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Autore: Schully    10/12/2014    1 recensioni
Capitoli in revisione.
Mi sono messa a pasticciare dopo un finale di metà stagione mooolto deludente... se vi piace sognare forse questa storia fa per voi... premetto che l'ho scritta e pubblicata... non le ho dato il tempo di riposare sono troppo arrabbiata se c'è qualcosa da aggiustare dite son tutta orecchi.
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Carol Peletier, Daryl Dixon, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il limbo dei ricordi… parte seconda
 
 

Il dottor Edwards mi parla ma il battito del mio cuore, accelerato dalla paura, mi rimbomba in testa impedendomi di sentire cosa dice con la sua voce cantilenante e fastidiosa. Dio, come lo odio... Più lo conosco, meno lo sopporto. Dottore da strapazzo, Rick mi ha convinto a non ucciderlo ripetendomi fino allo sfinimento che il suo è stato un errore in buona fede. Non aveva intenzione di fare del male a Beth, nessuno poteva prevedere la sua allergia ad uno degli eccipienti del farmaco equivalente. Ma io vorrei torcergli il collo con le mie mani comunque, per ciò che ha causato.
Ora il suo coma non è più farmacologico ma è provocato dallo stress subito dal suo corpo durante l’intervento, combinato con l’arresto cardiaco, causato dallo shock anafilattico. Le settantadue ore erano quasi scadute, ora invece non sappiamo quando si sveglierà, se si sveglierà.

“Non puoi farmi questo per una terza volta, ragazzina! Il mio cuore malconcio non reggerebbe ancora.” Maggie si è sentita male e, viste le sue condizioni, non mi stupisco poi tanto. La gravidanza che lei e Glenn volevano tenere privata, almeno per il momento, è venuta allo scoperto. Siamo in un ospedale, in piena apocalisse con mezzi limitati, tenere dei segreti è praticamente impossibile. Ora è sotto osservazione nella stanza attigua a quella di Beth, Glenn è al suo capezzale.
Riconosco quello sguardo perché è identico al mio in questo momento ed è come se fossimo sospesi su un baratro oscuro e profondo e l’unica ragione che ci trattiene dal cadere è la donna stesa esanime nel letto di fronte a noi. “Ti capisco, fratello” penso amareggiato, mi siedo sulla poltroncina accanto al letto di Beth e afferro la sua mano inerme tra le mie:
«Tua sorella è incinta di due mesi, Beth, pensa che bella notizia. Un compagno di giochi per la piccola spaccaculi. Resisti, ti prego! Non vuoi vedere il tuo nipotino?» Mi sento così impotente, ma giuro che troverò il modo per impedirti di lasciarmi solo nuovamente.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Mi sono svegliata in questo letto che, non so perché, ma mi è estremamente familiare. Credo di essere in un ospedale, anche se sembra troppo deserto e un po’ malconcio per essere del tutto in funzione. Una flebo vuota mi penzola dal braccio, tolgo l’ago e mi metto seduta:
«C’è nessuno?» Domando alla stanza vuota; la voce mi esce debole, la gola è secca, non ottengo nessuna risposta, forse non mi hanno sentito. Schiarendomi la voce riprovo con un tono più alto:
«C’è nessuno?» Il suono si propaga in un eco lugubre. Nessuna risposta. Di sicuro non posso stare qui in attesa di non so nemmeno io cosa. Cerco di alzarmi ma ho le gambe molli e appena cerco di sollevarmi un capogiro mi coglie; mi risiedo malferma sul letto. “Coraggio, Beth, ce la puoi fare!”
Riprovo ad alzarmi con calma, saggiando il terreno, posando sul pavimento freddo prima un piede, poi l’altro, le mie gambe tremano un poco ma riesco a mantenere l’equilibrio reggendomi alla spalliera del letto. Mantengo questa posizione quel tanto che basta finché sento le forze che ritornano nei miei arti atrofizzati. Mi avvio lentamente verso la porta della camera e aprendola mi trovo in un corridoio altrettanto deserto. Sì, decisamente è un ospedale; barelle ammaccate sono accatastate alla rinfusa, un paio di supporti per le flebo buttati per terra mi ostruiscono il passaggio; normalmente le scavalcherei con facilità ma ora lo sforzo di sollevare il piede, se pur di poco da terra, mi pesa enormemente. Concentrandomi riesco a superare l’ostacolo e svolto all’angolo che si para alla mia destra.
Porte semi-scardinate cigolano su cardini arrugginiti. La luce è intermittente, si alterna con il buio più completo, mi sembra di essere in uno di quegli horror che piacevano tanto a Maggie e che mi obbligava a guardare con lei. Confesso che ho un po’ paura, l’ignoto mi ha sempre spaventato. Mia sorella era quella che incitava la o il protagonista di turno ad andare avanti, io ero quella che pensava:
“Idiota, dove cazzo vai? Esci da lì o farai una brutta fine”. Quindi non mi sento molto a mio agio in questa situazione, lo confesso. Se fossi a casa e mi guardassi alla tv mi direi di scappare, di non provare minimamente ad andare avanti, ma ora la realtà è ben diversa dalla finzione, quindi che alternative ho? Tornare indietro? Rimettermi a letto ad aspettare in un ospedale deserto? Che cosa, poi? Che qualcuno mi salvi?
Non credo sia la soluzione; che mi piaccia o no, devo proseguire. Improvvisamente un pianto infantile riecheggia intorno a me, ma non riesco a capire da dove provenga e con la coda dell’occhio vedo un’ombra furtiva che si muove velocemente alle mie spalle, così mi volto fulminea ma non colgo nessuno con lo sguardo. Beth, sei nella merda, bella, calda e puzzolente, come quella di cavallo che dovevi spalare per punizione, quando ne combinavi una delle tue alla fattoria, e ora ti sommerge fino al collo. Mi dico: “Perfetto!” Riprovo poco convinta:

«C’è nessuno?» Ancora una volta l’unica risposta che sento proviene dalla mia eco che rimbomba per l’ospedale deserto. L’avevo già detto che sono nella merda? Credo di sì. Il pianto raggiunge ancora le mie orecchie, però ora il suono sembra focalizzato di fronte a me, lievemente spostato sulla sinistra, e non è un bambino solo, ora che lo sento meglio, ma sono due. Ne sono certa. “Cazzo!” Non posso star qui senza far niente. Il mio corpo si muove ancora prima del mio cervello e si butta a capofitto nell’inseguire quel pianto che, seppur flebile, si sente ancora. Avanzo incerta e spaventata per questo corridoio, fino a che non mi trovo di fronte un portone di legno che mi ricorda tantissimo quello del granaio di casa mia. “Non è possibile”. Una luce calda filtra da sotto la porta e sento un’altra volta quel pianto. “Ok, sono ufficialmente terrorizzata!”
Però so che se voglio salvare quei bambini devo proseguire, e al diavolo Maggie e i suoi film horror pieni di regole, regole che comunque ho già trasgredito. Violando la prima è come se le avessi violate tutte. Un’altra legge è stata costante nella mia vita: quella di Murphy. So già che finirà male, ma devo comunque provarci. Devo salvare quei bambini, quindi metto le mani aperte sulle ante e spingendo apro il portone…
 
Continua…
 
 
   
 
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