Quel
sogno iniziò a diventare
ricorrente.
Ogni sera Erza si metteva a letto con
la speranza di rivedere il ragazzo che tutto d’un tratto
l’aveva fatta sentire
diversa – e ancora non aveva deciso se la cosa fosse positiva
o negativa – e
chiudeva gli occhi immaginando il suo viso. Puntualmente, non
c’era una notte
in cui non incontrasse Jellal: sempre al parco, sempre alla stessa
panchina,
sempre in riva al lago. Buck sembrava essere sparito definitivamente,
ma presto
entrambi smisero di preoccuparsi per le sue sorti: prima o poi sarebbe
rispuntato.
La terza volta che si incrociarono
Jellal stava leggendo un libro dalla copertina riccamente decorata.
Quando Erza
si mostrò interessata, il giovane glielo
consigliò vivamente e così la ragazza
scoprì quanto a lui piacesse leggere. Dai romanzi ai
giornali, dal cartaceo al
telematico: Jellal era un grande appassionato.
Oltre a parlare dei rispettivi
passatempi, i due si raccontarono cose della vita di tutti i giorni:
venne
fuori che lui era un imprenditore e ciò rallegrò
particolarmente Erza,
soprattutto quando gli confidò di gestire un pub insieme
alla sua migliore amica.
Descrissero ciascuno la propria giornata tipo – Jellal doveva
essere parecchio
indaffarato, se la sua attività lo obbligava a spostarsi non
solo di città in
città, ma addirittura di Paese in Paese – ed
entrambi arrivarono alla
conclusione che nessuno dei due avesse una vita molto semplice, anzi.
Per dieci giorni Erza e Jellal si
videro – che parola grossa! – senza problemi.
Avevano la sensazione che quel
sogno – quell’illusione – fosse
l’unico rifugio in cui potessero vivere
tranquilli, lontani dal caos della quotidianità. Conoscersi
sempre meglio non
fece altro che avvicinarli e di colpo Erza si accorse che, se avesse
potuto,
avrebbe voluto che quelle ore di sonno non finissero mai.
Ogni volta che si svegliava e si
rendeva conto di non avere nessuno al proprio fianco, percepiva un
vuoto
all’altezza del cuore. Le erano necessari parecchi minuti
prima di convincersi
che Jellal non era reale, ma solo il frutto della sua mente.
“Si
sogna ciò che non si ha o
ciò che si
vorrebbe avere”: era una frase che aveva letto da
qualche parte. O forse
gliel’aveva detta sua madre quando, da piccola, le capitava
addirittura di
parlare nel sonno.
Si disse che, se ne avesse discusso
con Mirajane, probabilmente prima l’avrebbe presa un
po’ in giro – sempre che
non decidesse di darle della pazza – poi le avrebbe
consigliato di frequentare
qualcuno. Dopotutto, era anche colpa sua se nessuno le si avvicinava:
lei per
prima impediva che qualsiasi ragazzo le si accostasse. Eppure per
Jellal aveva
fatto un’eccezione.
Ma sapere di essersi innamorata – sì,
ora poteva dirlo, anche se a bassa voce – di una persona che
non esisteva non
faceva altro che peggiorare la situazione.
“Sto
rincorrendo un fantasma”. Quello era il principale
pensiero con cui si
tormentava non appena il sogno terminava. E ripetendosi mentalmente
quella
frase, sentiva le lacrime premerle alla base degli occhi, pronte a
scivolare
via.
Ormai era una settimana che non
metteva piede al pub. Aveva chiamato Mirajane in più di
un’occasione per sapere
come stessero procedendo le cose e l’amica l’aveva
rassicurata, dicendole che
Lucy era una degna sostituta. Ciò la fece sentire
leggermente meglio, ma non le
impedì di avere l’impressione di essere
completamente inutile, oltre che sola.
