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Autore: Kilian_Softballer_Ro    07/12/2014    4 recensioni
Immaginate il tipico scenario post-apocalittico. Il frutto di un esperimento ha ucciso praticamente tutta la popolazione della Terra, e soltanto un riccio è sopravvissuto.
O forse non solo....
Cercando di ignorare i ricordi del passato, Shadow si ritrova a dover combattere e indagare su cosa è accaduto e cosa sta ancora accadendo.
Storia liberamente ispirata a un libro di Stephen King e con una forte presenza di OC, miei e di altri autori.
Spero apprezziate. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Shadow the Hedgehog, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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(AVVERTENZA: in questo capitolo ci sono alcune scene non esattamente piacevoli. Ho cercato di restare fedele al rating in cui mi trovo, ma se per caso ne fossi uscita...avvertitemi  e io cercherò di sistemare le cose. Buona lettura!)


Mentre Aster terminava il suo viaggio atterrando su un marciapiede di cemento, i suoi compagni camminavano a parecchi chilometri di distanza. A differenza del gatto, gli altri tre avevano seguito il piano originario e continuavano a proseguire a piedi.
Shadow era più avanti degli altri. Si muoveva più in fretta, per un semplice motivo: quel viaggio gli ricordava troppo quello che lo aveva portato a Metal city, con la differenza che adesso sapeva dove avrebbe dovuto fermarsi. Ed era abbastanza sicuro che non avrebbe avuto un’accoglienza pacifica, laggiù. Comunque, la somiglianza era abbastanza da farlo accelerare. Voleva che quel pellegrinaggio surreale finisse, in un modo o nell’altro.
Si sentiva abbastanza tranquillo, dopotutto. Aveva accettato quello che sarebbe successo. Non c’era nessuna voce a tormentarlo. Il suo unico obiettivo, come era stato quello di Aster, era di cercare di ferire l’uomo bianco il più possibile prima di crepare.
Non ebbe nessun presentimento quando il giovane morì, né, se per questo, lo ebbero gli altri. L’uomo bianco li aveva persi dal momento in cui erano usciti da Metal city . Non riusciva a concentrarsi sulle loro menti, per ora, perciò non avvertivano nulla. I bambini, al contrario, sì. La notte successiva all’omicidio ci fu più di un piccolo che si svegliò urlando, assalito da immagini troppo aggressive.
Ma loro erano troppo lontani. Shadow mantenne la mente sgombra per tutta la giornata e dormì profondamente,anche se per poco. Il giorno dopo ripartì come se niente fosse accaduto. Tutto era tranquillo.
Per il momento.
 
