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Autore: violaserena    25/11/2014    1 recensioni
La vita di quattro ragazzi sta per cambiare radicalmente. Improvvisamente verranno catapultati in un mondo diverso dal loro, un mondo che credevano esistesse solo nei libri o nei film. Un'oscura e terribile minaccia incombe in quel luogo. Riusciranno a sventarla prima che sia troppo tardi? Ma, soprattutto, riusciranno a tornare a casa?
Tratto dal capitolo 2: "...qualcosa di oscuro, nell’ombra, si sta muovendo. Molti uomini, elfi, nani… sono improvvisamente scomparsi. Le Terre dell’Est si stanno inaridendo, gli alberi appassiscono, la gente muore per mancanza di cibo. L’oscurità avanza velocemente e, temo, che presto arriverà anche qui".
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 10
 

Sonia adagiò Asdrubaleo in una piccola bara.
Tutti i presenti si riunirono in silenzio intorno ad essa e ad altre due dove erano stati posti i corpi di due membri della ciurma di Edoardo il Temerario, morti nello scontro contro gli orchi.
Dopo una breve preghiera, i tre feretri furono sepolti nel verde prato di Biancofiore.
Giovanni, Giulio e Federico si avvicinarono mesti a Sonia e poi la abbracciarono.
Calde lacrime ricoprivano le sue rosee guance.
La giovane si ritrovò a pensare ai momenti passati insieme al folletto, ai suoi continui scherzi e dispetti, ai loro litigi. Gli voleva bene, molto bene. Ma non era riuscita a dirglielo.
Federico, come se le avesse letto nel pensiero, le sussurrò: «Lui lo sa. Anche lui ti voleva bene»; poi le diede un bacio sulla guancia e con una carezza le asciugò le lacrime.
«Mi dispiace interrompervi, ma purtroppo dobbiamo andare. Non so se Brandir e Bossolo ci inseguiranno, ma non possiamo escludere questa eventualità» disse Alessandro.
Mentre gli altri si avviavano verso i carri, Sonia guardò il cumulo in cui era stato sepolto il suo piccolo amico.
«Ti voglio bene. E ti vendicherò» bisbigliò.
Lasciatisi alle spalle Biancofiore, i presenti si diressero nel luogo in cui era ormeggiata la nave di Edoardo il Temerario con la quale avrebbero raggiunto Albadorata, capitale del regno di Filippo il Saggio e di sua moglie Clotilde.
I quattro giovani non potevano ancora lasciare la Terra dell’Infinito in quanto, come era stato spiegato loro da Galdor, il pugnale di Caio il Grande poteva essere impugnato solo da un terrestre – cosa di cui erano, peraltro, già stati informati dal Grande Mago – e perciò solo uno di loro poteva sconfiggere il Sovrano delle Tenebre.
Coco, che non aveva più proferito una sola parola da quando Asdrubaleo era morto, andava avanti ed indietro sulla nave.
Già da un po’ stavano navigando lungo il fiume Lestacque e lo gnomo sembrava non riuscire a darsi pace.
«Calmati» gli disse avvicinandosi amichevolmente il principe Alessandro.
Coco sembrò voler dire qualcosa, ma poi ci ripensò.
Sonia, inaspettatamente, lo prese in braccio e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio.
Una piccola lacrima bagnò il volto dello gnomo. Poi sorrise ed affermò: «Mi impegnerò perché una cosa simile non accada mai più. Contate pure su di me».
Alessandro contraccambiò il sorriso e rispose: «Ne sono certo. C’è già troppa sofferenza in questo mondo. Dobbiamo fare di tutto per migliorare la situazione».
«Dobbiamo assolutamente sconfiggere Enoren» continuò Galdor. «Avete l’appoggio di tutto il mio popolo, tranne degli elfi oscuri, si intende».
«Ovviamente anche del mio» esclamò Coco che sembrava avesse riacquistato la voglia di parlare.
