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Autore: Sunflowerbud    08/12/2014    0 recensioni
«Peeta si chiese se avrebbe mai potuto credere a quelle rivelazioni, se solo le avesse viste sbocciare da un altro paio di labbra.
Si chiese se sarebbero state capaci di fargli crollare il mondo addosso, allo stesso modo. Il suo mondo, ridotto in macerie nell’arco di pochi secondi, abbattuto da una manciata di parole farfugliate, ma spietate.
La sua voce era incerta, tremolante… un soffio appena sussurrato fra balbettii e frasi interrotte: Katniss non era mai stata un’esperta oratrice, e lui lo sapeva bene. Non molti giorni prima, le aveva rinfacciato anche le sue abilità di attrice, chiedendole come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento. Ma adesso… era caduto anche lui allo stesso livello del pubblico di Capitol City, sciocco spettatore di un’esibizione abilmente costruita, ingenuo complice di una recita che non pensava fosse tale?
"Per le telecamere"
"Sono confusa"
Non riusciva più a ragionare. Ma non c’era molto da capire, in quell’accozzaglia di parole, tentativi di spiegazioni e, forse, giustificazioni. »

"Will we ever have an happy ending, or will we forever only be pretending?" - Pretending, Glee
Song-Fic | Post-Hunger Games/ Pre-Catching Fire | POV Peeta ♥
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:
I personaggi e i luoghi di questa fanfiction (ahimè ) non mi appartengono, ma sono proprietà di Suzanne Collins. Questa fanfiction è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.



 

Pretending

Capitolo 1

Nothing

 

 


- “E’stato tutto per le telecamere. Il tuo modo di comportarti.”
- “Non tutto.”
- “Allora quanto? No, lascia perdere. Immagino che la vera domanda sia: cosa resterà quando torneremo a casa, vero?”
- “Non lo so. Più ci avviciniamo al 12, più sono confusa.”
- “Be’, fammi sapere quando l’avrai capito.”


“Hunger Games”, Suzanne Collins

 

 

 

Peeta salì sul treno senza voltarsi indietro.
Camminava veloce, diretto alla sua stanza, ma il suo incedere era disconnesso, irregolare.
Cercò di giustificare quella patetica mancanza di coordinazione accusando la gamba metallica, con cui non aveva ancora familiarità. I medici erano stati chiari: sarebbe passato del tempo prima che il suo zoppicare sarebbe scomparso del tutto, prima che un fastidio spiacevole avrebbe smesso di accompagnare ogni passo compiuto.
Peeta avrebbe preferito che fosse solo la protesi, a determinare la sua mancanza di equilibrio: un marchingegno privo di vita cui doveva semplicemente abituarsi.
Ma preferì non ricordare che cosa era appena successo. Preferì non ricordare che le cose stavano in modo diverso.
Ogni tentativo di nascondere a se stesso la verità cadde nell'istante in cui si scontrò con un oggetto, posto con attenzione su un tavolino, ma che lui non aveva minimamente notato. Che gli fosse peggiorata anche la vista, tutt’ad un tratto? Quella di Effie pareva impeccabile come sempre, perché intercettò in un attimo il vaso che stazionava sul pavimento, anche a distanza di metri dalla sua postazione. Si alzò di scatto, con la velocità con cui si drizzano le orecchie di un cane allarmato, gli occhi sbarrati sulla ceramica scheggiata, la bocca già spalancata per chiamare il suo nome.
Ma Peeta non si preoccupò di nessuno dei due.

Ringraziò che il vagone destinato a lui fosse poco lontano, perché non sapeva quanto avrebbe potuto continuare.
Avrebbe detto che il suo corpo si trovava ancora sul binario, tra cespugli selvatici e fiori rosa, perso a rincorrere, zoppicando, un significato nascosto dietro al discorso di Katniss, se non fosse che… la ferita che quelle parole gli avevano lasciato era viva dentro di lui, e grondava sangue. Pur impalpabile, pur invisibile, Peeta la sentiva bruciare, proprio all'altezza del petto; lo annientava e lo sfibrava, ad ogni passo che faceva.

Ecco, la causa del problema.

