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Autore: Vanya Imyarek    23/11/2014    1 recensioni
Per i Greci, il kosmos è l'ordine del mondo, basato sul perfetto equilibrio tra opposti, come luce e tenebre, bene e male. Ora, se la gente odierna sapesse che il kosmos è minacciato da un fantasma con vari problemi mentali e un chiodo fisso pr la propria divinizzazione, e che è invece difeso da un paio di ragazzi doppiogiochisti, opportunisti e pure alquanto iettatori, tutti impegnati a cercare di procurarsi un'antica corona egizia dai poteri straordinari, ci sarebbe da supporre che il mondo piomberebbe nel panico generale.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Servi del Kosmos'
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                                                PENELOPE

 

 

COME  METTERE  A  REPENTAGLIO  LA  SICUREZZA  DI  UN  ESSERE  ULTRAPOTENTE  E  IMMORTALE

 

 

 

Alla fine, viaggiare senza soldi e senza documenti non fu tanto difficile come mi aspettavo.

Fu sufficiente andare in stazione, salire sul primo treno diretto a est, e poi nascondersi nel bagno durante tutta la visita del controllore al mio scompartimento. Quando gli ebbi dato un ragionevole lasso di tempo per andarsene, tornai allo scompartimento e mi sedetti tranquillamente. A parte un paio di occhiate sospettose da una signora sui cinquanta, non ci fu alcuna protesta per ciò.

Ripetei l’operazione con altri due treni, prima di arrivare all’inaspettato capolinea di cui narrerò tra poco.

 Intanto, com’era giusto che fosse, non riuscivo a smettere un attimo di pensare a quello che mi era successo.

 Non ero impazzita, di questo ne ero certa. La spada ne era la prova: quando avevo provato a esaminarla meglio, avevo inavvertitamente premuto la testa del serpente, e in un attimo, la lama si era ritirata e il serpente era tornato ad avvolgersi attorno al mio braccio. Sbalordita, avevo pensato di aver avuto un’allucinazione e che quello fosse effettivamente stato un braccialetto per tutto il tempo, ma poi avevo provato a girarlo tra volte, come avevo fatto durante lo scontro al museo, e quello era tornato una spada.

 Ora che avevo la definitiva conferma di non essermi sognata tutto, avevo cercato di mettere un po’ di ordine nella confusione in cui ero precipitata. Dunque, i mostri esistevano. Ne avevo appena incontrata una con due gambe da serpente. E chissà quante altre specie ce n’erano in giro. Questa conclusione già non lasciava molta sicurezza per la propria incolumità, ma c’erano altre cose da considerare.

 Innanzitutto, il fatto che quel mostro si fosse accanito su di me, dichiarandomi in qualche modo ‘diversa’ dagli altri, e aveva totalmente ignorato Chelsea. Faceva spudoratamente romanzetto fantasy per ragazzine, con la predestinata diversa dal mondo intero e tutto, ma dovevo prendere atto del fatto che stava succedendo davvero.

E poi, quella tizia aveva parlato di ‘quelli come me’. Evidentemente facevo dunque parte di una categoria ben precisa. E se fossi riuscita a contattare qualche mio ‘simile’? Avrei potuto avere dei chiarimenti?

Non che vedessi la cosa come molto facile. Non sapevo neanche a quale accidenti di categoria soprannaturale appartenessi, figuriamoci come venire in contatto con altri. E sinceramente io non mi sentivo per niente soprannaturale, ma credo sia la tipica cosa che dicono le eroine dei romanzetti sopra citati, quindi mi asterrò dall’approfondire.

 In più, c’era il piccolo fatto che, naturalmente, tutti pensano che i mostri siano solo inventati, mentre invece esistono. Come era possibile che in realtà si aggirassero nel mondo moderno senza problemi?

 Be’, effettivamente la gente che parlava di mostri c’era … nelle varie trasmissioni sensazionaliste. E se invece fosse stato tutto vero quello che dicevano? Questo però non spiegava perché l’esistenza dei mostri non fosse universalmente riconosciuta.

