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Autore: violaserena    02/12/2014    1 recensioni
La vita di quattro ragazzi sta per cambiare radicalmente. Improvvisamente verranno catapultati in un mondo diverso dal loro, un mondo che credevano esistesse solo nei libri o nei film. Un'oscura e terribile minaccia incombe in quel luogo. Riusciranno a sventarla prima che sia troppo tardi? Ma, soprattutto, riusciranno a tornare a casa?
Tratto dal capitolo 2: "...qualcosa di oscuro, nell’ombra, si sta muovendo. Molti uomini, elfi, nani… sono improvvisamente scomparsi. Le Terre dell’Est si stanno inaridendo, gli alberi appassiscono, la gente muore per mancanza di cibo. L’oscurità avanza velocemente e, temo, che presto arriverà anche qui".
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

 

Erano già passati alcuni giorni da quando Giovanni, Federico e Sonia avevano lasciato il palazzo reale di Albadorata. Ognuno di loro aveva poi preso strade diverse per giungere alla meta stabilita.
Giovanni aveva preso il mare insieme a Edoardo il Temerario e la sua ciurma.
Alessandro e Federico avevano proseguito per le campagne, mentre Sonia, Galdor e Coco si erano inoltrati nelle foreste. Lo gnomo aveva, poi, raggiunto un piccolo bosco protetto dalle montagne e si era ricongiunto con il suo popolo. 
Fungoalto era la più grande città degli gnomi dell’Arcobaleno. La sua peculiarità consisteva nel fatto che i funghi, caratteristiche abitazioni del popolo di Coco, erano molto più alti del normale. Proprio per questo motivo la città aveva assunto il nome di Fungoalto.
Foglie colorate e piccoli rami ornavano le case, conferendo all’ambiente un non so che di fantastico.
Coco si era fermato poco, giusto il tempo di raccontare tutto quello che era successo. Era, poi, ripartito insieme ad una delegazione di circa venti membri alla volta di Terraprofonda, città nella quale avrebbe incontrato gli gnomi della Roccia e avrebbe cercato di convincerli a non rimanere passivi e a combattere contro Enoren.
Dopo due giorni da quando si erano separati da Coco, Galdor e Sonia erano finalmente arrivati nel luogo in cui si trovavano i folletti, nel luogo in cui, un tempo, aveva abitato anche Asdrubaleo.
La ragazza, osservando ciò che aveva davanti, ripensò alle parole del suo piccolo amico:  «Invece noi folletti abbiamo nelle corolle dei fiori, sotto gli ombrelli picchiettati di bianco dei funghi, tra le rocce muscose, fra i rami degli alberi i nostri letti».
Quello che aveva detto era vero. Vedere quel posto e tanti piccoli orecchie appuntite la emozionò tanto che, senza accorgersene, cominciò a piangere.
Galdor le mise una mano sulla spalla cercando di consolarla, poi le disse di alzare lo sguardo e di guardare davanti a sé. Sonia fece come l’elfo le aveva detto e vide un gruppo di folletti che la osservavano curiosi e che avevano incominciato a fare facce buffe per farla ridere. Essi infatti amavano l’allegria e non volevano che nessuno la perdesse. Sempre felici e con il sorriso era il loro motto. La giovane sorrise ed i folletti applaudirono contenti.
Uno di questi ultimi le si avvicinò e disse: «Su con la vita, giovane amica. Sorridi e vedrai che la vita farà altrettanto».
Sonia si chinò e, istintivamente, abbracciò il folletto.
«So di essere molto attraente ed un grande poeta, ma non mi aspettavo un così rapido successo».
I suoi simili risero divertiti. Normalmente, la ragazza avrebbe risposto male, ma questa volta non lo fece. Si limitò a ridere anche lei.
Galdor prese poi la parola, avendo notato che tra i presenti vi era anche il capo dei folletti.
Dopo aver loro ricordato il favore che dovevano agli elfi, si levò un notevole brusio.
Alcuni erano favorevoli all’intervento, altri invece non ne volevano proprio sapere.
