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Autore: Aura    25/11/2014    2 recensioni
“Aspetta un attimo, i bravi ragazzi non baciano così!”
“Fanno anche di più, cazzo”
(cit. Il diario di Bridget Jones)
Lexie ha solo ventidue anni, eppure ha ereditato una figlia. Ha chiuso le ambizioni di carriera e la sua giovinezza dentro a un cassetto, la sua vita gira intorno alla piccola Alanis: fa la commessa in una libreria e il suo momento di trasgressione settimanale è quando può avere il controllo del telecomando e gustarsi Dirty Dancing fantasticando su Johnny, il primo di una lunga lista di bad boy che le hanno rubato il cuore. Il suo nemico giurato? L'altezzoso maestro di Alanis, tale William Parker ribattezzato Testa di Corno, la classica persona che guarda tutti dall'alto in basso e che vuole sempre aver ragione, anche sull'educazione di sua nipote. O no? Comunque Lexie lo trova ridicolo e insopportabile, fuori moda ed esasperante nella sua ostinazione a volerla chiamare Miss Spencer, quasi per tenere le distanze da lei. O no?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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sconvolta


Perché per una donna le parole hanno un peso, non sono leggere come per un uomo. Una donna ci crede alle parole, soprattutto quando è un uomo a pronunciarle, solo a lei.
(Alessandro D'avenia, Cose che nessuno sa )








Allie accoglie bene la notizia che andremo a cena dal suo maestro, e per tutto il tragitto non fa che sprizzare gioia da tutti i pori. Quando siamo a casa la devo rallentare, vorrebbe già prepararsi, la distraggo con la proposta di andare a cercare una pasticceria aperta per prendere qualcosa da portare stasera. Lei è indecisa tra la Red Velvet e una torta di frutta e panna, io invece non riesco a togliermi l'idea che una torta di mele sarebbe più apprezzata. La prendo alla lontana e riesco a convincerla, così usciamo dalla pasticceria con il nostro dolce, entrambe soddisfatte.
Ripenso al pranzo di ieri, alle sue parole, a quel momento così innocuo e insignificante, lo so, che io ho trasformato nella mia mente in un quasi bacio. E il pensiero mi confonde: è da stamattina che ho in mente un'idea e solo al pensarci mi sento stupida.
Cerco di cancellarla, ma come un piccolo tarlo non se ne va e continua a tornare: non devo farmi beccare da Allie perché mi farà domande, magari davanti a Parker, e morirei di vergogna: non so cosa potrebbe pensare di me.
La spedisco in bagno e almeno dieci volte mi alzo, per tornare seduta a tamburellare le dita sul tavolo della cucina, nervosa. Ma che mi prende?
- Zia! - mi chiama e sussulto. - Posso mettermi il maglione giallo?
- Ok! - le do il permesso, e dopo aver controllato l'orologio capisco che è arrivato il momento che mi prepari anche io.
Sono una sciocca, dicevo tanto a Drew che volevo sentirmi ventiduenne ma la realtà è che lo sono, sono una ragazzina come Parker mi ha detto più di una volta, che cosa vado a pensare?
Mi alzo, ma prima di andare a fare la doccia prendo il dvd di Come d'Incanto e lo nascondo ben in fondo alla mia borsa.

Quando esco dalla camera vorrei tanto chiedere ad Allie come sto, ma ho paura che potrebbe capire qualcosa con l'intuito iper sviluppato tipico della sua età e mettersi a fare castelli in aria, quindi mi accontento di guardarmi nello specchio dell'ingresso.
- Come sei bella, zia!
Mi giro e la trovo accanto a me, che guarda il mio riflesso.
Mi sono cambiata dieci volte, adattando la filosofia di Chanel e togliendo ogni cosa che mi sembrava troppo elegante o vistosa; e alla fine ho scelto un paio di jeans e un maglione in cachermire aperto sul davanti che ho allacciato con una cintura.
Prendo la borsa e mi infilo la giacca, Allie è già pronta ad andare ed è lei a ricordarsi della torta.
Mi tremano le gambe. Per tutto il tragitto non faccio che inciampare nei miei stessi piedi, il dvd nella mia borsa pesa come fosse un macigno e la presenza di Allie mi innervosisce ancora di più. Lei mi guarda, ogni tanto, ma deve essersi abituata all'impiastro che ha per zia perché non fa commenti.
Arriviamo con il mio tipico tempismo, lascio ad Allie il compito di aprire il portone del palazzo e farmi strada mentre io mi aggrappo con metodica attenzione alla torta: se non mi do una calmata la più presto cadrà, me lo sento. Cielo, perché c'è Allie qui con me? Non che non la vorrei, ma se ci fosse Pam potrei sfogarmi e lei saprebbe cosa dirmi per calmarmi; ora mentre l'ascensore sale sono tesa nello sforzo di mantenere un contegno impeccabile quando dentro sto esplodendo.