Così un pomeriggio si fece coraggio e
decise di rispondere ad alcuni tra i messaggi lasciati in sospeso. Per
prima
cosa contattò Millianna – aveva improvvisamente
smesso di chattare con lei,
visto che la sera aveva avuto fretta di prendere sonno per incontrare
di nuovo
Jellal. Sicuramente l’amica doveva aver perso le speranze di
risentirla – e si
scusò per non essersi fatta viva prima. Le
raccontò brevemente le vicissitudini
dell’ultimo periodo, ma evitò accuratamente di
fare riferimenti al sogno
ricorrente che riempiva le sue notti; infine le chiese se per lei
andasse bene
chattare un po’ il pomeriggio della domenica successiva,
così da avere più
tempo a disposizione per una bella chiacchierata.
Inviato quel messaggio, ignorò
bellamente quelli di Gray e Lluvia – se avevano dei problemi,
era bene che li
risolvessero da soli. Erano grandi abbastanza per capire come ci si
dovesse
comportare – e rilesse quello di Simon.
Ciao,
Erza. Stavo pensando… Hai impegni per sabato pomeriggio? Io
sono libero dal
lavoro e ho visto che al cinema è uscito quel film di cui
parli da mesi.
Potremmo andarci insieme, che ne dici? Sempre se ti va… Non
so, dimmi tu.
Visualizzato
alle 1.12 del 3 dicembre
La
ragazza si chiese cosa avesse
pensato l’amico nel momento in cui si era accorto che il
messaggio era stato
visualizzato, ma non aveva ricevuto risposta. Probabilmente doveva
esserci
rimasto malissimo e Erza si sentì in colpa. Il fatto che
fossero passati dieci
giorni non faceva altro che rendere più complicato
replicare, ma alla fine si
costrinse a contattare il ragazzo.
Ciao,
Simon. Scusa se non ti ho risposto prima, ma l’ultima
settimana è stata
abbastanza densa e ho fatto sempre tardi con il lavoro
– quella sì che era una bugia. Si
augurò che Simon non avesse saputo della sua pausa dal pub.
– Anche se sono in ritardo, mi
chiedevo se
volessi ancora venire al cinema con me. Magari proprio questo sabato,
se non
sei impegnato. Altrimenti rimandiamo l’appuntamento alla
prossima occasione,
che ne dici?
Rilesse
quel messaggio un paio di
volte prima di convincersi a premere il tasto Invio. Quando
spedì quelle poche
frasi, pensò due cose: da un lato sperò che il
ragazzo non ce l’avesse con lei
e che quindi accettasse l’invito che gli aveva rigirato;
dall’altro pregò che
rifiutasse la sua proposta. Temeva che Simon potesse comportarsi in
modo strano
e l’ultima cosa che desiderava era sentirsi o mettere lui a
disagio.
Stava per chiudere la chat quando il
giovane comparve online. Pochi secondi più tardi Erza
ottenne la risposta:
Mi
dispiace che tu abbia avuto dei contrattempi. Ma non fa niente,
recupereremo
subito: sabato sono libero, per fortuna. Passo a prenderti alle sei del
pomeriggio per lo spettacolo delle sette? Così alla fine del
film ci facciamo
una pizza, che ne pensi?
Be’,
cosa avrebbe potuto rispondergli?
Alle
sei va benissimo. E vada per la pizza.
Allora
ci vediamo sabato. Un bacio.
Ora
avevano un appuntamento. Perfetto.
“Siamo amici da sempre”, continuò a
dirsi Erza, disconnettendosi e spegnendo il computer. “Siamo
sempre andati al
cinema insieme. Perché stavolta dovrebbe essere
diverso?”.
Si costrinse a calmarsi, ma il solo
ripensare all’ultimo messaggio che lui le aveva inviato
– “Ci vediamo sabato. Un
bacio” – le faceva drizzare i capelli
dietro la nuca.
“Quello è solo un modo di dire”,
scosse la testa, quasi per liberarsi di quel ricordo indesiderato.
