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Autore: ornylumi    23/11/2014    3 recensioni
Undici anni dopo la fine della guerra magica, una Hogwarts ricostruita e leggermente cambiata si prepara ad accogliere i nuovi studenti, senza sapere che un evento senza precedenti sta per segnare la sua storia. E' il primo anno per Teddy Lupin, cresciuto da sua nonna Andromeda e desideroso di scoprire il mondo magico, e per Catherine Scott, una ragazzina proveniente da un orfanotrofio Babbano. Ma lo è anche per Neville Paciock, che per la prima volta si avvicina all'insegnamento dell'Erbologia. La storia di un'amicizia che non avrebbe speranza e che diventa invece possibile, nella generazione di mezzo tra quella di Harry Potter e quella dei suoi figli.
Dal capitolo 8:
Quando il Cappello non aveva più considerazioni da fare, quando Cathy si era arresa alla sua incapacità di scegliere e la curiosità della sala si era trasformata in una noia mortale, lo Smistatore sembrò finalmente decidersi; alzando il tono di voce, in modo che tutti potessero sentirlo, dichiarò: “Non mi lasci altra scelta… Grifondoro e Serpeverde!”
*Attenzione: sono presenti spoiler nelle recensioni*
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Neville Paciock, Nuovo personaggio, Sorpresa, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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31


Da quando Cathy aveva lasciato la villa dei Lestrange, il tempo lì sembrava essersi fermato. Ogni nuovo giorno si ripeteva uguale al precedente, un susseguirsi di azioni banali che non avevano altro scopo fuorché quello di sopravvivere. Il silenzio, un tempo caro a Rodolphus come occasione di riflettere e pianificare, gli risultava ormai intollerabile; avrebbe voluto parlare con qualcuno, per riempire il vuoto di quell’attesa che lo stava lentamente logorando, ma l’unico essere vivente in quella casa era Wolly e discutere con un’elfa domestica non era esattamente il genere di attività che preferiva. Occuparsi di Cathy era stato molto diverso: nonostante la ragazzina gli facesse saltare i nervi quasi giornalmente, lo costringeva in qualche modo a vivere, a inventarsi qualcosa di nuovo per arrivare fino a sera. Soprattutto, lo distraeva dal pensiero fisso del suo ultimo scopo, che con il passare del tempo gli appariva sempre più lontano e indefinito.

Ma perché, poi, la presenza di Cathy doveva essere così essenziale al suo benessere? Se lo chiese mentre gettava via il libro che tentava di leggere da almeno un’ora, senza riuscirci, e recuperando il Whisky dalla teca per concedersi un bicchiere. Stava bevendo troppo ultimamente, se avesse subito un attacco non sarebbe stato abbastanza lucido da affrontarlo, ma non gli importava: aveva bisogno di schiarirsi le idee, uscire da quel torpore che si era autoimposto e darsi da fare. Prima che la ragazzina passasse tanto tempo con lui, la solitudine non era mai stata un problema, dunque non poteva esserne lei la causa diretta; era senz’altro colpa del momento in cui si trovava, del fatto che dovesse limitarsi ad aspettare senza agire. Passò in rassegna, per l’ennesima volta, tutte le azioni che avrebbe potuto intraprendere, ben sapendo che nessuna di quelle sarebbe stata una scelta saggia.

Tentare di contattare Weasley era decisamente rischioso, ora che non poteva più contare sull’effetto sorpresa. Avrebbe potuto metterlo alle strette, minacciarlo una seconda volta, ma non era certo che sarebbe servito a qualcosa; d’altra parte, se il Ministero non era ancora venuto ad arrestarlo significava che Percy aveva tenuto la bocca chiusa, il che gli dava buone speranze. Liberare Rabastan dalla prigionia non era uno scherzo, se davvero Weasley ci stava provando allora lui non doveva pressarlo, o avrebbe rischiato di rovinare tutto. Anche contattare suo fratello era un grosso azzardo: lui avrebbe potuto passargli informazioni importanti, dirgli se qualcosa aveva iniziato a cambiare, ma se una lettera fosse stata intercettata avrebbe mandato tutto a monte. No, concluse, l’unica possibilità era attenersi al piano originale e non fare passi falsi. Aspettare e ancora aspettare, finché una qualsiasi novità non fosse giunta fino a lui.

Già, ma se non fosse arrivata affatto? Strinse con forza il bicchiere da cui aveva appena bevuto e lo lasciò solo quando minacciava di rompersi, per evitare che il dolore fisico si aggiungesse a quello mentale. Per la prima volta da quando era iniziata quella storia, considerò l’eventualità che davvero non accadesse nulla. Immaginò se stesso vittima di quell’attesa infinita, mentre le stagioni si susseguivano e Cathy terminava il suo primo anno di scuola, magari trascorrendo le vacanze con lui. Avrebbe finito per farle da tutore a tempo indeterminato, dimenticando che il suo obiettivo iniziale era lontanissimo da questo? No, sarebbe stato impossibile. Se anche avesse voluto adattarsi a quella vita – e non voleva, non voleva affatto – prima o poi qualcuno come Young o i membri del Ministero avrebbe bussato alla sua porta, e allora sarebbe stato spacciato. Doveva darsi un limite, pensò, oltre il quale avrebbe preso in mano la situazione; trovare un piano di riserva, un nuovo modo per uscire dal labirinto nel quale si era infilato da solo. Ma ogni suo dubbio, di lì a poco, si sarebbe rivelato inutile.

I colpi alla porta lo colsero di sorpresa, destandolo come da un lungo sonno. Credette quasi di averli immaginati, prima che si ripetessero con più insistenza dopo qualche istante. Allora si alzò, recuperò la bacchetta e con essa la propria lucidità, preparandosi a un nuovo incontro imprevisto. Wolly, quella dannata elfa, non era nemmeno nei paraggi, ma decise rapidamente di non chiamarla: l’ultima volta che avevano ricevuto visite di trattava di persone che cercavano Cathy, ma adesso che lei era a scuola quest’eventualità era da escludersi. Chiunque fosse al di là della porta era venuto per Rodolphus, sapeva di trovarlo lì. Fingere di non esserci non sarebbe servito.