«Ne sono lieto. Una volta arrivati ad Albadorata informerò mio padre dei recenti avvenimenti e, insieme, metteremo appunto una strategia per sconfiggere il Sovrano delle Tenebre. Credo che potremmo contare anche sull’appoggio dei nani, delle streghe di Valle Nera, dei maghi di Rivablu e di molti altri ancora».   
«È già una buona cosa avere molti alleati dalla propria parte» affermò Giovanni.
«Si, e mi auguro siano tanti quanti spero. L’esercito di Enoren è immenso per cui è necessario un fronte compatto e altrettanto grande».
«Sono sicuro che sarà così».
«Cambiando discorso, che cosa devo fare esattamente con questo?» chiese Giulio indicando il pugnale di Caio il Grande.
Alessandro, Galdor e Coco si guardarono incerti, poi il primo disse: «Come sai solo un terrestre può utilizzarlo. Visto che sei stato tu a toccarlo per primo spetta a te tenerlo e…».
«Affrontare Enoren» concluse per lui Giulio.
«Si. Ma non preoccuparti, non sarai solo: tutti noi ti aiuteremo».
«Non sono preoccupato. Non vedo l’ora di farla pagare a quel cialtrone di Grande Mago. Sarà una soddisfazione personale sconfiggerlo».
I presenti, tranne i suoi tre amici, lo guardarono straniti.
«Ahah, tranquilli! Lui è sempre così. Quando si propone di fare una cosa, state pur certi che la farà. Poi se si tratta di prendere a calci qualcuno che non gli piace, allora potete essere certi del risultato» esclamò divertito Giovanni.
«Possiamo confermarlo» annuirono Federico e Sonia.
«Tanto peggio per Enoren allora» rise lo gnomo.
«Non so se vi rendete conto della situazione. Il Sovrano delle Tenebre non è uno qualunque. Non è così semplice riuscire a sconfiggerlo. In passato ha provocato morte e distruzione e…» tentò di dire Galdor, ma fu interrotto dal giovane dai capelli biondi: «So perfettamente che non sarà semplice batterlo. Abbiamo visto tutti che cosa è capace di fare e quanto siano forti i suoi seguaci. Ma non possiamo partire con l’idea di non essere alla sua altezza, altrimenti saremmo sconfitti in partenza».
«Sagge parole. Ho visto come combatti, come voi tutti combattete e sono certo che nessuno di voi si arrenderà, ma continuerà a combattere fino alla fine a differenza, forse, dei seguaci del re di Lumbar. E sapete perché? Perché loro agiscono per ordine e per volere del loro signore, noi invece combattiamo per la pace e per la libertà, per costruire un mondo migliore, per i nostri cari, per le persone che non ci sono più e per quelle che verranno. Noi abbiamo qualcuno o qualcosa per cui lottare, loro no» affermò Alessandro.
«E per l’oro, non dimenticarlo principe» aggiunse Edoardo il Temerario.
«Sono sicuro che non sei così materialista come vuoi far credere».
«Sono un pirata».
«Appunto».
I due uomini si guardarono l’uno negli occhi dell’altro come per dimostrare la veridicità delle loro affermazioni. Ma, in cuor loro, sapevano che solo uno di loro aveva ragione e quella persona era il figlio di Filippo il Saggio.
La traversata procedette senza intoppi. A quanto pareva, Brandir e Bossolo avevano rinunciato ad inseguirli.
L’acqua del fiume, cristallina, era calma. Un verde paesaggio si estendeva al di là degli argini lasciando immaginare un mondo tranquillo e sereno, un mondo senza il male.
Due colonne in marmo bianco si ergevano imponenti alle estremità del fiume: era quello l’inizio del regno di Filippo il Saggio. Il territorio circostante, infatti, faceva parte di un regno alleato a quello del padre di Alessandro che era il re dei re.
Una lieve brezza temperava la calura del giorno. Gli uccellini cinguettavano felici e volavano alto nel cielo. Le cicale frinivano e i pesci saltavano allegri nell’acqua.