Parker apre la porta e succede qualcosa: il mio battito rallenta, riesco a sorridere e ad affidargli la torta senza fare danni.
- Siete puntuali. - dice, probabilmente per fare conversazione mentre prende le nostre giacche.
- Chissà perché lo dicono tutti con tono stupito, eh, Allie?
- Lo dicono a te, zia.
Ottimo, perfino lei mi tratta come una ragazzina: siamo a posto.
Mi guardo intorno, la casa è piccola ma progettata bene, si entra direttamente nel soggiorno che si snoda ad elle intorno alla cucina, al lato opposto due porte che condurranno sicuramente alla zona notte e al bagno. Alla mia sinistra c'è una scala a chiocciola, e notando che la sto guardando Parker mi spiega:
- C'è un sottotetto.
Annuisco e li seguo in cucina, più tranquilla ma non meno impacciata. Al mio posto ha messo una bottiglia di birra, non posso fare a meno di ringraziarlo con lo sguardo per la piccola premura: gesti che sembrano ovvi quando siamo circondati dalla famiglia, Paul ne ha sempre una per me anche quando stappa un ottimo vino, ma che assumono un altro significato quando li notiamo da parte di qualcuno che in teoria non ci conosce così bene.
Ci sediamo e scelgo di passare la serata a fare l'ospite silenziosa: sono molto più spigliati tra di loro, quando non devono cercare di coinvolgere me; e lo stesso non si può dire invece di me e lui, per cui è la soluzione migliore per tutti. A parte quando Allie non decide che è arrivata l'ora di mettermi in ridicolo e svelare tutti i nostri segreti.

- Così la zia guardava il signore della banca facendo finta di non avere la maglietta sporca di succo, e lui alla fine ha fatto finta anche lui. - racconta, e se non fosse la mia adorata nipotina a quest'ora avrebbe già ricevuto un calcio sugli stinchi.
- Basta, Allie. - intervengo, - Il signor Parker ha già avuto modo di vedere che tendo ad essere
un po' maldestra. - lo vedo cercare di trattenere una risata, miracolo, e lui e Allie si scambiano uno sguardo d'intesa, decidendo silenziosamente di cambiare argomento.
- Mi fai vedere il gatto? - chiede, e sono quasi tentata dal dirle di continuare a raccontargli le cazzate che faccio.
- È allergica? - si informa Parker, per sicurezza.
Scrollo la testa,
- Niente allergia, sono io che non ci vado d'accordo.
E infatti, non appena va ad aprire la porta delle camere dove l'aveva confinato, il gatto punta dritto in cucina e poi su di me, captando che è l'ultima cosa che voglio: sono bestie proprio stronze.
- Su, vai da Allie, gattino. - gli dico, cercando di sfilare le sue unghie dal maglione con cui se la sta prendendo. -
Forza, gattino!
Parker interviene.
- Se le parli così, non la farai mai calmare. Vieni, Elisa.
Me la prende di dosso e la bestia diventa immediatamente mansueta: si mette addirittura a fare le fusa e giurerei che mi ha scoccato uno sguardo di sfida. Va a finire in braccio ad Allie, mentre Parker prepara il secondo e io decido di rompere il mio stato di ospite soprammobile, offrendomi di dargli una mano.
È stato rilassato fino ad ora, ma percepisco chiaramente che non vorrebbe avermi intorno mentre cucina, solo che è un po' dura tirarmi indietro adesso, così inizio a sparecchiare i piatti del primo cercando di non stargli tra i piedi.
- Posso andare a giocare di là con Elisa? Qui non c'è abbastanza spazio.
- Non abbiamo finito di mangiare, Allie: dopo. - mi viene istintivo dirle, indaffarata.
Lei sembra voler iniziare la cantilena del “ti prego”, e mi fa gli occhioni a cui non riesco a dire di no, ma essendo che siamo in presenza di Parker mi costringo a non guardarla finché è lui a capitolare.
- Hai mangiato abbastanza?
I suoi occhi brillano ora, passando in modalità “ce l'ho fatta”.
- Sì! E avevo mangiato tanto già dalla nonna!

