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Autore: Durhilwen    12/12/2014    5 recensioni
Qui non troverete nessun principe elfico, nessun mondo da salvare, e assolutamente nessuna damigella in pericolo.
Perché questa è la storia di come dalla Morte sboccia la vita, dagli errori il perdono, e dall’odio... l’amore.
E’ la storia di un Orco come mai l’avete visto prima d’ora.
-
E’ collegata in ordine cronologico a “la scelta giusta”; vi consiglio di leggere prima la Flashfic appena citata, se avete intenzione di continuare.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galadriel, Nuovo personaggio, Orchi
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo terzo: quindi... in che mondo siamo?

 
Rimasi per un attimo ad osservarla con attenzione; aveva lunghi capelli castani, la pelle chiara ma non pallida, gli occhi più gelidi che avessi mai visto: il colore era scuro, e il taglio conferiva allo sguardo un non so che di interessante, di magnetico.
Spostò il peso del corpo da un piede all’altro, con visibile impazienza.
La lunga veste ondeggiò con delicatezza: “Allora? Vuoi rispondermi o no?”
La guardai con espressione seria, poi sorrisi: “Non mi ucciderai comunque”.
Lei rimase per un attimo interdetta, poi arricciò il naso e rispose beffarda: “E cosa te lo fa pensare, straniero?”
“Principalmente perché sei curiosa di sapere chi sono e da dove vengo, pertanto non mi ucciderai fino a quando non risponderò in maniera soddisfacente.
E se decidessi di darti una sincera spiegazione, rimarresti così sorpresa da lasciar perdere i tuoi piani omicidi.”
Inarcò il sopracciglio con irriverenza, fece un passo indietro e sistemò la (mia!) spada nel (mio!) fodero.
Poi poggiò le mani sui fianchi e mi sfidò: “Molto bene, se il tuo racconto ti salverà, non potrò far altro che ascoltarlo con piacere!”
Si sedette sull’erba e continuò: “Io ho tutta la vita davanti, tu invece… incatenato in quel modo, senza cibo né acqua, durerai si e no qualche giorno.”
Devo ammetterlo, lei era palesemente in vantaggio.
Tentai di stiracchiarmi con impazienza, quando riuscii di sfuggita a scorgere un lembo della mia pelle tra le pesanti catene  nere che mi bloccavano le caviglie: era di un colore neutro, chiaro, umano.
 
Sono un essere umano!” urlai sorpreso, “Niente pelle coriacea, niente cicatrici, niente di niente… sono come voi!”
“Ma di che cosa stai parlando?” ruggì lei.
E chi poteva starla a sentire in quel momento?
Il mio orribile aspetto aveva finalmente ceduto il posto a qualcosa di nuovo e meravigliosamente normale.
Quindi era questo a cui si riferiva la Dama Bianca, nominando la razza che eravamo!
Esseri belli, esseri puri, dai tratti umanoidi e piacevoli da guardare.
L’Oscuro Sire si era dato un bel daffare per trasformare quelli come me nelle mostruose creature che spaventavano la Terra di Mezzo…
 