Sembrava una giornata come tante. Tutto pareva limpido e sereno, ma in realtà una nera minaccia incombeva. Ad est il cielo era terso e, di giorno in giorno, diventava sempre più cupo, segno del rafforzamento continuo di Enoren.
Erano passati già due giorni da quando la compagnia stava navigando sul fiume Lestacque.
La nave attraccò al porto di Ondaforte, una piccola cittadina poco distante dalla capitale Albadorata.
Due carri erano già pronti per portare i passeggeri al cospetto del re.
Edoardo il Temerario, dopo aver dato alcune indicazioni alla sua ciurma, insieme a due sue uomini, salì sul carro insieme ad Alessandro e gli altri suoi compagni.
Il viaggio fu breve: in poco meno di mezzora raggiunsero Albadorata.
La città era imponente. Alte mura in pietra la circondavano e quattro torri di vedetta erano costruite sulla sua sommità. Grandi feritoie lasciavano intravedere le bocche dei cannoni.
Al di là delle mura vi erano le case dei cittadini e altre due torri che, in passato, erano state edificate per un’inutile ostentazione di ricchezza da parte di alcune famiglie rivali che basavano la loro forza nella costruzione del maggior numero possibile di edifici e nell’altezza delle loro torri.
Oltre le abitazioni dei singoli cittadini, su una piccola altura, svettava il palazzo reale.
Sopra il portone era stato posto lo stemma reale: vi erano rappresentate tre spade incrociate al centro delle quali vi era un sole con la corona d’alloro. 
Entrati ad Albadorata i carri furono circondati da una folla festante per il ritorno del principe.
Alessandro si mise in piedi e cominciò a salutare sorridente i presenti.
I quattro giovani pensarono che egli fosse davvero benvoluto dai suoi concittadini.
Raggiunto con un po’ di fatica il palazzo reale, furono accolti dal capo delle guardie, il quale li accompagnò al cospetto dei sovrani.
Entrati nella reggia, tutti tranne Alessandro, guardarono ammirati la bellezza dell’interno, i suoi ornamenti raffinati e la sua ricchezza.
La guardia aprì una porta e annunciò al re e alla regina l’arrivo del principe con i suoi compagni.
Filippo gli fece cenno di farli entrare.
La sala del trono era ancora più bella di quanto si aspettassero. Alti soffitti erano stati dipinti con immagini rappresentanti le imprese dei membri della famiglia reale. Le finestre erano ornate con leggeri finimenti d’oro. Un lampadario di cristallo rifletteva la luce e rendeva ancora più luminosa la stanza.
Al fondo della sala vi erano due troni su cui sedevano rispettivamente Filippo il Saggio e sua moglie Clotilde. Entrambi portavano una corona formata da un cerchio brunito, cordonato ai bordi e con al centro una gemma di colore rosso.
Il re era un uomo di alta statura, dai capelli e dalla folta barba castana. Aveva gli occhi scuri ed era robusto. Clotilde aveva lunghi capelli mossi castano chiaro, occhi color nocciola e un naso leggermente rivolto all’insù. Era poco più bassa del marito.
Alessandro assomigliava molto ai suoi genitori: dal padre aveva preso il colore dei capelli, dalla madre quello degli occhi. Il suo viso era, però, più delicato di quello di Filippo e non aveva la barba.
I sovrani indossavano, paradossalmente, abiti semplici rispetto alla sontuosità del palazzo.
«Bentornato, figlio mio» lo salutò il sovrano.
Alessandro si inchinò – cosa che fecero anche i suoi compagni – e presentò coloro che lo accompagnavano.
«E così voi siete i quattro giovani della profezia. È un piacere avervi qui nel mio palazzo».
«Il piacere è nostro, vostra maestà» proferì Federico facendo un lieve inchino.
«Ebbene, vorrei sentire tutto quello che vi è successo fino a questo momento».
Il principe raccontò minuziosamente tutto ciò che era capitato e ciò che aveva scoperto su Enoren stando ai suoi ordini per un certo tempo.
Ad un ordine di Filippo, Giulio estrasse il pugnale di Caio il Grande e glielo consegnò.
