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Autore: Halley Silver Comet    25/11/2014    10 recensioni
Sullo sfondo degli eclettici Anni ’80 si intrecciano fiaba e realtà, traffici illeciti e misteri, pregiudizi e desideri di libertà, mettendo alla prova i quattro protagonisti.
Ci sarà ancora tempo per il tanto sospirato lieto fine?
Il ragazzo buttò fuori l’aria tutta insieme, mandando al diavolo i suoi buoni propositi di seguire i consigli della meditazione orientale o qualsiasi cosa fosse.
«Buongiorno a te, Vittoria».
Stropicciandosi gli occhi, la nuova arrivata si avvicinò al tavolo e si sedette di fronte a lui.
«Ti ho disturbato?» domandò, reprimendo faticosamente uno sbadiglio.
«No, figurati. Dubito che possa sentirmi più infastidito di così» sbottò il giovane, sarcastico: non ce l’aveva con l’amica, ma davvero cominciava a trovare insopportabile tutta quella scabrosa situazione.
A tale risposta, la sua interlocutrice lo fissò sorpresa, ma non aggiunse nulla, probabilmente intuendo l’inquietudine che lo logorava da dentro; ciononostante, Marcello un secondo più tardi si pentì di essersi rivolto a lei in quel modo poco gentile. In fondo, non era certo colpa di Vittoria se quello schifoso di Navarra aveva deciso di sequestrare Beatrice
.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Vento dell'Ovest - Capitolo 6



- Capitolo Sesto -
Vento di Rivelazioni




Immerso nei propri pensieri, Marcello era appoggiato con noncuranza al parapetto che dava sul laghetto dell’EUR, impegnato ad osservare le nuvole che si riflettevano sull’acqua, increspata dal vento. Se ciò che aveva dedotto era corretto, Beatrice era sorvegliata a vista e, di conseguenza, ogni tentativo di avvicinarla si sarebbe rivelato inutile.
Chiedere consiglio a Vittoria sarebbe stata una buona mossa, se la ragazza avesse avuto la serenità mentale adatta: ciò che gli aveva confidato il pomeriggio precedente, però, gli aveva fatto capire che l’amica era la prima ad avere bisogno di sostegno psicologico.
D’altra parte, era sempre stata così, abile a nascondere i suoi problemi dietro ad un bel sorriso e a un eloquio vivace.
Il giovane sospirò: doveva trovare un modo per convincere Vittoria, prima di tutto, a lasciare quello zotico violento del suo fidanzato e poi a rivelare ogni cosa anche a Gerardo; tra loro tre non c’erano mai stati segreti, ed iniziare dopo vent’anni di solida amicizia era insensato e stupido.
Improvvisamente, però, qualcuno gli scosse il braccio per richiamare la sua attenzione.
«Buongiorno, disturbo le tue meditazioni filosofiche?» chiese l’amico, appena arrivato. Per essere giunto tanto presto, doveva aver preso, necessariamente, la Linea B della metropolitana ed esser sceso alla fermata EUR Marconi1.
«Buongiorno a te. No, stavo riflettendo su alcune cose» rispose il biondo, distaccandosi dalla ringhiera.
«
Non devono essere piacevoli, hai una faccia...» considerò Gerardo, accigliandosi. «Qualcosa, a casa, non va bene?»
«
Mia madre ha fatto del rendermi la vita impossibile il suo passatempo e si è risentita che non abbiamo concluso l’affare con Carter».
«
Scommetto che avrà pensato che la colpa è mia» commentò l’altro, amaramente. Purtroppo, conosceva molto bene la scarsa stima che nutriva Madama Claudia nei suoi confronti, dato che la donna non si era mai privata di denigrarlo, anche in sua presenza.
«Lascia stare quello che dice mia madre, avrebbe stretto un patto pure con la Banda della Magliana2, se le fosse servito ad arrivare dove voleva
!» commentò duramente Marcello, deplorando la morale della genitrice. «Comunque, non è per quello che sono preoccupato. Ieri pomeriggio, infatti, sono andato a trovare Beatrice e mi sono reso conto che controllano i suoi spostamenti».
«La sua famiglia la tiene rinchiusa?»
«Più o meno. Stava uscendo con il fratello e mi ha fatto segno di non avvicinarmi».
L’altro assunse un’espressione sconcertata: «Da quel che mi avevi detto, avevo capito che quella povera ragazza non viveva una bella situazione, ma arrivare a questo... È crudeltà bella e buona!»
Marcello chiuse gli occhi e, sbuffando, si arruffò i capelli: «Già. Vorrei fare qualcosa per lei, ma ancora non so cosa
».
Gerardo
sorrise e scosse la testa.
«È bello vederti così coinvolto da Beatrice: finalmente anche tu hai dimostrato di non essere immune al fascino delle ragazze».
«Non ho mai sostenuto il contrario» affermò il biondo, aggrottando la fronte. «Semplicemente, le altre non mi interessavano, lei, invece, è diversa e perciò mi piacerebbe conoscerla meglio».
«Comunque, se vuoi, possiamo pensare insieme ad un modo per parlarle. Credo che anche Vittoria sarebbe contenta di dire la sua».
«In questo momento, è la nostra amica comune ad avere bisogno del nostro sostegno e non il contrario» fece il ragazzo, deciso, cominciando a muoversi in direzione della casa della ragazza.
«Perché, il carciofone non l’aiuta?» chiese Gerardo, con un tono dall’eco falsamente casuale.
«Vittoria ha espresso varie volte il desiderio che anche tu l’aiutassi; parlava di te, il carciofone non c’entra. Sei o non sei suo amico?
»
«Sì, che lo sono, ma...» provò a controbattere, prima che la sua obiezione venisse troncata sul nascere.
Infatti, Marcello si bloccò senza preavviso e, voltandosi verso il suo amico, lo freddò con un’intensa occhiata:
«Niente ma, Gerardo. Lei ha bisogno anche di te, ti garantisco che si vedeva quanto le mancavi».
«Anch’io ho sentito la sua mancanza» ammise l’altro, con voce quasi impercettibile, ma non per il biondo, il quale replicò immediatamente: «E meno male, altrimenti quando avresti deciso di tornare a vederla? Tra due secoli?»
L’amico apparve vagamente imbarazzato da quel più che giustificato rimprovero. Avevano appena ripreso a camminare quando chiese:
«Lei lo sa che, stamattina, verrò anch’io?»
«No, le ho detto solo che sarei passato a trovarla, per sapere come stava, dato che ieri aveva mal di testa» spiegò il ragazzo, non accennando a rallentare.
Gerardo, invece, sembrava procedere più piano ad ogni passo: «Spero che prenda bene il mio... ehm... ritorno, sai, Vittoria è un po’ vendicativa. Pensi sia il caso di rimandare la visita?»
«Zitto e cammina!»