Finalmente riconobbe la sua camera, a pochi metri da lui, e gli sembrò un miraggio, quasi un'allucinazione. Sgattaiolò dentro senza ripensamenti, accolto solo da un piccolo rettangolo luminoso proiettato sul pavimento, che tracciava i contorni del vano d'ingresso. La voce insistente dell'accompagnatrice, che tentava ancora di interrompere la sua corsa, cessò del tutto quando la porta della stanza si richiuse dietro di lui, portando via anche l'ultimo fascio di luce, consegnandolo al buio irreale dell’appartamento. Solo, con i suoi pensieri, e brandelli di conversazione che sembrava conoscere già a memoria.
Non era esattamente solo.

Peeta retrocesse di un passo, e la sua schiena incontrò il freddo acciaio della porta.
Congelato in quella posizione, ascoltava il ritmo del suo respiro accelerato e il battito del suo cuore infranto, per non prestare ascolto alle parole che gli ronzavano nella testa.
Si aggrappava a quei suoni accelerati, meccanici, ripetitivi, mentre il vortice di ricordi e verità dolorose generato da quella ferita spalancava le fauci sotto di lui. Si aggrappava con tutta la forza che gli restava in corpo, contando i battiti, contando i respiri, ma la tempesta distruttrice che imperversava nella sua testa era troppo forte perché riuscisse ad opporsi.

Per le telecamere
Sono confusa


Si rese conto che ogni tentativo di cancellare quelle parole sarebbe stato inutile. Inutile, come il tempo speso per far tornare incolume un vaso caduto sul pavimento; vano, come lo sforzo di Effie di chiamare Peeta, battendo senza tregua sulla porta.
La sua mente navigava impotente fra quelle frasi, sballottata di fronte ad un nuovo stato di cose che lui avrebbe dovuto semplicemente accettare.
Ma continuava a ripetersi che non era possibile, che si stava sbagliando. Che era solo un incubo, che presto avrebbe aperto gli occhi e avrebbe trovato Katniss, accanto a sé, ancora innamorata di lui, ancora pronta a morire per proteggere lui.
Scuoteva la testa, ripetutamente, le mani immerse nei ricci, come se sperasse di svegliarsi, e riprendersi da quell'agonia.
Il movimento del capo continuava, ma niente accennava a mutare.
Non poteva crederci.
Non voleva crederci.

Per le telecamere
Sono confusa


Si chiese se avrebbe mai potuto credere a quelle rivelazioni, se solo le avesse viste sbocciare da un altro paio di labbra.
Si chiese se sarebbero state capaci di fargli crollare il mondo addosso, allo stesso modo. Il suo mondo, ridotto in macerie nell’arco di pochi secondi, abbattuto da una manciata di parole farfugliate, ma spietate.
La sua voce era incerta, tremolante… un soffio appena sussurrato fra balbettii e frasi interrotte. Katniss non era mai stata un’esperta oratrice, e lui lo sapeva bene. Non molti giorni prima, le aveva rinfacciato anche le sue abilità di attrice, chiedendole come avesse fatto a sopravvivere fino a quel momento. Ma adesso… era caduto anche lui allo stesso livello del pubblico di Capitol City, sciocco spettatore di un’esibizione abilmente costruita, ingenuo complice di una recita che non pensava fosse tale?

Per le telecamere
Sono confusa


Non riusciva più a ragionare. Ma non c’era molto da capire, in quell’accozzaglia di parole, tentativi di spiegazioni e, forse, giustificazioni.

 

                                Niente.

                                Rispose così alla sua stessa domanda.
                                “Che cosa resterà quando torneremo a casa?”

                                                Niente.

 

Il battito cardiaco di Peeta non accennava a rallentare, ma le mani di Effie si erano stancate di battere a vuoto. Percepì rassegnazione e risentimento nella sua brusca interruzione, che mal celava la stizza di chi esige, sopra ogni cosa, rispetto e buon educazione.
Avrebbe dovuto scusarsi con lei, prima o poi, ma non aveva voglia di parlare con nessuno.
Si sentiva così deluso, tradito, ferito.
Da Katniss, da Haymitch, da tutti.
Tutti avevano approfittato dei suoi sentimenti e li avevano utilizzati per… ancora stentava a capire per cosa. Per concedergli una sopravvivenza a cui aveva già rinunciato in partenza, forse? Probabilmente neanche. Tutti si erano serviti di lui, ma per i loro scopi, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Cosa può essere, del resto, un sogno di una vita ridotto in macerie, un cuore innamorato distrutto in mille pezzi?