Adesso è lui a guardarmi e io so che la facoltà di accordarle il permesso spetta a me, avendoglielo negato prima, ma lui è d'accordo.
Cielo, saremmo una coppia di genitori incredibile.
- Vai. - dico, arrossendo per il pensiero fuori luogo.
Lui mette l'insalata in tavola, sorpreso.
- Pensavo realmente che tu fossi troppo indulgente, e invece a modo tuo le regole le fai rispettare.
- Vedi? - assumo un'espressione soddisfatta.
- Alcune, - aggiunge in fretta lui. - per esempio non quella di mandarla a letto quando sarebbe ora. - Stringo le spalle, mi ha beccata. - E... siamo ancora in disaccordo su un paio di punti, giusto?
- Possiamo evitare di parlarne, stasera? - gli chiedo, e gli prendo un piatto di mano, mettendolo sul tavolo. Mi giro, per andare a prendere anche l'altro e permettergli di pensare al vassoio con il tacchino, ma sfortunatamente lui era già verso il tavolo e gli vado addosso, facendo volare per aria vassoio, tacchino e tutto quando. E noi siamo ancora nella stessa posizione di ieri, io tra lui e il tavolo senza che nessuno dei due faccia niente per raccogliere il disastro che c'è a terra. - Scusa. - dico sommessamente, impedendomi di deglutire: sapendo perfettamente cosa potrebbe leggere da quel gesto istintivo.
- Non è niente.
Mi sta guardando, questo non me lo sto sognando: non sono così patetica almeno. Mi sta fissando e...

- Avete fatto cadere qualcosa?
Non appena sento la voce di Allie lo spingo via.
- Indovinato: niente secondo, mi sa. - dico, cercano di mantenere un tono pratico per nascondere invece il mio turbamento.
Lei guarda il macello che Parker sta già sistemando.
- Per fortuna vi è rimasta l'insalata. - commenta, prima di tornare a giocare con la sua nuova amica.
Tiro un sospiro di sollievo e lo aiuto a raccogliere quello che è rimasto, prendendo nota del fatto che siamo ripiombati nel silenzio. Non so più cosa è vero e cosa è frutto della mia immaginazione, questa volta mi stava per baciare o no?
Lo guardo, mi dà le spalle mentre mi prende una seconda bottiglia di birra e si versa un bicchiere di vino: ti prego, Parker, baciami se vuoi perché non ce la faccio più. Sono pronta ad ammettere che lo voglio, ma fallo per favore.