Lo stesso non si poteva dire della situazione ai “laboratori Finitevus”.
La tensione era quasi palpabile. Nessuno voleva vedere il capo quando era arrabbiato, e quella spia che era volata giù dal blocco principale lo aveva fatto infuriare ben bene. Certo, i pochi che lo avevano visto il giorno dopo avevano riferito che sembrava piuttosto pacifico, ma poi era sparito per uno dei suoi viaggi, e nessuno aveva potuto accertarsene. E poi Crowley era nervoso quanto tutti gli altri. E Crowley, in quanto braccio destro dell’uomo bianco, era un termometro quasi infallibile dei suoi umori.
Eppure nessuno pensava ad andarsene. La fede in Finitevus in quasi tutti rasentava il fanatismo. Non se ne sarebbero mai andati.
Prima dell’epidemia i laboratori erano sconosciuti alla maggior parte di loro. Vi lavorava una ristretta cerchia di studiosi biochimici che, sotto la copertura da ricercatori, avevano studiato e testato malattie infettive per anni. Sembrava che nessun burocrate avesse notificato la costruzione dell’edificio centrale e della piccola città sorta dietro. Una città pressoché disabitata, fra l’altro, ma che dopo la diffusione del morbo aveva iniziato a popolarsi pian piano.
I superstiti avevano cominciato a dirigersi verso quel luogo quasi per istinto. Coloro che il Bianco aveva ritenuto DEGNI fra i superstiti, ovviamente. E poi avevano iniziato a sognarlo, prima di quelli che poi sarebbero migrati verso Metal city. Nei loro sogni, Finitevus appariva sotto un’ottima luce, come un salvatore che avrebbe riorganizzato quel caos. E tutti gli avevano creduto.
E come non credergli? Con loro era stato sempre generoso. La loro città aveva luce, calore e acqua corrente. Allevavano animali e avevano campi coltivati che fornivano loro cibi freschi. Sapevano che c’erano dei ribelli che non avevano ricevuto la “chiamata”, ma non si preoccupavano. Il loro capo avrebbe gestito tutto. Se loro avessero provato a danneggiarli, il capo avrebbe pensato a punirli. Molto semplice.
Soprattutto, erano armati.
Un dettaglio che a molti era sfuggito era la grande presenza di tecnici specializzati nelle varie materie. Oh, certo, Metal city ne aveva alcuni, ma quel luogo (non avevano ancora trovato un nome per la città, nonostante i mesi passati) ne aveva tre volte tanti. Come minimo. I migliori medici sopravvissuti, i costruttori. I fabbricanti d’armi.
Erano armati oltre ogni possibile immaginazione. Se i loro avversari lo avessero saputo, avrebbero perso ogni speranza. Da armi manuali di ogni calibro ad aerei militari, non mancava nulla.
Erano pronti a conquistare chiunque avesse cercato di ostacolare il Bianco...o a distruggerli. Erano sicuri di avere pieno controllo della propria situazione.
Ma ne sapevano molto poco.
L’errore comune, fra gli abitanti della città, era quello di credere che Finitevus, a parte alcuni poteri extra (come la capacità di entrare nei sogni, che loro avevano accettato con innaturale tranquillità), fosse fondamentalmente un echidna normale. Una sorta di mago.
Era anche il modo esatto in cui lui voleva che lo vedessero.
Perché lui non era,in nessun modo,normale.
Aveva camminato in quel mondo, e in molti altri, prima che tutti loro venissero alla luce. Era antico oltre l’immaginabile. Il suo aspetto era una maschera perfetta per mimetizzarsi fra i normali esseri viventi. Ma appunto, non era reale. Sotto di esso vi era qualcosa di oscuro, e tutto fuorché naturale.
Ma questo i suoi attuali concittadini, così come coloro che li avevano preceduti, non potevano saperlo. Anche se alcuni avevano un sospetto. Era poco più di una sensazione, una sorta di disagio che avvertivano quando vedevano il Bianco anche da lontano. Di solito lo scacciavano come un pensiero intrusivo. E chi sentiva il sospetto crescere...beh, ogni tanto qualcuno spariva semplicemente. Oppure veniva giustiziato davanti all’intera popolazione, per “crimini contro il governo”. E nessuno indagava più a fondo. Ogni cosa accadeva secondo gli ordini dell’Uomo Bianco. Era lui a dettar legge. Chi gli obbediva veniva premiato. E se a qualcuno succedeva qualcosa di brutto voleva dire che se lo era meritato.
In sostanza, chiunque avesse definito i seguaci di Finitevus degli estremisti religiosi, non avrebbe sbagliato poi di tanto.
 