Niente, si ripeté ancora.

Il suo amore era stato calpestato, era pronto per essere cestinato, e non importava a nessuno.
Nemmeno a Katniss, a cui era sempre stato destinato.
Nemmeno a Katniss, per la quale aveva creduto di essere, per la prima volta proprio durante quei Giochi, un po’più speciale.

Si domandò dove fosse, cosa stesse facendo, mentre la Ragazza in Fiamme complottava con il loro mentore, accettando il piano che aveva messo a punto per garantirle la vittoria. Si immaginò la scena, l’espressione di Katniss e il fare convincente di quell’ubriaco, e il suo unico desiderio fu quello di riavvolgere il nastro degli eventi, per tornare ai giorni dell’addestramento, irrompere in quel salotto e rovesciare il tavolo su cui stavano decidendo tutto. Su cui lo stavano rendendo una stupida pedina dei loro giochi.
Sentì la rabbia montare nel petto, un impulso incontenibile che gli urlava di sbraitare contro Haymitch, incollarlo al muro e distruggere i suoi piani, come lui aveva fatto con i suoi sogni.
E quasi non se ne rese conto, quando si protese in avanti con un movimento incontrollato, iniziando a brancolare nel buio senza una meta: più volte percepì qualcosa intralciargli il percorso, ma non si fermò.
Andava avanti, tagliava l'aria con le braccia, girava in tondo, incespicava con dolore, si rialzava con rabbia. Dietro di lui, seminava cocci e frammenti di tutte le dimensioni, accompagnato dal fragore inconfondibile di oggetti che si rompono per sempre; nella sua mente, continuava a chiedere a Katniss perché aveva dovuto ingannarlo tanto.
Ma accanirsi contro l’arredamento della sua camera non riusciva a svuotarlo della frustrazione che gli torceva lo stomaco. E non perché, fra quegli oggetti, non avesse trovato il loro mentore da aggredire. Ma perché c’era un altro stupido contro cui avrebbe dovuto avventarsi.

“Sapeva che eri abbastanza sveglio da capire”

No, non era abbastanza sveglio da capire.
Lui era uno stupido, e non aveva capito nulla.
Era un illuso, un illuso che aveva creduto che un poco di felicità sarebbe potuta spettare anche a lui, dopo tutto quello che aveva passato.
Aveva trascorso anni a pregare per un’occasione per parlarle ancora. Promettendo a se stesso che, allora, avrebbe lottato, dato il mondo per Katniss, per dimostrarle quanto l’amava. Non era convinto che lei avrebbe ricambiato, ma, fosse stato anche solo un centesimo del sentimento che provava lui, Peeta ci sperava.
Ma si era aggrappato a qualcosa di minuscolo, effimero, inconsistente, e lui era solo uno stupido, a credere che sarebbe bastato condividere lo stesso destino di morte per riuscire a conquistare un cuore - un cuore già occupato da tempo.
Come aveva potuto sbagliarsi tanto?

Esausto, sconfitto, si fermò a pochi passi dal letto, il viso rigato da lacrime che non aveva avvertito scendere. Si abbandonò sul materasso, affondando la testa nel cuscino, dove, da bambino, soleva nascondere frustrazione e dolore per i quotidiani rimproveri di sua madre: per il pane bruciato, per un brutto voto a scuola… per la stupidità con cui contemplava ogni giorno, inebetito, la bambina con le trecce del Giacimento.
Una volta, il piccolo Peeta aveva provato a raccontare alla madre del suo segreto, aveva tentato di spiegarle come, prima o poi, la sua compagna di classe avrebbe certamente ricambiato il suo amore. Si era fatto coraggio e aveva mostrato alla donna una prova inoppugnabile, che sarebbe valsa più di mille parole. Una pagina strappata dal suo quaderno arancione, il suo preferito. Un elenco di piccole e grandi azioni che avrebbe fatto per conquistare Katniss.
Sua madre aveva preso la lista in mano, scrutando in silenzio la grafia incerta del figlio, ma il suo sguardo aveva indugiato troppo poco sulla pagina, troppo poco perché ne avesse completato la lettura. Presto Peeta comprese che non le interessava completare la lettura.
Con foga, la Signora Mellark strappò il foglio a metà. E poi ancora a metà. Ancora ed ancora, la Signora Mellark riduceva in mille pezzi il tesoro più prezioso del figlio.
Il bambino assisteva alla scena straziato. Inerme, impotente, osservava il suo sogno sgretolarsi insieme alla carta.