Ci sediamo a tavola, uno di fianco all'altro, e mi porge la birra.
- Tutto bene? - mi chiede, notando che sono incerta nel prenderla.
Beh, sì, mi va, ma mi andrebbe anche di assaggiare il vino che sta bevendo, anche se non è una cosa che sono disposta ad ammettere ricordando quella cena a casa di Pam.
Lui segue il mio sguardo.
- Vuoi assaggiarlo? - mi chiede, e io scuoto caparbiamente la testa. Mi porge il calice, - Andiamo. - insiste e questa volta, mentre faccio ancora cenno di no, sorrido. L'ha capito. - Vado a prendere il pane. Lascerò il bicchiere qui e non mi girerò a vedere se cedi alla tentazione, va bene?
Sono indecisa, non voglio dargli questa soddisfazione anche se non potrà mai saperlo. Però ormai è nato un mito intorno a questo vino, ne bevo un sorso e sì, dannazione, è maledettamente buono.
Lo metto velocemente al suo posto e controllo che sul bicchiere non siano rimaste eventuali tracce, quando Parker si gira mi trova con in volto l'espressione più innocente di cui sono capace.
- Quindi? - mi chiede.
- Non l'ho mica bevuto. - dico, cercando di trattenermi dal ridere.
Lui stringe gli occhi, appoggia il cestino del pane sul tavolo e si siede. Penso che la questione sia finita ma lo vedo che osserva pensoso il bicchiere e so che non riesce a capire se l'ho bevuto o no.
- La pianti? - ridacchio, sentendomi la vittoria in tasca.
Mi guarda, e come se niente fosse mi afferra il mento e mi assaggia. Letteralmente, non c'è altro modo di spiegarlo: le sue labbra si impossessano delle mie, la sua lingua prima segue il contorno della mia bocca e poi la schiude senza trovare resistenza e accarezza la mia. Mi assapora in ogni modo possibile e io sono così stordita che rimango incapace di muovermi, l'unico segnale che sono viva è il cuore che sembra voler schizzare via dalla cassa toracica. Bacia da dio.
Si intreccia ancora alla mia lingua, e poi si allontana senza preavviso, così come si era avvicinato, lasciandomi imbambolata con gli occhi ancora socchiusi.
- L'hai assaggiato. - dice.
Registro che sta iniziando a mangiare l'insalata ma io non riesco ancora a muovere un muscolo: chi è William Parker? Esiste un manuale di istruzioni? Esiste la funzione “repeat”?
A me, attualmente, andrebbe benissimo quella “loop”.
Lo vedo guardarmi con la coda dell'occhio e infilzo qualche foglia di insalata, non troppo impaziente di togliermi la sensazione del suo bacio, poi quando Allie torna in cucina dichiarandosi pronta per il dolce sono costretta a riprendere il controllo di me.
- Elisa vuole dormire ora, e io mi annoio.
- Stiamo ancora mangiando noi, cerca di avere un attimo di pazienza.
William segue con interesse il nostro scambio di battute, e alla fine mi toglie letteralmente la forchetta di mano.
- Mangiamo la torta: neanche a tua zia andava molto l'insalata, ci sta giocando da cinque minuti.
Le strizzo l'occhio, mentre lui è girato, e mi allungo invitandola a stritolarmi in un abbraccio. Allie, pur inconsapevole del mio scombussolamento emotivo, non se lo fa ripetere due volte e per un attimo mi sento meglio.
Al contrario dell'insalata mi getto a capofitto nella torta, frustrata, e finisco la mia fetta così velocemente che Allie e William mi guardano stupiti. Io scrollo le spalle e la mando giù rubandogli un sorso di vino, poi lo guardo innocentemente:
- La birra non si abbina bene alla torta di mele. - mi giustifico. Mi sembra di scorgere un lampo di sfida nei suoi occhi e ci vuole tutta la mia determinazione per non rabbrividire.

Sì, mi ha baciato e vorrebbe farlo di nuovo, non mi sono inventata niente.
- Allie, - dico, fissando lui per spiare la sua reazione e aspettare che mi guardi. - ti va di vedere Come d'Incanto?
- Ce l'hai, signor William?
Lui mi guarda perplesso e io non riesco più a sostenere il suo sguardo, abbasso gli occhi.
- È nella mia borsa. Chiedi al signor William se te lo può far partire, non penso che tu sia capace di usare il suo dvd.
Allie è già andata a frugare nella mia borsa e William la segue, perplesso.
Sento i rumori dalla sala, le sta accendendo la tv e io, pur di non rimanere con le mani in mano ad aspettare di affrontarlo, mi metto a sparecchiare.
Non lo sento tornare in cucina, le sue braccia mi afferrano e mi girano contro il lavandino e lui finalmente mi bacia.
È più impetuoso di prima, mi toglie letteralmente il respiro ma mi riprendo subito, e questa volta mi aggrappo a lui e gli rispondo.
Mi solleva appoggiandomi sul piano della cucina, portandomi alla sua altezza, e mentre io lo inseguo lui si tira leggermente indietro, per guardarmi.
- Hai portato un film. - mi dice, sottolineando l'ovvio.
- Non mi sembra che abbiate parlato di spelling. - ribatto, e adesso che siamo pari si spinge ancora sulle mie labbra.