“Chi è?” domandò, cercando di mantenere un tono neutro.

“Se non mi apri, non lo saprai mai”.

Dopo aver sentito quella voce, non c’era più motivo di aspettare: aprì la porta con slancio e guardò negli occhi il suo ospite, accogliendolo con un sorriso.

“Accidenti, fratello! Dovresti riguardarti, sai? Tra di noi, sembri tu quello appena uscito di prigione!”

“Rabastan…” Scosse la testa per quel commento così sciocco, così da lui, poi si lasciò andare a un abbraccio fraterno fatto di pacche sulle spalle e lunghe distanze annullate. Gli sembrò incredibile che quella manciata di secondi avesse cancellato di colpo una sofferenza di mesi; rivedere suo fratello lì, vivo e finalmente libero, lo ripagava di ogni singolo giorno d’attesa.

“Come stai?” gli chiese, sciogliendo l’abbraccio ma tenendo ferme le mani ad afferrargli le spalle.

“Sono stato meglio”. Rabastan rispose con un sorriso amaro, nel quale Rodolphus rivisse in un attimo tutte le sofferenze che Azkaban sapeva infliggere. “Ma, sai, da quando i Dissennatori sono stati allontanati è diventato quasi sopportabile, quel posto. A distruggerti è solo l’idea che non potrai più uscirne”.

“Il che non è il tuo caso, per fortuna”. Si scambiarono uno sguardo d’intesa, che da solo conteneva una moltitudine di grazie e prego. Non servivano tante parole tra loro, non dopo tutto ciò che avevano passato insieme.

“Puoi entrare o dobbiamo muoverci subito?”

“No, credo che possiamo aspettare qualche minuto. Ho messo KO le guardie e ho preso le loro bacchette, ci vorrà tempo prima che si accorgano della mia fuga”.

Rabastan entrò nella casa con passo spedito, mentre Rodolphus gli chiudeva la porta alle spalle, e raggiunse il divano impaziente di stendersi. Senza tante cerimonie, allungò le gambe sul tavolino di fronte e il capo sullo schienale, come se fosse di ritorno da una stressante giornata di lavoro.

“A proposito, come sei riuscito a scappare? Weasley ha fatto il suo dovere?”

“Ah, quel pel di carota si è proprio sprecato! Tutto ciò che mi ha fatto ottenere è stato un permesso speciale di un paio d’ore e due accompagnatori non proprio svegli. Il resto è toccato a me, come al solito”.

Rodolphus annuì, costretto suo malgrado a complimentarsi per l’acume di Percy. In quel modo, era riuscito a liberare Rabastan con un’azione del tutto legale e che non infangava la sua posizione. Anche quando la fuga fosse stata scoperta, nessuno avrebbe potuto accusarlo di nulla all’infuori della negligenza, che sarebbe stata comunque dimenticata dopo pochi mesi e avrebbe consentito a Weasley di uscirne pulito. Era davvero furbo, come tutti i politici.

“Mi dispiace che sia stato così difficile” disse poi a Rabastan, tornando a rivolgergli la sua attenzione. “Ma l’importante è che tu ora sia qui. È passato così tanto tempo che avevo quasi perso le speranze”.

“Ti arrendi troppo presto, fratello, l’ho sempre detto! Hai architettato un piano magistrale, dovresti andarne fiero”.

“Sì, forse dovrei”. Non sapeva dire perché, ma la realtà era che non ci riusciva: era felice di aver liberato Rabastan, eppure, ora che la vittoria era davanti ai suoi occhi, il modo in cui l’aveva ottenuta gli appariva incredibilmente meschino. Forse perché aveva coinvolto una minorenne, forse perché lei era la figlia di Bellatrix; in ogni caso, aver fatto leva sulle sue debolezze gli sembrava un’azione degna del Signore Oscuro, non certo di un Lestrange. I tanti anni trascorsi al suo servizio gravavano ancora sulla sua coscienza e sui suoi comportamenti, in un modo che Rabastan non avrebbe mai compreso.

“A proposito” continuò suo fratello, interrompendo quel flusso di pensieri, “dov’è la ragazzina? Pensavo che avrebbe festeggiato con noi…”

Quella frase, forse per il tono mellifluo in cui era stata pronunciata, non gli piacque affatto. Diede le spalle a Rabastan perché non lo notasse, poi tentò di mostrarsi indifferente: “È a scuola. Non credo che la vedrai mai”.

“Peccato. In fondo è merito suo se siamo di nuovo insieme. Com’è che si chiama, Catherine? Un ridicolo nome da Babbani. Se non sapessi di chi è figlia non ci crederei”. Terminò le sue considerazioni con una risatina, il che innervosì Rodolphus ancora di più. Erano le stesse opinioni che aveva avuto lui, ma sentire suo fratello parlare di Cathy gli dava un indescrivibile senso di fastidio.

“Tu non la conosci” disse soltanto, sperando di porre fine al più presto a quella conversazione. “Non sarebbe stata contenta di accogliere un evaso”.

“Immagino di no”. Ora Rabastan aveva smesso di ridere. Con la coda dell’occhio, Rodolphus vide che lo guardava accigliato e sospettoso, proprio nel modo che lui avrebbe voluto evitare. Prima che arrivassero domande indesiderate, si affrettò a cambiare argomento.

“Allora, hai pensato a dove andare? Io credo che la Germania sarebbe un buon inizio, ho ancora conoscenze da quelle parti. E poi avevamo sempre sognato di visitarla”.

“Sì, sono d’accordo” rispose Rabastan velocemente. “Anzi, ti converrebbe iniziare a fare i bagagli. Se aspettiamo troppo potrebbero venire a cercarci”.

“Certo”.