La madre di Vittoria, una donna dai capelli scuri e l’espressione gioviale, indirizzò immediatamente Marcello e Gerardo al piano di sopra, sicura che la figlia non fosse scesa nemmeno per fare colazione.
E aveva visto giusto: i due giovani trovarono, infatti, la loro amica accoccolata sul divano della sala lettura, arrotolata intorno ad un caldo pile, mentre sorseggiava un tè dal profumo fruttato.
Un imponente ficus benjamina la nascondeva parzialmente alla vista, ciononostante si capiva benissimo che era intenta a guardare fuori dalla finestra, in silenziosa contemplazione del cielo grigio carico di pioggia.
Si avvicinarono entrambi, ma fu solo il biondo ad avanzare fino a pararsi davanti a lei. Gerardo, probabilmente, stava ancora rimuginando su una probabile vendetta.
«Buongiorno, Vittoria».
«Buongiorno» rispose lei, nient’affatto sorpresa dalla comparsa dell’amico. «Mi stavo proprio chiedendo dove fossi finito».
Si raggomitolò su se stessa, facendogli spazio e consentendogli di sedersi accanto a lei.
«
Come ti senti oggi?»
«Un po’ meglio di ieri, ma questo tempo uggioso non mi piace, mi toglie tutte le energie» sospirò la ragazza, spostandosi i riccioli castani dal viso. «Immaginavo che lui non si sarebbe fatto vedere nemmeno stavolta... Deve essere impegnato a fare la corte a quell’oca giuliva di Maria Luisa».
Con una smorfia di disprezzo, Vittoria appoggiò la tazza sul pavimento; proprio in quell’istante, però, Gerardo decise di farsi avanti.
«
Guarda che sono venuto anch’io!» esclamò, facendo capolino da dietro il ficus.
Immediatamente, la giovane spalancò le iridi nocciola, girandosi di scatto: lì per lì, rimase a fissare l’amico, interdetta, ma poi si riprese subito. Spostò la coperta con gesto brusco e si alzò in piedi, mettendo su un cipiglio severo ed incrociando le braccia contro al petto.
«Oh, ma guarda chi si vede! Hai trovato un po’ di tempo da dedicarmi, nonostante i tuoi numerosi ed improcrastinabili impegni?» chiese, sarcastica, gli occhi che lampeggiavano pericolosamente.
«Non prenderla così, in fondo, eccomi qua, no?» rispose il ragazzo, facendo spallucce.
«Non credere che
ti perdonerò tanto facilmente. Hai disertato per parecchio tempo, come se non ti importasse nulla di me!»
Nel vedere la giovane tanto risentita, Marcello temette il peggio per il suo amico, tuttavia decise di non intervenire, ben sapendo che era una faccenda tra loro due. Anzi, se avesse potuto avrebbe volentieri tolto il disturbo, poiché non amava assistere a discussioni private, anche se si trattava di diatribe tra due persone a lui molto vicine.
«Ho avuto i miei motivi. Credi che, se davvero non m’importasse di te, oggi sarei venuto?» si difese Gerardo, avvicinandosi ancor di più a lei.
«Una telefonata non ti costa un braccio, avresti anche potuto chiamarmi, sai?» continuò la ragazza, inviperita. «Oppure la linea è sempre occupata perché devi tubare con quella gatta morta?»
«Ti pare che io mi metta a chiamare Maria Luisa? A dire il vero, pensavo ti avrebbe dato fastidio una misera telefonata di circostanza...» avanzò lui, tentennando appena.
«Be’, sempre meglio quella che il silenzio più totale!»
«Silenzio? Anche tu sei rimasta in silenzio! Mi avevi chiesto di accompagnarti a vedere il calendario del Teatro dell’Opera e poi... più nulla! Ci sei andata col carc... con Bartolomeo!
»
«Ovvio! Ho aspettato che mi dicessi quando avresti potuto prenderti un giorno libero... ma non ti sei mai deciso a farlo!» replicò Vittoria, stizzita.
Nell’osservare i suoi amici, impegnati a rimproverarsi e a punzecchiarsi, Marcello finalmente capì. Per un instante, fu come se si trovasse di fronte ad una complicatissima equazione, una di quelle piene di parentesi, di elevazioni a potenza, di radici quadrate ed incognite al denominatore che, però, avevano come risultato un semplicissimo uno: Gerardo e Vittoria erano innamorati l’uno dell’altra.
Si domandò come avesse fatto a non arrivarci prima, avendo avuto, proprio sotto il naso, numerosi indizi a sostegno del fatto che i suoi due amici fossero vicendevolmente cotti a puntino, senza saperlo.
«Che ne dite di smetterla?» si intromise lui, improvvisamente, trattenendosi dallo svelare la conclusione alla quale era arrivato. «Adesso siamo tutti qui. Basta discutere e passiamo ai fatti. Vittoria, possiamo fare qualcosa per te?»
In risposta, la ragazza si lisciò nervosamente la gonna e disse:
«Lo sai, ci sono gli inviti da finire di imbustare».
«Perché, allora, non li vai a prendere? Noi ti aspettiamo qui, in tre faremo prima» le consigliò, pacatamente.
Annunedo, lei si diresse verso la tazza per raccoglierla, mentre annunciava con tono sostenuto e senza guardare Gerardo:
«Torno subito, voi accomodatevi pure dove volete».
Non appena fu uscita dalla stanza, Marcello si rivolse al suo amico: «Se avessi aspettato qualche giorno di più, ti sarebbe andata molto peggio».
«Lo so» ammise quello, accomodandosi su una delle sedie imbottite. «Qualche giorno in più sarebbe stato troppo anche per me».
Ci fu qualche istante di silenzio assoluto, poi aggiunse: «Non trovi che, oggi, Vittoria sia più bella del solito?»
«Sinceramente, non noto nulla di diverso in lei» rispose l’altro, scrutandolo di sottecchi. «Ma, forse, dipende dal fatto che io non la sto guardando con l’aria da pesce lesso come te».
Gerardo
arrossì vistosamente: «Che cosa vorresti dire?»
«Che finalmente ho capito: sei innamorato di Vittoria! E non solo, stando a come segui tutti i suoi movimenti, direi che sei in fase di cottura avanzata!»
Il giovane non rispose, ma il colorito vermiglio che aveva assunto parlava per lui.
«Adesso capisco perché non ti facevi vedere... Non volevi incontrare il carciofone perché sei geloso!» continuò Marcello, che aveva tacitamente adottato il soprannome coniato per Bartolomeo.
L’amico, che ora sembrava un pomodoro maturo, gracchiò:
«Sì, è così... ma non glielo dire!»
«
Ovvio che no, dovresti farlo tu».
«Non posso, lo sai che è impegnata».
«
Se fossi in te, me ne sbatterei altamente e glielo direi lo stesso» fu la secca replica di Marcello.
Vittoria rientrò in quel mentre, portando con entrambe le braccia una scatola di cartone piuttosto grande, e Gerardo, muovendosi con una celerità cavalleresca, le andò subito incontro per toglierle delicatamente il pacco dalle mani. Nonostante avesse tradito una certa sorpresa, la ragazza inarcò un sopracciglio e rimase in silenzio, prendendo posto al tavolo con fare sostenuto: ancora non era decisa a dimostrarsi pronta a perdonarlo, anche se si capiva benissimo che l’aveva già fatto da un pezzo.
Quando si furono sistemati tutti e tre, ognuno prese alcuni inviti con le relative buste ed incominciarono a prepararli per spedirli. Nel silenzio del lavoro, il biondo osservò attentamente i suoi due amici, notando - e qui si chiese, ancora una volta, come aveva potuto non farci caso prima - che si scambiavano reciproche occhiate, distogliendo lo sguardo quando erano sul punto di cogliersi sul fatto.
Purtroppo, aveva promesso a Vittoria che non avrebbe detto nulla a Gerardo, riguardo quel troglodita psicotico di Davoli. Ma, se le cose fossero precipitate, avrebbe dovuto ignorare la promessa ed intervenire: non poteva permettere che i suoi due migliori amici si rovinassero la vita con le loro stesse mani, soprattutto perché il ragazzo aveva già espresso la folle intenzione di voler sposare Maria Luisa. E tutto perché pensava che Bartolomeo fosse l’uomo giusto per la donna che amava!
Quanto erano idioti a non parlarsi... Marcello era convinto che non avrebbe trovato altri due così imbranati, nemmeno a mettere un annuncio specifico sui giornali. C’era davvero da uscire fuori di testa, per quanto si stavano complicando la vita, per giunta senza motivo.
«Restate qui, per pranzo?» domandò la giovane, volendo sembrare casuale. «Non credo finiremo prima dell’una».
«Ehm... che cosa ne dici, Marcello?» domandò Gerardo, guardandolo supplice.
Il biondo sospirò, perché conosceva bene il suo amico: se avesse rifiutato, se ne sarebbe andato anche lui, giacché, dopo la lite che aveva avuto con la ragazza, sarebbe stato molto imbarazzante rimanere solo con lei.
«Va bene, ma io non posso trattenermi a lungo, nel pomeriggio devo fare alcune importanti chiamate» rispose, neutro. In realtà, non aveva niente di urgente da fare, ma solo voglia di concedersi una delle sue lunghe passeggiate distensive. «Sentivate la mancanza dei nostri pranzi di gruppo?» 
In risposta, sia Gerardo che Vittoria sorrisero compiaciuti.
***