Sonia notò il volto preoccupato di Galdor e, a quel punto, prese coraggio e raccontò la sua avventura fino a quel momento, raccontò di Asdrubaleo e di come fosse morto onorevolmente salvandole la vita.
I folletti rimasero in silenzio, anche dopo che la fanciulla ebbe finito di parlare.
Alcuni di essi si raccolsero intorno a due loro confratelli che avevano cominciato a piangere sommessamente: erano i genitori di Asdrubaleo.
La giovane umana si avvicinò e porse loro una mano. I due si guardarono esitanti, ma poi salirono sul palmo della sua mano. Sonia diede un bacio ad ognuno di loro e disse: «Vostro figlio è stato un grande folletto. Ha sempre combattuto con onore e cercato di aiutare me ed i miei amici. All’inizio, io e lui, non andavamo molto d’accordo, ma poi, non so come, siamo riusciti ad instaurare un forte legame e siamo diventati amici. A lui devo la mia vita, a voi di aver generato un folletto come lui. I-io…». Sentì che presto sarebbe scoppiata a piangere, ma non voleva che ciò succedesse. Non aveva mai versato tante lacrime come in quel periodo, e non voleva che ciò diventasse un’abitudine. Asdrubaleo non avrebbe voluta vederla così.
Si fece forza e sorrise sinceramente ai genitori del suo piccolo amico, a tutti i folletti presenti.
«Non lasciate che la sua morte sia stata vana. Affrontate Enoren con noi e onorate, così, la memoria del vostro compagno» proseguì Galdor.
A questo punto si levò un grido di approvazione: i genitori di Asdrubaleo abbracciarono Sonia e il capo dei folletti proclamò solennemente il loro aiuto nella guerra contro il Sovrano delle Tenebre.
L’elfo e l’umana furono invitati a fermarsi, mentre delegazioni di piccoli orecchie appuntite partivano per comunicare la notizia ai loro confratelli.
Mentre accadeva tutto ciò, Alessandro e Federico erano giunti nel regno di Felceazzurra.
Dopo aver percorso vaste campagne, caratterizzate tutte dalla costante presenza di una felce azzurra, erano arrivati nella capitale dall’omonimo nome del regno.
All’ingresso di ogni edificio e al centro di ogni aiuola era presente la caratteristica pianta che dava nome al reame di re Gabriele. Lo stemma reale, neanche a dirlo, era una felce azzurra.
Dopo un’ora di attesa, finalmente i due uomini furono ricevuti dal sovrano.
Re Gabriele era seduto su di un trono dorato con finissimi ornamenti azzurri in cui erano incastonati una serie di zaffiri. La corona rispecchiava le caratteristiche del trono.
Il sovrano era poco più vecchio di Alessandro, aveva i capelli castani né troppo scuri né troppo chiari, gli occhi marroncini e un fisico statuario.
«Perdonatemi se vi ho fatto aspettare, ma sono stato impegnato fino a questo momento».
«Credo di sapere qual era il tuo impegno» gli rispose divertito il figlio di re Filippo il Saggio.
Il sovrano sogghignò, poi si alzò ed andò ad abbracciare Alessandro, lasciando completamente interdetto Federico.
Notando il suo sguardo interrogativo, il principe di Albadorata gli spiegò che lui e re Gabriele erano amici di lunga data e compagni di “avventura”.
«Che vuol dire compagni di avventura? Non è come penso io, vero?» chiese il ragazzo.
I due uomini si guardarono e scoppiarono a ridere.
«È come penso io» si disse mentalmente Federico, sorridendo.
«Tornando alle cose serie, si può sapere perché non vuoi aiutarci nella guerra contro Enoren?» domandò Alessandro tornando serio.
L’altro si incupì e tornò a sedersi sul trono.
«Un po’ di tempo fa, abbiamo subito l’attacco da parte di un contingente del Sovrano delle Tenebre. I miei uomini sono stati massacrati, le case distrutte ed i campi incendiati. Le sentinelle avevano avvistato i nostri nemici ed io avevo provveduto a mandare messi nel regno di tuo padre per chiedere un aiuto. Ma non è arrivato niente, neanche uno straccio di risposta. Ora dimmi, perché io dovrei rischiare la vita dei miei soldati per aiutare chi, a me, soccorso non ha dato?».