Wave ne era un chiaro esempio.
Quando l’uomo bianco le aveva parlato, le aveva raccontato molto di più di quanto avesse fatto al resto dei suoi “eletti”. Le aveva mostrato un futuro dove lui avrebbe regnato incontrastato e lei sarebbe stata la sua compagna, se la rondine avesse fatto ciò che lui chiedeva. L’aveva attratta a sé e lei lo aveva seguito, eseguendo tutti i suoi ordini, con la speranza di poterlo chiamare suo “sposo”.
Non era rimasta delusa. Non proprio. Non ne aveva avuto il tempo.
Mentre a Metal city regnava ancora il caos, Wave era già in strada, in sella a una motocicletta. Aveva viaggiato per un giorno intero prima di incrociare Finitevus, che le era venuto incontro per portare a termine il suo piano fuori dalla sua città.
Perché se c’era una cosa che Wave aveva in comune con le altre persone che lui aveva raccolto, era che conosceva solo una parte di ciò che le sarebbe successo. Per l’esattezza, le mancava la parte dove l’uomo bianco l’avrebbe presa con la forza.
Il fatto era questo: il Bianco era una creatura sovrannaturale, di un genere che nessuno avrebbe saputo descrivere sulla Terra (anche perché nessuno lo aveva mai visto nella sua vera forma), e aveva visto passare secoli sotto i suoi occhi. Ma poteva morire. C’era una minuscola, infinitesimale possibilità che potesse morire. Oh, naturalmente era quasi impossibile che si venisse mai a trovare davanti un essere dalla forza pari alla sua, ma se mai fosse capitato, non avrebbe voluto andarsene lasciando quel pianeta nel caos. Non ora che i tempi erano maturi e lui stava prendendo il potere.
Perciò gli serviva un erede. E per avere un erede, gli serviva una donna che potesse ospitarlo nel suo grembo.
Non era stato facile trovarne una adatta. Doveva essere vergine, perché il suo corpo fosse puro e non contaminato. Ma d’altro canto non poteva essere una ragazzina, troppo acerba per un compito così fondamentale. Infine, era necessario che fosse capace abbastanza per poter obbedire ai suoi ordini. Wave era perfetta, secondo queste necessità. Per questo l’aveva contattata.
E per questo l’aveva attesa lungo la strada, paziente. Le aveva sorriso. L’aveva accolta. - Wave, Wave, oh, mia Wave.
Poi l’aveva fatta sdraiare a terra con la forza. Lei si era opposta, cercando di respingerlo, ma naturalmente era troppo debole contro di lui. Bastava un suo tocco per bloccarla contro il terreno. Le aveva strappato di dosso i vestiti e anche se la donna aveva chiuso le gambe, era stato necessario soltanto sfiorarle perché si aprissero come il Mar Rosso davanti a Mosé.
Lei aveva urlato, vedendo cosa la aspettava nei pantaloni dell’uomo. Ma non poteva sfuggirgli. E l’uomo bianco l’aveva presa beandosi dei suoi urli come di un toccasana, uscendo da lei solo quando era stato sicuro che la rondine avesse concepito. Non aveva calcolato che l’esperienza potesse essere talmente scioccante da farle perdere la ragione,ma non ne era rimasto stupito. Dopotutto lui era quello che era. Era comprensibile che un atto d’amore con un personaggio del genere potesse essere tanto doloroso da farla impazzire. E poi non era un grosso problema. Nello stato catatonico in cui era finita, non si sarebbe cacciata nei guai e avrebbe protetto suo figlio come una perfetta incubatrice. Poi, una volta terminata la gravidanza, non sarebbe stato difficile liberarsi di lei.
Perciò l’aveva condotta alla sua città come una bambina e ora la lasciava vagare per l’edificio centrale nel modo in cui la guidava il suo cervello disastrato, con uno dei suoi adepti alle calcagna perché non le accadesse nulla. La trattava con gentilezza,e così avrebbe continuato a fare...per un po’.
Finché gli fosse stata ancora utile.
 
C’era un motivo se Finitevus aveva lasciato la città. Lo faceva spesso, per seguire certe piste oscure che i suoi abitanti non volevano neanche immaginare. Tornando da una di esse aveva riportato con sé Crowley, che a volte dava un’impressione quasi più sinistra della sua. Perciò nessuno voleva indagare.
Ma stavolta era partito per sistemare le spie in arrivo.
La sua immagine era stata danneggiata da quel ragazzo volato giù dalla finestra, ma ora che era certo che altri come lui stessero arrivando, li avrebbe usati per restaurarla. E quando ritornò ai laboratori, dopo nemmeno due giorni, aveva organizzato ogni cosa. Ognuno di loro avrebbe avuto un assaggio del suo potere in modo diverso, ma tutti si sarebbero pentiti di averlo sfidato.
 
