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Autore: Aura    22/11/2014    3 recensioni
“Aspetta un attimo, i bravi ragazzi non baciano così!”
“Fanno anche di più, cazzo”
(cit. Il diario di Bridget Jones)
Lexie ha solo ventidue anni, eppure ha ereditato una figlia. Ha chiuso le ambizioni di carriera e la sua giovinezza dentro a un cassetto, la sua vita gira intorno alla piccola Alanis: fa la commessa in una libreria e il suo momento di trasgressione settimanale è quando può avere il controllo del telecomando e gustarsi Dirty Dancing fantasticando su Johnny, il primo di una lunga lista di bad boy che le hanno rubato il cuore. Il suo nemico giurato? L'altezzoso maestro di Alanis, tale William Parker ribattezzato Testa di Corno, la classica persona che guarda tutti dall'alto in basso e che vuole sempre aver ragione, anche sull'educazione di sua nipote. O no? Comunque Lexie lo trova ridicolo e insopportabile, fuori moda ed esasperante nella sua ostinazione a volerla chiamare Miss Spencer, quasi per tenere le distanze da lei. O no?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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sconvolta


Molta gente non sa che l'occhio umano ha un angolo cieco nel suo campo visivo. C'è una parte di mondo che noi non possiamo letteralmente vedere. Il problema è che certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di vedere cose che non dovremmo assolutamente ignorare. A volte invece sono proprio gli angoli ciechi a dare felicità e contentezza alla nostra vita.
(Grey's Anatomy, S03E08)







Con disappunto posso staccare il turno in perfetto orario, così mi faccio coraggio e raggiungo Parker da Starbucks. Non so che cosa aspettarmi da questo pranzo, il solo fatto che abbia avuto l'insana idea di propormelo mi lascia allibita: non siamo amici e tra alti e bassi i nostri rapporti sono comunque stati sempre abbastanza freddi, un passo avanti e due indietro. E ora poi siamo nella fase dei “due indietro”, come gli è venuto in mente?
Lui, non appena mi vede entrare, chiude il libro e viene verso di me.
- Immagino che tu conosca un posto nelle vicinanze? - mi chiede.
A dire la verità no e inoltre non voglio correre il rischio di portarlo in un bistrot quando lui in realtà intendeva un chiosco degli hot dog, anche se potrei scommettere che Mr Precisino non abbia mai mangiato un volgare hot dog in tutta la sua vita; così preferisco delegare a lui la scelta.
- Non mangio mai in questa zona, quindi scegli tu. - gli dico, facendogli cenno di precedermi.
Camminiamo per un isolato ed entriamo in un piccolo ristorante italiano, di quelli con la tovaglia a scacchi bianchi e rossi che hanno come piatto forte la pasta alla bolognese, e mentre mi siedo domandandomi ancora il motivo dell'invito lui se ne esce, secco:
- Mi dirai mai cosa vuol dire signor TDC?
La mia faccia deve essere diventata ancora più rossa dei riquadri della tovaglia, - Scusami? - deglutisco.
Il suo volto invece non tradisce un'emozione.
- Mi hai chiamato così, quando avevi la febbre. - spiega.
Mi copro la faccia con le mani, desiderando ardentemente scomparire.
- Non vuoi saperlo. - dico con un filo di voce, - Fidati.
Non reagisce granché, ne prende atto e apre il menù.
- Come immaginavo. - dice, semplicemente.
Ora penserà al peggio, e mi trovo costretta a svelargli il simpatico nomignolo che si è beccato prima ancora che lo conoscessi di persona:
- Testa di Corno, - gli rivelo mortificata, - vuol dire Testa di Corno. Non pensare male, indica che... sei molto testardo. - tergiverso. - E comunque non ti chiamo mai così in presenza di Allie. - aggiungo in fretta. Senza contare quella prima volta in cui ho coniato il soprannome, ma non c'è motivo di specificarlo.
Lui solleva impercettibilmente un sopracciglio.
- Curioso, detto da una delle persone più testarde che io abbia mai conosciuto.
Spalanco gli occhi,
- Io, testarda?
- Continuavi a rischiare di svenire pur di non chiedermi aiuto.
Mi nascondo nel menù, colta in fallo, e mi chiedo cosa sia cambiato in quest'ora: prima eravamo imbarazzati ma tutto sommato era gentile, adesso invece è molto freddo, distante.
Credo che usi il suo tono cortese come un'arma, che regola a seconda del suo interesse nell'interlocutore; adesso come adesso, nonostante sia stato lui a invitarmi a pranzo, a giudicare da quello non occupo una postazione molto alta nella sua scala.
Vengono a prendere le nostre ordinazioni e ci portano prima da bere e poi da mangiare senza che uno di noi abbia spiccicato mezza parola, cosa che mi rende ancora più a disagio: mi sto accorgendo che per qualche strano motivo ho bisogno dell'approvazione di quest'uomo, prima lo accetto con me stessa e prima, forse, la smetterò di contrariarlo per il solo gusto di farlo. Non che non sia divertente farlo, e spesso ho ragione, ma devo ammettere che è una persona diversa da me, con delle idee e dei gusti diversi dai miei, e comportarmi di conseguenza: dobbiamo imparare a convivere, fintanto che Allie sarà sua alunna, senza volerci imporre a vicenda.

