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Autore: mhcm    31/10/2008    4 recensioni
Breve Death-Fic scritta per un contest. Paring forse non tradizionale, riflessioni su presente e passato della protagonista. Mi è piaciuto scriverla, spero non dispiaccia leggerla.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Inspira, espira. Inspira, espira. Cerca di fermare il tremito alle mani, invano. Inspira a fondo. Espira lentamente. I denti si stringono come una morsa, fino a fare male, e sembra quasi che inizino a scricchiolare. Chiude gli occhi e inspira. Espira. Riapre gli occhi, ma le lettere sulla pergamena sono ancora le stesse.
Il foglio si accartoccia leggermente mentre la mano destra si irrigidisce, come per chiudersi in un pugno, e poi si apre di nuovo.
Sente lo stomaco che si chiude in una morsa, e anche se fa caldo, un brivido gelido le afferra la spina dorsale, e scende, dal collo al bacino.
Inizia a sentire un rombo sordo nelle orecchie, segue il battito del suo cuore, che sta battendo sempre più veloce. Si rende appena conto che è il rumore del suo sangue che scorre nelle vene, prima di accartocciare definitivamente il foglio e scagliarlo a terra in un impeto di rabbia impotente.
Afferra il calamaio e lo lancia contro la parete di fronte a sé, facendolo seguire dal portapiume. Queste cadono al suolo ondeggiando, lentamente, macchiandosi leggermente dell’inchiostro che è schizzato ovunque quando il calamaio si è infranto, lasciando sul muro una chiazza nera, esplosa.
Mentre si guarda attorno per cercare qualcos’altro da lanciare, il blocco allo stomaco si acutizza, e lo sguardo si sfuoca mentre le lacrime le riempiono gli occhi. Il respiro si blocca, e gli occhi iniziano a bruciare mentre ciò che la circonda sembra diventare in bianco e nero, solo luce troppo forte e ombre. Le gambe iniziano a farsi pesanti, le ginocchia cedono, e cade in ginocchio a terra mentre finalmente le lacrime che le riempivano gli occhi sgorgano.
In ginocchio a terra, piegata su sé stessa, con le braccia avvolte attorno alla pancia, in una sorta di auto-abbraccio, la fronte sul pavimento e il resto della faccia appoggiata contro le gambe ripiegate, inizia a piangere, in un silenzio rotto solo dai respiri strozzati, come rantoli.
Inizia a oscillare avanti e indietro, finchè non riversa la testa all’indietro, in un urlo muto, mentre le lacrime le scorrono ai lati del volto, come ad accarezzarle le guance, e scorrere lungo il collo, lievi, tiepide, come mani di un amante, fino a che si asciugano, all’altezza delle clavicole.
Dietro le palpebre chiuse rivede il suo volto, sorridente, che lentamente scompare, dissolvendosi come un sogno al mattino.
Si piega ancora di più su sé stessa, e i capelli lunghi le cadono a cascata attorno alla testa, a creare una tenda per isolare il suo dolore, per allontanare la realtà esterna, come per permetterle di soffrire sola. Vede di nuovo il suo sorriso, il volto illuminato dal sole, i denti bianchi, gli occhi di un azzurro così intenso da sembrare blu.
I capelli scuri, un po’ ribelli, che scostava sempre dalla fronte con un gesto spontaneo di cui non si accorgeva nemmeno più. Sente la sua voce, mentre la chiamava, ridendo, perché lei si era distratta a guardare qualcosa, e le loro risate, che si armonizzavano tra loro come una musica.
Le sue parole prima di partire, tre giorni prima: “E’ una missione di quelle tranquille, non c’è niente di pericoloso, tornerò tra pochissimi giorni, e ti porterò fuori a cena.”
Invece, al posto suo era arrivata quella lettera, così fredda e informale da non poter essere fraintesa in alcun modo.
Era del Ministero della Magia.