Si avviò meccanicamente verso le scale, ben sapendo che il suo baule era pronto da mesi. La sensazione di disagio non accennava ad abbandonarlo e questo lo rendeva furioso, poiché gli impediva di godersi un momento che aveva aspettato per anni. Cosa diavolo c’era che non andava? La libertà era a un passo e l’avrebbe condivisa con Rabastan, non sarebbe stato più solo come la prima volta in cui era partito. Era ancora Bellatrix il problema, qualcosa di irrisolto che aleggiava in quella casa tentando di trattenerlo? Sua moglie era parte di lui, non aveva dubbi su questo, e lo sarebbe stata per sempre; non c’era angolo, suppellettile o macchia d’umidità che non gli ricordasse di lei, di un particolare momento che avevano vissuto insieme. Ma lei era morta da più di un decennio, e restare ancorato ai ricordi non era che un modo malsano di morire a sua volta. Non c’era altra scelta: doveva lasciarla andare. Fu con questo pensiero che si convinse a salire quelle scale e recuperare finalmente il proprio bagaglio, senza usare la magia, così che ogni suo movimento fosse ben consapevole e gli restasse impresso nella mente.

Nei pochi minuti che gli occorsero per raggiungere la stanza e scendere nuovamente, con la testa sgombra dal pensiero opprimente di Bellatrix, riuscì infine a mettere a fuoco le vere ragioni che lo stavano trattenendo lì. Ebbe l’effetto di un’illuminazione, della verità che gli giungeva chiara e lampante dopo mesi di elucubrazioni inutili; perché adesso che decideva di lasciar andare il passato, adesso che la smetteva di raccontarsi scuse su ciò che davvero sentiva e desiderava, capiva esattamente come avrebbe voluto ricominciare. O meglio, non era del tutto certo di cosa voleva dalla sua vita, ma sapeva senz’altro quello che non voleva e per il momento era abbastanza. Non restava che parlarne con Rabastan, nella flebile speranza che lui si sforzasse di capirlo.

“Mi serve altro tempo” gli disse, poggiando a terra il baule con un tonfo secco e posando gli occhi sulla figura allungata di suo fratello. Questi rialzò il capo dal divano e lo fissò incuriosito, come se avesse appena ascoltato una barzelletta che non faceva ridere. Un attimo dopo, le sue labbra si piegarono in un sorriso e Rabastan sghignazzò, prendendolo in giro: “Andiamo, principessa, non vorrai portarti dietro tutto il corredo reale! Ho sentito dire che anche in Germania si vendono vestiti”.

Rodolphus fu tentato di ridere con lui, ma la voglia passò non appena si rese conto che doveva ripetersi, e che suo fratello non ne sarebbe stato felice. “Non hai capito” rispose, “voglio dire che non posso partire con te. Non adesso”.

Rabastan tornò serio di colpo, il suo volto passò dall’allegria all’incredulità e infine alla rabbia. L’indole feroce del Mangiamorte che era stato si ripresentò come se non fosse mai andata via, come se gli anni e la prigione non l’avessero minimamente intaccata. Suo malgrado, Rodolphus ne fu quasi intimorito.

“E questo che diavolo significa, a che gioco stai giocando? Organizzi questa fuga per tre anni e quando finalmente sono libero ti tiri indietro? Spero tu stia scherzando, Rod, altrimenti devo credere che sei completamente pazzo”.

Rodolphus scosse la testa e l’abbassò verso terra, incapace di continuare a guardarlo negli occhi. “Non ho detto che non verrò, solo non adesso. Ho delle cose in sospeso qui e devo prima occuparmene”.

“Delle cose in sospeso, certo!” Suo fratello rise di nuovo, mentre abbandonava il suo comodo posto per venirgli incontro, ma questa volta con amarezza. “E quali sarebbero, di grazia? Forse passare a salutare i Malfoy, che immagino saranno stati felicissimi di avere di nuovo un latitante tra i piedi, vero? Oppure la tua ragazzina, che sei diventato troppo sentimentale per abbandonare? Ti dico io cosa dovrai aspettarti, se continui a fare l’idiota e a perdere tempo qui: una bella visita di cortesia da Albert Young, un pentimento dell’ultimo minuto di Percy Weasley o magari entrambe le cose! Ma non aspettarti che venga a fondo con te, no, non questa volta… Forse tu non impari dai tuoi errori, ma io so bene cosa succede a stare dietro alle tue paturnie fuori luogo. Sono finito quattordici anni ad Azkaban per questo, adesso che ne sono finalmente uscito non ci entrerò di nuovo per colpa della tua idiozia!”

Aveva gridato e gesticolato per tutto il tempo, finché la mancanza di fiato non lo costrinse a prendersi una pausa. Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi e lui apparve come svuotato, mentre Rodolphus approfittò di quel momentaneo silenzio per dargli una spiegazione.

“Non te lo sto chiedendo, Rab, non potrei mai. Ho lottato per tirarti fuori di lì e voglio solo che, ora, ti goda la tua libertà. Ma è proprio perché ho commesso tanti errori che adesso voglio rimediare. Non ho fatto altro che scappare per tutta la mia vita, e questo cosa mi ha portato? Solo solitudine e sensi di colpa. Avrei dovuto restare a combattere con te e gli altri, anche morire se necessario, invece mi sono comportato da egoista e codardo. È per questo che non voglio ricominciare con un’altra fuga”.

Quel discorso ebbe l’effetto sperato su Rabastan, che si calmò quanto bastava per smettere di urlare e dialogare civilmente. Si strofinò la fronte con le dita, come per aiutarsi a riflettere, e infine si rivolse ancora a suo fratello: “Rod, ne abbiamo già parlato, non ce l’ho con te per essere scappato. Anzi, probabilmente avrei fatto la stessa cosa se fossi stato abbastanza furbo da capire che la battaglia era persa. Ma ce l’avrò davvero con te se adesso non lasciamo insieme questa fottutissima città! Stavolta non si tratta di abbandonare qualcuno, ma di costruirci un futuro altrove… Sono tutto quello che ti resta, cos’hai da perdere venendo via?”

“Il mio onore, Rab. Quel poco che ne è rimasto”.