Mentre lucidava la vetrina del negozio, Beatrice pensò che quel lavoro era almeno mille volte preferibile ai lavori forzati che eseguiva in casa, non solo perché ora era retribuita, ma anche perché non aveva Assunta e Anna Laura che la comandavano a bacchetta. 
Facendo leva sull’avarizia della parente, la ragazza era riuscita a convincere la zia a riassumere Bettina e poco le importava che dovesse rinunciare a quasi tutto il suo stipendio, perché, come un saggio detto suggeriva, la libertà non aveva prezzo.
«
Sta venendo proprio pulita bene» approvò la signora Sofia, avvicinandosi e ammirando il lavoro della ragazza.
«
La ringrazio» rispose lei, mettendo via gli stracci ed il detergente apposito.
«
Se sei così precisa anche nel cucito, il Teatro Argentina non avrà di che lamentarsi».
La fanciulla sorrise: se, da una parte, il nuovo lavoro le consentiva di sbizzarrirsi nella sua creatività, consigliando le clienti sull’acquisto di questa o quella stoffa, dall’altra, le dava l’occasione di cimentarsi anche in piccoli lavori di sartoria, dandole l’occasione di imparare cose nuove.
«Sì, mi aveva già detto che collabora con quel teatro».
«Sono già diverse stagioni che mi chiedono aiuto e ho già lavorato con i sarti di diverse compagnie teatrali. Prossimamente dovrebbero chiamarci, perché stanno cominciando ad allestire il prossimo spettacolo e servono alcune modifiche ai costumi» spiegò la sarta, aggiustando un abito rosso, esposto su un manichino.
«Quando l’andrà in scena questo spettacolo?» domandò la giovane, con sincera curiosità. Il mondo teatrale sapeva essere molto affascinante: curare la messa a punto dei vestiti di scena, per lei, sarebbe stata un’esperienza alquanto entusiasmante.
«Mi hanno detto a metà circa del prossimo febbraio3» disse la donna, tornando dietro il bancone della merceria.
«Non c’è moltissimo tempo, allora
» osservò la fanciulla, seguendola.
«Considerando che gli attori investono molto tempo per provare la parte e poco per provare i costumi... non escludo che dovremmo lavorare di notte, cara. E mi stavo chiedendo se per te non fosse troppo e come farai con la scuola».
«Per superare l’esame di Stato, mi sto preparando da privatista, signora» le spiegò Beatrice. «Devo solo avvisare il mi’ insegnante ed organizzarmi, non ci sono problemi».
«A casa non ti faranno storie?» si informò la sarta, manifestando una certa apprensione.
«Oh, no. Loro sanno quanto l’è importante per me questo lavoro» mentì la ragazza, preferendo tacere che l’unica cosa che importava davvero alle sue parenti era che riportasse uno stipendio e si togliesse dai piedi per buona parte della giornata. Se non altro, alla giovane faceva piacere star fuori casa, lontano dalle loro occhiate maligne.
Il tintinnio del campanello annunciò che Valentina e Alessio erano arrivati: ogni giorno, infatti, il padre li andava a prendere a scuola, li faceva pranzare e li portava al negozio, prima che iniziasse il suo turno di lavoro in fabbrica.
«
Ecco i miei angioletti!» trillò la signora Sofia, alla vista dei figli. «Come è andata oggi a scuola?»
«Io ho preso otto in aritmetica!» esclamò la bambina, contenta.
«Io, invece, cinque in italiano» mugugnò Alessio, cupo. «La maestra dice che i miei temi sono troppo brevi».
La madre sospirò, senza tuttavia essere arrabbiata, e, guardando il bambino, disse: «Sei frettoloso. Quando scrivi devi concentrarti di più».
«Non mi piace scrivere!» protestò lui, imbronciandosi.
«Invece dovresti impegnarti. Hai sentito che ha detto papà? Vuoi che Babbo Natale ti porti i regali, sì o no?» intervenne la sorella, incrociando le braccia e provocandosi un’occhiata indispettita dal fratello.
Per fortuna, prima che i due si mettessero a litigare, la signora Sofia cambiò argomento.

«
Ora basta, va bene così. Su, ora andate a giocare».
Dopo aver sentito questo, i bambini, contenti, si rimisero i cappellini in testa e Alessio corse ad aprire la porta.

«Ricordatevi di non allontanarvi troppo e di rimanete a giocare nei dintorni. E poi voglio che torniate presto, dovete fare i compiti!» li ammonì la madre.
«
Sì, mamma, non ti preoccupare. Andiamo a giocare all’oratorio di San Lorenzo4» rispose Valentina, chiudendosi il cappottino.
«
Prima, però, chiamiamo anche Margherita e Filippo» aggiunse il fratello, correndo già in strada.
«Si fida a mandare i piccini da ssoli?
» si azzardò a domandare Beatrice, che finora non si era intromessa per non sembrare invadente.
«La chiesa non è lontana. E i loro amichetti abitano vicino a Via del Gambero, che è sempre nei paraggi» la rassicurò la sarta.
«
Via del Gambero? Che nome buffo».
«Qui intorno, molte vie prendono nomi da animali. Sai che lì c’è l’ufficio di Marini e Tornatore? Sono due giovani imprenditori, al momento famosissimi. Roma non fa che parlare di loro... Li hai mai sentiti nominare?»
Il cuore di Beatrice perse un paio di battiti: se avesse mai sentito parlare di Marcello Tornatore?
La prima volta che laveva incontrato gli era caduta addosso, finendogli in braccio!
«Mmm, sì. Diciamo di sì
» borbottò, intristita. Se solo la signora Sofia avesse saputo la sofferenza che provava, nel non poter più vedere quel ragazzo, forse avrebbe avuto il buon senso di non nominarlo.
La ragazza aveva già ripreso a svolgere le proprie mansioni, con la testa ormai impegnata a rimuginare sull’orrenda condanna che le avevano inflitto i suoi parenti, quando realizzò una cosa importante: finché avrebbe lavorato nella merceria, non sarebbe più stata sorvegliata a vista, almeno durante l’orario di lavoro.
Perciò, pian piano un’idea, dapprima informe, poi sempre più concreta, prese forma nella sua mente. Si voltò verso la sarta e le chiese: «Posso uscire per un minuto?
»
«
Hai ragione, cara, in questo retrobottega non passa un filo d’aria, con tutte queste stoffe. Vai pure» le accordò la donna.
«Grazie, tornerò tra pochissimo» rispose la fanciulla, grata.
Senza nemmeno indossare la mantella, uscì di corsa in strada, vedendo in lontananza i bambini. Per fortuna, riuscì a raggiungerli in un battibaleno.
«Cosa c’è, Beatrice? La mamma ha bisogno di qualcosa?» chiese Valentina, incuriosita.
«Oh, no, la mamma non c’entra... Son io che devo chiedervi una cosa: me lo fareste un favore, piccini? È molto importante».
I due si guardarono per un secondo, sorrisero e annuirono.
«Conta pure su di noi!» rispose per entrambi Alessio, battendosi un pugno sul petto.
***