- Alanis è fortunata ad avere una zia come te. Io ti stimo molto, non insinuare il contrario. - dice, rompendo il silenzio tutto d'un tratto.

La polpetta che stavo per addentare cade giù dalla forchetta, rotola nel piatto e mi finisce addosso macchiandomi la maglietta.
- Perché mi dici questo? - balbetto, fingendo una tranquillità che non ho mentre cerco di pulirmi.
- Un'altra cosa che mi hai detto quando avevi la febbre, volevo metterlo in chiaro. Così come non ti odio.
- No? - mi trovo a dirgli con un filo di voce, titubante. Non so se mi disorientano di più le confessioni che non ricordo di avergli fatto, o invece le sue risposte adesso.
- No. - continua lui, i suoi occhi che non riesco a reggere fissi su di me. - Se lo vuoi sapere, ogni tanto mi rendi nervoso, non so mai come comportarmi con te.
Non riesco definitivamente più a guardarlo, non riesco a sollevare lo sguardo dal piatto né a spiccicare una mezza parola: io lo rendo nervoso? Lui non sa mai come comportarsi con me? E cosa dovrei dire, io?
Mi sento le guance in fiamme e il cuore che mi rimbomba nella cassa toracica.
Il pranzo va a rotoli, ancora più di prima: almeno era un silenzio dignitoso, invece adesso continuiamo a cercare di fare conversazione con scarso risultato, e io faccio cadere qualsiasi cosa tocco. A un certo punto tutti e due capiamo che è meglio tornare al fidato silenzio, e in tutto questo non ho ancora avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
Questo William Parker è l'unione delle versioni che ho conosciuto prima: l'inquietante maestro che non si sbilancia mai a mostrare emozioni e il fratello un po' strano di Scott, che spiavo mentre spiegava a mia nipote la logica del sistema di gravità e dell'equilibrio applicati a degli strumenti di lavoro, con una calma e una serietà che mi hanno trasmesso una piacevole sensazione che non sono riuscita a dimenticare, nonostante i nostri trascorsi. O quello di cui ho vaghi ricordi, mentre si prendeva cura di me con una premura dignitosa.
È stato facile interpretarlo male quando l'ho conosciuto, ma è anche vero che lui non facilita certo il desiderio di provare a vedere al di là di quello che mostra di sé; e in mia discolpa posso anche dire che a ogni opinione positiva che mi provocava nel giro di poco ne seguiva una altrettanto negativa. Qualche volta sono riuscita a intravvederlo veramente sereno, come prima in libreria, anche se imbarazzato dava la sensazione di una versione più aderente a sé stesso, ma sommato a tutti i pregiudizi contrastanti che mi sono fatta su di lui, il risultato è che non sono riuscita a cavarne un ragno da un buco. Questo pranzo stesso, impacciato e catastrofico, è l'esatto riassunto della teoria su quanto siamo incompatibili: anche in territorio neutrale non possiamo fare a meno di scontrarci con le nostre diversità ed entrambi ci riduciamo al silenzio, un'amicizia tra di noi è letteralmente impossibile.
E come se non bastasse, le sue ultime criptiche parole rimbombano nella mia testa.
Finiamo di mangiare con lo stesso livello di comunicazione, verbale e non, di due persone sedute l'una di fronte all'altra in metropolitana, totalmente a disagio cerco addirittura di fare il più silenzio possibile appoggiando il bicchiere accanto al piatto vuoto. Non credevo potesse andare peggio di così, ma decreto il dong del mio imbarazzo massimo quando, mentre cerchiamo di alzarci insieme dal minuscolo tavolino e di girargli intorno per andare alla cassa, gli finisco addosso. Sono bloccata tra lui e il tavolo, non so come uscirne e adesso, davvero, vorrei sprofondare.
- Non sei un gatto a cui è stato affidato il compito di crescere un pulcino.