Suo fratello scosse la testa, come se le parole di Rodolphus non avessero alcun senso per lui. Nonostante il legame di sangue erano sempre stati molto diversi l’uno dall’altro, in più di un’occasione avevano fatto fatica a comprendersi. E adesso che Rodolphus riusciva a malapena a capirsi da solo, convincere lui delle sue motivazioni era ancora più difficile.

“La verità è che ti stai inventando un sacco di scuse, per non ammettere che a trattenerti è sempre lo stesso motivo. Tua moglie! Colei che ti ha rovinato la vita e sta continuando a farlo anche da morta! Perché è nei suoi confronti che ti senti in colpa, non certo nei miei… Non ti dai pace per averla lasciata al suo destino, quando è esattamente ciò che avresti dovuto fare fin dal principio! Possibile che il passato non ti abbia insegnato niente? Sei ancora convinto che finire tutti ad Azkaban per lei sia stata la scelta giusta?”

Sapeva che, prima o poi, Rabastan sarebbe tornato su quell’argomento. Era la seconda volta in pochi minuti che gli rinfacciava di averli trascinati in prigione, ma non aveva tutti i torti: quando, dopo la prima scomparsa del Signore Oscuro e la missione fallimentare dei Paciock, Bellatrix era rimasta come in trance in quella stessa stanza, Rodolphus aveva insistito per restarle accanto invece di organizzare la fuga. I pochi minuti in cui era rimasto ad abbracciarla e a stringerle le mani erano stati fatali: gli uomini di Crouch, da tempo sulle loro tracce, li avevano trovati e condotti all’istante al Wizengamot, dove la loro sorte era praticamente già segnata. Rabastan, che aveva atteso fino all’ultimo che suo fratello lo seguisse, si era allontanato troppo tardi ed era stato preso a sua volta, maledicendo quel giorno per tutti gli anni a venire. Non poteva biasimarlo se, ora, temeva di finire allo stesso modo.

“D’accordo” gli disse, “è anche per lei. Non lo negherò. Chiamami pazzo, irragionevole o come vuoi, ma non ho mai perdonato a me stesso di averla lasciata morire. So che se fossi rimasto non sarebbe cambiato niente, ma dopo esserle stato accanto tutta la vita dovevo restarci anche negli ultimi momenti. È anche per questo che sono tornato, sì, per cercare una redenzione… Pensavo che liberando te avrei finalmente trovato pace, e in parte l’ho fatto. Ma non si tratta più di Bellatrix, se adesso non posso partire… Si tratta di me”.

“Oh, io invece penso proprio che c’entri. Se c’è una cosa che ho imparato da quando l’hai conosciuta, è che lei c’entra sempre nelle tue azioni sconclusionate! Anche se indirettamente, magari…”

Quella frase lasciata in sospeso dava adito a significati nascosti, e quando Rabastan si morse il labbro inferiore gliene diede la prova. “Che vuoi dire?” chiese Rodolphus, temendo per la prima volta per ciò che lui avrebbe risposto.

“Voglio dire quello che tu non hai il coraggio di ammettere, e cioè che se non è la madre il problema, allora è la figlia. Tu ti sei affezionato a quella piccola bastarda!”

“Che diavolo dici?” Quella volta la reazione di Rodolphus non si fece attendere e fu, forse, anche troppo repentina perché le sue parole avessero una qualche valenza. “Non m’importa nulla di lei, e comunque non c’è alcun motivo di chiamarla in quel modo”.

“Ah, certo, non t’importa… È per questo che reagisci così ogni volta che la nomino, giusto? L’avevo già intuito dalle tue ultime lettere e ne ho avuto la conferma quando sono venuto qui, ma non pensavo che lei ti condizionasse a tal punto. Non posso credere a quanto tu sia arrivato in basso… Fosse almeno tua figlia!”

Rodolphus avvertì quel tipico formicolio nelle mani che gli giungeva quando aveva voglia di prendere a pugni qualcuno, molto spesso suo fratello. Per evitare di passare al pensiero all’azione, strinse il primo oggetto che gli capitò sottomano – una boccetta, quel che rimaneva di una pozione, qualcosa che non veniva toccata da anni – e concentrò lì la sua furia, come aveva fatto poco tempo prima con un bicchiere. Non seppe dire, però, se fosse davvero Rabastan a dargli sui nervi o piuttosto il fatto che avesse detto la verità.

“Non accetto paternali da te, non su questo. Sono io che ho dovuto occuparmi di lei tutto questo tempo, io che ho dovuto sopportare di tenerla davanti agli occhi sapendo ciò che la sua esistenza rappresentava! E, credimi, né tu né nessun altro potreste capire che cosa si prova! Ma ho accettato tutto questo e l’ho fatto ancora per te, per darti un’altra occasione! Invece di accusarmi in questo modo, dovresti limitarti a ringraziare…”

“Eh no, fratello, ora non rigiriamo i fatti” replicò subito Rabastan, per nulla intenzionato a cedere. “Sai bene quanto ti sono grato per quello che hai fatto, lo sto dimostrando mentre sto qui a preoccuparmi per te invece di infilare la porta! Ma non dirmi che ogni tua azione è dipesa da me, non ci credi nemmeno tu… Altrimenti saremmo già in viaggio verso la Germania, perché non ci sarebbe proprio niente di irrisolto a trattenerti. La tua redenzione nei confronti di Bellatrix implicava anche crescere sua figlia? E fino a quanti anni, tredici, sedici, diciassette? Dimmelo, Rod, una buona volta… Quando sarai finalmente libero da lei?”

C’era un misto di dolore, astio e incomprensione nella sua voce, qualcosa che toccò profondamente il lato più sensibile di Rodolphus. Non si era mai reso conto di quanto i suoi comportamenti avessero influito sul fratello, non solo nel maledetto giorno in cui erano stati arrestati, ma ogni singolo momento in cui aveva scelto Bellatrix al suo posto. Sapeva di sembrare un folle ad amare una donna così immeritevole di affetto, sapeva che Rabastan aveva dato fondo a ogni grammo della sua pazienza per non mandarlo al diavolo e sapeva anche che, per riscattarlo di tutto questo, avrebbe dovuto fuggire con lui; ma queste motivazioni, per quanto forti, non lo erano abbastanza da debellare quelle che invece lo spingevano a rimanere. Se Cathy aveva davvero un merito in tutto questo, era di aver portato alla luce una tempra e un senso morale a lungo dimenticati. Adesso che erano di nuovo presenti, a Rodolphus non era più permesso ignorarli.