«Si, è proprio lui. Ottimo lavoro» esclamò riconsegnando l’arma al giovane.
«Padre, come procedono i preparativi per la guerra contro il Sovrano delle Tenebre?».
Clotilde guardò preoccupata il marito e poi sospirò.
«Purtroppo le cose non vanno bene come speravo. I nostri alleati sono inferiori rispetto al previsto. Molti di loro si sono rifiutati di appoggiarci, ritenendo che il conflitto non li toccasse».
«Come? Perché? Eppure dovrebbero conoscere la gravità della situazione. Dovrebbero sapere che cosa succederà se Enoren avrà il sopravvento».
«Sire, chi non vuole darvi una mano nella guerra?» chiese timidamente Coco.
«Troppi: dagli gnomi della Roccia ai folletti agli uomini del regno di Felceazzurra e di Pioggialenta».
«Andrò dagli gnomi della Roccia e, con l’aiuto del mio popolo, li convincerò ad aiutarvi».
«Allora ti auguro tutta la pazienza e la fortuna possibile».
«Non temete sire, riuscirò nel mio intento. Domani partirò e quando tornerò sarà per annunciarvi l’appoggio di tutti gli gnomi».
«Ti ringrazio, e prego che tu possa riuscire in questo intento. Ti farò preparare provviste e una scorta per il viaggio».
«Grazie, vostra maestà».
«Bravo Coco» lo elogiò, bisbigliando, Sonia.
«Per quanto riguarda i folletti, mi recherò personalmente da loro. I nostri popoli sono legati da una salda amicizia e sono sicuro che non ci rifiuteranno un aiuto» disse Galdor.
«Re Thalion ha già provato a convincerli, ma purtroppo non ha avuto successo».
«Non dovete preoccuparvi, maestà. Forse c’è una cosa che il re non ricorda: i folletti ci devono un favore».
«Un favore?».
«Esattamente. Non potranno rifiutarsi di rispettare un’antica promessa».
«Spero che tu abbia ragione».
«Non dubitatene. Tornerò qui con il loro appoggio alla guerra contro Enoren».
«Avrai tutto il mio riconoscimento per questo. Farò preparare una scorta anche per te».
«Grazie, sire».
«Potrei… potrei andare anch’io con Galdor?» chiese, un po’ imbarazzata, Sonia.
Tutti si voltarono stupiti a guardarla.
«Perché vuoi andare con lui?».
«Un folletto mio amico è morto per salvarmi. Voglio andare dal suo popolo per… Ecco… Per…».
«Puoi andare con Galdor» le sorrise il re.
«G-grazie!».
«Anche noi vogliamo andare. Non vogliamo starcene qui con le mani in mano!» esclamò Giovanni.
«Non urlare così. Sei al cospetto di due sovrani» gli sussurrò all’orecchio Federico.
«Credo di avere la soluzione che fa per voi» affermò la regina Clotilde.
Tutti si voltarono, in attesa, verso di lei.
«Ebbene, tu Federico andrai con mio figlio nel regno di Felceazzurra, mentre tu Giovanni andrai con Edoardo il Temerario nel regno di Pioggialenta e cercherete di convincere i rispettivi sovrani a non negarci il loro aiuto. Credo non sarà troppo difficile per te, Edoardo, questo compito: da quello che so lì ci sono importanti basi pirata ed il re, in passato, era un bucaniere. Per cui mi aspetto che tu sappia portare a termine egregiamente questo compito. Altrimenti i tuoi debiti con noi potrebbero ulteriormente salire».
«Non temete vostra maestà. Porterò a compimento ciò che mi avete chiesto. In cambio, però, i miei debiti saranno annullati».
«Va bene, ti concedo questo premio».
«Non vi deluderò» sogghignò il pirata.
«Io invece? Perché non mi avete nominato?» domandò infastidito Giulio.
