invaghita di Nathan, Austin scoppiò a ridere, seguito dal ragazzo affianco. « Siamo stati degli attori formidabili »
    Entrati nell’atrio la calca di gente spintonava per entrare, alcuni prendevano le scale, altri l’ascensore, molti si recavano in aula magna e altri ancora cercavano i propri amici. Pensò che, effettivamente, anche lui doveva cercare i suoi. S’incamminarono verso la classe, soffermandosi sulle due rampe di scale che li attendevano. Austin sorrise. Stava per ricominciare l’avventura, lo sentiva sotto la pelle, così come i brividi gli facevano venire la pelle d’oca. Era adrenalina. Strinse la custodia con dentro la sua piccoletta, guardò Nathan negli occhi ed entrambi si diedero ad una corsa sfrenata: quell’anno gli ultimi posti vicino alla finestra sarebbero appartenuti a loro, così come ogni anno, e sarebbero stati disposti a tutto pur di prenderseli. 



Angolo autrice:
eccomi, con il primo capitolo di Clouds.
La canzone sopracitata è degli Of mice & men - Would you still be there, che tra l'altro io amo. Oltre ad essere stata la prima canzone loro che ho ascoltato, devo dire che il significato è sempre bello da leggere, capire, e cantare. Ve la consiglio. Inoltre credo di provare le stesse emozioni che il malpelo prova in questo scritto.
E quindi, mi cimento a parlare del capitolo. Conosciamo Nathan, il migliore amico, fratello e vecchio amore di Austin. No, scherzo. Questi due teppistelli ne faranno delle belle, ve lo posso assicurare, ma non si metteranno insieme. Ho in serbo molte altre novità per loro.
Ci tengo a precisare che la Royal Academy of music esiste davvero a Londra, nonostante qualcosa me la sia inventata (ad esempio il fatto che l'esterno sia riempito da siepi e che nel mezzo del giardino si trovi un ciliegio). Chiedo scusa per la poca descrizione nell'ambiente esterno riguardante l'edificio, prossimamente cercherò di spiegare bene com'è fatto, in modo tale da immaginarlo correttamente.
Spero che il carattere del protagonista stia venendo bene, tengo molto all'aspetto mentale dei personaggi perché credo sia una delle cose più importanti, anche più di quello fisico. Inoltre spero che anche il personaggio di Nathan sia apprezzabile, poiché anch'esso molto importante.
Nel secondo capitolo vedremo tutta la ciurma, tra amici e conoscenti, di cui Austin e Nathan fanno parte.
So che ho trascurato il personaggio di Heather, ma non vi preoccupate, sarà presente.
Perdonatemi per eventuali errori.
Bene, spero che vi sia piaciuto. Ringrazio chi ha recensito, messo nei preferiti/seguite la storia di cuore, e ringrazio anche i lettori silenziosi: fate sempre piacere. Inoltre vi invito a recensire, anche giusto per qualche appunto.
Grazie infinite di nuovo. Un abbraccio,
Haruka.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: coldnight