“Vedi” iniziò, senza sapere esattamente dove le parole l’avrebbero condotto, “c’è stato un tempo in cui non ricorrevo a minacce e allo sfruttamento di bambini per ottenere quello che volevo. Un tempo in cui tutto quello che ho fatto fino a oggi mi sarebbe sembrato immorale, lontanissimo da quell’ideale di libertà che sognavo per noi Purosangue. Unirmi al Signore Oscuro non ha pesato solo sulle mie azioni, ma anche e soprattutto su ciò che ho iniziato a considerare normale. E dopo essere rimasto da solo per così tanti anni ho capito che è stato tutto un enorme, tremendo errore. Non vale mai la pena di cambiare se stessi, qualsiasi sia lo scopo. Tu non puoi capirmi, perché diventare Mangiamorte non ti ha toccato allo stesso modo, anzi ti ha concesso di esprimere al meglio la tua natura”.

“D’accordo, Rod, siamo diversi, questo è appurato” tagliò corto Rabastan. “Ma che motivo c’è di rivangare il passato? Potremo parlarne ogni volta che vorrai, quando saremo lontani e al sicuro! Non sarai più costretto a uccidere e minacciare, se è questo che ti preoccupa!”

“Il motivo è quello che ho già fatto per salvarti. Non c’era alcun padrone a obbligarmi, eppure ho agito esattamente come avrebbe fatto lui! E se adesso vengo via con te, lascerò che il Ministero distrugga una bambina innocente credendola il nuovo Signore Oscuro, abbandonandola e fuggendo dalle mie responsabilità come ho sempre fatto! Sono stanco, Rabastan, di lasciarmi guidare dalla parte più egoista e cinica di me stesso… Prima di andarmene, devo rimediare almeno in parte a quello che ho commesso. Cathy merita di sapere che cosa l’aspetta”.

Alla fine l’aveva fatto, aveva pronunciato il suo nome. I tentativi di tenerla fuori dalla conversazione erano miseramente falliti, perché per quanto lo negasse a se stesso, Rodolphus sapeva che quella ragazzina aveva avuto un ruolo decisivo nella sua trasformazione. Lei gli aveva permesso di salvare la pelle a Rabastan e lei gli aveva instillato i primi dubbi e il pentimento, seppure inconsapevolmente. Metterla in guardia era il minimo che potesse fare.

Dopo le ultime parole pronunciate, si aspettava che Rabastan desse di matto ancora una volta o che gli voltasse le spalle per sempre, ma nessuno dei due pronostici si avverò. Suo fratello si mostrò più calmo di quanto fosse stato fino ad allora, gli afferrò le braccia come per infondergli coraggio e infine gli disse: “Ok, Rod. Non ho mai capito per quale motivo tenessi tanto a Bellatrix e non capisco perché ora tieni a questa ragazzina, ma me ne farò una ragione. Se davvero parlare con lei è così importante per te, troveremo un modo, anche a rischio di attirare l’attenzione del Ministero e farci prendere. Adesso, però, è il momento che tu decida se vuoi affrontare o meno questo viaggio con me, non te lo chiederò un’altra volta. Se vuoi partire, avrai piena voce in capitolo sui nostri spostamenti e deciderai come e quando contattare la bambina; se vuoi restare, non ti giudicherò, ma voglio che tu sappia qual è il prezzo da pagare. Perché se continuerai a nasconderti qui, Rodolphus, morirai. Sappiamo entrambi che prima o poi succederà, è una situazione instabile che non potrà durare per sempre. Se decidi di restare, devi considerare questo come un addio”.

Rodolphus annuì, grato al fratello per la sua chiarezza e inaspettata comprensione. Era d’accordo su ogni parola da lui pronunciata, ma questo non rendeva più facile la sua decisione. Lo consolava soltanto sapere che, a prescindere da lui, quella volta Rabastan sarebbe stato in salvo.

“Allora”, riprese suo fratello, fissandolo negli occhi così simili ai propri, “che cosa scegli?”

*

Quella mattina, Cathy fu svegliata dai raggi del sole che filtravano tra le persiane e da un vociare indistinto proveniente dall’esterno. Sbatté le palpebre confusa, abituata al silenzio che regnava nella torre di Grifondoro, prima di ricordare che non si trovava a Hogwarts ma era ospite a casa dei Paciock. Si accorse di aver dormito sonni tranquilli, nonostante il nuovo posto in cui si trovava e tutti gli avvenimenti della sera prima; la stanza era calda e accogliente, il letto comodo e le voci che sentiva tutt’altro che fastidiose, anzi le apparivano come una discreta compagnia. Sgusciando fuori dalle coperte, si sollevò sulle ginocchia per aprire la finestra e scoprì finalmente la fonte di quel chiacchiericcio: sotto di lei, Diagon Alley era gremita di passanti che approfittavano del sabato per fare i loro acquisti, portando con sé i bambini in età pre-Hogwarts e tutti i parenti o amici che erano riusciti a coinvolgere. Restò ad osservarli per un po’, pensando che era bello poter assistere a quella scena senza necessariamente farne parte; le ultime volte che si era aggirata per quella strada l’aveva fatto per fuggire da se stessa, dai suoi dubbi e dalla paura di affrontare la realtà, mentre adesso avrebbe potuto percorrerla con la mente sgombra e rilassata. Beh, se il buon giorno si vedeva dal mattino, quello era decisamente un ottimo inizio. Fu con questo pensiero che lasciò la stanza, mentre il suo stomaco già brontolava in attesa della colazione.

