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Autore: aniasolary    04/12/2014    3 recensioni
Natalie Truman, diciannove anni, buone intenzioni e scarsa capacità a far andare le cose come vorrebbe, non ha paura della vita. Tra sogni difficili, l’amore per un ragazzo irraggiungibile, impropri pasticci e situazioni imbarazzanti, il desiderio di diventare grande e sentirsi grande si fa sentire, rendendo il suo nido famigliare sempre più opprimente.
Il mondo è ai suoi piedi.
Al tempo stesso, quel mondo può caderle addosso.
L’unico modo per affrontarlo è cominciare a camminare con le proprie gambe, sperando di non inciampare nelle sue stesse scarpe.
«Un po’ per volta, il dolore se ne andrà. Non dimenticherai niente, ma starai bene. È un po’ come ricominciare a scrivere una melodia, ma senza cancellare le note precedenti. Con l’esempio del vecchio, puoi metter su davvero qualcosa di nuovo e migliore.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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21.
Questo capitolo è dedicato a Marika e Michela.
Buon viaggio alla scoperta di Londra, carissime <3

Il mio telefonino squilla al ritmo incalzante dell’ultima canzone di Rita Ora, che mi fa aprire un solo occhio alla ricerca di una motivazione importante per alzarmi dal letto. Non devo per forza rispondere.
Perché mai dovrei rispondere...
«Natalie,» farfuglia Ewan, la bocca contro il cuscino. «Il tuo telefono.»
«Mhm.»
«Rispondi.»
«MHMMMMM.»
Ewan si rigira nel letto e mi decido ad aprire anche l’altro occhio, sbatto le palpebre. «È il tuo telefono,» continua lui. Non ricordavo che si fosse addormentato senza maglietta: questa è una provocazione, io non dormo mai in biancheria. «Se non rispondi, chiunque sia a cercarti chiamerà Pamela.»
«Oddio, ma io non sono con Pamela.»
«Sei a letto con me a casa di mia sorella, se sei ancora troppo intontita per capirlo.»
«Tonto sarai tu,» sbotto. «Come se non fosse la prima cosa che ho capito aprendo gli occhi. Dov’è il mio telefono?» Mi metto in piedi, improvvisamente sveglia, e comincio a guardare ovunque con il panico che il telefono smetta di suonare. E che, chiunque sia a cercarmi, scopra che non ho passato la notte a casa della mia migliore amica.
«Forse è nella borsa,» sospira Ewan.
Apro la borsetta e trovo il mio S3, la cover con la faccia di David Tennant a sorridermi; esalo un respiro di sollievo ed Ewan si tira il lenzuolo sulla testa. 
«Pronto, mamma?» rispondo, senza nemmeno leggere il nome sul display.
«Nat, sono Arthur.»
Per un attimo resto ferma, imbambolata come un prosciutto in salamoia, lascio passare qualche secondo: deglutisco e trovo la forza di rispondere con tutto l’entusiasmo che ho in corpo. 
«Ciao, Arthur! Il fantastico, super manager di Istyle!» esclamo, e mi stendo accanto ad Ewan.
Arthur, dall’altra parte del telefono, ride. 
«Nat, sono solo Arthur.» 
Solo Arthur.
Giocherello con il ciondolo a forma di volpe che pende dal braccialetto che mi ha regalato, lo porto ancora al polso. «Volevo darti tutti i dettagli per la partenza,» continua.
«Partenza?» fa eco Ewan, totalmente sveglio, con uno sguardo a metà tra il curioso e il sorpreso.
Gli tappo la bocca con una mano.
«Natalie, tutto bene?» chiede Arthur.
«Sì,» dico io, mentre mimo ad Ewan di restare in silenzio. «Ho la televisione accesa, ho appena impostato su mute
Ewan mi fulmina con i tuoi occhi azzurro scuro, lucenti del sole che picchia dall’esterno – raggi luminosi delle dieci del mattino – e ci raggiunge attraverso la finestra.
 
Quando chiudo la telefonata, Ewan si è già messo addosso maglietta e jeans e mi fissa appoggiato allo stipite della porta. Quella parte del suo viso colpita dal sole pare quasi traslucida: è l’effetto dell’acqua, dopo essersi sciacquato il volto per svegliarsi completamente.
«Shanghai?» domanda, ed ho l’impressione che sia un sussurro ma in realtà il suo tono è forte, interrogativo ma quasi incerto, tentennante.