A dire il vero, però, neanche l’attacco in cui ero stata coinvolta era stato riconosciuto come tale. La stessa Chelsea, che pure era stata lì tutto il tempo, aveva affermato di avermi vista attaccare una donna innocente. Forse era un qualche potere magico dei mostri, che proibiva agli umani di vederli per come erano realmente? Sembrava la spiegazione più plausibile.

 Quanto a me, con tutta la mia unicità e diversità ero da sola e probabilmente ricercata dalla polizia, e non sapevo cosa fare, se non per un qualche strano istinto che mi diceva di andare a est. Gran bella situazione, non c’è che dire.

 Nel mio secondo giorno di viaggio, il mio treno si fermò a Memphis. Era solo una delle destinazioni e non il capolinea, ma il treno rimase lì fermo inspiegabilmente a lungo. Parecchia gente iniziò a lamentarsi, alcuni andarono perfino a protestare dal conducente.

 Io, data la mia situazione di clandestina, preferii rimanermene tranquilla al mio posto, convinta che non ci fosse niente di cui preoccuparsi, che fosse solo uno di quei ritardi che succedono per qualche motivo di cui non si informano i passeggeri.

A un certo punto, intravidi un individuo in divisa da controllore in pericolosa fase di avvicinamento. Mi precipitai in bagno, cercando di non dare troppo nell’occhio, e mi chiusi la porta alle spalle. Ero sicura che, come le volte precedenti, non ci sarebbero stati problemi. Ed ero sicura che, come le volte precedenti, la porta del bagno non sarebbe saltata in aria.

Ovviamente mi sbagliavo su entrambi i punti.

Rischiai di morire d’infarto sul colpo quando la porta esplose proprio davanti a miei occhi senza alcun preavviso (e immagino che l’infarto sarebbe stato più dignitoso di fare un balzo tale da rischiare di finir nella tazza del water). Dal buco che ora stava al posto della porta, potei avere una perfetta visuale del controllore, con la sua debita divisa … e la testa di un cane, le pinne di una foca al posto delle mani e una sfera di fuoco in una delle suddette.

Restai a fissarlo paralizzata. Eccone un altro, uno come la donna del museo …

Ma che stavo ferma a fare? Girai tre volte il mio bracciale, e nel frattempo lui ebbe il tempo di lanciarmi la palla di fuoco che teneva in mano. Mi gettai a terra per evitarla, mentre nel contempo la spada si allungava, facendomi rischiare una fine alla Aiace Telamonio. Giusto per un’ulteriore dimostrazione che alla sfiga non c’è mai limite, un coltello volò sopra la mia testa e sparì al di fuori di un cratere nella parete creato dall’ultima palla di fuoco.

 Il lato positivo fu che il mostro si voltò a cercare l’origine del coltello volante, dandomi così modo di rialzarmi. Siccome una volta fatto ciò ero a due centimetri circa dalla creatura, avrei potuto colpirla comodamente, se non fosse stato che un altro coltello volò nella mia direzione, e dovetti abbassarmi per schivarlo.

 Il mostro si voltò nuovamente verso di me, e a quel punto decisi di evitare addirittura di rialzarmi e ficcargli la spada nello stomaco da dov’ero. Il mostro si disintegrò esattamente come la donna- serpente, assorbito dalla lama, finché non ne rimase più nulla.

“E tu chi sei?” chiese una voce maschile.

 Senza più l’ingombro del mostro, ebbi libera visuale sul misterioso lanciatore di coltelli. Era un ragazzo di colore, alto e di costituzione robusta, con i capelli tenuti in dreadlocks secondo me troppo lunghi e gli occhi di un insolito colore dorato.

 Io mi rialzai di scatto e misi la spada in quella che supponevo essere una posizione di difesa. “Chi sei tu! Perché mi hai attaccata? Cos’era quell’altro coso?”

 “Prima risposta: Chad Mist. Seconda risposta: ho attaccato mister Palladifuoco, non te. Terza risposta: non ne ho la minima idea”

Feci un paio di rapidi calcoli mentali. Se il tizio aveva visto il mostro per quello che era e non si era fatto fregare come Chelsea e tutti gli altri, doveva avere qualcosa di strano. Quindi poteva essere uno dei miei cosiddetti ‘simili’. Dunque, poteva fornire le spiegazioni su tutto quell’immenso casino in cui mi trovavo da giorni.