Uno spiffero freddo lo costrinse ad alzare il bavero del cappotto di panno nero. Il sole era ormai solo un lontano ricordo quel pomeriggio di inizio dicembre e l’umidità della sera aveva cominciato a strisciare addosso ai passanti, insinuandosi dove riusciva. A Marcello, l’inverno non era mai piaciuto: preferiva di gran lunga l’autunno, a parer suo la migliore stagione per chi amava, come lui, le lunghe passeggiate.
Infatti, di solito, quando voleva riflettere, andava in lungo ed in largo, immergendosi nel via vai di gente che caratterizzava la maggior parte dei rioni romani. Turisti, cittadini, abitanti dei paesi limitrofi erano una grande, unica fiumana di gente che affollava le strade e che lo invitava a cercare di capire da dove venissero quelle persone: per lui era una specie di passatempo, in verità molto curioso, ma che gli ricordava quanto Roma fosse, dopo quasi duemila anni, ancora un importante crocevia di culture.
Tuttavia, quel pomeriggio, non aveva la tranquillità d’animo predisponente a tutto questo: la sua mente, infatti, era affastellata da brutti presagi e perfino la vicenda di Carter, che gli aveva fatto arrovellare parecchio il cervello, gli sembrava lontana anni luce, adesso che era preoccupato per Beatrice.
Senza dimenticare che era in pensiero anche per i suoi due amici, dato che, per colpa delle loro schermaglie amorose, si stavano ingarbugliando l’esistenza.
A Vittoria, infatti, aveva promesso che non avrebbe detto nulla a Gerardo riguardo il suo manesco “fidanzato”; a Gerardo, invece, aveva promesso che non avrebbe detto nulla a Vittoria circa i sentimenti che lui provava per lei.
In quel momento, pensò che era infinitamente più semplice concludere un affare economico, piuttosto che cercare di sistemare gli affari di cuore di quei due citrulli.
Mentre ragionava in questi termini, però, si rese conto di essere finito nei pressi del suo ufficio. Ormai compiva quella strada in maniera talmente automatica, che doveva averla imboccata senza pensarci.
Poco male, avrebbe avuto l’occasione di salire un attimo e prendere dei documenti che aveva lasciato sulla scrivania, così da evitare di recarvisi il giorno dopo: non avendo nulla d’urgente da sbrigare e avendo lavorato anche durante i pomeriggi delle recenti domeniche, si sarebbe concesso un giorno libero. E male non gli avrebbe fatto, considerando il punto di saturazione al quale era arrivato.
Svoltò a sinistra, già con le chiavi in mano, quasi pronto per aprire il portone, quando si trovò davanti due bambini che confabulavano. Parlottavano tra di loro, stazionando proprio davanti allo stabile che ospitava il suo ufficio.
Gettando loro un’occhiata incuriosita, Marcello aprì il portone ed entrò; quando fu sul punto di richiudere il battente, però, il maschietto lo fermò: «No!
»
Sorpreso, il biondo si riaffacciò: «
Ce l’avete con me?»
«Sì!» esclamò la bambina. «Per favore, prima che chiudi la porta, possiamo mettere questo nella cassetta della posta?»
«Questo cosa?»
«Questo biglietto!» fece, agitando il foglietto di carta ripiegata che aveva in mano.
«Per chi sarebbe?» domandò il giovane. Poi rifletté meglio ed aggiunse: «Aspettate un momento, voi non dovreste dare tanta confidenza agli sconosciuti!»
«Ma dobbiamo fare un favore ad una nostra amica! Ci ha chiesto di consegnare questo biglietto a Marcello» spiegò il bambino, dandosi importanza, come se gli avessero affidato una missione per salvare il pianeta.
«A Marcello?» chiese il ragazzo, adesso decisamente colpito. Possibile che cercassero lui?
«Marcello Tornatore» scandì la ragazzina, con tono saccente. «Tu lo conosci?»
Il biondo aggrottò la fronte: be’, ora non c’erano più dubbi che fosse lui il destinatario di quel biglietto.
«
Sì, lo conosco molto bene» rispose, meditabondo. «Voglio dire, sì, sono io».
«Davvero? Oh, che bello, Beatrice sarà contenta!» esclamò la bambina, battendo le mani.
Nell’udire quel nome, Marcello parve destarsi completamente: «
Beatrice? Conoscete Beatrice? Ma... si può sapere chi siete?»
«Come facciamo a dirtelo, se prima ci hai detto di non dare confidenza agli sconosciuti?» notò il maschietto, inarcando le sopracciglia ed assumendo una buffa espressione indagatrice.
«Alessio, dai, sono sicura che è lui» cercò di convincerlo la sorella.
«Saputella, potrebbe anche essere un imbroglione, uno degli uomini in nero che rapiscono i bambini. Dobbiamo essere sicuri» fece, con aria di superiorità. Quindi si rivolse a Marcello, con fare inquisitorio: «Com’è Beatrice?»
«Com’è Beatrice?» ripeté il biondo, incredulo. Di tutte le cose stravaganti che aveva vissuto nella sua vita, quell’interrogatorio, fatto da un bambino sospettoso, era di sicuro la più bizzarra.
«
Se è la stessa che conosco io, è una ragazza giovane, dai capelli rossi e...»
«E molto bella?» suggerì Valentina, romanticamente ispirata.
«Be’, sì...» confermò lui, in palese difficoltà per la domanda inaspettata.
I due ragazzini si guardarono e parlottarono di nuovo tra di loro, senza farsi sentire da Marcello. Quando arrivarono ad una conclusione si girarono di nuovo verso di lui.

