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Autore: finnicksahero    07/12/2014    1 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo quindici.
John.

 
È così bella, lì, sdraiata nel prato, con il petto che si alzava e si abbassava lentamente, ad un ritmo costante, i capelli sparsi ovunque, che si mischiavano con i fiori di campo che pian piano stavano morendo. Il biondo acceso dei suoi bei capelli faceva risaltare i loro colori vivaci, rendendo quel piccolo posto un paradiso per gli occhi.

Guardai il suo dolce viso tranquillo e sereno, senza pensieri, come se il  mondo non potesse ferirla, non più. La bocca semi aperta era come dipinta sul suo volto diafano, aveva quel sorriso felice. Amavo guardarla dormire. Amavo il modo in cui mugolava senza rendersene conto. Avrebbe potuto anche parlare e dire tutto, la verità pure e semplice su tutto e su tutti.

Sorrisi, inconsapevolmente. Mi voltai a guardare il lago, delle libellule volavano tranquille sulla superficie, increspando quello specchio d’acqua stagnante, il vento muoveva tutto, dalle chiome possenti degli alberi, le ali nere e lucenti delle ghiandaie, perfino l’acqua si muoveva al tocco del vento delicato che la svegliava.

Una folata di vento mi arrivò addosso e portò con se il profumo del carbone, della cenere, e della schiavitù, sospira. Sapevo il mio destino, perché era già segnato. I bambini nascevano, e diventavano minatori, se gli andava bene diventavano ricchi grazie agli Hunger Games. Ma io dico, a che scopo? L’arena cambia la tua vita. Essere estratti cambia il tuo io interiore, la fiducia che hai nel mondo. Ti rende vuoto.

Tu sei vuoto e tutto è morto intorno a te.

Il mondo perde la sua bellezza, i colori la loro lucentezza, il sole perde la sua luce. E tu perdi la tua.

Pensai ad Haymitch, il mio migliore amico. Aveva perso la sua luce, la sua amatissima stella. Si era spenta fra le sue braccia, guardandolo negli occhi.

Queste cose ti cambiano. Ti devastano. Ti fanno perdere il contatto col mondo. Non vuoi vedere nessuno, perché tutti assomigliano a lei, con un gesto, con una parola. Tutto diventa lei. E tu puoi solo che cedere a questa cosa, perché non hai più le forze di andare avanti.

Sospirai e abbassai lo sguardo sull’erba schiacciata sotto di me. Era verde come la speranza.

Dentro di me risi amaramente, come se noi qui avessimo speranza, come se per noi ci potesse essere qualcosa di diverso. Tutto rimarrà uguale. Oggi, domani, fra dieci anni.

Alzai lo sguardo al cielo e vidi le nuvole muoversi, lentamente, con calma, passandoci sopra come se non potessero vederci. Ma loro potevano, e ridevano delle nostre disgrazie. Le sentivo, quelle fetide, libere, nuvole. Con il loro colore così puro pensavano di mascherare la loro anima dannata e cattiva.

Tutte le vuole portavano tempesta, anche la nuvola più bianca nascondeva al suo interno il temporale più feroce.

Scossi la testa, togliendomi dalla mente queste idee proibite.

Ma una rimase, dovevo fare qualcosa, dovevo essere la nuvola più bianca del cielo. Dovevo portare più scompiglio possibile, e Dio l’avrei fatto. Non avrei mai permesso che quell’angelo caduto sdraiato e addormentato accanto a me soffrisse.

Avrei cambiato le cose. Lo giuravo. Lo pensavo. Lo sapevo.

Mi voltai a guardarla e sorrisi, quasi tristemente, con un sospiro allungai una mano per toglierli i capelli dal viso, lei in quel momento aprii gli occhi, e le sue labbra sorrisero davvero.

Guardò i miei occhi, e anche da semi addormentata si accorse che qualcosa dentro di me non andava, mi sdraiai accanto a lei, e la sa mano subito andò alla mia fronte, togliendomi i capelli lunghi dal viso.

I suoi occhi azzurri volevano sapere, ma il resto del corpo no. –A che pensi?- chiese, le presi la manina piccola e dedicata e la baciai, assaporando il suo sapore, così bello, così puro e delicato, sapeva di lavanda –A niente- dissi –Non penso a niente.
  
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