“Okay, guarda che puoi parlare liberamente” gli dissi. “I mostri mi hanno attaccata, quindi suppongo di essere come te … qualunque cosa tu sia. Se mi dicessi cosa diavolo sta succedendo e cosa siano quelle cose che cercano di ammazzarmi da qualche giorno a questa parte, te ne sarei molto grata”

 Lui mi guardò come se non avesse capito mezza parola del mio discorso. “Okay, dolcezza, forse per qualcuno al mondo le tue parole hanno un senso, ma per me no”

Era la frase più odiosa e indisponente che si potesse dire in quel contesto. Ma chi era quel cafone?

 “Prima di tutto, non ti azzardare a chiamarmi dolcezza” ringhiai “Secondo, non ci provare neanche a farmi passare per scema! Io ho visto quelle cose, sono sicura di non essere pazza, quindi tu m spieghi subito cosa sta succedendo!”

 Prima di criticare, vorrei che voi pensaste un attimo a cosa voglia dire passare due giorni allo sbaraglio in un mondo che sembra aver perso ogni logica e poi, una volta che ti trovi davanti a una persona che secondo te ha tutte le risposte di cui hai bisogno, questa si rifiuta di dartele.

 “Okay, capisco che probabilmente hai il ciclo, ma calmati e …”

“Ma vattene a …”

Una palla di fuoco che sfrecciò improvvisamente tra di noi fu una censura sufficiente alla mia frase.

 Ci voltammo verso la sua fonte e vedemmo un numero imprecisato di mostri, uguali a quello di prima, che si accalcavano goffamente nel corridoio tentando di correre verso di noi. Io puntai la mia spada verso di loro, ma anche un cretino avrebbe capito che erano troppi per poterli affrontare.

 A riprova di quest’ultima affermazione, fu il tizio dei coltelli che cercò di tirare una delle sue armi nel gruppo dei nemici. Colpì il bersaglio, ma solo perché erano così tanti e così ammassati che anche un sassolino avrebbe colpito qualcuno di loro.

 “Sono troppi! Scendiamo dal treno, idiota!” gli gridai. Qui su due piedi non saprei spiegare perché non scappai senza di lui. Perché speravo di torchiarlo ancora e con più successo, probabilmente.

“Se non ci hai badato, ti faccio notare che uno l’ho colpito!” ribatté lui, estraendo un nuovo coltello dall’interno della giacca (ma dove si era procurato una cosa simile?).

 “Perché ce ne sono così tanti che neppure un cretino fallirebbe! Muoviti!” gli gridai, e feci per trascinarlo per un braccio.

Lui si ritrasse un fretta. “Non ti conviene toccarmi” disse.

 Io sbuffai. Se non era il peggiore idiota che avessi mai incontrato, ci andava molto, ma molto vicino.

 Intanto i mostri non rimasero lì a godersi lo spettacolo di noi che litigavamo: almeno tre palle di fuoco ci arrivarono addosso in contemporanea. In teoria sarebbero dovute essere di più, ma i mostri delle ultime file, accalcati com’erano, non avevano preso bene la mira e avevano incenerito quelli davanti.

“Senti, almeno alza le chiappe e …”

Non feci in tempo a finire la frase. Uno dei mostri, lasciando perdere le palle di fuoco, si era avventato contro il lanciatore di coltelli, probabilmente cercando di atterrarlo. E quello lì non dovette fare nient’altro, per difendersi, se non afferrarlo per un braccio: il mostro si ridusse in cenere sotto il suo tocco, tra urla terrorizzate.

 Io lo fissai basita. Che razza di cosa era quel tizio?

 “Bene, e dopo questa vuoi ancora farmi credere che non sai nulla di quello che sta succedendo?”

 “Sì!” sbottò lui “Non ho la più pallida idea di come ci riesca, va bene?”

 Non credetti a una sola parola, ma i mostri si stavano facendo più insistenti. “Okay, me lo dirai dopo, adesso sono troppi anche per il tuo trucchetto, SCENDI!” gli urlai.