«Adesso sappiamo che conosci veramente Beatrice. E ti possiamo rispondere: io sono Alessio e lei è Valentina, mia sorella
».
«Piacere» disse il ragazzo, ancora incapace di capire come fosse finito in una tale situazione.
«Ecco il biglietto!» annunciò la bambina, mettendogli in mano il pezzo di carta.
A quel punto, guardò prima quel foglio, tutto spiegazzato, poi loro. Erano stati carini a voler fare da postini e avevano portato a termine il loro compito, pertanto gli sembrò opportuno ricompensarli: «
Vorrei ringraziarvi per il vostro aiuto. Conoscete la pasticceria giù all’angolo?»
«Eccome, è la mia preferita!» esclamò Alessio, con gli occhi che gli brillavano.
«Allora, domani, andate da Marilena e ordinate quello che volete... a patto che non vi facciate venire mal di pancia, per la troppa crema e cioccolata, daccordo?» precisò il giovane. «Dite che vi mando io».
«Possiamo dire che siamo tuoi amici?
» domandò timidamente Valentina.
«Ovviamente».
«Che bello, grazie!» intonarono all’unisono, sprizzando entusiasmo da tutti i pori.
Dopo averlo salutato con un cenno della manina, i due bambini si avviarono per la loro strada, a tratti correndo, a tratti saltellando. Marcello rimase a guardarli finché non scomparvero alla sua vista, sospirando.
Non era una persona che credeva all’oroscopo, ma sarebbe stato curioso di verificare se, per il Capricorno, in quel mese erano previste situazioni che rasentassero la follia. Perché, decisamente, ne stava vedendo troppe.
Finalmente, scrollando la testa, si decise ad aprire il biglietto che gli aveva mandato Beatrice. Si appoggiò contro il muro del palazzo ed iniziò a leggere:
Caro Marcello,
scusami se l’altro giorno non ti ho potuto dire nulla, ma, come hai visto, la mia famiglia mi tiene sotto stretto controllo. Ho trovato un lavoro come commessa, al numero 38 di Via della Mercede. Sono lì tutti i giorni dalle sedici alle venti, le uniche ore della giornata in cui riesco a respirare.
Se ti va di passare, mi trovi lì. 
Beatrice
Il giovane rilesse quelle poche righe almeno tre volte: i suoi sospetti erano stati confermati, quella povera ragazza non stava realmente passando un bel momento. Avvicinò il biglietto al viso, accorgendosi che la carta era rimasta impregnata del profumo di lei, una sinfonia di mughetto e lavanda. Sorrise impercettibilmente, ripiegando con cura il foglietto e mettendoselo nella tasca interna della giacca: adesso sapeva dove andare.
***

«Beatrice, per favore, puoi andare tu di là? Mi è sembrato di sentire la porta» chiese gentilmente la sarta, mentre finiva l’orlo di alcuni tovaglioli.
«Sì, signora, vado subito» rispose la fanciulla, lasciando da parte la tovaglia che stava imbastendo. Superò agevolmente la montagna di asciugamani, che attendevano di essere ricamati, ed uscì dal retrobottega.
In effetti, qualcuno era entrato nel negozio ma, poiché le dava le spalle, non poté vederlo in viso. Sembrava un ragazzo e stava osservando incuriosito tutta la merce esposta.
«
Buonasera, posso fare qualcosa per lei?» avanzò, cercando di essere cordiale, così da fare una buona impressione: era ancora in prova e aveva tutte le intenzioni di tenersi stretto quel lavoro, dato che ne valeva la sua stessa sopravvivenza.
Nello stesso momento in cui il nuovo arrivato si voltò, Beatrice smise per un istante di respirare.
«Marcello!» esclamò, sorpresa. «Ma come...»
«Buonasera, Beatrice» la salutò il giovane, allapparenza sembrava contento di rivederla. «Ho appena ricevuto il tuo biglietto».
«Di già?» si meravigliò la ragazza, non aspettandosi di incontrarlo tanto presto. Aveva creduto che il biondo avrebbe letto quel foglio solo il mattino successivo, quando si sarebbe recato al lavoro ma, evidentemente, le cose non erano andate così.
«
Sono tornato per caso in ufficio, oggi pomeriggio, ed ho trovato Alessio e Valentina sotto al portone, che si chiedevano come fare a recapitarmi il messaggio» cominciò a raccontare Marcello, il quale sembrava leggermente scioccato al ricordo. Si fermò un attimo e parve riflettere: «Si chiamano Alessio e Valentina, vero?»
La fanciulla annuì, incapace di articolare una frase di senso compiuto: la sorpresa era stata talmente grande che sentì chiaramente il proprio cuore battere velocemente.
«
Tutto bene, Beatrice?» domandò la signora Sofia, sbucando da dietro il paravento che divideva l’area di vendita del negozio dal retro. Poi, notando il giovane, aggiunse: «Buonasera».
«Buonasera a lei» rispose lui.
Per qualche attimo, ci fu completo silenzio, bruscamente interrotto dall’esclamazione della sarta: «
Ma tu sei Marcello! Sei come, anzi, meglio delle fotografie sui giornali!»
«Pensavo che andassero di moda le riviste che parlano di gruppi pop stranieri» notò il biondo, vagamente accigliato.
«Sui giornali locali stanno seguendo tutti la tua impresa...» disse la donna, come se lo conoscesse da una vita. Improvvisamente si bloccò, come se si fosse resa conto di aver commesso un errore: «Oh, mi scusi, volevo dire, la sua impresa. Sa, è così giovane che non viene spontaneo...»
«
Non si preoccupi, mi dia pure del tu» la interruppe garbatamente Marcello, guadagnandosi un sorriso da parte della signora. «E non è solo la mia impresa, siamo in due ad aver iniziato questa scommessa».
«Certamente, si parla molto anche del tuo socio. Possiamo fare qualcosa per te?»
«In realtà, stavo cercando Beatrice» avanzò il giovane, guardando nella direzione di lei. «Avrei bisogno di parlarle qualche minuto».
«Non so se...» esitò la fanciulla, cercando con lo sguardo l’approvazione della sua datrice di lavoro.
Lei le sorrise, materna, e fece, in tono incoraggiante: «
Be’, vai no?»
«E lei come farà da ssola?»
«Come ho sempre fatto, cara. Un’oretta di pausa puoi prenderla, oggi sei venuta ad aiutarmi anche di mattina. Sarebbe un peccato rifiutare un invito di un ragazzo così gentile, per di più veramente bello, non credi?»
A quel commento, Beatrice distolse immediatamente lo sguardo da Marcello, ma la signora Sofia continuò a ciarlare, allegra:
«Devo proprio dirtelo: molte malelingue ti dipingono come un arrogante presuntuoso. Invece sei un ragazzo davvero educato. Certa gente è davvero pettegola: tutta invidia».
La risposta di Marcello fu, però, rapida e concisa: «Bisogna pur passare il tempo, non crede?
»