“Se
ripescassi le conversazioni di anni fa, troverei le stesse identiche
parole”.
Fu in quel momento che un nuovo dubbio
si insinuò in lei: e se Simon fosse stato attratto
da lei? E se avesse provato quella cotta per
anni?
Erza rabbrividì e corse ad infilarsi
nella doccia, pregando che l’acqua calda le schiarisse le
idee.
***
-È
stato un bel film, no?-.
-Sì-.
-Te lo aspettavi così?-.
-Un tantino diverso, a dire il vero-.
-Cos’è, non ti è piaciuto il finale?-.
-No, non è questo…-.
-E allora?-.
-Non l’hai trovato un po’… Scontato?-.
-Il fatto che lui sia morto per
difenderla?-.
-Esatto-.
-Sarebbe stato molto più banale se
avessero avuto il lieto fine, non credi?-.
-Sì, ma sarebbe risultato più
credibile-.
-Non ti facevo una fan del “E vissero
per sempre felici e contenti”-.
-Non lo sono. Ma in questo caso
avrebbe avuto più senso e sarebbe stato in linea con la
trama generale-.
-OK, d’accordo. È inutile provare a
farti cambiare opinione, quando sei convinta di qualcosa-.
Erza e Simon camminavano fianco a
fianco lungo l’affollato marciapiede nel centro di Magnolia.
Era il 13 dicembre
e davanti alle vetrine dei negozi si radunavano clienti alla ricerca
del regalo
perfetto per il Natale incombente, così da rendere difficile
il passaggio per
chi, come loro, aveva solo intenzione di raggiungere il prima possibile
la
pizzeria più vicina.
-Non avremmo fatto meglio a prendere
l’auto?-, domandò Erza.
-Non siamo così lontani da averne
bisogno. Ma stai pur sicura che ti riporterò a casa in
macchina-, le sorrise
lui.
Come da programma, Simon era passato a
prenderla con puntualità alle sei; avevano fatto un giro
prima di entrare al
cinema e poi avevano assistito allo spettacolo a cui Erza teneva tanto.
Ora
erano le nove passate e il gorgoglio dei loro stomaci vuoti cominciava
a farsi
sentire.
-Mi hai detto di aver avuto una
settimana pesante-, continuò a parlare il ragazzo dopo
qualche secondo di
silenzio. -Problemi con Mira?-.
-No, assolutamente! È solo che…
Essendo in due, il lavoro ci stressa un po’-.
-Prenditi una pausa, no? Dopotutto, è
quasi Natale e alla fine della prossima settimana tutti i locali e i
negozi
chiuderanno. Approfittane per riposarti-.
Oh, sì, aveva perfettamente ragione.
Peccato che la sua pausa si fosse protratta già per dieci
giorni e che quindi
avesse deciso di tornare al pub per rimboccarsi le maniche.
-Uhm… Le ferie mi annoiano-, borbottò
Erza. -A parte qualche uscita extra con gli amici, non so come
investire il
tempo libero che mi rimane-.
-Sono disponibile a farti compagnia,
se dovessi sentirti sola-, rise Simon.
-Eh già, immagino…-.
Ed ecco che partivano le frasi
ambigue. Erza tremò.
-Hai freddo?-, le chiese l’amico.
-No, è stato solo…-.
Il ragazzo le circondò le spalle con
il braccio destro e le accarezzò la schiena per scaldarla.
Nonostante fosse un
gesto incredibilmente tenero e cortese, riuscì comunque a
farla sobbalzare.
-Dovresti uscire con una giacca più
pesante-, le consigliò Simon, senza smettere di coccolarla.
-Questo
impermeabile è troppo leggero-.
-Me lo ha regalato Mira per…-.
-Non importa. Va bene per gli inizi
dell’autunno, non per l’inverno in avvicinamento-.