Non avrei mai creduto di volerlo, eppure eccomi qua, totalmente persa in lui: non è solo fisica, per quella probabilmente Drew sarebbe andato benissimo lo stesso, ma nonostante siamo così diversi è lui che voglio, c'è qualcosa in William che mi attrae e ci unisce. E ora, sotto l'effetto del suo bacio, non mi ricordo nemmeno più com'era vivere senza aver bisogno di lui.

La sua mano, posta al centro della mia schiena, mi tira contro il suo torace ed è la cosa più sensuale che io abbia mai provato. Lo ripeto, non ero una puritana, ma tutto quello che fa mi provoca un giramento di testa.
- Ho bisogno d'aria. - sospiro, staccando le labbra da lui e appoggiando la fronte al suo mento, respirando a fondo. Ho decisamente bisogno d'aria, o potrebbe farmi dimenticare che Allie è di là a guardare un film. Potrebbe farmi dimenticare che è l'insegnate di Allie e non voglio farlo con lui sul piano della cucina, per quanto sto avendo un anticipo di quanto potrebbe essere piacevole, non ora.
Le sue dita corrono sulla mia schiena mentre riprendo fiato, leggere e confortanti, facendomi sentire al sicuro. E considerando quante volte mi sono invece sentita a disagio con lui, è una strana novità.
Fa un passo indietro, ma ho bisogno di trattenere questa sensazione. Stringo il tessuto della sua camicia, guardandolo, finché ancora non siamo divisi che dall'incastro dei nostri corpi, e sollevando appena la testa ritrovo le sue labbra.
Un primo bacio che mi ha fatto tremare le ginocchia, un secondo che me le ha private di ogni forza, e con questo terzo sento che non solo le ginocchia sono state coinvolte, ma anche qualcosa che è da qualche parte nella mia cassa toracica.
Non c'è fame in questo nuovo bacio, o almeno non è così travolgente come poco fa. Le nostre bocche si sfiorano e si approfondiscono, tornano a lambirsi dolcemente e affondano di nuovo l'una dentro l'altra. Le lingue si incontrano e si rincorrono, piano, le nostre dita si trovano e si intrecciano, coinvolgendosi nella scoperta.
Lo sto sentendo molto più nel profondo di quanto avrei creduto.
Mi lascia andare, ma non slega le nostre mani che continuano a cercarsi mentre ci osserviamo. Afferra la mia e mi fa scivolare giù dal tavolo.
- Sarebbe stato molto più sexy se mi avessi sollevato tu. - gli dico con ancora un filo di imbarazzo, per sciogliere il silenzio. Non c'è niente che non vada nel silenzio ma noi ce ne siamo confinati dentro troppe volte, e ho bisogno anche delle nostre parole.
Lui mi guarda, imperturbabile,
- Prenderò nota. - mi dice, e anche se la sua voce è più rilassata del solito è confortante sentire che è la stessa di sempre, calma e vagamente fuori moda con la sua perfezione.
Non so cosa dire del suo tempismo, in realtà mi ha spostato perché ero sopra alla lavastoviglie e la sua intenzione è quella di caricarla. Finisce di sparecchiare e appoggia la pigna di piatti nel lavello.
- Lo so fare abbastanza bene anche io, sai? - gli dico.
Mi arrampico ancora sul piano ma dall'altra parte rispetto al lavello, passo ogni piatto sotto al getto dell'acqua pulendo gli avanzi e glielo passo, perché lui possa metterlo nella lavastoviglie. E anche se il suo tempismo non è stato dei migliori devo ammettere che non è male: ci guardiamo, ci sfioriamo, sorridiamo.
- Posso farti una domanda sciocca? - azzardo.
- Dubito che tu abbia domande sciocche.
Detta da un'altra persona suonerebbe come un'adulazione, ma da lui no.
- Parlami di te.
Lui mi guarda, aggrotta appena le sopracciglia osservandomi meglio.
- Domani mattina ho scuola, non credo di avere tanto tempo.
- Sai quello che intendo.
Chiude la lavastoviglie e la fa partire, poi si mette di fronte a me e incastriamo le nostre gambe mentre le mani si trovano ancora.
- Ho sempre pensato che avrei insegnato a dei ragazzi più grandi. Forse letteratura, al college o alle superiori. Non credevo sarei finito alle elementari, non so se ti sei accorta ma il mio approccio non è il classico da maestro.
Trattengo un sorriso, ha assolutamente ragione. E, quasi non credo alle mie orecchie, sta facendo auto-ironia.
- Va avanti. - lo incalzo, allungando la mano verso la birra che ha appoggiato di fianco a me quando ha sparecchiato la tavola.
- Poi un giorno mi è stata proposta una supplenza, l'anno scorso, e ho capito che in questo momento è la cosa che voglio. C'è qualcosa, nei bambini... fiducia, rispetto, che al college in un aula di cinquanta persone trovi solo in cinque, e alle superiori se sei fortunato hai uno studente all'anno così. Non credo di avere la pazienza necessaria a fare il babysitter a degli adolescenti scalmanati.
Smetto immediatamente di bere per non rischiare di sputare la birra. L'idea, con lui sempre così impeccabile, è abbastanza comica.
Arriccio le labbra.
- E allora che cosa ci trovi in me?
Basta il suo sguardo per farmi stingere lo stomaco.
- Non sei il gatto a cui è stato affidato il compito di crescere un pulcino: tu sei la gabbiana che ha imparato a volare, tu sei Fortunata.
Vorrei stringermi il maglione addosso, perché mi ha guardato come se stesse guardando direttamente il mio cuore.
Non so cosa dire, e di sicuro lui non ha bisogno di aggiungere nient'altro, così mi aggancio al suo collo andando incontro alle sue labbra.
Sento la sigla di coda del film, e capisco che è arrivato il momento di tornare con i piedi per terra in tutti i sensi.
- Andiamo a casa? - dico, affacciandomi verso la sala, in quello strano stato in cui si è in pace con il mondo.
William ci accompagna alla porta, mi restituisce il dvd e aiuta entrambe a metterci le giacche.
- Hai salutato Elisa? - chiede ad Allie, e lei corre a cercarla.
Nascosti dal muro della cucina ne approfitta per spingermi dolcemente contro lo stipite della porta e darmi il bacio della buonanotte.