I coniugi Paciock l’accolsero con un allegro saluto, chiedendole se avesse dormito bene e se le andasse di mangiare qualcosa. Cathy rispose sì a entrambe le domande, poi sedette accanto al professore che sfogliava pigramente la Gazzetta del Profeta. Hannah, intenta a preparare del pane tostato, mostrava un aspetto molto più rilassato della sera precedente; nonostante questo, Cathy si sentì invadere dalla vergogna al pensiero di ciò che aveva ascoltato tra lei e suo marito, un momento di intimità familiare che avrebbe dovuto restare privato. Sperando con tutta se stessa di non essere arrossita, distolse lo sguardo dalla donna e lo lasciò vagare lungo le pareti, come se trovasse l’arredamento della cucina straordinariamente interessante.

Quando Hannah lasciò la colazione sul tavolo e scappò via, sostenendo che il Paiolo Magico non andava avanti senza di lei, Cathy si sentì decisamente più a suo agio e riuscì anche ad apprezzare il cibo. Mentre mangiava, Neville la intrattenne con qualche commento sugli articoli che stava leggendo.

“Uhm, capisci che non è successo nulla di interessante nel mondo magico quando la copertina è ancora dedicata a quel Babbano pazzo che ha assistito a un nostro fenomeno… Come se non bastasse un Oblivion per fargliene dimenticare! Ma forse non dovrei lamentarmi, significa che non c’è proprio niente di cui preoccuparsi. Non credi anche tu?”

Le fece un occhiolino, al quale Cathy rispose con un sorriso e un cenno della testa. Non aveva molto da commentare a riguardo, ma in compenso l’accenno al giornale le accese una piccola lampadina: sperò che quell’uomo tanto gentile potesse soddisfare anche un’ultima richiesta.

“Professore, volevo chiederle… Potrei usare il vostro gufo per mandare una lettera?”

L’assenso di Neville non si fece attendere: “Certo, cara! Il vecchio Dodo non vede l’ora di sgranchirsi un po’ le ali. Vuoi contattare qualcuno della scuola?”

“Sì, vorrei spiegare a Ted perché me ne sono andata. Non voglio che si preoccupi di nuovo, visto come sono andate le cose l’ultima volta”.

“Mi sembra un’ottima idea”. Era contenta che Paciock approvasse: in fondo, era stato il primo testimone delle ansie di Ted quando lei era sparita per giorni, e sapeva bene quanto fosse difficile sottostare alle richieste del ragazzo quando egli s’impuntava. Un secondo dopo, aggiunse: “Lupin si è particolarmente legato a te, questo è evidente. Tutti sono stati in apprensione quando sei scappata, ma lui lo era in modo speciale… Quasi come se ne dipendesse la sua esistenza!”

Cathy avvampò una seconda volta per quella considerazione, desiderando che le mattonelle avorio della cucina potessero inghiottirla e trascinarla in un altro universo. Non trovando parole di senso compiuto per rispondere a Paciock e minimizzare quanto aveva detto, scelse di darsi alla fuga: lo ringraziò per il gufo e annunciò che sarebbe andata a scrivere subito, lasciando un sottile strato di latte ancora sul fondo della tazza.

Più tardi, mentre legava la pergamena alla zampa di Dodo, le venne in mente qualcun altro a cui non mandava una lettera da tempo: il suo tutore. Da quando era tornata a scuola si erano scritti sì e no un paio di volte, solo per chiedersi a vicenda se andasse tutto bene. Non aveva dato troppo peso alla cosa, finché era occupata a guadagnarsi il perdono dei compagni e la stima dei professori, ma ora che la situazione si era stabilizzata le sembrava tutto molto strano; prima che Cathy corresse da lui e lo spingesse a dirle la verità, Rodolphus si era sempre mostrato interessato a ogni minimo dettaglio della sua vita, mentre adesso sembrava quasi indifferente. Eppure, era convinta che quel soggiorno insieme fosse andato piuttosto bene, che li avesse avvicinati… Magari erano solo paranoie, pensò, e si erano scritti poco soltanto perché non c’era molto da dirsi. In verità, proprio in quel momento avrebbe voluto parlare con lui, ma non si trattava di argomenti che potevano essere affrontati per lettera. Se avesse potuto andare a trovarlo, allora sì che sarebbe stato diverso…

Due colpi alla porta e una richiesta di permesso la riportarono alla realtà, quando capì che Paciock le stava chiedendo di entrare. Gli disse che poteva – ci mancherebbe, in fondo era la sua stanza per gli ospiti – e lo guardò avvicinarsi, prendendo posto sulla sedia di fronte al letto.

“Allora, Cathy” l’interrogò con un sorriso, “che cosa vuoi fare oggi?”

Lei balbettò, colta di sorpresa: “Ehm, io… Non pensavo di fare qualcosa, veramente…”

“Cosa? Mi prendi in giro? Una bella giornata come questa non si può sprecare tra quattro mura! Vediamo…” Iniziò a contare sulle dita le varie possibilità, come se la sola idea di non sfruttarne nessuna lo offendesse. “Una passeggiata per Diagon Alley? Scommetto che non sei mai stata ai Tiri Vispi Weasley! Anche se, in effetti, non dovresti portare a scuola niente che provenga da quel negozio… Una visita al Serraglio Stregato? So che ti piacciono gli animali. Oppure, ancora meglio… Un giro nella Londra Babbana, per cambiare un po’ aria! Che ne dici?”

Cathy sorrise spontaneamente per l’entusiasmo di Paciock, ma in realtà avrebbe voluto dirgli che ormai conosceva a memoria sia il lato Babbano che quello magico di Londra. Non le andava molto di uscire, non dopo aver saputo che effetto aveva la sua presenza sulla padrona di casa.

“Professore, lei è molto gentile, ma non deve farlo per forza” affermò, incontrando in risposta la sua espressione perplessa.

“Che cosa, accompagnarti? Lo faccio volentieri, non ho altri impegni…”

“Intendo tenermi qui. Ormai i ricordi li abbiamo visitati, può riportarmi a Hogwarts se vuole”.

Paciock apparve sinceramente colpito, forse anche un po’ dispiaciuto per quella proposta. Per un attimo, Cathy rimpianse di avergliela presentata.