Mi stringo nelle spalle e non so se è giusto che io mi senta in colpa, ma è quel che accade: in bocca ho il retrogusto amaro di un dispiacere che non può che derivare da questo. Quando Arthur mi ha chiesto se volessi andare con lui, non ho avuto alcun dubbio sulla mia risposta. Il modo in cui mi ha guardato, il modo in cui mi ha sorriso, mi ha solo convinto ancora di più che fosse una cosa giusta, incredibile, meravigliosa, che non potevo perdere. Per me stessa e per la mia carriera.
Ed Arthur mi è sembrato così felice.
Così tanto…
«È per lavoro,» mi sbrigo a dire, ed è la verità. Non potrebbe essere altrimenti.
«Wow,» dice, si passa una mano tra i capelli. «Be’, cerca di divertirti e di non lavorare soltanto.» E sorride. Così, semplicemente, come se fosse inevitabile guardarmi – sollevare lo sguardo, cercarmi, trovarmi – e regalarmi quest’istante in cui lui è qui e mi fa questo sorriso – splendido, imperfetto, il canino storto a notarsi, una spontaneità che mi fa mozzare il fiato, nessun difetto ai miei occhi –, lo fa come se non fosse un regalo. Come se fosse scontato. Ma qui nulla lo è: nulla che riguardi Ewan potrebbe mai esserlo.
Nulla, da quando Ewan è nella mia vita, può essere previsto.
«Sai che senza te e Pamela non riuscirei mai a godermi questo viaggio per davvero,» comincio a farfugliare. «E quando diventerai famoso e sarai in tour, tu come farai senza me, il signor Zot e mio padre che cerca di farti il gioco della macchina della verità?»
«Non credo che diventerò famoso, Natalie. Ma non importa, io sto bene così. Anzi… sto bene? Io… io non lo dico perché dirlo è da sfacciati. Ma io sono sfacciato, non mi vergogno di niente, tanto meno di questo quindi ecco: io sono felice. Io non potrei avere di più da questa vita se non quello che ho ora.» Si siede accanto a me, sul letto.
«Sono felice se tu sei felice,» dico e penso nello stesso momento. È forse per questo che mi trema la voce? Che non riesco più a guardarlo negli occhi? Che ancora non riesco ad abituarmi al modo in cui Ewan Lynch sa amarmi?
«Tu sei l’inizio della mia felicità.»
Eppure lo affronto: come provo e ho provato a fare con le mie paure, i miei spettri, i miei dubbi che lui stesso ha fatto emergere. Cerco il suo sguardo e lo trovo e il cuore mi scoppia – sono un’esplosione di emozione, adrenalina, incredulità.
Eslpodo, implodo, vivo ogni giorno e momento in cui scopro infinite volte – davvero infinite – che quello che sento per lui è quello che lui sente per me.
«Sto per dire qualcosa di davvero diabetico. Voglio dire, è l’unica cosa che posso fare.» Mi mordo le labbra. «Con Claire ed Hatomi in casa non mi sembra il caso di… ecco, hai capito. Quindi… Sei pronto?»
Ewan ride piano. «Sono pronto.»
Cerco di fare la voce impostata, come nei migliori film romantici di sempre. «Questa volta è Shangai. Col tempo, chissà quale posto sarà, ma su una cosa non accetto discussioni. Io non sarò mai lontana dal tuo cuore, Ewan Lynch.»
Ewan mi prende tra le sue braccia. «Caspita, questa roba è davvero sdolcinata. Che cosa è successo alla mia volpe? Che cosa le hanno fatto?»
Scuoto la testa, ridendo. La sua fronte contro la mia, mentre la risata si fa sempre più lieve. «Accettami per quello che sono e dammi un bacio.»
«Ma ti pare che devi chiedermelo?»
«Che cosa?»
«Di accettarti per quello che sei. Io ti amo per quello che sei.» I nostri nasi si sfiorano e per la sua bocca è sulla mia, in un bacio che è anche un sorriso.
«Nemmeno tu scherzi in quanto a sdolcinatura, Ewan.»
«Be’, con Claire ed Hatomi in casa non mi sembra il caso di… hai capito. Ti stai lamentando?»
«Non potrei mai lamentarmi.»
***
Ewan apre la porta della cucina e mi fa passare per prima. Claire, in una vestaglia rosa shocking, solleva lo sguardo da una tisana rossa fumante.