Una volta usciti dalla merceria, Beatrice cominciò a scusarsi per il disturbo che aveva creato al giovane: «Non volevo che ti precipitassi appena letto il biglietto... Insomma... pensavo che lo avresti letto domani e...»
Ma Marcello scosse la testa con convinzione, interrompendola.
«Non ti preoccupare, ero in pensiero per te e sono stato contento di ricevere tue notizie. Dopo aver visto come ti scortava tuo fratello, avevo capito che ti tenevano quasi prigioniera
».
La fanciulla, che si era imbambolata nell’udire quell’ero in pensiero per te, si riebbe maldestramente e balbettò un:
«Sì, a casa... Be’, non mi trattano benissimo...»
«Ho visto. Ma non capisco il perché di tanto accanimento» fece il giovane, guardandola perplesso. «Cosa mai puoi aver fatto?»
«Io non ho fatto niente! Son la mia zia e la mia cugina che mio odiano! L’Anna Laura è solo invidiosa di noi due e, se sapessi che mi ha combinato quell’idiota del mi fratello...» cominciò a raccontare, concitata, finché, tutto d’un tratto, si sentì molto debole e fu sul punto di svenire; per fortuna il ragazzo se ne accorse prima che cadesse, sostenendola.
«
Beatrice, cos’hai?» le domandò, preoccupato.
«Niente... lè solo un giramento di testa».
«
Sei molto pallida» disse, sfiorandole la fronte per accertarsi che non avesse la febbre.
«Sto già meglio» lo rassicurò lei, arrossendo: non gli era mai stata così vicina a lungo e a quella distanza, pressoché inesistente, la giovane avvertì il un buonissimo profumo che indossava Marcello, una calda fragranza dai sentori arborei, dove prevaleva l’aroma del patchouli; l’aveva riconosciuto con precisione perché adorava tutte le essenze naturali.
«Almeno ti fanno mangiare? Ti vedo molto sciupata dall’ultima volta che ci siamo visti» constatò il biondo, scrutandola con attenzione, mentre le accarezzava la guancia.
«Sì, il cibo non manca, non mi fanno morire di fame: son proprio io che non ho appetito» spiegò la ragazza, abbassando lo sguardo, piacevolmente imbarazzata da quel contatto. «Mi fanno mangiare in solitudine, in cucina. Sai, quando se’ solo e triste, ti si chiude lo stomaco».
Aveva aggiunto quest’ultima cosa con un certa reticenza, poiché temeva che ora sarebbe passata per una depressa in fase cronica. In sua difesa, c’era però da dire che la vita che conduceva era deprimente sul serio.
«Ma devi mangiare, non puoi perdere le forze così!» la riprese lui, severo.
«A volte non mi va proprio, ho quasi la nausea» si difese timidamente la fanciulla.
«Lo credo, quei bifolchi farebbero passare la voglia di vivere a chiunque!» commentò Marcello, ragionando ad alta voce, più rivolto a se stesso che a lei. Poi la guardò e le propose, con grande naturalezza: «Ci verresti a prendere qualcosa con me? Hai un po’ di tempo?»
La ragazza quasi non credette a ciò che le aveva appena detto: l’aveva appena invitata ad uscire con lui, ancora una volta. Allora, forse, non si era stancato di lei.
«Così, magari, mi racconti per bene tutto
» aggiunse il ragazzo, sospirando.
Beatrice strinse le spalle e sorrise.

Guardando meglio le vetrine del centro, la ragazza si ritrovò a pensare che le decorazioni natalizie, sparse qua e là, non erano poi così male. Il buio era sceso da poco, ma le luci colorate sfavillavano in lungo ed in largo, facendo intuire che le festività natalizie erano ormai dietro l’angolo.
Tanta era la contentezza, che avrebbe preso molto volentieri sottobraccio Marcello, ma si trattenne, non volendo passare per sfacciata: si era esposta già troppo e non voleva dargli l’impressione di essere una di quelle ragazze appiccicose ed esasperanti. Una alla Anna Laura, per esempio.
Il biondo la portò all’interno di un caffè molto elegante ma riservato, in Via di Propaganda, così da restare abbastanza vicini alla merceria.
Appena entrata nel locale, Beatrice fu investita da un caldo tepore che la rinfrancò notevolmente: a casa sua, i riscaldamenti venivano accesi di rado, al fine di risparmiare e, al negozio, essendoci via vai di persone, con annessa apertura-chiusura della porta, non si riusciva sempre a mantenere una temperatura ottimale.
Marcello si fece assegnare un tavolo e la fece accomodare, prendendo posto solo dopo essersi accertato che fosse comoda.

«Scegli pure quello che vuoi» le disse, adagiandosi allo schienale della sedia rivestita ed incrociando le braccia.
La ragazza diede una rapida scorsa alla carta e chiese: «Posso ordinare un toast? So che è tardo pomeriggio, ma...»
Il biondo esibì uno di suoi sorrisi sottili, sinceramente divertiti e quasi inconsapevoli, uno di quelli che mostrava raramente e che avevano il potere di incantarla.
«
Be’, mi pare di averti appena detto di scegliere quello che vuoi: devi ordinare quello che ti va. Forse, c’è la possibilità che, stasera, tu riesca a mangiare».
Beatrice annuì timidamente: tutte quelle premure che le stava riservando il giovane, la stavano facendo arrossire non poco e, oramai, il suo colorito doveva essere simile a quello dei suoi capelli, se non addirittura più intenso.
La verità, però, era che non era abituata ad un atteggiamento tanto cortese, nel vero senso della parola, dato che Marcello le stava manifestando un rispetto che credeva esistesse solo nei libri di letteratura antica. Si sentiva una sciocca che non aveva mai visto niente, anche se, in fondo, non era molto lontano dalla verità, considerando come la trattavano in famiglia. Inoltre, non aveva molta esperienza nemmeno in fatto di uomini e, per giunta, quel poco che aveva si riduceva a qualche complimento, elargitole con la speranza - non esaudita - di ricevere un bacio, e alle oscene avances di Navarra.
Un cameriere venne a prendere le ordinazioni, rivolgendosi per primo alla fanciulla.
«Cosa le porto, signorina?»
La ragazza, che si era persa nei suoi pensieri, ricordò per fortuna in tempo cosa avrebbe dovuto dire: era incredibile come, con Marcello seduto lì di fronte, anche dire due parole si stesse rivelando un’impresa titanica. 
«Un toast
» fece, con voce ferma.
«E da bere?
»
«Un succo di frutta» rispose nuovamente, con una certa sicurezza. Almeno per questa volta, ce l’aveva fatta a non fare strafalcioni.
«A quale gusto?»
Come non detto.

«Gusto? Perché esistono più gusti?» chiese, sorpresa. Non ci aveva fatto caso o non c’era scritto.
«Sì, dipende da quelli che hanno» le spiegò il biondo, dolcemente. «Cosa offrite?»
«Pera, arancia, pesca, albicocca» snocciolò il ragazzo, picchiettando la penna a ritmo sul blocchetto.
«
Mh. All’arancia».
«E per lei, signore?»
«Un cappuccino, grazie» rispose linteressato, consegnandogli il menù.
Beatrice si sentì morire di vergogna: per lei il succo di frutta era solo quello alla pesca. In quel momento, più che da Firenze, si sentì come se venisse dalla landa più desolata dell’Antartide, dove al massimo c’erano pinguini e trichechi che offrivano acqua di mare e ghiaccio.
Non riuscendo a guardare il ragazzo, si concentrò sulla stoffa della sua gonna e solo allora realizzò di aver indossato uno dei suoi completi più insulsi, che aveva scelto solo perché era serio e le sembrava adatto al primo giorno di lavoro.
Si spostò i capelli dal viso, nervosa, pensando di avere un aspetto orribile; d’altra parte, quando era uscita quella mattina, non sapeva che avrebbe incontrato Marcello. Tutto d’un tratto, avvertì che la sua autostima stava perdendo punti: in fondo, era solo una ragazzina, ed anche abbastanza mediocre.
«Come ti senti, ora?» domandò il giovane.
«Oh, bene, grazie» mentì spudoratamente, tralasciando le considerazioni che aveva appena tratto. Prima gli aveva già dato modo di pensare che fosse depressa, adesso non voleva fornirgli altri spunti per completare l’angosciante quadretto che doveva aver fatto di lei. 
«
È molto carino qui» continuò Beatrice, in un misero tentativo di tenere viva la conversazione.
«Sì, non è male» commentò Marcello, neutrale.
Brava, Beatrice, che bella figura da sciocca” pensò la ragazza, prendendosela con se stessa e con la sua incapacità.
«
Cosa intendevi prima, quando hai detto che tua cugina è invidiosa di noi due?» 
Beatrice arrossì allistante: nella foga di raccontare quanto facesse pena la sua famiglia, si era lasciata scappare troppo.
«
Oh, ecco... Ci ha visti tornare insieme, qualche settimana fa. È colpa sua se sono rinchiusa, percl’è gelosa del fatto che tu, diciamo, parli con me. Lei ti adora, per esser qui al mio posto, credo che potrebbe impegnare tutto quello che ha. Sai, ogni sera, prima di dormire, sbaciucchia un ritaglio di giornale con la tua foto» raccontò la ragazza, prendendosi una piccola rivincita sulla perfida e patetica cugina.
«Sbaciucchia... cosa?»
Marcello ebbe un brivido di disgusto e la fanciulla pensò con grande soddisfazione che, oramai, la reputazione
di Anna Laura, agli occhi del giovane, era bella che andata a farsi friggere.
Inoltre, notò con piacere, era riuscita a tenere un discorso decente con il suo interlocutore e la sua autostima si rialzò di qualche tacca.
Nel frattempo arrivò il cameriere con i loro ordini, lasciando le vivande sul tavolo con tutto il vassoio.
«Self-service?» commentò il biondo, pungente, all’indirizzo del ragazzo.
«
E ma io devo andare a fare l’ordine di là» balbettò lui, in uno sgrammaticato tentativo di discolparsi, indicando un altro tavolo.
«Vai, vai di là» lo imitò. «Voja de lavora’ saltame addosso».
Quello si volatilizzò all’istante, scarlatto, mentre Beatrice si lasciò sfuggire una risata.
«Poverino. Capisco il tuo punto di vista, ma lo devo ammettere: a volte incuti proprio timore».
«Sì, timore.
I tavoli sono tutti vuoti, non c’è tutto questo gran lavoro».
Le servì il succo ed il toast e trattenne il cappuccino per sé.