La sua voce mi arriva piano, quasi un soffio, e quando sollevo la testa per una frazione di secondo penso quasi che stia per baciarmi. No, la mia è sicuramente un'idea sciocca, eppure siamo qui, uno addosso all'altro, e lui non da segno di volersi spostare. Quando gli ho dato il libro ho pensato che la sua reazione mi avrebbe aiutato a capire qualcosa di lui: la cosa che mi ha appena detto rivela decisamente molto.
Annuisco, intimidita dal suo sguardo, sperando di non mettermi a piangere proprio adesso: ogni volta che penso di aver toccato il fondo va sempre peggio.
- Tutto sommato non sei male come insegnante, sai? Leggi bene le persone. - gli concedo, divisa dalla forza di quella scoperta, che lui mi abbia davvero letto come un libro aperto, e la sensazione dovuta dalla posizione in cui ancora siamo, che stia per baciarmi da un momento all'altro. Persino il mio corpo è confuso e non sa come reagire: il cuore mi batte, il respiro è poco più di un accenno e gli occhi mi pungono. Finalmente fa un passo indietro e mi lascia libera,
- Non sempre. - dice, lasciandomi sola a infilarmi il cappotto mente lui va a chiedere il conto.

- Quando vai a prendere Alanis? - mi chiede, e io mi domando se non mi stia invitando fuori stasera. Mi ero messa d'accordo con Drew, sarebbe un bel problema.
- Domani a mezzogiorno. - dico, titubante: ora mi chiederà di uscire, e io non so come rispondergli. Non so neanche come gli avrei risposto se effettivamente non avessi avuto impegni.
- Mi piacerebbe invitarvi a cena, domani. Alanis è molto brava nello spelling ma in classe si intimidisce spesso: vorrei capire se è in grado di partecipare al concorso cittadino.
La mia prima reazione è di orgoglio per mia nipote, poi mi rendo conto che mi aspettavo un appuntamento e non è altro che un interesse puramente professionale.
- Va bene, a che ora? Mi dai l'indirizzo?
Mi scrive la via sul retro dello scontrino del ristorante,
- Venite per le sette.

Arrivo a casa intontita, mi chiudo la porta dietro alle spalle e lascio scivolare giacca e borsa a terra.
Non so cosa mi stia prendendo: perché ho così difficoltà a interpretare William e perché ho continuato a pensare che stesse succedendo qualcosa.
Sentendo il bisogno del rilassamento estremo preparo la vasca da bagno e accendo un paio di candele profumate. Ho bisogno di parlarne con Pam, ma questa volta, prima di chiamarla, devo assolutamente mettere in ordine le idee: per quanto possa darmi della cretina c'è stato un momento un po' equivoco al ristorante, ed è normale che ho pensato stesse per baciarmi. Non implica che lo volesse fare né tanto meno che lo volessi io.
E quando ci siamo seduti, al contrario, era così distante; proprio prima invece di dirmi tutt'altro. Mi stima. Scivolo nella schiuma e metto la testa dentro l'acqua, perché il mio pensiero rimanga intrappolato lì: cosa vuol dire che lo rendo nervoso?
Non sono pronta a chiamare Pam, telefono invece alla mamma per sentire la voce di Allie, e poi mi preparo per uscire con Drew, mio malgrado continuando a chiedermi cosa avrei fatto se Parker mi avesse chiesto di uscire, con la mia insistenza in quei pensieri come ovvia risposta implicita.