Il re, capendo il progetto della moglie, disse: «Tu rimarrai qui. Andrai nella stanza dell’addestramento, ti allenerai con un grande guerriero ed aumenterai le tue abilità di combattente. Tu hai il pugnale di Caio il Grande, pertanto devi essere forte a sufficienza per affrontare Enoren».
«Ma, non potrei…».
«Niente ma. Vedrai, dopo quest’addestramento, diventerai un vero e proprio guerriero».
«Non potevo chiedere di meglio. Era proprio il sogno della mia vita» affermò ironicamente.
«E lo realizzerai» sorrise furbamente Filippo.
«D’accordo» si arrese il giovane dai capelli biondi.
«Bene. Visto che tutto è deciso, potete andare. Immagino sarete stanchi».
Detto questo, i presenti si accomiatarono. Nella sala del trono rimasero solo il re, la regina ed il principe.
 

*
 

Il mattino era arrivato presto. I quattro giovani avevano passato la serata tra di loro, consapevoli che per un certo periodo non si sarebbero più visti.
Si trovavano in un mondo diverso dal loro e, da quando erano arrivati nella Terra dell’Infinito, non si erano mai divisi. Ognuno di loro aveva tratto coraggio e determinazione dal fatto di poter contare sull’appoggio di persone amiche. Ma, ora, era giunto il momento di dividersi. Da questo momento in poi avrebbero dovuto contare solo sulle proprie forze.
«Buona fortuna» augurò loro Giulio.
«Tranquillo, sono in buone mani» disse sorridente Alessandro indicando se stesso, Edoardo il Temerario e Galdor.
«E poi non è così facile liberarsi di noi» affermò scherzosamente Giovanni.
Si salutarono con una stretta di mano, poi, uno ad uno, si allontanarono.
«Ci rivedremo presto» si girò Sonia salutando con la mano il ragazzo dai capelli biondi.
«Più forti di prima e con nuovi alleati!» aggiunse Federico.
Giulio li osservò fino a quando non scomparvero all’orizzonte.
Era rimasto solo. I suoi amici erano partiti per intraprendere ciascuno una missione e lui era rimasto a palazzo per diventare un guerriero. Ma lui non voleva esserlo. Voleva solo… tornare a casa.
«Vieni Giulio. Devo presentarti quello che d’ora in poi sarà il tuo maestro» affermò il re avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla come per rassicurarlo.
Percorsero un lungo corridoio sulle cui pareti erano esposte armi di ogni genere: spade, sciabole, mazze, pugnali, alabarde, mazzafrusti, asce e così via.
Giunsero dinnanzi ad una porta. Senza bussare il re la aprì ed entrò, seguito a ruota dal ragazzo.
Si trovarono di fronte un uomo sui trent’anni che si stava allenando con la spada.
Era alto e muscoloso, capelli scuri fino alle spalle e leggera barba sul viso.
Non appena si accorse dei nuovi arrivati, fece un inchino in segno di rispetto nei confronti di Filippo e poi la sua attenzione si concentrò su Giulio.
«Ti chiedo scusa per aver disturbato i tuoi allenamenti, ma ti ho portato il ragazzo di cui ti ho parlato ieri» disse il sovrano.
«E così tu sei colui che è riuscito ad impugnare il pugnale di Caio il Grande. Sei diverso da come mi immaginavo» notò l’uomo rivolgendosi al giovane.
«Sono più bello» lo schernì Giulio.
«Mmm… no. Sei meno robusto di quanto pensassi».
«Sono normale».
«Suvvia, non è il momento di parlare di cose di poco conto come queste. Siamo qui per un motivo ben preciso. Non voglio perdite di tempo. Giulio, lui è Messer Carlo, cavaliere d’onore e miglior guerriero al mondo. Ti addestrerà e ti farà diventare più forte. Ora cominciate». Detto questo il re li lasciò da soli.