“Il Ministro della Magia le esprime il suo cordoglio nell’informarla del decesso dell’ Auror Blaise Zabini, avvenuto durante una missione”


Si rende conto del passare del tempo solo quando inizia a non sentire più i piedi.
Non sa nemmeno quanto tempo sia rimasta inginocchiata a terra, con la fronte sul pavimento, gli occhi chiusi schiacciati contro le ginocchia, talmente sommersa dal dolore da non essere più in grado neanche di piangere.
Alza lentamente la testa, senza badare ai crampi alle gambe addormentate o alle chiazze bianche che le compaiono davanti agli occhi.
Il sole sta tramontando e la luce che entra dalla finestra è rossa, sanguigna, calda e quasi soffocante.
Non riesce quasi a riaprire le mani, dopo esserci stata appoggiata sopra per ore. Le muove lentamente, per far circolare meglio il sangue, e non bada al dolore che questi semplici gesti le provocano.
Non sente null’altro che una terribile apatia che sembra avvolgerla come una cappa di piombo, mentre la luce che entra dalla finestra le incendia il volto e i capelli come un’aureola.
Lentamente si avvia verso la loro stanza da letto, arredata in modo semplice, ma confortevole. Avevano scelto assieme tutti i mobili e tutti gli oggetti che erano al suo interno, dal letto basso modello tatami in legno scuro, allo specchio accanto al letto, l’armadio a parete, e le mensole con i libri che preferivano, che avevano letto e riletto più volte, al punto da essere quasi usurati.
Nota solo di sfuggita il romanzo sul comodino di lui, non ancora finito, con il segnalibro che sporge dalle pagine. Lentamente si avvicina e leva il pezzo di cuoio decorato. Tanto lui non finirà mai di leggere quel libro.
Sente una fitta di dolore, e una lacrima solitaria le scappa tra le ciglia. La asciuga con il dorso della mano e si avvicina all’anta dell’armadio su cui hanno affisso tutte le loro foto.
Le prima che vede è anche la prima che gli ha scattato, di nascosto durante una serata al pub con un gruppo di amici.
Lui era là con alcuni ex compagni di Slytherin, quelli più moderati, che non avevano mai ostentato razzismo da Pureblood, e rideva spensierato, bevendo burrobirra. Lei era lì con Ron, Harry e Ginny, per una tranquilla serata tra amici, e stava scattando una serie di foto istantanee ai suoi compagni e a certe scene interessanti che avvenivano attorno a loro.
Lui l’aveva attirata per la risata spontanea, atteggiamento che si distaccava tantissimo dall’idea di persone formali e compassate che aveva degli Slytherin, e non aveva saputo resistere alla tentazione di scattargli una fotografia da lontano, con lo zoom.
La stessa immagine che adesso la salutava dall’anta del suo armadio, sempre ridendo, con gli occhi ridotti a fessure.
Avvicina la mano all’immagine, lentamente, ma senza esitare un istante, e accarezza il volto tanto amato con il dorso della mano.
Poi stacca il cartoncino, e lo deposita sul letto, riverso.
Stacca anche la foto successiva, una gita di gruppo alla quale erano andati entrambi.
Era stata la prima volta che gli aveva parlato fuori dalla scuola, scoprendo che era una persona cordiale e gradevole. In fin dei conti avevano scambiato solo un paio di battute, prima che Ron, possessivo, la raggiungesse e la cingesse con un braccio portandola via.
Gli aveva rivolto un sorriso un po’ melanconico, come a scusarsi del modo di fare maleducato del suo ragazzo, e lui le aveva sorriso di rimando, complice, con un’espressione che voleva dire “Figurati, capisco”.
Quella sera aveva litigato con Ron, in modo aggressivo, e più duramente di quanto avessero mai fatto.
Non sopportava da tempo la sua gelosia eccessiva, le scenate che le faceva senza motivo, l’atteggiamento di controllo e i musi che le teneva quando lei gli dimostrava che aveva avuto torto lui.