“Pensavo fossimo d’accordo che saresti rimasta per il weekend. Che succede, hai cambiato idea?”

“No” negò subito lei, istintivamente, “ma non voglio creare problemi a sua moglie”.

Sapeva che Paciock a quel punto avrebbe preteso una spiegazione, ma inventare scuse all’ultimo momento non era mai stata la sua dote migliore. Si preparò quindi ad ammettere la verità, mentre lui le domandava: “E questo cosa te lo fa pensare? Hannah non ha alcun problema ad ospitarti qui…”

“Vi ho sentiti parlare, ieri sera. Non volevo origliare, ero uscita per prendere un bicchiere d’acqua e sono passata fuori dal salotto, è successo per caso. Mi dispiace”.

“Oh, Cathy…” Neville si passò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi, incassando l’ennesimo affronto che quella ragazzina gli aveva rifilato. Lei non aveva fatto che procurargli guai da quando si erano conosciuti, ne era consapevole, e proprio per questo era il caso che se ne andasse. La sua presenza era una seccatura non solo per Hannah, ma anche per lui, che continuava a difenderla in ogni occasione in un modo che Cathy non credeva di meritarsi.

“Qualunque cosa tu abbia sentito, credimi, hai frainteso” riprese Paciock, tendendosi verso di lei e strofinando le mani l’una con l’altra. “Hannah sta passando un momento difficile, ma questo non ha nulla a che vedere con te. Ieri era un po’ scossa per via di tutto quello che le ho raccontato e per averti incontrata subito dopo, le serviva tempo per abituarsi… Stamattina però era già tornata di buonumore, non l’hai notato? Era felice di occuparsi della sua piccola ospite”.

Quelle parole rassicuranti riuscirono a strapparle un sorriso, impresa in cui Paciock difficilmente falliva. In effetti, doveva ammettere di essersi accorta che Hannah appariva più tranquilla e che non aveva fatto assolutamente niente per farla sentire a disagio. Ancora una volta, le maggiori complicazioni stavano probabilmente nella sua testa.

“Tu non la conosci ancora abbastanza, ma io le sono accanto da anni e so dire quando è turbata. Mia moglie è una donna fantastica che non incolperebbe mai una ragazza innocente dei propri problemi, lo so, altrimenti non l’avrei sposata. Dalle solo un po’ di tempo, d’accordo?”

“Ma certo!” L’esclamazione venne fuori più acuta di quanto volesse, dato che Cathy era piuttosto disorientata dalla piega che stava prendendo la situazione. Incredibilmente, adesso era lei che doveva aver pazienza con Hannah e non il contrario, come se quella proposta di andare via fosse in realtà un modo per lamentarsi… E non era certo quello che voleva far intendere! Dato che sembrava non riuscire a spiegarsi, ci rinunciò del tutto e lasciò cadere l’argomento, cosa di cui Paciock non tardò ad approfittare.

“Bene, adesso che abbiamo chiarito questo punto possiamo tornare a questioni più interessanti. Che cosa ti va di fare?”

Proprio non voleva abbandonare l’idea che Cathy dovesse fare qualcosa e, adesso che il problema ‘Hannah’ era stato superato, lei non aveva più ragione di evitarlo. Senza dubbio sarebbe stata una scelta saggia approfittare del sole e della giornata libera piuttosto che restare rintanata in casa, a scervellarsi su Bellatrix e su tutte le cose che ancora non sapeva di lei, eppure non le veniva in mente nulla che le andasse davvero di fare. Forse perché, come al solito, i suoi desideri non comprendevano niente di lecito e normale come una passeggiata.

“Professore, in realtà c’è un unico posto dove vorrei andare, ma non posso farlo” confessò, sentendosi addosso il suo sguardo confuso. “L’ultima volta sono dovuta scappare per raggiungerlo e da allora ho promesso di comportarmi bene”.

“Per carità, Cathy, abbiamo detto basta con le fughe!” ribatté subito Paciock, spaventato alla sola idea. “Ma, giusto per capire, stiamo parlando di quella villa?”

“Sì. Il mio tutore ha sempre avuto tutte le risposte, è l’unico che potrebbe sapere perché mia madre si è dimenticata di me. Mi dispiace, ma da quando ho visto quei ricordi non riesco a smettere di pensarci”.

Il professore annuì, rassegnato al fatto che da quella ragazzina non poteva aspettarsi mai niente di ordinario. “Lo capisco, certo. Se lui conosceva Bellatrix potrebbe averne un’idea, anche se nessuno oltre me e Harry Potter ha mai saputo di quei ricordi. Comunque, perché dovresti scappare? Posso accompagnarti lì, se vuoi”.

Per un fugace momento, Cathy fu tentata di accettare con entusiasmo, salvo poi ricordarsi che non era un’opzione contemplata. Rodolphus l’avrebbe di certo uccisa se avesse osato portare lì un insegnante, senza contare che non era certa di quale rapporto ci fosse stato tra i due e se Paciock avrebbe potuto riconoscerlo. L’identità dell’uomo buono andava sempre protetta, anche in presenza di un mago così generoso e apparentemente innocuo.

“Mi piacerebbe, ma non è possibile. Devo andarci da sola”.

La risposta di Paciock fu secca e immediata: “Questo non posso lasciartelo fare”.

“Lo so. Immagino che dovrò aspettare la fine della scuola”.

Quella discussione sterile non aveva portato a nulla, se non ad aumentare il malumore di Cathy. Sapeva che il professore non l’avrebbe mai lasciata andare via da sola e non poteva dargli torto, ma ciò non le impediva di sentirsi frustrata. Erano ancora troppi i segreti che doveva custodire, troppi i dubbi che restavano nel suo passato e che rendevano la sua vita maledettamente difficile. Rodolphus l’aveva caricata di responsabilità eccessive e, per quanto si sforzasse, non era sicura che sarebbe riuscita a proteggerlo per sempre; se Ted era arrivato a capire chi si nascondesse in quella villa, anche Paciock o un qualsiasi altro adulto avrebbe potuto farlo. Iniziava a comprendere perché il suo tutore avesse preso così tante precauzioni e, contemporaneamente, a temere che non fossero abbastanza.