«Comunque non capisco una cosa: come è riuscita tua cugina a metterti tutti contro?» proseguì Marcello, dosando un cucchiaino scarso di zucchero.
«La mia zia è gcontro di me. Mi reputa un peso, perché, da quando è morto il babbo siamo venuti a vivere da lei... E non vede l’ora che me ne vada. Per questo teme che, se Navarra dovesse scoprire che tu ed io ci siam visti, non mi vorrà più» gli spiegò la ragazza, con una punta di amarezza.
«Navarra? Quello schifoso ancora ti importuna?» chiese il giovane, inorridendo al solo pensiero.
Beatrice fece un respiro profondo e si decise a raccontare il resto: era giusto che quel giovane sapesse tutta la verità. L’unica cosa che si augurò fu che, alla fine, non provasse compassione per lei, perché non l’avrebbe sopportato.
La compassione si riserva solo a coloro cui non si può dare altro.
«Il mi fratello ama scommettere, ma ha accumulato molti debiti e non riesce a pagarli. Per questo, mi ha promessa a Navarra, come pagamento».
«Ti vuole vendere a Navarra... per pagare i suoi debiti di gioco?» domandò Marcello, sconcertato.
Lei annuì ed alzò lievemente le spalle, vergognandosi al posto di suo fratello.
«Che bastardi!» insorse il ragazzo. «Quel Guido non può farti una cosa del genere! Devi avere il diritto di sposare solo l’uomo che amerai».
«Non so se cambierà idea».
«Sarebbe il caso, che qualcuno desse una bella lezione a tuo fratello».
«Ah, Guido non cambierà mai. L’unica cosa è che spero si ravveda, ultimamente sembra un po’ pentito» fece la ragazza, pensierosa.
«Me lo auguro per lui. Altrimenti non mi farò problemi a venire a dirgliene quattro» replicò invece il ragazzo, alterato, facendola sussultare.
«Davvero lo faresti?»
«Non puoi finire in mano a Navarra. È una cosa abominevole solo a pensarla».
La fanciulla avvertì le guance farsi più calde: se solo Guido avesse avuto metà del giudizio di quel ragazzo, a quell’ora avrebbe potuto sperare davvero in un futuro più roseo, sgombro dalle arpie che si ritrovava per parenti, da quel cavernicolo di Navarra, e da qualsiasi problema matrimoniale.
Chissà, magari, con il tempo, Marcello avrebbe potuto persino innamorarsi di lei...
«Mi sarebbe piaciuto davvero visitare con te la Cappella Sistina» sussurrò, sorseggiando il suo succo d’arancia.
«Chi ha detto che non ci andremo più?» esclamò il biondo, stranito, come se non avesse mai preso in considerazione l’ipotesi di disdire quell’appuntamento.
«E come si potrebbe fare? Sono monitorata a vista!» gli fece notare lei, spezzando in due il suo toast, non più bollente.
«
Un modo lo troveremo. Non sono tipo da arrendermi alla prima difficoltà» fece il ragazzo, incoraggiante. «Anche perché, in caso contrario, con mia madre avrei avuto vita breve: se fosse stato per lei, infatti, avrei già dovuto sposare una delle stranazzanti figlie delle sue amiche».
«E tu non l’hai ascoltata?» domandò, allora, la giovane, avvertendo una piccola fitta allo stomaco.
«Non è mia abitudine cedere ai ricatti» spiegò Marcello, determinato, facendo oscillare con eleganza il rimasuglio di cappuccino nella tazza, per poi portarla alle labbra.
Che quel ragazzo un po’ ribelle le fosse piaciuto fin dal primo istante, ormai l’avevano capito anche i sassi, ma, in quel momento, Beatrice prese consapevolezza di essersi inequivocabilmente - e irrimediabilmente - innamorata di lui.
***