In realtà il pomeriggio piacevole che aveva passato l’aveva messa di buon umore tale da voler sorvolare sull’atteggiamento maleducato che Ron aveva avuto mentre lei stava parlando con Zabini, ma era stato proprio il suo fidanzato, una volta arrivati a casa, a lamentarsi del fatto che lei aveva osato allontanarsi per parlare con uno Slytherin, maschio e affascinante, tre aspetti che secondo lui rendevano il ragazzo terribilmente pericoloso.
Lei era sbottata, in parte perché la scenata le aveva rovinato una giornata altrimenti molto piacevole, in altra parte perché sembrava che lei non fosse in grado di resistere alle eventuali e immaginarie advances di qualunque essere di sesso maschile. Prevalentemente si era spazientita, anzi, per essere precisi si era infuriata, perché aveva raggiunto il limite di sopportazione all’atteggiamento oppressivo di Ron.
L’aveva lasciato, aveva impacchettato rapidamente tutte le sue cose, riempiendo una quantità di borse e bauli che non credeva di poter occupare, e si era smaterializzata a casa di Harry e Ginny, per avere ospitalità per un paio di giorni.
Non era la prima volta che lei o Ron si rifugiavano dal loro migliore amico, ma era la prima volta che era convinta che tale “fuga” fosse definitiva. Aveva ascoltato pazientemente le solite rassicurazioni dei due fidanzati, ed era salita nella camera degli ospiti dichiarando di voler riposare. Si era rigirata nel letto per un ora senza riuscire a prendere sonno, quindi aveva deciso di alzarsi, vestirsi e uscire a bere una burrobirra nel solito pub dove andava spesso a bere con il terzetto di amici.
Qui aveva incredibilmente incontrato Zabini. Avevano parlato e scherzato tutta la sera, e nuovamente aveva potuto constatare che il suo sorriso era meraviglioso.
Stacca un'altra foto dall’armadio. La prima della lunga serie di lei e Blaise.
Erano usciti come amici per mesi, poi una sera, dopo che lui l’aveva accompagnata a casa come suo solito, l’aveva baciato, di sfuggita, a fior di labbra, prima di voltarsi per entrare in casa.
Lui l’aveva fermata, per un polso, dicendole di doverle parlare. Non c’era traccia di sorriso questa volta sulle sue labbra. Si era scusato e aveva detto che non si sentiva in grado di iniziare una relazione. Era finita la sua storia più importante solo da qualche mese, e non pensava di essere in grado di iniziarne un'altra a breve.
Doccia fredda. Questo proprio lei non se l’era aspettato.
Avevano deciso di restare amici, e andare a fare una gita al mare il week end successivo, situazione in cui avevano scattato la foto che in quel momento lei tiene in mano.
Metà delle foto che sono appese all’armadio risalgono al periodo in cui hanno visitato, come amici, la maggior parte delle località culturali e turistiche dell’Inghilterra magica e babbana.
Incredibilmente Blaise era notevolmente incuriosito dal mondo babbano e lei gli aveva fatto volentieri da guida. L’aveva baciata la prima volta proprio in un negozio di libri babbano, mentre lei gli esponeva con la sua solita eloquenza le ragioni per cui il libro “Il gabbiano Jonathan Livingston” era, secondo lei, una visione teofisica di interesse estremo.
Si era voltata verso di lui, tenendo il libro saldo in una mano, e l’aveva fissato negli occhi, continuando a sostenere la sua teoria, quando lui l’aveva azzittita con un bacio, inizialmente quasi affamato e che poi si era trasformato in un bacio dolce e passionale.
Il libro le era caduto a terra, e il mondo aveva iniziato a sembrarle leggero e luminoso.
Nonostante le lamentele, proteste e critiche dubbiose di Harry e Ginny, e la scenata gelosa e patetica che le aveva fatto Ron prima di dichiarare che era solo una puttana e che avrebbe dovuto uscire dalla sua vita, lei e Blaise erano andati a vivere assieme due mesi dopo.