Il principe, stupito, rispose: «Mio padre non mi ha parlato di nessun messaggio da parte tua. Conoscendo i miei genitori, non ti avrebbero mai negato un supporto e dovresti saperlo anche tu. E poi, non pensi che i messi possano non essere mai giunti nel nostro regno?».
Re Gabriele rimase in silenzio.
«I nostri regni sono sempre stati alleati, non puoi pensare che se l’avessimo saputo non ti avremmo dato una mano» proseguì Alessandro.
«Forse hai ragione. Mi sono lasciato trascinare da quello che è successo e da stupide voci».
«Una voce può trarre in inganno molto più di quanto si possa pensare. Sapete perché? Perché non si può essere certi della sua veridicità o della sua falsità: il dubbio rimane, ti perseguita, ti logora e può indurre in errore, può farti compiere azioni sbagliate. Per questo bisogna sempre andare in fondo alle cose, per scoprire la verità» proferì Federico.
Il re lo osservò ammirato e, poi, chiese ad Alessandro se fosse il suo consigliere.
Il giovane ed il principe si guardarono e poi scoppiarono a ridere. Subito si unì a loro anche il sovrano.
«Sei molto saggio per la tua età, sai?» disse Gabriele rivolto al ragazzo che proveniva dalla Terra.
«Non è che sono saggio, chiunque arriverebbe ad un simile ragionamento. Piuttosto sei tu ad essere stupido» pensò Federico tra sé e sé.
«Allora, cosa pensi di fare?» domandò il figlio di Filippo.
«Questa guerra ci coinvolge tutti, quindi avrete il mio aiuto. Porrò le mie scuse personalmente a tuo padre per avere rifiutato precedentemente».
Prima che Alessandro potesse dire qualcosa, re Gabriele li invitò a fermarsi e a discutere la strategia da adottare contro Enoren nei giorni successivi.
«Ora possiamo dedicarci a qualcosa di meno faticoso. Ho qualche distrazione che fa al caso vostro» sogghignò il sovrano.
«Me lo immagino» si disse mentalmente il giovane.
Una settimana dopo l’arrivo di Federico e Alessandro a Felceazzurra, Giovanni si trovava ancora in mare, alle prese con un gruppo di corsari che avevano attaccato la nave di Edoardo il Temerario.
Era già la terza volta che accadeva ed il giovane cominciava a non poterne più.
“All’arrembaggio” di qua, “all’arrembaggio” di là, cominciava ad essere una vera rottura.
«All’arrembaggio!» gridò il capitano della nave che li aveva attaccati.
Giovanni prese la spada, sconfisse i nemici che gli si paravano davanti e raggiunse l’uomo che li aveva attaccati.
Con sguardo truce, gli disse: «Ora mi sono stufato. Perdonami le espressioni, ma me le perdonerai sicuramente visto che sei un pirata. Mi avete proprio rotto i coglioni. Quindi, soffocatevi tutti con il rum e affogatevi in un punto qualsiasi del mare: insomma, levatevi dai piedi!».
Detto ciò colpì l’uomo, gli diede una gomitata allo stomaco e lo fece cadere in acqua.
«Cosa non vi è chiaro di ciò che ho detto? Ne volete, forse, anche voi?».
Gli uomini si guardarono l’un l’altro e, considerando la loro critica situazione, batterono in ritirata.
«Complimenti! Nessuno era mai scappato così in fretta. Giovanni, ti nomino ufficialmente cocapitano!» sentenziò allegro Edoardo.
«Ne faccio volentieri a meno. Insomma, quando arriviamo a Pioggialenta?».
«Tranquillo, siamo quasi arrivati».
Era passata un’ora da quando la ciurma del capitano Insegna aveva sconfitto coloro che li avevano attaccati.
Il cielo si era scurito ed aveva cominciato a piovere. Il mare aveva iniziato ad essere agitato ed il vento era aumentato.
«Laggiù c’è un faro! Siamo vicino alla città» gridò il pirata che era sull’albero maestro.