«Buongiorno! Ewan, non dormivi fino a quest’ora dal capodanno 2003,» dice, e si lascia andare ad un risata leggera.
Guardo Ewan di traverso. «Allora non sei sempre stato mattiniero.»
«Dipende da chi ho nel letto,» precisa. «Mi avevano regalato il pigiama di Batman a Natale ed era la prima volta in cui lo avevo messo. Questa volta, be’…»
«Ewan,» lo richiamo.
«… Avevo solo sonno.»
Sospiro di sollievo.
«Non sono nata ieri, fratellino, ma potresti anche avere la cura di non ammetterlo spudoratamente.»
Le mie guance vanno in fiamme. «Tranquilla, Claire, lo sistemo io. Ha dormito davvero come un ghiro.»
Hatomi, seduta sul divano mentre mordicchia una barretta di cioccolato, ridacchia. «Ewan, Claire mi aveva detto che eri sfacciato ma non credevo così tanto.»
«È anche peggio,» diciamo io e Claire contemporaneamente.
Ewan sbuffa, vistosamente contrariato; credo che poche cose mi divertano al mondo come Ewan messo in difficoltà.
Da tre donne, poi. Perché può succedere che, con le stesse possibilità degli uomini, siamo anche capaci di superarli.
Potere al femminismo!
«Ewan, fai sempre colazione con latte e deliziosi cereali Cheerius oppure hai cambiato dieta?» gli chiede Claire mentre si alza dalla sedia.
«Non mi va di fare colazione oggi,» mugugna.
«Ogni tanto osa con i cereali al cioccolato,» rispondo io. «Assolutamente no quelli con le fragole, però. Non gli piacciono le fragole.»
Claire prende una tazza dalla credenza e si volta a guardarmi, occhi blu di un mare profondo quando il sole è già andato via. «Conosci mio fratello come le tue tasche, volpe di Liverpool.»
Potrei gongolare come un pupazzo con la testa mantenuta da una molla di ferro. «Be’, devo per forza conoscerle per cucirle. La qualità della stoffa e la forma e la capienza…»
«Ora comincia a parlare in nerdese da barbie passione stilista, non ascoltatela,» si intromette Ewan. Lo fulmino con lo sguardo e lui mi fa l’occhiolino, devo assolutamente trovare qualcosa da lanciargli in testa. «Claire, Nat fa colazione con una tazzona di caffè, altrimenti durante il giorno si addormenta mentre cammina e inciampa sui tacchi.»
«Traditore!» esclamo.
«Sei sexy,» mi dice.
«Ma piantala!»
«Davanti a tua sorella,» ride Hatomi.
Claire scuote la testa. «Che faccia di bronzo.»
Ewan si mette a braccia conserte, ignorando bellamente i nostri sguardi. «Hatomi,» la chiama lui. «Natalie andrà a Shangai per un po’. Le insegni qualche parola?»
«Oh, saresti gentilissima,» mi aggrego, guardandola. Non so se le volpi possano fare uno sguardo da cucciolo nello stile del gatto degli stivali di Shrek, ma io ci provo.
Hatomi inclina la testa, i lunghi capelli neri che sembrano allungarsi ancora di più verso il pavimento. «Mi dispiace ma io sono giapponese,» dice, con un sorriso tirato.
«Oh…» sussurro.
«Merda,» mormora Ewan.
«Non mi avete offesa, tranquilli,» aggiunge lei. «Ma in Cinese conosco solo le parolacce, non credo possano servire.»
«No, no insegnamele, ti prego!» mi agito.
Claire, Ewan ed Hatomi mi fissano senza dire una parola.
Vorrei scomparire.
«Va bene,» assente Hatomi.
«Le voglio imparare anch’io,» dice Ewan.
Claire lo riprende. «Ma a te non serve!»
«Ma è figo!» controbatte lui.
Claire si mette una mano sulla fronte. «Ma che fratello ho?»
Ewan le si avvicina e comincia a farle il solletico. Claire cerca di sviarlo ma Ewan è più veloce, più forte, più deciso. Claire ride forte, chiudendo gli occhi, e nel momento in cui si rassegna Ewan le dà un bacio leggero sulla fronte.
Il viso di Hatomi è attraversato da un sorriso ampio, traboccante di tenerezza.
Assomiglia all’inizio della felicità.