Shadow si fermò a osservare con occhio critico il macello che aveva davanti.
Era in viaggio ormai da giorni. Secondo i suoi calcoli non doveva mancare più molto alla destinazione. Non aveva ancora incontrato anima viva, ma riflettendoci ora non gli sembrava più così strano. Era ancora autunno, ma faceva già freddo. Nessuno si sarebbe messo in viaggio in quel periodo, a meno di non avere necessità impellenti o  di non essersi imbarcati in una missione suicida. Avrebbero aspettato che fosse passato l’inverno.
Questo era un bene. Non sapeva come avrebbe reagito nel vedere altre persone. Le avrebbe evitate in ogni caso. Ma era anche un guaio, perché ora avrebbe dovuto spostare da solo il caos di macchine che ingombrava la strada che stava percorrendo.
Era stata una visione normale per tutto il periodo post epidemia. La gente, terrorizzata dal morbo, fuggiva dalle città per sfuggire al contagio, e potevano accadere solo due cose: o creavano ingorghi tali da bloccare un’intera autostrada e dove proseguire a piedi, o morivano durante il viaggio, contagiati a prescindere.
Qui doveva essersi trattato del primo caso, perché i posti dietro al volante sembravano tutti vuoti. Comunque non era importante sapere cosa fosse successo. Il problema fondamentale era come proseguire oltre quel blocco impenetrabile.
Il riccio nero valutò attentamente la situazione. Poteva tornare indietro e cercare un’altra strada, ma così facendo avrebbe impiegato molto più tempo, rischiando anche di incrociare qualcuno degli altri. Poteva arrampicarsi sulle vetture abbandonate, ma era un grosso rischio, visto che potevano cedere sotto i suoi piedi. Oppure poteva cercare di aggirarle.  Era su una strada collinare, il che voleva dire un pendio in discesa a destra e un muro a sinistra. Il declivio era di terreno sassoso, ma  non aveva una grande pendenza. Con un po’ di attenzione sarebbe riuscito a girare intorno alle automobili e a tornare sulla strada senza problemi.
Naturalmente non aveva calcolato gli interventi esterni.
Cominciò l’attraversamento con cautela, cercando di non perdere l’equilibrio. Riuscì ad arrivare più o meno a metà del percorso e stava iniziando a pensare di avercela quasi fatta, quando un uccellaccio nero gli sfrecciò davanti agli occhi all’improvviso, facendolo trasalire e sbilanciare.
Cadde all’indietro e iniziò a scivolare, acquistando sempre più velocità e cercando invano di trattenersi. Provò a girarsi per non sbattere la testa, ma fu peggio. Urtò a tutta velocità con un ginocchio contro un sasso più grande degli altri,e fu sbalzato in avanti con uno schiocco secco,atterrando  sulla stessa gamba. Urlò per il dolore, ma la discesa non era ancora finita.
Finì la sua corsa qualche metro più giù, di schiena. Lo zaino attutì l’urto, ma si sentì lo stesso mancare l’aria di botto.  Quando riuscì a riprendere fiato, cercò di girarsi e il dolore alla gamba lo aggredì, come una lama penetrata fin nelle ossa. La guardò e gemette. Fantastico. Tutto a puttane.
- Ooooh, merda! – Gridò, dando un pugno al terreno.
 
Ora di quella sera, era ormai giunto alla conclusione che la sua situazione fosse un disastro.
Era ancora nello stesso punto in cui era atterrato ore prima. Non poteva in ogni caso muoversi granché. La gamba, probabilmente fratturata in più di un punto, lo riempiva di dolorose fitte in ogni minuto. Impensabile proseguire. Non prima di un mese, forse due.
E bisognava capire se sarebbe sopravvissuto così a lungo.
Aveva passato il resto del pomeriggio cercando di organizzarsi e di capire quali fossero le sue possibilità, e non erano molte. Steso il sacco a pelo in modo che gli fosse agevole entrarne e uscirne e estratte tutte le provviste rimaste,aveva valutato il suo stato e si era reso conto che con il numero di scatolette che aveva non avrebbe mai superato il paio di mesi di forzata immobilità che gli si prospettavano. E non era detto che non sarebbe morto di freddo. Aveva il sacco a pelo,certo, ma non sarebbe bastato quando la temperatura fosse scesa ancora. Non aveva neanche combustibile per il fuoco a portata di mano. E naturalmente non c’era nessuno che potesse aiutarlo. Persino quel dannato uccello che gli aveva tagliato la strada (era risultato essere un corvo, e con un aspetto che per qualche motivo gli ispirava ben poca fiducia) se n’era andato. Era rimasto per un pezzo appollaiato sul pendio, osservandolo attentamente, prima di volare via nella direzione in cui avrebbe viaggiato anche lui, se avesse avuto due gambe intere.
La questione era dunque grigia da qualunque parte la guardasse. La speranza di tornare in strada era veramente flebile, figurarsi quella di arrivare dall’uomo bianco o di tornare a Metal city. Se qualche viaggiatore avventuroso non fosse passato di lì, sarebbe morto nel modo più inutile possibile.
Una voce (sempre la solita,sempre affabile come al solito) cercava di dirgli di farla finita subito, piuttosto che soffrire per settimane. Shadow cercò di ignorarla, e si distese a fissare il cielo scuro, sapendo che fra il dolore e le pressanti preoccupazioni non sarebbe riuscito ad addormentarsi, ma sperandolo in ogni caso.
Se le sue previsioni erano giuste avrebbe avuto molto tempo per dare ascolto a quella voce insinuante...e per seguire i suoi consigli.
 
Sono tornata! Sono viva! E vi ho portato un capitolo osceno come dono. MEH. Che bello.
No, comunque, grazie anche solo perché mi leggete. Davvero. E' bello vedere che avete del tempo da spendere con le mie storie,anche quando sparisco per mesi. Vi amo quasi tutti. E se non rispondo a tutte le recensioni è solo perché non ho tempo.
Detto ciò, spero che gradiate anche tutto questo. Namarie!
^Ro
  
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