Marcello riaccompagnò Beatrice alla merceria intorno alle diciannove, giusto una decina di minuti prima che venisse a riprenderla il fratello.
Davanti alla porta del negozio, la ragazza lo ringraziò: «Grazie per il bel pomeriggio. Era davvero troppo tempo che non mi sentivo così serena» lo ringraziò lei, stringendosi nella sua mantella color avorio.
«Anche per me è stato molto piacevole» confermò il giovane.
All’improvviso, però, le lacrime cominciarono a rigare le guance di lei.
«Beatrice, cosa...» le chiese, confuso ed allarmato, ottenendo un singhiozzo come risposta. Stava per chiederle se si sentisse ancora poco bene, ma non ne ebbe il modo, poiché la fanciulla gli si buttò tra le braccia, piangendo più forte.
Preso alla sprovvista, il giovane rimase per un paio di secondi incerto sul da farsi, per poi assecondare il suo istinto e ricambiare l’abbraccio: non avrebbe mai pensato che sentir piangere qualcuno potesse smuoverlo tanto.
Senza esagerare, la strinse più forte e, rendendosene appena conto, cominciò a carezzarle la schiena e quel tocco dovette trasmetterle un senso di protezione, perché, nel giro di poco, la ragazza si calmò.
Beatrice si discostò appena e, ancora con le lacrime agli occhi, cercò di mormorare delle scuse, ma Marcello scosse appena la testa. Sfiorandole una guancia, prese una ciocca di capelli ramati e la sfregò delicatamente tra le dita, come per studiarla.
Quando l’avvicinò al proprio viso, riconoscendo subito il profumo che aveva trovato sul biglietto, vide la ragazza sussultare appena.
«Andrà tutto bene» la rassicurò, parlandole dolcemente.
«Io... non riesco più a credere che andrà tutto bene...» mormorò lei, colma di tristezza.
Il biondo non faticò a capire perché la fanciulla avesse tutte quelle riserve, a sperare che la sua vita sarebbe cambiata in meglio, visto che tutti i suoi parenti l’avevano trattata in maniera scandalosa, instaurandole delle paure non indifferenti.
E dire che la famiglia dovrebbe essere il primo rifugio per tutti: la storia di Beatrice, però, testimoniava che non sempre era così.
«
Ti fidi di me?» le chiese, guardandola negli occhi, serio.
Dopo qualche secondo di silenzio, la ragazza disse a bassa voce, ma chiaramente: «Sì».
«Allora non temere» disse Marcello, allontanandosi lentamente e, in ultimo, aprendo le dita per liberare la ciocca.
Rimasero a fissarsi, ognuno in attesa di una mossa dell’altro. Con una certa esitazione, Beatrice si alzò in punta di piedi, protendendosi verso di lui, quando la porta della merceria si aprì di scatto.
Entrambi sobbalzarono, ritrovandosi attorniati dai due bambini.
«Beatrice, sei tornata!» gridò Alessio, irrompendo in strada.
«
E c’è anche Marcello!» aggiunse Valentina.
«Bambini, non uscite senza cappotto, fa freddo!» li richiamò la madre, seguendoli fuori. «Ah, eccoti!» esclamò poi, all’indirizzo della ragazza.
«Ehm, sì» fece lei, incerta.
Il biondo sospirò: per fortuna era già sera e presto quella pazza giornata sarebbe terminata. Certamente, dopo gli ultimi avvenimenti, avrebbe dato un’occhiata all’oroscopo appena tornato a casa.
«
È vero che sembra un principe, mamma?» domandò la bambina, guardando ammirata Marcello.
«
Sì, è vero» confermò la signora Sofia, sorridendo alla figlia.
«Beatrice è la tua principessa?
» gli chiese Alessio, guardando prima lui e poi la ragazza ed entrambi arrossirono lievemente.
«Ecco...» rispose il biondo, con una punta di imbarazzo per la domanda inaspettata.
«Altrimenti, puoi aspettare me che cresco. Anche io sono una principessa, il mio papà me lo ripete sempre» aggiunse la sorella, sognante.
«Ora basta con le domande, andate dentro» intervenne, però, la sarta, indicando con un gesto la porta del negozio. In un primo momento, i bambini tentatono qualche protesta, ma, alla fine, salutarono i due ragazzi ed ubbidirono.
«Ti prego di scusarla, legge troppe favole» fece la donna, rivolgendosi al giovane.
«Si figuri» rispose lui, scrollando le spalle.
Allora, annunedo e con un dolce sorriso sulle labbra, anche la signora rientrò all’interno, lasciando finalmente Marcello e Beatrice di nuovo soli.
«Ancora grazie, di tutto. Se vuoi... Insomma, sai dove trovarmi» disse lei, sorridendogli.
«
Adesso sì».
Al ragazzo sembrò che lei stesse per dire altro, invece, scosse la testa e, con un ultimo saluto, rientrò nella merceria.
Rimase fermo qualche secondo, poi si voltò e si incamminò verso la fermata di Piazza di Spagna. Sarebbe stato difficile esprimere a parole la contentezza che provò nell’aver rivisto Beatrice, sebbene non si potesse dire che stesse bene, visto che l’aveva trovata provata e sbattuta.
Se in un primo momento aveva pensato che il fratello di lei fosse un emerito poltrone incapace, adesso doveva rettificare il proprio giudizio: Guido Tolomei era una sanguisuga approfittatrice e senza l’ombra di una morale e avrebbe meritato i lavori forzati a vita.
La pena di morte, come diceva Beccaria infatti, era inutile: i delinquenti - che a volte si mimetizzavano tra la gente altolocata - andavano educati con metodi duri, che sarebbero stati da monito anche a chiunque avesse fatto un pensierino, sull’eventualità di abbracciare un’esistenza da reietti.
Quella povera ragazza non meritava di finire tra le braccia di Navarra; al sol pensiero, Marcello si sentì ribollire il sangue e, con sua sorpresa, si ritrovò a scoprire che non era solo il suo senso innato di giustizia a parlare. Possibile che fosse geloso?
In effetti, la prospettiva che quel porco toccasse Beatrice gli faceva attorcigliare i visceri, scatenandogli un gran tumulto interiore; un depravato di quel calibro, infatti, non doveva permettersi nemmeno di sfiorarla. 

Preso dai suoi pensieri, si accorse appena di star percorrendo Via Frattina, e dovette ringraziare le appariscenti decorazioni di una vetrina, se riuscì a notare un bellissimo soprabito di un delicato lilla, con una piccola spilla a forma di fiore appuntata all’occhiello. Lo immaginò indosso alla fanciulla e, immediatamente, convenne che le sarebbe stato benissimo.
Senza starci a pensare troppo, aprì la porta della boutique ed entrò: era ora di cominciare a comprare i regali di Natale.






***
Per la revisione, ringrazio Lady Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la grafica del titolo è opera mia.
Ringrazio la mia Anto per tutti i consigli, i pareri e lo scambio di opinioni durante la scrittura.

***
[N.d.A.]
1. EUR Marconi: la fermata alla quale mi riferisco è l’attuale EUR Palasport, prima denominata EUR Marconi. Cambiò nome nel 1990, in seguito all’inaugurazione di un’altra stazione, chiamata appunto Marconi, sempre appartenente alla Linea B.
2. Banda della Magliana: nota e potente organizzazione criminale, attiva negli anni Settanta e operativa in tutta Roma e dintorni, coinvolta in numerose attività delinquenziali. Venne chiamata così dalla stampa dell’epoca, in riferimento al luogo dove risiedevano molti dei suoi componenti, ovvero il quartiere Magliana.
3. prossimo febbraio: lo spettacolo menzionato è Pulcinella, rappresentato per la prima volta al Teatro Argentina il 15 febbraio 1987. Ovviamente la collaborazione è inventata, serve solo all’economia del racconto.
4. San Lorenzo: si tratta della chiesa di San Lorenzo in Lucinia.

***



Salve gente!
Ed eccoci al sesto capitolo. Forse, non è il più cruciale della storia, ma, senza dubbio, è uno dei più movimentati. Voi che ne dite? Secondo voi i guai per i nostri protagonisti sono finiti o capiterà qualche altra cosa?
Il prossimo aggiornamento (previsto per il 15 Dicembre, in pieno clima natalizio) vi darà qualche altro indizio.
Ringrazio come sempre chi legge, chi mi dedica del tempo commentando, chi ha inserito questa storia in uno dei propri elenchi, chi, un giorno, troverà tempo/voglia/coraggio di lasciarmi un parere.
Se volete avere un piccolo spoiler del settimo capitolo, sappiate che è disponibile sia sul mio blog, sia sulla mia pagina facebook, riesumata per chi preferisce le notizie-lampo.

Spero di riuscire presto a finire dei disegni su questo racconto, i quali saranno pubblicati sul mio profilo su DeviantArt. Magari, secondo qualcuno, è una scelta un po’ infantile, ma non mi sento di usare dei prestavolto per i miei personaggi. Anche perché sono talmente complicata, che non troverei ciò che cerco.
Comunque, conto di riuscirci nelle prossime vacanze, quando mi auguro di avere un po’ di tempo libero.
Detto questo, vi lascio - finalmente! - andare.
Alla prossima!
Halley S. C.

  
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