***
Ho salutato mamma, papà e Wanda, con la promessa che cercherò di tornare almeno per il prossimo mese e la loro minaccia, nel caso in cui non riesca a mantenere la mia promessa, di essere raggiunta da loro. Hanno salutato Ewan come se fossero più affezionato a lui che a me.
Ha superato la prova: è, di sicuro, il primo ragazzo che mamma guarda come se anche lei si fosse presa una cotta per lui, dopo i tempi di Arthur Benkinson.
Arriviamo a Londra, Ewan parcheggia la macchina in garage. Lascio il mio posto e, senza sapere perché, assecondando solo questo strano impulso, mi avvicino al suo pianoforte. Lo guardo soltanto, senza alcuna intenzione. Ewan merita di più.
Ewan merità un pianoforte a coda come il mio.
Ewan merità che il suo sogno non sia più solo un sogno.
«Allora, volpe, quando vuoi cominciare?» mi chiede, alla mie spalle.
«Che cosa?»
«Le lezioni,» mi risponde con un sorrisino. «Se proprio vuoi pagarmi, non in denaro.»
«Aspetta,» dico, il tempo di incepparmi nel mio respiro. «Tu-tu vuoi darmi lezioni di pianoforte?»
«Be’, sì, i tuoi te ne hanno regalto uno, perciò…»
«Lo faresti? Voglio dire, hai le prove con gruppo e poi i tuoi pezzi, ed io… io devo cominciare ad attrezzarmi per la prossima collezione Primavera-Estate…»
«Quale altra scusa vuoi inventare?» continua, e mi carezza il collo infilandomi una mano tra i capelli.
Faccio un respiro profondo.
«Non sarò mai brava come una volta,» sospiro. «Non lo sarò perché ho poco tempo, non lo sarò perché non sono com’era Jade.»
«Non devi essere come Jade.» Mi fa voltare. «Prendi quello che ti ha insegnato, ricorda, onora tua sorella, ma sii Natalie. Io sono innamorato di Natalie ed è lei che aiuterò a suonare il pianoforte.»
Sbatto le palpebre. Mi perdo nel mio sguardo imbevuto ora di lacrime che non voglio far scendere, perché non ho bisogno di nessun uomo nella mia vita, ma da quando Ewan c’è ho bisogno di questo ragazzo che rende tutto e sempre un’implacabile sfida. Ho bisogno di questo ragazzo perché lo amo: perché è quello che mi mette di fronte ai pericoli peggiori da cui non posso fuggire, ma è sempre pronto a prendermi la mano ed accompagnarmi in questo percorso. È pronto a salvarmi quando non riesco a farcela da sola.
Lo attiro a me e lo bacio, trattengo tutta il fiato nei polmoni e rubo la sua aria, gliela restituisco nel tempo un respiro anche se sarà sempre mia.
Mi arriverà al cuore insieme al sangue.
***
Non esiste tempo o impegno che tenga quando vuoi fare qualcosa con tutta la forza che hai in corpo, anche se sei esile, alta un metro e sessantatré, con pochi muscoli nelle gambe ed appena vent’anni di vita alle spalle.
«Aspetta, aspetta,» mi richiama Ewan. «Quando vai a suonare il la, usa il pollice e fallo andare sotto il palmo… così.»
In garage, seduti al suo pianoforte verticale, la Primavera di Vivaldi per pianoforte armonizza il silenzio dei nostri respiri.
«Va bene, riprovo.» Mi passo una ciocca di capelli dietro le orecchie. «Ma questa parte secondo me è un po’ troppo difficile.»
«Nat, ho constatato il livello, sei già avanti. Ti spaventa una semicroma qua e là?»
Sbuffo. «Ha parlato quello diplomato al conservatorio,» gli dico, e lo spintono con un colpo di spalla.
Ewan ride a quel modo roco e profondo che è solo suo. «Non vuoi più che ti insegni a suonare?»
«Lo voglio, voglio imparare,» dico subito, sicura. «Voglio tornare brava come una volta.»
«E ci riuscirai, sarai anche meglio.» Gli sorrido, un muto grazie per la sua fiducia in me, per lo sguardo pieno d’amore che riconosco.
Dopo alcune incertezze riesco a suonare l’inizio della Primavera di Vivaldi in modo più o meno decente e questo mi rende orgogliosa, esaltata.