Drew è perfetto: ogni parola che ha detto stasera, ogni sorriso che mi ha fatto, ogni sguardo che mi ha lanciato, è perfetto. Dannatamente perfetto, così tanto che vorrei urlare dalla frustrazione, perché non sono capace di godermelo e continuo a sentire la mancanza di altri modi, di altri accenti nella sua voce. Continuo a fare finta di niente, sperando di sbloccarmi nel corso della serata, ma va sempre peggio perché ad un certo punto arrivo quasi alle lacrime al pensiero che non è lui. Drew mi accarezza la mano,
- Sei nervosa?
Inizialmente annuisco, e poi scuoto la testa.
- No, Drew. Scusami ma... non sono nervosa. Tu sei perfetto e io non sai quanto invece non lo sono. Ho una figlia, cioè non è mia, l'ho ereditata ma a questo punto è come se fosse mia: l'impegno è lo stesso. Tu non sai quanto vorrei proporti di prendere quello che possiamo, vederci quando lei non c'è o posso lasciarla a qualcuno, non sai quanto mi servirebbe tornare ad avere ventidue anni ogni tanto.
Drew mette insieme i puntini.
- Ma non sei nervosa. - dice. E forse, dopo la mia confessione su Allie, è sollevato che sia così.
Sbuffo, frustrata:
- E tu sei così perfetto...
Ridacchia,
- Piccola, anche tu sei uno schianto. Lasciamo le cose come stanno, io ti porto il caffè tu fai finta di essere felice di vedere me e non per il caffè, ok?
Annuisco, grata che abbia capito.
Prendo la mia borsa e usciamo dal locale; Drew, dopo che passo cinque minuti a cercare di abbottonarmi, è costretto a farmi notare che ho il cappotto a rovescio, ma a parte quello finisce tutto bene. Mi riaccompagna a casa e non cerca di baciarmi, si limita al suo irresistibile occhiolino.
- E se qualche volta vorrai sentirti di nuovo ventidue anni... dimmelo, ok?
Lo saluto ed entro in casa. È tardi per chiamare Pam e le scrivo un messaggio criptico, riassumendole quando io sia pazza, lei non resiste e mi chiama. Le dico di Drew, e alla fine ammetto di essere confusa riguardo a Parker. La notizia la prende alla sprovvista, ma non come mi aspettavo.
- Due motivi. - mi dice, quando le chiedo spiegazioni, - Il primo è che nessuno rifiuterebbe una notte di sesso bollente con Drew se non avesse in mente qualcun altro. E il secondo... non dirlo a Paul o gongolerà come un pazzo perché se ti ricordi vi aveva organizzato un appuntamento al buio, ma insieme avete qualcosa, non so se vi porterà da qualche parte o no, ma è ben visibile.
Evito di specificarle che non ho propriamente in mente qualcun altro, perché ho capito che cosa intende: mi do ancora della stupida per non essere sotto alle lenzuola con lui, adesso, ma proprio non ce la facevo.











Nda William Parker è incomprensibile, lo so. Anzi, nella prima stesura di queste scene era ancora più intelleggibile, ho voluto parlare di questo momento filtrando tutto con la confusione e le emozioni contrastanti di Lexie, lei per prima non lo capisce e non capisce come, diciamoci la verità, abbia un po' desiderato che la baciasse, come ci è arrivata, e ho voluto che fosse così anche per chi legge.
E William... renderlo ancora più comprensibile di quanto mi sono concessa sarebbe stato snaturare il suo personaggio, perché ad oggi lui è stato abbastanza insondabile e Lexie lo capiva ancora meno.
Sono curiosa di sapere quindi cosa ne pensate, se il mio tentativo è fallito miseramente o se avete capito qualcosa... A martedì! 
   
 
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