“Sono bello?” chiesi senza riflettere, con un sorriso a trentadue denti.
Lei arrossì di sfuggita, poi scattò di nuovo in piedi e sfoderò la lama nera, appoggiandone la punta tra i miei occhi: “Il tuo grazioso faccino non renderà il trapasso meno doloroso.
Parla adesso, o ti toccherà urlare.”
Per quanto potesse farmi metaforicamente gonfiare il petto d’orgoglio quel suo mezzo complimento, anche qui devo ammettere che era lei ad avere il coltello dalla parte del manico.
E questa non è per niente una metafora.
La guardai negli occhi cercando di apparire convincente: “Non è semplice… potrei dire cose incomprensibili alle tue orecchie, e non intendo rischiare la mia vita per una verità che potrebbe essere erroneamente scambiata per una bugia.”
Sembrò volerci credere, così fece un cenno per spingermi a continuare.
“Sicura di volermi ascoltare?” chiesi, catturando definitivamente la sua attenzione.
Lei sistemò nuovamente la spada nel fodero, si sedette e rispose: “C’è un solo modo per iniziare a raccontare qualcosa di incredibile, ovvero dire il proprio nome.”
“Mi chiamo Ishdreg…”
“Mai sentito. Da dove vieni?”
“Mordor…”
Ci fu un silenzio imbarazzante.
“Scusa, non conosco questo posto. E’ in Egitto? In Persia?” il suo sguardo si fece tagliente “sei per caso una spia Persiana?”
Non seppi cosa dire.
“Di cosa… di cosa stai parlando?” balbettai incerto.
“Non fare il finto tonto! Questa ‘Mordor’ è un nome in codice, non è così? Sei una spia Persiana! Lo sapevo!” si alzò in piedi e per l’ennesima volta mi puntò la (mia, diamine, sempre la mia!) spada alla gola con fare minaccioso.
“E smettila con questa spia Persiana, che vai dicendo?! Non ho mai sentito parlare di alcun Egitto, né di alcuna Persia.
Dimmi, piuttosto, dov’è che mi trovo?”
Per la prima volta la sua bocca si aprì in un’enorme ‘O’ di stupore: “Stai dicendo la verità? Non sai che posto è questo?” le scappò una risata di scherno.
“No, non lo so. Non so dove sono, non so chi sei, non so che cosa faccio qui e… per tutti i troll, non sono una spia! Posa la mia spada!”
Mi fece un mezzo sorriso e rispose con tono pacato, quasi schernendomi gentilmente: “Puoi chiamarmi Namìvya, non ho idea del perché tu non sappia cosa stai facendo qui se non sei una spia, e ti trovi nella capitale dell’eleganza e della bellezza: Atene!”
Vorrei poter dire che in quel momento stessi scherzando, ma quando chiesi: “Quindi… in che mondo siamo?” seppi di aver appena posto la domanda più seria del mondo, quale che fosse.
 
“Non puoi non aver sentito parlare di Atene, delle sue prodezze in battaglia, del suo splendore! Sei davvero così lontano dal tuo paese?
Vieni dal Nord? O da oltre il mare?
Stai mentendo? Quanto mi piacerebbe viaggiare!
Mh, sembri sincero… come sei arrivato qui?”
Tutta l’arroganza di prima era svanita per lasciar spazio ad una ragazza alle prese con la curiosità di scoprire nuovi luoghi.
Continuò a fare domande e ad accettare solo mezze risposte, in quanto la sua sete di sapere non mi permetteva molta libertà di spiegazione.
Più la guardavo e più riuscivo a capirla: tutta l’aggressività, la destrezza con la lama, le parole sibilate, erano solo una debole strategia di difesa.
Quanto poteva essere giovane?
Quanto poteva essere… sola?
“Namìvya…” la chiamai piano, distraendola dalle sue chiacchiere senza un apparente filo logico.
“Si?”
“Sei molto giovane, giusto?” temevo, in parte, la sua risposta.
“Beh, no, ormai ho quindici anni, anche troppi…” un velo di tristezza le oscurò il volto, la dolcezza fanciullesca dei suoi tratti divenne acciaio.
Mi parve di vederla tremare leggermente.
“Troppi per cosa? Namìvya, non voglio farti del male, voglio aiutarti.
Perché sei così sola? Perché sei così triste?”
Mi guardò in un modo strano, come se volesse studiare le mie parole.
Si sarebbe fidata di me?
Fece un respiro profondo e continuò: “Sono la figlia di una prostituta, non ho futuro qui.
Presto verrò venduta a chi apprezzerà il mio corpo più delle mie idee.
Diverrò un oggetto per chi mi comprerà, nulla di più.
Non posso oppormi, non posso combattere, posso solo subire.
Le donne fanno questo.”
Strinse i pugni e si allontanò da me.
 
•••
 
Un oggetto, aveva detto che sarebbe diventata.
Come si può rubare la libertà a qualcuno?
Possibile che il male fosse giunto anche laggiù?
Altre domande che rimasero bloccate tra le mie labbra ancora per molto.
 