«Ci siamo quasi,» dice lui, e sposta i fogli dello spartito.
«Ewan,» lo chiamo. «Hai lo spartito di another place
«Certo che ce l’ho, ma non ho intenzione di dartelo,» ghigna.
Storco la bocca. «E perché?»
«Perché ti ho dato il cd con la musica e anche il file mp3.»
«Sì, infatti me lo sono messa sull’ipod.»
Ewan sgrana gli occhi. «Veramente?»
«Certo, così posso ascoltarla durante il viaggio.»
Sorride, un movimento di labbra pieno di felicità, imbarazzo, orgoglio. «Ho capito, ma quello è il mio regalo,» precisa. «Quindi quando la vuoi sentire dal vivo, te la suono io.»
Sbuffo. «Sei il solito.»
«Anche tu.»
Mi appoggio alla sua spalla con il braccio e sfoggio la migliore espressione tenera della mia faccia. «Quanto mi mancherai?»
Rotea gli occhi, incapace di trattenere un sorriso. «Natalie…»
«A chi darò fastidio?» Mi aggrappo alla sua maglietta. «Come farò?»
Ewan mi prende il viso tra le mani, quelle che solo poco fa sfioravano il pianoforte. «Non ti preoccupare.» Mi riserva un sorriso appena accennato. «Se non saremo insieme a  Shanghai o qui, saremo insieme in un altro posto.»
***
L’ascensore è ancora rotto, quindi io ed Ewan saliamo le nostre tre solite rampe di scale per rincasare. Ewan prende le chiavi dalla tasca e un rumore, proveniente dal lato opposto del pianerottolo, attira la mia attenzione. Una porta che sbatte e una donna, trafelata, con la camicia bianca del lavoro abbottonata male e le ciglia attaccate per il mascara che non deve aver tolto ieri sera prima di coricarsi – per far cosa, mi chiedo – è ora sulla soglia dell’appartamento del signor Zot di San Pietroburgo.
«Uao,» mi viene fuori. «Su-zanna?»
Suzanna alza il viso tra di me e i suoi occhi si riempiono quasi in un istante di lacrime.
«Nemmeno una parola, Natalie,» mi intima. «Anche tu, nemmeno una sillaba,» si rivolge ad Ewan.
Ewan alza le mani in segno di resa. «Io mi faccio solo i fatti miei.»
«Anch’io,» continuo. «Ma, Suze…» Mi avvicino a lei e la prendo gentilmente per il braccio; ha lo sguardo ferito di un animale in gabbia. «Puoi fidarti di me. Entra in casa, ti sistemi un po’ e mi racconti tutto.»
Suzanna annuisce e si lascia guidare in casa. Mentre le lascio usare il bagno, preparo tre tazze di tè e le metto su un vassoio, accompagnate da qualche biscotto.
Ewan mi viene vicino, mi parla a bassa voce.
«A cosa stai pensando?»
«A niente,» sussurro. «Mi sto sforzando di non pensare.» Sospiro e mi accorgo che sto tremando. «Suzanna è sposata, è la madre di Leo, è una persona stupenda e so che comunque sia andata non poteva essere evitato.»
«Non puoi evitare di smettere di amare qualcuno.»
«Non puoi evitare di amare qualcuno, anche non avresti mai pensato di amare quel qualcuno.» Prendo il vassoio e mi dirigo in salotto. «Ognuno parla secondo le proprie esperienze.»
«Sì.» Ewan fa un profondo respiro. «Nat, non penso che serva parlare dei nostri ex o cotte passate, tu già sai che quando ti ho conosciuto non amavo più Alyssa da tanto tempo.»
Poso il vassoio sul tavolino davanti al divano e mi volto a guardarlo. Ewan continua a parlare. «Non è finita quando ho capito che si era stancata, quando non si faceva problemi a cercare in altri cose che poteva avere da me, ma quando ha smesso di essere onesta con me. Ed io non voglio niente di più di questo da te.» Mi guarda dritto negli occhi. «Quindi sì, avevo già smesso di amarla. Averti ogni giorno davanti agli occhi mi ha fatto capire che per me c’era ancora una possibilità di sentire qualcosa di bello, e di assomigliare un po’ a Claire.»
Faccio un respiro profondo.
Alyssa non era più onesta con lui.
«Ewan…»
Suzanna esce dal bagno col viso pulito, ma da un’espressione di rimorso, rassegnazione, colpa.