“Sai, mi sono chiesto molte volte chi fosse veramente quell’uomo”. La voce di Neville la riscosse, catalizzando immediatamente tutta la sua attenzione. “Soprattutto dopo aver saputo chi è tua madre, per ovvie ragioni. Se ha avuto rapporti con lei e si rifiuta di dire il proprio nome, deve avere qualche problema con la giustizia. Ma ho capito da tempo che tu non mi diresti mai chi è, e forse non voglio nemmeno saperlo. Il passato l’ho lasciato alle spalle molti anni fa, non sono io a dovermi occupare di eventuali questioni irrisolte”.

Cathy tacque, parzialmente sollevata da quella dichiarazione. Poteva almeno cancellare Paciock dalla lista di chi voleva Rodolphus morto o in galera.

“Quindi” continuò lui, che non era ancora arrivato al punto, “non è necessario che io lo incontri. Posso accompagnarti nei dintorni della villa e aspettare pazientemente che tu esca. Sai, due mesi sono abbastanza lunghi da lasciar passare”.

Dopo quelle parole, non ci fu più dubbio che impedisse a Cathy di alzarsi dal letto e accettare con entusiasmo l’offerta: in meno di un minuto, era già alla porta.

*

Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il suo professore per quell’ennesimo atto di bontà, accompagnarla a casa di un uomo misterioso senza neppure la pretesa di incontrarlo. Non sapeva cosa rendesse Paciock così bendisposto nei suoi confronti, se fosse per quel passato che aveva segnato la vita di entrambi o perché lei gli faceva tenerezza, ma uomini di quel calibro avrebbero dovuto clonarli. Quando la grande casa apparve all’orizzonte, Cathy si bloccò sul posto, atterrita dall’idea irragionevole che Rodolphus potesse trovarsi lì e vederli insieme; notando che si era fermata, Paciock fece lo stesso dopo qualche passo, osservandola con attenzione.

“Non posso neppure arrivare al cancello?” le chiese, incuriosito e forse un po’ deluso dal suo atteggiamento.

“Sarebbe meglio di no. È un problema se continuo da sola?”

L’incertezza durò un attimo, quanto bastò perché Neville ritrovasse il suo sorriso affabile e le rispondesse: “No. Mi fido di te”.

“Grazie!” Cathy non avrebbe potuto essere più raggiante.

“Bene, tornerò a prenderti tra due ore. Non farmi scherzi, chiaro? E fa’ attenzione”.

“Certo, può stare tranquillo”.

Non appena il professore l’ebbe salutata e si fu voltato, Cathy si liberò da quella sensazione di paura e iniziò a correre, improvvisamente impaziente di tornare alla villa. Si rese conto, mentre percorreva la strada fino e oltre il cancello, che non era soltanto per la speranza di ottenere risposte, ma anche per un motivo ben più insolito: lui le era mancato. Stentava a credere che fosse vero, eppure quella lunga assenza di corrispondenze con Rodolphus aveva lasciato come un vuoto nelle sue giornate, qualcosa che non vedeva l’ora di colmare. Chissà se anche lui sarebbe stato felice di vederla? Sicuramente non l’avrebbe dimostrato, ma Cathy era sicura che nessuno preferisse la solitudine ad una qualsiasi compagnia, tantomeno un uomo scontroso come il suo tutore. O, forse, era quello che sperava.

Ma ogni suo pensiero o desiderio fu interrotto, di colpo, da qualcosa che la stupì e la spaventò allo stesso modo, quando si trovò sull’uscio ed era in procinto di usare il noto batacchio: la porta era socchiusa. Rodolphus si assicurava sempre che fosse ben serrata, spaventato com’era dalla possibilità di un assalto, e una tale disattenzione non era assolutamente da lui. Cathy esitò per un attimo davanti a quella scena, con il cuore che le batteva furiosamente e non certo per la corsa, finché non trovò il coraggio di spingere il battente ed entrare. La sua mente aveva già costruito immagini orribili di ciò che avrebbe potuto trovare, ma nell’ingresso sembrava tutto in ordine, c’era silenzio e luce come se il padrone di casa fosse semplicemente in un’altra stanza. Così, timidamente, iniziò a chiamarlo.

“Signore?” Non ci fu risposta, ma era possibile che avesse parlato troppo piano. Facendo qualche altro passo e schiarendosi la voce, ripeté: “Signore?”

Né lui, né Wolly le vennero incontro come aveva immaginato. La paura prese di nuovo possesso di lei, appoggiò un piede sul primo gradino della scalinata e il suo ultimo tentativo fu quasi un sussurro, indirizzato verso il piano superiore: “Rodolphus…?”

Nessuno rispose.


Note

Pensavate che fosse sparita, vero? Ammettetelo, avete pensato che potessi lasciare questa storia incompiuta a pochi capitoli dalla fine, ma no, non l'avrei mai fatto! Ho avuto vari impegni che mi hanno tenuta lontana dalla scrittura per un po', ma per niente al mondo l'avrei abbandonata del tutto! Beh, ormai siamo agli sgoccioli, non so ancora se mancano uno o due capitoli (più l'epilogo) perché dipenderà molto da quanto verrà lungo il prossimo, anche se spero più nella seconda soluzione. Cercherò di non prendermi pause lunghe, in modo da non lasciar passare troppo tempo fino all'inevitabile epilogo.

Dunque, secondo voi cos'è successo a Rodolphus? Se n'è andato davvero oppure no, o magari i terribili pronostici di Rabastan si sono avverati? Lo scoprirete, intanto spero che anche questo capitolo sia stato all'altezza delle aspettative :) Ah, a proposito del dialogo tra i due, chi ha letto "Storia di una Mangiamorte" potrà anche qui trovare un riferimento a quella storia, riguardo al fatto che Bella fosse come in trance dopo la tortura dei Paciock e abbia praticamente condannato tutti alla prigione. Grazie di aver letto, per ogni commento/critica/domanda sono sempre a disposizione! Un bacio a tutti.

   
 
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