- Mi sono divertita un sacco. Voi non vi siete annoiati mentre guardavo Come d'Incanto? - sbadiglia Allie, nel taxi.
Mi copro con la sciarpa per non arrossire.
- Ce la siamo cavata.

Allie si addormenta in taxi e la porto in casa in braccio, la metto a letto e torno in soggiorno. Prendo il telefono e faccio scorrere le foto, sempre più indietro, fino a che ne trovo quelle che ho copiato dal vecchio cellulare, in un mondo in cui è l'unico modo per non perdere i ricordi.
Siamo io e Becca, alla mia festa del diploma con le bocche spalancate, catturate mentre cantiamo il ritornello di Ironic.
- E scommetto che tu eri il gatto, vero?
Accarezzo il suo viso con il dito e spengo lo schermo, chiedendomi come sarebbe raccontarle di William.













Nda Ben ritrovate! Non aggiungo molto a questo capitolo, se non i ringraziamenti a chi mi segue e mi recensisce. È sempre un piacere ricevere le vostre impressioni, quindi ancora grazie.
Questo capitolo proprio non potevo dividerlo in due, già inizio a rompere i miei buoni propositi (un po' come Bridget all'inizio: buoni propositi per l'anno nuovo smettere di fumare e bere di meno, poi si accorge di avere in una mano un bellini e nell'altra una sigaretta accesa. "E rispettare i buoni propositi" XD )
A dire la verità penso che farò così, se dividerò i capitoli in pezzi più brevi farò un secondo aggiornamento settimanale, in alternativa uno con un capitolo un po' più lungo.
Alla prossima!
   
 
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