«Io vado a fare una passeggiata,» conclude Ewan.
Prendo una tazza di tè e la porgo a Suzanna, che la accetta senza guardarmi negli occhi, vergognandosi. Si sente la porta che sbatte e finalmente Suze mi guarda: è una donna splendida e la sua età non fa altro che renderla davvero donna.
«Quante cose brutte penserai adesso, di questa povera cameriera?» mi chiede, devastata nell’aspetto e nella voce.
«Nemmeno una,» dico sicura. «Soprattutto perché non sei  solo una cameriera. Sei mia amica. Ora siediti e beviamo questo tè.» Ci sediamo entrambe sul divano. «Dici che dobbiamo correggerlo con un po’ di vodka? »
Suze scoppia a piangere.
Mi metto le mani tra i capelli, non l’avessi mai detto.
«Io non ne ho idea,» singhiozza Suzanna. «Non ho idea di come sia potuto succedere. Sono sposata con mio marito da vent’anni. Ed è vero, lui… si è lasciato andare, aveva i suoi problemi sul lavoro, i suoi amici, e poi i bambini… penso sempre ai miei bambini. E alla tua festa di compleanno pensavo che finalmente avremmo potuto stare più insieme, divertirci, fare un po’ come quando eravamo più giovani.» Tira su col naso. «E quando Zot si è avvicinato a me per chiedermi di ballare mio marito non ha fatto una piega. “Sì, prenditela, almeno la finirà di scocciarmi con questa roba da mocciosi”. Ed io ho ballato con Zot. Ed è stato davvero bellissimo, perché un uomo non mi guardava così da quando avevo diciassette anni.» Le porgo un fazzoletto, aspetto qualche minuto e poi Suze continua a parlare. «Ed avevo deciso di evitarlo per tutta la vita, ma non ci sono riuscita.»
Non riesco a capire che cosa sento: non so se sono triste per questa fine o felice per quello che potrebbe essere un nuovo inizio. Perché Suzanna sta piangendo, eppure quando pronuncia il nome di Zot i suoi occhi paiono luci.
«E non dovrò vederlo mai più. Tutto questo non accadrà mai più,» dice risoluta. «Ti prego, Natalie, non dirlo a nessuno.»
«Non lo dirò a nessuno, sta’ tranquilla. Suze… tu ami ancora tuo marito? »
«È mio marito.»
«Ma questo non c’entra.» Mi stringo le mani in grembo. «Essere legati da un vincolo a volte non basta per amarsi per tutta la vita.»
Suzanna sospira. «Natalie Truman,» mi chiama con enfasi. «Quando sei giovane puoi scappare, puoi ancora crescere, puoi cambiare. Ho quarant’anni, due figli, un lavoro che a malapena mi fa comprare un paio di jeans per il mio semplice piacere personale. Non posso fare come hai fatto tu.»
«Suzanna…»
«Ho sbagliato. Ho fatto un enorme sbaglio.» Suzanna si alza in piedi, i suoi capelli corti fino alle spalle, bruni e lisci, in uno scatto le nascondono il viso. Eppure io posso immaginare la sua espressione, l’essenza di dolore che invade i suoi occhi scuri.
Faccio un respiro profondo e la seguo mentre lei si avvicina alla porta. La apre e, di fronte a noi, il signor Zot ci offre la sua schiena mentre chiude a chiave la porta di casa sua. Suzanna si irrigidisce e Zot si volta.
Suze si gira a guardarmi in un nanosecondo. «Ho saputo di Shangai, Natalie. Fa’ buon viaggio e manda qualche cartolina.»
Mi stringo nella spalle. «Di sicuro.»
Suzanna scende le scale senza salutarlo.
Gli occhi azzurro chiaro del signor Zot la seguono ed io mi accorgo, sorprendendomi, che il suo viso è di una carnagione chiara, arrossata solo sulle guance, nella norma.
Non ha bevuto.
«Signor Zot…» lo chiamo, e vorrei tanto dirgli qualcosa per consolarlo.
«È cuosì, Natalui. Speriamo in qualcuosa e poi quella spueranza muore,» sospira. «Vodkua salva.»
«Già… la vodka salva,» gli faccio eco io.
Arriva il momento in cui può salvarci solo qualcun altro.
Arriva il momento in cui dobbiamo salvarci da soli.