“Sei uno stupido! Sei un illuso!”

Peeta aveva cercato di raccogliere quei brandelli che cadevano feriti sul pavimento, gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Le mani gli tremavano, mentre i frammenti ingialliti gli sfuggivano fra le dita, troppo piccoli per poter tornare in vita: nessuna colla li avrebbe mai rimessi insieme.

“Devi smetterla, Peeta, devi smetterla di essere così idiota!”

Aveva pianto. Forse per ore, forse per giorni, aveva pianto a dirotto, pregando il suo cuscino di portarlo via, lontano, lontano da quella donna che non lo voleva come figlio.

Ma solo sul treno, quel giorno, con la faccia premuta contro un altro cuscino, sconosciuto, per soffocare singhiozzi strozzati e singulti di un cuore spezzato, Peeta riuscì a realizzare che sua madre, in fondo, aveva ragione.
Non era la speranza la sua vera forza.
Sperare era stato il suo primo, irrimediabile errore.

 

 

 


Angolo dell’autrice
(anche chiamato “Piccola apologia per giustificare questa cosa”)

 

Un saluto e un abbraccio a chiunque sia capitato nella pagina di questa mia primissima fanfiction ♥
Non vi nascondo che sono emozionata, perché, per quanto abbia grande familiarità con Efp e adori già da un po' il mondo di Hunger Games, non ho mai avuto il coraggio di pubblicare qualcosa in questo fandom. Dopo lunghi - molto lunghi... - ripensamenti, mi sono finalmente decisa a farlo, benché, purtroppo, non sia ancora convinta del risultato. Proprio oggi, però, è passato un anno dal giorno in cui ho iniziato a scrivere questa fanfiction, e... ho pensato che fosse davvero arrivato il momento di condividerla anche con voi.
Pretending è stata concepita per essere una raccolta di one-shot missing moment focalizzate su Peeta e ambientate nell'intervallo compreso fra Hunger Games e Catching Fire. Dovrebbero essere quattro racconti, ma ancora non sono sicura; so per certo che mi lascerò guidare, nel tentativo di descrivere i contrastanti stati d’animo di Peeta, dalle note della canzone “Pretending”, di Glee, a cui è ispirato il titolo della fic. In questa prima one-shot non ho riportato nessuno stralcio della canzone, ma già dalla prossima le parole del testo (a mio parere splendide) diventeranno il filo conduttore nell’introspezione di Peeta. Get ready! :)

Spero con tutto il cuore di non aver fatto un disastro con la caratterizzazione di Peeta. E’ il personaggio che mi sta più a cuore, quello cui sono più legata (♥), e so che non gli ho reso, comunque, abbastanza onore... ma spero almeno di non averlo deformato o stravolto completamente :)
Non è stato semplice realizzare questo ritratto di Peeta, immortalarlo in un momento così critico per lui. Ho pensato che le emozioni di Peeta, e di conseguenza anche la sua immagine, dovessero differire da quelle del solito, dolce “Ragazzo del Pane”; ho pensato che le parole di Katniss l’avessero scosso, deluso, fatto arrabbiare. Oltre al suo dolore per la "ferita" (che altro non è che una metafora del suo cuore spezzato), nell'ultima scena ho descritto un Peeta quasi violento: ho il timore di essere caduta nell’OOC, anche se… si è trattata di una scelta meditata e ponderata, l’unica che, alla fine, mi sembrava davvero realistica. Credo che la sua reazione di rabbia e sfogo "fisico" (comunque circoscritti e limitati) siano una naturale conseguenza del cambio degli eventi che ha dovuto affrontare: drastico, inaspettato e così terribilmente amaro, difficile da sopportare anche per un ragazzo buono e “pacifico” come Peeta; un ragazzo che ci aveva creduto tantissimo.
Aspetto comunque di sapere che ne pensate voi, e sono già pronta a ricevere tutti pomodori che riterrete opportuno lanciarmi! :P
Per quanto riguarda il personaggio di Effie, ho pensato che fosse plausibile che seguisse Peeta fino al suo vagone, e solo fino ad un certo punto per il vaso, ma perché vedere Peeta sconvolto, che procede dritto alla sua camera senza fermarsi nemmeno un istante dopo quel piccolo incidente... doveva aver insospettito anche lei. Spero solo di non averle attribuito un comportamento sbagliato ♥