«Perfetto, seguiamo la luce e arriveremo al porto» urlò il capitano per farsi udire da tutti.
In poco tempo, nonostante la pioggia fosse aumentata, riuscirono ad attraccare.
Giovanni, Edoardo ed altri due uomini della ciurma scesero a terra per andare dal re di Pioggialenta, altri andarono a fare rifornimenti, altri ancora rimasero sulla nave.
«Allora, com’è il re di questo posto?» domandò il giovane al pirata.
«Non male. Essendo stato anche lui un corsaro, ha sempre avuto un occhio di riguardo per tutti noi. Come vedi, la città è piena di bucanieri».
«Come è diventato re?».
«Lui era figlio del fratello del sovrano di questo regno. Da giovane si rifiutò di entrare nell’esercito regolare e scelse la strada della pirateria. Solcò i mari per molti anni, divenne rispettato e temuto da tutti. Un giorno, però, gli giunse la notizia della morte del padre e decise di tornare a Pioggialenta per porgergli l’estremo saluto. Giunto qui, seppe che il figlio del re era morto durante una battuta di caccia. Essendo il parente più prossimo, rimasto in vita, del sovrano il regno passò a lui. Inizialmente non volle accettare, ma poi si ricordò di un’antica promessa fatta al padre. Pertanto abbandonò la pirateria e divenne re. Devo dire che è stato, anzi che è uno dei migliori sovrani che questo regno abbia mai avuto, secondo il mio modesto parere».
«Già, solo perché aiuta voi pirati».
«Pff, non è solo per questo».
«Siamo arrivati» li interruppe uno dei due uomini della ciurma.
Edoardo il Temerario si avvicinò alle guardie, le salutò e poi passò oltre, facendo cenno agli altri di seguirlo.
«Tutto qua? Non ci chiedono niente?».
«Mi conoscono. Non c’è bisogno».
Il capitano entrò nel palazzo, fece strada lungo un immenso corridoio, girò a destra ed aprì una porta. Al di là di essa un uomo robusto con i capelli neri era seduto a tavola con una donna dai capelli corti rossi ed un’altra ragazza più giovane con i capelli castani.
«Ehilà, capitano Giacomo! È da un po’ che non ci si vede».
«Edoardo! Vecchio marpione, dove sei stato tutto questo tempo?».
«All’avventura!».
«Ma sentitelo, all’avventura! Ma dimmi, hai trovato qualche bel tesoro?».
«Oh dai papà, lascia perdere i tesori» disse la giovane dai capelli castani.
«Si, hai ragione Maria. Niente tesori, niente».
«Edoardo, non ci presenti il tuo nuovo amico?» chiese la donna dai capelli rossi.
«Ma certo Anna. Lui è Giovanni, proviene dalla Terra ed è uno dei quattro ragazzi della profezia».
Piombò il silenzio e tutti gli occhi si puntarono su Giovanni.
«Salve. Non guardatemi così. È imbarazzante».
«Scusaci, ma non vediamo tutti i giorni persone provenienti dalla Terra. Averti qui per noi è un fatto eccezionale» gli spiegò Anna.
«Credo di avere capito perché sei qui, capitano Insegna. E la mia risposta è no. Non combatterò contro Enoren» continuò re Giacomo.
«Sapevo che sarebbe stato difficile convincerti, a dispetto di quello che pensava la regina Clotilde».
«Potevi non venire allora, ti saresti risparmiato la fatica. Ma, conoscendoti, avrai contratto qualche debito con re Filippo e, quindi, eccoti qui».
«Perché pensi che sia sempre in debito con qualcuno?».
«Non è così?».
Edoardo il Temerario sbuffò e Maria cominciò a ridacchiare.
«Perché non ci volete aiutare?» domandò con aria cupa Giovanni.
«Vedi, i pirati del Sud stanno dalla parte del Sovrano delle Tenebre. I commerci con loro sono molto importanti e, poi, hanno alcune basi qui. In quanto ex bucanieri, sia io sia mio marito, ci siamo impegnati ad assicurare la libertà a tutti i pirati, indipendentemente dalle loro scelte in materia di alleati» rispose la regina Anna.