 Grazie a un qualche miracolo, i suoi pochi neuroni si misero in funzione e si decise a saltare giù dal treno, per poi correre a perdifiato fuori dalla stazione, mentre io lo seguivo a ruota. I mostri decisero di fare altrettanto e, dopo essersi ammaccati un po’ nel tentativo di scendere dal treno tutti insieme, si gettarono al nostro inseguimento, facendosi debitamente precedere da palle di fuoco.

 Non so come la gente di Memphis abbia reagito a due adolescenti, armati rispettivamente di spada e coltelli, lanciati in corsa per le strade della città e inseguiti da un branco di cani lancia fuoco in uniforme da controllore. Non ci ho fatto caso. Ero troppo occupata a correre.

 Per risparmiare fiato, avevo anche sospeso il mio litigio con Chad Mist. I mostri che ci inseguivano non avevano di questi problemi: c’era chi ci insultava, chi ci intimava di fermarci, e chi ci diceva di farci colpire dalle palle di fuoco. Ovviamente non demmo retta a nessuno di questi.

Però una frase catturò la nostra attenzione. “Correte alla Piramide Arena? Non sperate che quel dio vi aiuti!”

 Piramide Arena? Dio? Di che dio stava parlando? Ero abbastanza sicura che non fosse proprio il dio ‘Dio’. Il pronome sembrava sottintendere che ce ne fossero molti, un po’ come l’induismo o le religioni antiche. Forse era lì la risposta a tutti i problemi? Tutti quei casini avevano a che fare con l’esistenza di un qualche tipo di divinità? Ma poi, perché questa divinità sarebbe dovuta essere in un’arena per il basket? Era forse un tempio segreto?

“Se c’è … un dio …” ansimò Chad “Credo che questo … sia il momento buono … per chiedere una mano”

“Quelli dicono” risposi io “dicono che non ci aiuterà. Portiamoglieli lo stesso”

 “Sperando … che li distrugga perché … hanno violato il suo luogo sacro?”

 Io veramente pensavo di farli distruggere dal dio facendo in modo che quest’ultimo li interpretasse come una minaccia per sé, ma la sostanza era quella, così non persi tempo a litigare e annuii.

Pur non essendo mai stata a Memphis, riconobbi subito la Piramide Arena: piuttosto logico, era una piramide. Interamente di vetro, sulle rive del Mississippi e circondata dagli alberi. Un buon posto dove giocare a basket, in effetti.

Ma visto che io lì ci stavo andando per rischiare di morire, non mi soffermai troppo ad ammirarla.

 In teoria le porte sarebbero dovute essere chiuse, ma a Chad bastò appoggiarci una mano per trasformarle in polvere. Per quanto fosse cretino, ringraziai il cielo per essere con lui.

Infilammo la porta di corsa, inseguiti dai mostri.

“Ma siete scemi? Figuriamoci se vi aiuta!” strillò uno di loro.

“Agh!” sentimmo in risposta, e vedemmo qualcosa allontanarsi davanti a noi. Non lo vedemmo bene, ma aveva una forma che ricordava un umano ingobbito e con braccia innaturalmente lunghe.

 Comunque una palla di fuoco che mi passò vicinissima, strinandomi una ciocca di capelli, mi distolse dal pensare alla figura misteriosa. Ecco la pecca del nostro piano: una volta arrivati lì, non avevamo la più pallida idea di dove trovare quel dio, o di come evocarlo, o insomma di come fargli fare il lavoro sporco per noi.

 Per il più straordinario colpo di fortuna che mi fosse capitato da tre giorni a quella parte, fu lui a risolvere il problema per noi.

Stavamo correndo da qualche parte vicino agli spogliatoi, quando sentimmo una serie di “Agh!” come quello di prima e una voce giovanile che gridava: “Chi è? Cosa succede qui?”

Chad mi afferrò per un lembo della giacca di pelle (che si ridusse immediatamente in polvere) e mi trascinò all’interno di uno degli spogliatoi, lasciando i mostri a vedersela con l’ira funesta della divinità. Riuscimmo a sentirli fermarsi bruscamente, scontrandosi l’uno contro l’altro – mi chiesi quanti diavolo dovessero essere per ottenere quel risultato tutte le volte – e poi mormorare nervosamente tra loro.