Finisce di staccare le foto dall’alta dell’armadio. Poi le impila e tenendole in mano si dirige verso il comodino di lui, per metterle via in attesa di avere la mente abbastanza chiara da decidere che farne. Apre il cassetto di lui, cosa che non aveva mai fatto, per una sorta di privacy estrema.
Il cassetto è vuoto, eccezion fatta per una foto sua, in bianco e nero, con gli occhi rivolti all’obbiettivo, un sorriso sensuale sulle labbra, e vestita solo di un paio di slip di cotone neri.
Le altre fotografie le cadono, mille sorrisi felici si spargono al suolo, mentre con mano tremante si china a prendere quest’ultima immagine.
All’improvviso le cedono le gambe, ed è costretta a sedersi sul letto, mentre le lacrime ricominciano a scorrerle sulle guance, senza che lei possa in alcun modo fermarle.
Quella foto gliel’aveva scattata con la macchina babbana che aveva comprato la prima volta che l’aveva portato nel mondo non magico. Era la prima volta che avevano fatto l’amore e, quando si erano risvegliati dal languido assopimento che li aveva colti, lui si era voltato verso lo scaffale accanto al letto, aveva afferrato la macchina fotografica e aveva iniziato a scattare.
All’inizio lei si era sentita terribilmente imbarazzata, ma presto aveva colto il lato giocoso della situazione, e sei era messa in posa. Quella era la fotografia che era venuta meglio.
Seduta sul letto piange in silenzio, osservando l’immagine, mentre i ricordi continuano ad assalirla, come pugnali che le affondano nel cuore.
Chiude gli occhi e di nuovo lo vede, sorridente, come quella volta che l’aveva invitata fuori a cena, senza dirle nulla, e le aveva annunciato felice che aveva passato l’esame da Auror con il massimo dei voti, ed era stato subito assunto al ministero.
Non stavano ancora assieme a quel tempo, e avevano bevuto fino a tarda ora, brindando al suo nuovo lavoro, senza pensare ai rischi che quel lavoro poteva comportare. E nemmeno nei mesi, e negli anni successivi avevano avuto sentore di quanto effettivamente il rischio di perdere la vita fosse meno improbabile di quel che pensavano.
Invece sul pavimento del soggiorno c’è la dimostrazione che qualcosa può andare sbagliato, che una missione può fallire, e che qualche Auror possa perdere la vita.
Solo che lui non era “qualche Auror”. Lui è l’uomo che ama. O meglio, lo era, perché qualcosa è andato storto, qualcuno l’ha ucciso, e adesso lei è seduta sul letto, circondata da fotografie di loro due, a rendersi conto che è sola, che i pochi anni passati sono stati i più felici della sua vita e che non vedrà più il suo sorriso.
Appoggia la fotografia sul comodino, accanto al romanzo, e nota che è uno dei libri babbani che gli aveva regalato lei, per la precisione “Castelli di rabbia” di Baricco.
Lo prende e lo sfoglia. Le cadono gli occhi su una frase in particolare: "Perché è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai ancora l'anima addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono che poi non te lo togli più. E quella lì era la felicità. Lo scopri dopo, quando è troppo tardi.".
Il libro le cade di mano, come quella volta che lui l’aveva stupita con un bacio, ma questa volta il mondo non è più leggero e luminoso, al contrario l’aria sembra pesarle nei polmoni e addosso, lo stomaco le si chiude nuovamente, e le compaiono chiazze scure davanti agli occhi.
Li chiude, e rivede nuovamente il suo volto, mentre le sorride. Avrebbe potuto vivere solo per quel sorriso, che adesso è sparito per sempre. Si porta le mani al volto, piegandosi su sé stessa, e rimane così, senza nemmeno più la forza di piangere, di muoversi o pensare ad altro che non sia che non vedrà mai più il sorriso del suo uomo.
  
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