Messer Carlo indossò il bracciale nell’arto destro, prese la spada e disse: «In questi giorni dovrai affrontare un allenamento estremamente impegnativo. Se supererai tutte le prove a cui ti sottoporrò potrai entrare nella stanza dell’addestramento, dove dovrai affrontare la prova più difficile. Per questo, prima che tu me lo chieda, è necessario che io ti alleni e ti faccia diventare forte a sufficienza per poter superare tutti gli ostacoli che avrai davanti. Se avrai successo nella stanza dell’addestramento diventerai un vero guerriero. Hai capito?».
Giulio non ebbe il tempo di rispondere che l’uomo lo attaccò con la spada.
Per un soffio il giovane riuscì a schivarlo.
«Però, non sei poi così male» esclamò ironicamente Messer Carlo.
«No, infatti. Sono migliore di te» sogghignò il ragazzo.
Il guerriero riprese ad attaccare e Giulio cercò di contrastarlo. All’inizio ci riuscì, ma poi l’uomo lo colpì e lo fece cadere.
«Bisogna migliorare la tua concentrazione, oltre che la tua forza. Alzati e continua a combattere».
L’allenamento durò tutta la giornata.
Giulio era stremato. Aveva combattuto con tutta la sua forza, ma nonostante ciò era riuscito a colpire il suo avversario solo due volte. Il suo corpo era esausto ed era pieno di lividi e di tagli.
Quando giunse nella sua stanza, una infermiera gli medicò e gli fasciò le ferite.
Si addormentò con il proposito di mettere al tappeto quell’uomo arrogante che era Messer Carlo.
Il mattino successivo il giovane fu svegliato dal suono di uno strumento musicale, probabilmente proveniente dal giardino che si trovava poco distante dalla sua stanza.
Incuriosito da quell’allegra melodia si vestì e si diresse nel luogo in cui proveniva.
Vide seduto sul muretto del piccolo giardino un uomo di mezza età che suonava il liuto. Rimase in silenzio ad ascoltarlo, poi gli si avvicinò e gli fece i complimenti per la sua bravura.
«Siete troppo gentile! Io sono il musico Zeffirello e voi?».
«Mi chiamo Giulio».
«Quindi voi siete il ragazzo che possiede il pugnale di Caio il Grande e che si sta allenando con Messer Carlo? È un piacere conoscervi!».
«Non mi dia del “voi”, mi può tranquillamente dare del “tu”».
«Non credevo che vi avrei mai incontrato. Sapete sono stati composti vari pezzi musicali, teatrali e letterari su di voi, o meglio, su quello che diceva la profezia» continuò Zeffirello ignorando ciò che gli aveva detto Giulio.
«E si, ho visto personalmente uno spettacolo teatrale a Selvapiana».
«Allora avrete potuto notare la bravura dei nostri artisti».
«Eh… certo».
«Se me lo permettete vorrei scrivere musicalmente un’opera che riguardi le vostre avventure d’ora in poi. Che ne dite?».
«Non saprei…».
Notando il volto pieno di aspettativa del musico si affrettò ad accettare e poi si accomiatò per andare ad allenarsi con Messer Carlo.
Mentre si dirigeva dal suo maestro guerriero incontrò un frate che correva tutto trafelato.
Quest’ultimo si fermò, lo osservò e lo salutò tutto sorridente come se fosse stato un suo amico.
«Ci rivedremo presto» gli disse e poi si allontanò.
Il giovane rimase ad osservarlo stupito.
Egli pensò che la giornata fosse iniziata in modo strano, ma ben presto questo pensiero fu soppiantato dal dovere che lo attendeva: diventare un vero guerriero.


 

Angolo Autrice.
Ciao a tutti!
Allora, in questo capitolo cambiano un po’ di cose: i nostri protagonisti fanno la conoscenza di nuovi personaggi e si dividono, ognuno con un compito ben preciso.
Riusciranno a convincere ad aiutarli coloro che si sono rifiutati di appoggiare re Filippo nella guerra contro il Sovrano delle Tenebre? Giulio diventerà forte a sufficienza da poter entrare nella stanza dell’addestramento? Mah, chi lo sa! xD
Lo scoprirete nel prossimo/i capitolo/i!
Saluti.
Violaserena.

  
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