“Non è affar tuo!” strillò uno più coraggioso o più blasfemo degli altri. “Noi siamo qui per un paio di mezzosangue, e le intromissioni dirette sono vietate! Anche quelle di voi egizi!”

“Finché vi limitate a inseguirli lontano da qui, non è affar mio” annunciò la misteriosa divinità. “Ma quando irrompete nel mio laboratorio, allora il vostro si può considerare un attacco anche a me. Dissecca!”

Questa parola fu seguita da grida, e da un rumore simile alla sabbia in una clessidra. Poi, solo silenzio.

Io e Chad ci scambiammo un’occhiata. Li aveva fatti fuori tutti? Pareva proprio di sì, ma rimanemmo immobili lo stesso. Metti che questo essere ultrapotente si rendesse conto di essere stato usato per liberarci dai mostri, non gradisse e ci facesse fare la loro stessa fine.

Ma restare immobili non ci servì a nulla, perché la testa di un ventenne fece capolino dallo stipite della porta.

“Oh, eccovi qua!”

 Il giovane aveva un aspetto ben poco divino. Aveva i capelli biondi e spettinati e, quando entrò nella stanzetta, scoprimmo che indossava jeans e la maglietta di un concerto blues, con sopra un camice bianco. Le uniche cose che lo facevano sospettare poco normale erano gli occhi: non si capiva di che colore fossero, perché sembravano cambiarlo ogni istante.

Il secondo immediatamente dopo, nella stanza entrò anche un babbuino, che dichiarò: “Agh!”.

Ecco la misteriosa figura che avevamo intravisto prima.

“Uhm, buonasera” esordì Chad, mentre io rimanevo immobile a fissare il tipo. No, sul serio, perché non ci sono norme di bon ton che ti spiegano che atteggiamento avere davanti a un dio senza essere colpiti dalla sua ira funesta?

“Dunque voi siete i mezzosangue inseguiti, vero? E a quanto Coriolanus riferisce” disse indicando il babbuino “Li avete portati qui apposta perché ci pensassi io”

“Ci scusi la mancanza di rispetto” ritenni fosse la cosa migliore da dire. “Ma speravamo di appellarci alla vostra generosità …”

“Per appellarsi alla generosità di qualcuno, non credo sia norma entrare in casa sua con dei mostri al seguito per poi nascondersi e lasciarlo ad affrontarli per voi, non trovi?”

Sia io che Chad ammutolimmo. Okay, ci aveva sgamati. E adesso che cosa avrebbe fatto? Ci avrebbe folgorati sul posto? Ci avrebbe resi suoi schiavi?

“O forse sono io che mi sbaglio?” continuò lui, sovrappensiero “La buona educazione cambia così in fretta! Non si fa in tempo a scrivere un trattato su un argomento, che già le cose sono completamente diverse. Prendete gli sputi, ad esempio. Fino a un paio di secoli fa, sputare era considerato un segno di gran classe, ancor più calpestare il proprio sputo, ora è il massimo del disgusto. Un cambiamento estremamente interessante, non trovate?”

Per tutta risposta, io e Chad ci scambiammo un’occhiata perplessa. Questo qua era un dio?!

“Comunque, se volete seguirmi, posso offrirvi da mangiare”

Io lo fissai stupefatta. A parte la disquisizione sugli sputi attraverso i secoli, sembrava aver preso tutto con la massima tranquillità. O forse ci stava preparando un trabocchetto?

“Non ha intenzione di punirci?” s’informò Chad con cautela. Il dio lo guardò sorpreso.

“Chi, io? No, per niente. Piuttosto, che ne direste di un barbecue?”

 

Ladies & Gentlemen,

spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto. Come avrete capito, il dio della Piramide Arena è Thoth delle Kane Chronicles. Questo perché nella storia avranno larga parte anche i maghi e gli dei egizi. E adesso, spoiler: nel prossimo capitolo, Chad e Penelope riusciranno finalmente a venire a capo di qualcosa, e Thoth farà loro una bizzarra proposta.

 

 

  
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