Dedico questa mio approdo nel fandom a cinque persone speciali che ho conosciuto grazie ad “Hunger Games”, che hanno allietato i miei occhi con le loro storie, le mie giornate con la loro simpatia, e che hanno riempito il mio cuore con la loro infinita dolcezza. Si meriterebbero qualcosa di più e di meglio, ma questo è soltanto un piccolo gesto che ci tenevo comunque a fare, per ringraziarle di tutto. ♥
Ripercorrendo con la mente la successione in cui le ho conosciute, il mio pensiero vola a…

A Deb.
La prima persona conosciuta nel fandom, cui dedico un enorme grazie per la sua costante, meravigliosa presenza. Perché, anche se l’ho incontrata “solo” un anno fa, mi sembra di averla accanto da sempre.
La ringrazio per la sua unica capacità di consigliarmi e confortarmi, regalandomi sorrisi, e perle di dolcezza: parole semplici ma perfette, che arrivano sempre nel momento in cui più ne ho bisogno.

Perché è una persona fantastica, e perché ogni altra parola non potrà mai bastare, per tutte le cose per cui la vorrei ringraziare.

A Kary91.
Al suo amore incondizionato per i bambini, alle sue storie meravigliose e alla sua dolcezza. A “Molto forte, incredibilmente vicino” e alla conversazione che ci ha fatto avvicinare - sono debitrice ad entrambi per aver potuto conoscere una persona così splendida, e speciale. La ringrazio per avermi insegnato ad apprezzare Gale, cosa che credevo impossibile, e per tutti i piccoli e grandi gesti che mi ha dedicato e continua a dedicarmi, sempre capaci di farmi sorridere, commuovere ed emozionare.

A _eco.
Alla sua sensibilità e incredibile saggezza, al suo talento nella scrittura e alla sua simpatia travolgente. A _eco, perché, anni fa, per me era solo la bravissima autrice di una storia che mi era rimasta nel cuore; perché, ora, è diventata una ragazza straordinaria su cui so di poter sempre contare. Ringrazio la felice coincidenza che mi ha permesso di incontrarla ancora, e di scoprire quale cuore grande si nasconde dietro quel modo di scrivere eccezionale. La ringrazio per ogni momento trascorso, anche se a distanza, insieme.

A gabryweasley.
Alla sua tenerezza. Alla sua pazienza con cui ha sopportato i miei ritardi più eclatanti, e alla dolcezza con cui mi ha sempre accolto, a braccia aperte. A tutte le splendide parole che mi ha dedicato, ringraziandomi per il mio affetto, o per la mia dolcezza, senza accorgersi che era lei ad irradiarne ancora di più. Colgo l'occasione per mandarle un abbraccio... anzi, per mandarglielo doppio.

A LaGattaImbronciata.
Alla sua forza d'animo, al suo umorismo travolgente, al realismo disarmante con cui è capace di descrivere ogni scena, rendendola, più che parte di un racconto da divorare, un dipinto mozzafiato da contemplare. La ringrazio per ogni parola d'affetto e sorriso regalato, e le mando una stretta forte, perché possa ricordare quanto lei è forte, unica e straordinaria.

 

Terminata la mia lista chilometrica di dediche, colgo l'occasione per menzionare a parte la mia sorellina, che ringrazio per... tutto, anche se qui, in particolare, le voglio dire grazie per avermi iniziato alla lettura di Hunger Games: perché è merito suo se ho potuto scoprire ed amare questo mondo, e... arrivare fino a questo punto. ♥

Credo di non aver più nulla da dire, ma, se voi aveste qualche commento, domanda, o semplice esortazione a ritirarmi in un angolino e a scomparire da Efp... ogni vostra parola sarà accolta a braccia aperte ♥

Vi ringrazio di cuore per essere arrivati fin qui! ♥
Ci vediamo prossimamente con la seconda one-shot della raccolta, che, vi avviso, sarà un'altra bomba di introspezione. Non so quando arriverà - io sono un bradipo di mio, e gli esami sono un bell'ostacolo in questo genere di cose! :( - ma spero comunque il prima possibile.
Grazie ancora, e a presto ♥

Sunflowerbud
  
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