***
Sono in ritardo, come al solito, nei momenti meno opportuni. E non ho nemmeno fatto colazione. Salutare Ewan mi ha richiesto più tempo del previsto e mi sono ritrovata ad uscire con due linee di eyeliner tremolanti sugli occhi e lo stomaco vuoto. Mi fermo davanti al primo bar che incontro trascinandomi dietro il trolley.
«Un ciambella, per favore,» chiedo con il respiro affannato. «Con tanto cioccolato, quella con più cioccolato.»
«Certo, gradisce anche un caffè?» La voce melodiosa che si inceppa su un’eccessiva morbidezza della erre mi fa sollevare il viso dalla vetrina dei dolciumi.
Con una divisa a righe bianche e rosa da cameriera mi fissa dall’altra parte del bancone. Porta i capelli legati in un chignon da cui viene fuori qualche ciocca, con un cappellino rosa.
Il viso chiaro da bambola e due grandi occhi scuri.
«Emanuelle?» chiedo, senza crederci davvero.
Emanuelle distoglie lo sguardo dal mio, veloce. «Se vuoi un caffè, chiamami.» Fa per allontanarsi ed io poso la mano sulla sua.
«No, aspetta.»
«Non c’è il veleno nella ciambella, se è quello che ti stai chiedendo.»
«N-non me lo stavo chiedendo,» riesco a dire. «Sono solo… sorpresa. Come mai sei qui? Ti hanno fatto uscire?»
«Sei cieca? Se lavoro qui è perché sono uscita.»
Mi irrigidisco, presa in contropiede. Allontano la mano dalla sua. «D’accordo,» dico, storco la bocca fissando lo sguardo sulla ciambella.
«Oh, bordel de merde,» sbotta. «Possibile che qualunque cosa faccia devi farmi sentire in colpa?»
Decido di ignorarla. «Voglio solo mangiare questa ciambella e, sì, vorrei anche un caffè.»
«A me dispiace,» continua. E decido di sollevare lo sguardo. «Mi sono davvero pentita di quello che ho fatto e non perché sono stata messa dentro: perché sei una brava persona e non te lo meritavi. Ma stavo perdendo tutto.» Fa un respiro profondo. «Ho scelto dall’inizio di andarti contro: avevo fatto un accordo e questo si è rivelato un circolo vizioso da cui non sono potuta uscire. Quindi, se non l’hai capito, mi sto scusando
Non so che cosa dire. Non mi aspettavo di incontrarla così presto, tanto meno di sentire queste parole – queste scuse – anche se velate da quest’acidità e altezzosità sfrontata.
Ma così è Emanuelle Marchand.
«Be’, ti sei scusata… è sempre qualcosa.» Do un morso alla mia ciambella.
È deliziosa ed è vero, non c’è veleno, perché sono ancora viva.
«Non mi mandi nemmeno a fare in culo?» Emanuelle fa schioccare le labbra.
«Non so, tu hai dei gusti sessuali particolari, come faccio a sapere se è un insulto o un invito ben accolto?»
Emanuelle scuote la testa. «Caspita, Natalie… sai sempre come salvarti, vero?»
«No, non lo so mai,» rispondo.
Emanuelle inclina la testa. «Dovresti imparare una strategia. Sarai anche una volpe, ma se non stai attenta potresti finire in una qualche trappola. Se ti prende le zampe sarà difficile uscire.»
Finisco la mia ciambella e le porgo i soldi che le spettano.
«Grazie per il consiglio.» 
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Ciao, miei lettori meravigliosi! <3 Questo è un capitolo di passaggio, ma con degli spunti importanti che svilupperò più avanti. Natalie sta per partire per Shangai con Arthur. Vi aspettate qualcosa da questo viaggio? :3
Grazie, grazie di cuore a tutti voi. Spero di non risultare banale o troppo sentimentale quando dico che mi regalate una grande gioia attraverso le vostre emozioni e riflessioni. Siete stupendi.
Mi permetto di linkarvi una storia con cui sono arrivata terza al carinissimo contest La vita è una rete di piccoli, invisibili appuntamenti di OttoNoveTre, si tratta di una one-shot, Gli occhi gialli di Ernesta Mancina.

Se siete curiosi sul dietro le quinte di questa storia, sono stata intervistata - è incredibile, lo so - in questo bellissimo blog <3
Al prossimo capitolo.
Un grande bacio,
vostra Ania <3
   
 
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