«In parole povere, se ci schieriamo contro Enoren, dovremmo schierarci anche contro i pirati del Sud» concluse re Giacomo.
Giovanni pensò che, per quanto avessero tentato, i sovrani non avrebbero cambiato opinione. Poi ebbe un’idea. Guardò Edoardo che era giunto alla sua stessa conclusione.
«Peccato. Vi perderete una grande avventura e grandi tesori. Ma che dico grandi! Grandissimi, immensi!».
«Che stai farneticando, capitano Insegna?» domandò incuriosito il re.
«Non lo sai? Nella Rocca dei Re sono custodite immense ricchezze: oro, perle, gemme, pietre preziose. Chi più ne ha, chi più ne metta».
«Posso confermarlo. Re Filippo ha detto che chi parteciperà alla guerra contro il Sovrano delle Tenebre potrà prendere una parte del tesoro».
«Davvero ha detto così?» si illuminarono gli occhi, non solo di Giacomo, ma anche di Anna.
«Certo!».
«Ma non lo capite che stanno cercando di imbrogliarvi?» si intromise Maria.
Il giovane ed il capitano le lanciarono uno sguardo di fuoco e si affrettarono a confermare la veridicità delle loro parole.
«Mi fido di te, Edoardo il Temerario. Hai compiuto azioni notevoli da pirata, ti sei distinto tra molti. E tu sei uno dei ragazzi della profezia che dovrebbe portare pace e serenità nel nostro mondo. Per cui… E sia! Appoggerò re Filippo contro Enoren. Ma sia chiaro, voglio la ricompensa che mi avete promesso».
«Ovviamente, non te ne pentirai».
Presa questa decisione, il re invitò i suoi ospiti ad unirsi a loro per la cena.
La missione era compiuta. Bisognava solo più informare Filippo il Saggio del successo ottenuto e, poi, tutto sarebbe stato pronto per la guerra.


*
 

Il palazzo di Lumbar si ergeva in tutta la sua maestosità in una nera landa desolata, in cui spuntavano scuri arbusti e, tutto intorno al palazzo, rovi che rendevano difficoltoso l’accesso.
Nuvole nere si addensavano per tutto il territorio, si udivano ululati e oscuri lamenti.
Risate malvagie provenivano dagli antri, un bagliore rosso dalle nere montagne.
Il Sovrano delle Tenebre passeggiava lungo il corridoio del suo palazzo, seguito dai Darkoth, Brandir e Bossolo.
Quando questi ultimi erano tornati e avevano riferito ciò che era accaduto, avevano dovuto affrontare l’ira del loro signore.
I quattro giovani erano ancora nella Terra dell’Infinito e, cosa ancora peggiore, erano in possesso dell’arma che avrebbe potuto sconfiggerlo.
Lui, però, non sarebbe caduto tanto facilmente. Il suo piano originario era, in parte, fallito, ma non tutto era perduto.
Il terrore era stato diffuso, il suo nome ricordato con timore.
L’esercito era pronto: presto avrebbe sferrato il suo attacco e si sarebbe vendicato.
Poi avrebbe recuperato il pugnale e, dopo essersi ricongiunto con la sua parte ivi racchiusa, l’avrebbe distrutto.
«Brandir, Bossolo! Sapete quel che dovete fare: uccidere i traditori. Niente errori questa volta».
«Non ti deluderemo» disse l’elfo.
«La mia ascia è ansiosa di bagnarsi col loro sangue» continuò il nano.
«Molto bene. La fine è vicina. Il mio regno inizierà presto».

 

 


Angolo Autrice.
Ehilà!
I quattro giovani si sono separati e ad ognuno di loro è stato affidato un compito preciso.
Sonia, Federico e Giovanni sono riusciti a portarlo a termine. Andrà bene anche agli altri?
Riusciranno ad essere pronti prima dell’attacco del Sovrano delle Tenebre?
Piccolo spoiler: nel prossimo capitolo Giulio incontrerà una persona importante.
Bene, alla prossima!
Saluti.
Violaserena.

  
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