Lei tornò il giorno dopo con una ciotola di strana zuppa tra le mani: “Se non ti piace, puoi rimanere a digiuno.”
Ancora una volta quell’indifferenza tagliente fece capolino.
“Che ne diresti di liberarmi? Dopotutto che male potrei farti, disarmato?”
“Non se ne parla! Tu rimarrai incatenato qui fino a quando lo decido io!” rispose lei freddamente.
Non sapevo più che dirle; chi avrebbe potuto far cambiare idea ad una persona così?
Sorseggiai la mia minestra reggendo la scodella con l’unico braccio relativamente libero che avevo a disposizione.
Lei mi fissò a lungo, poi ruppe il silenzio: “Questo giardino è un luogo segreto noto solo a me. Si può raggiungere con una galleria attraversante  il colle, la cui entrata è ben nascosta: ora dimmi, come hai fatto ad entrare?”
Speravo sinceramente che dopo una notte senza vedermi si fosse dimenticata dell’interrogatorio a cui non avevo risposto.
Chiaro come il sole, non fu così.
“Non lo so. Ero nella mia Terra, ho chiuso gli occhi e poi… mi sono ritrovato qua” sintetizzai, tentando di essere convincente.
“Sei stato mandato dagli dei?” sgranò gli occhi e si coprì la bocca spalancata con le mani.
“Io non… non lo so, forse, cioè, come si fa a saperlo?” ma lei aveva già smesso di ascoltarmi.
“Dovrei trattarti come un ospite, o come una prova di fede? Farò un salto al tempio per ringraziare il cielo!
O forse è tutta una bugia… se stessi mentendo? Ma cosa dico, cosa dico!?”
La lasciai blaterare cose a vanvera su una certa Atena per qualche minuto, poi calò di nuovo il silenzio: si teneva le tempie tra le mani.
“Stai be-”
“Shh, sto riflettendo!” sputò lei acidamente.
Passeggiava avanti e indietro senza fermarsi, gesticolava, sussurrava parole strane, contava con le dita ed io iniziavo a spazientirmi: “Vuoi dirmi che cos-”
“CI SONO!” esclamò raggiante: “Ho deciso!”
In quel momento riuscivo solo a pensare: “E’ pazza, non c’è altra spiegazione”.
“Ti libero subito!”
Rimasi a bocca spalancata: avevo capito bene?
“Atena ha voluto premiarmi, o punirmi, ancora non lo so. Ma tu sei un dono (o più probabilmente un fardello) degli dei! Come potrei rifiutarti?”
Scioglieva le catene con gli strani oggettini bronzei del mazzo, tutta soddisfatta.
“Scusa ma… non avresti potuto pensarci prima?” tentai di ironizzare.
Lei tornò seria: “Smettila di lagnarti e ringrazia i miei dei, straniero”.
 
Finalmente libero, alzai le mani in segno di resa e mi massaggiai i polsi, osservando per la prima volta il mio nuovo corpo per intero, tastando il viso con delicatezza, stupore.
Mi accorsi in ritardo di come lei mi stesse fissando pensierosa.
“Che hai da guardare?” domandai interdetto.
“Potrei quasi credere a ciò che mi hai raccontato, sai?”
“Beh, fammi un fischio quando avrai deciso! Come esco da questo posto?”
La sua aspra risata mi fece quasi innervosire: “Spero tu stia scherzando! Fino a ieri non sapevi nemmeno dove fossi finito, adesso pretendi di scorrazzare in giro per Atene senza conoscere il posto, la gente, le nostre abitudini?!”
Scosse la testa e incrociò le braccia: “No, mio caro. Se davvero gli dei ti hanno affidato a me, sappi che non intendo deluderli facendoti uccidere il primo giorno.”
Si fece seria all’improvviso: “Nulla di tutto ciò che faremo o diremo dovrà uscire da qui, chiaro?”
Non capii.
“Inizieremo le lezioni domani mattina, stai pronto”.
 
Detto questo oltrepassò un muro di edera e sparì.
Rimasi con le mani in mano, incerto sul da farsi.
Poi pensai che in fondo la mia avventura era appena iniziata, come potevo già impormi dei limiti?
Sorrisi.
Ero certo che ne avrei viste delle belle.

 



Angolo dell'autrice.
 
Buon pomeriggio! Innanzitutto, mi scuso se i miei aggiornamenti inizieranno a diventare più incostanti: sto attraversando un periodo un po' difficile, e le mie vacanze saranno più intense del trimestre quasi terminato.
Ho deciso di unire due capitoli in uno per farmi perdonare in anticipo *manda tanti bacini*

Spero davvero di riuscire a portare a termine tutti i miei impegni, e di non deludervi con i miei capitoli schifiderrimi(?)
Cooomunque, avete conosciuto Namìvya (ditemi che il nome vi piace, pls, io lo adoro!), e avete scoperto che non ci troviamo esattamente nella Terra di Mezzo... che ne pensate? Aspetto le vostre recensioni, e vi autorizzo(!?) a lanciarmi tutti i pomodori che volete!
Ringrazio chi ha recensito i capitoli precedenti, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate, chi sta leggendo in silenzio, e chi mi dona costantemente il suo appoggio durante questa bellissima avventura: siete davvero importanti per me!

Baci a tutti, e alla prossima!
Durhilwen
   
 
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