Le parlava con un tono molto simile a
quello che un genitore usa nei confronti dei figli. Erza fu felice che
l’amico
si stesse dimostrando tanto premuroso, ma d’altra parte era
un atteggiamento
che la indispettiva. Sembrava quasi che quel consiglio insinuasse che
non
sapesse prendersi cura di se stessa.
-Vedrò cosa posso fare-, disse a denti
stretti, incrociando le braccia sul petto. Ebbe paura di aver messo su
il
broncio e per tutta risposta Simon le sorrise.
-Dai, la pizzeria è dietro
quell’angolo-, le indicò. -Ci basterà
svoltare a destra e… Attenta!-.
La mano del ragazzo le arpionò un
fianco, ma non impedì la colluttazione.
Il braccio e la spalla destra di Erza
urtarono contro un uomo che camminava nella loro direzione a testa
bassa e con
passo veloce. Il colpo fu abbastanza forte da indolenzirla.
-Ehi!-, lo chiamò indietro Simon,
agitando un pugno in aria. -Stia più attento a dove mette i
piedi!-.
-Tranquillo, sto bene…-.
-Meno male che ti ho scansata,
altrimenti ti sarebbe venuto direttamente addosso!-. Stavolta il
ragazzo la
prese per mano: -Voglio che tu stia bene, d’accordo?-.
Erza annuì ed entrambi ripresero a
camminare. Ma qualcosa di strano era comunque saltato ai suoi occhi,
tanto da
costringerla a voltarsi per rintracciare colui che l’aveva
urtata.
Trench
nero.
Capelli
blu.
Spalancò le palpebre e cercò di
individuare tra la folla la sagoma di quell’individuo,
scomparso in un battito
di ciglia.
-Sicura di stare bene?-, le domandò
Simon, vedendola disorientata.
-S-sì, non preoccuparti-.
-Vieni-, proseguì lui, -la pizzeria è
questa-.
Erza si lasciò condurre all’interno
del locale e fu immediatamente accolta dal tepore e da un invitante
profumo che
comunque non riuscì a scacciarle dalla testa
l’immagine dello sconosciuto
appena incrociato. Fu sempre Simon a riscuoterla dai suoi pensieri,
accompagnandola ad un tavolo posto accanto alla grande finestra che si
apriva
sulla sala principale della pizzeria.
-Buona sera, signori-, li accolse un
cameriere.
-Buona sera. Ho prenotato questo
tavolo tre giorni fa a nome Carter…-.
-Ah, sì. Risulta dalla lista. Bene,
cosa posso portarvi?-.
-Erza, cosa prendi?-, le chiese
l’amico.
La ragazza non rispose. Stava
guardando intensamente fuori dalla finestra ed era di nuovo persa tra
le sue
riflessioni.
-Erza?-.
-Sì?-, scattò lei in un secondo
momento.
-L’ordine-.
-Ah… Ecco… Una margherita. Una semplice
margherita-, disse con fare sbrigativo.
-Per lei, signore?-.
-Stessa pizza-.
-Da bere? Posso proporvi del vino?-.
-Per me basta dell’acqua-, aggiunse
Erza. -Non accompagno mai il vino alla pizza-.
-Ci porti una bottiglia di acqua
minerale, allora-, precisò Simon. -Basta così-.
Il cameriere si volatilizzò nelle
cucine e i due ragazzi rimasero soli – a meno che non si
contassero gli altri
clienti: era sabato sera ed il locale aveva fatto il pienone.
-Avresti preferito cenare in un
ristorante?-, le domandò Simon.
-No, no. Adoro le pizzerie-.
-Eppure mi sembri un po’ distratta.
C’è qualcosa che ti impensierisce?-.
A dirla tutta c’era più di una cosa
che la agitava, ma Erza scosse la testa: -Niente di particolare-.
-La spalla ti fa ancora male?-.
-Giusto un po’. Entro la fine della
serata passerà tutto-, si costrinse a sorridere per provare
ad essere
convincente.
-Ci mancava solo quel contrattempo-,
sbuffò l’amico. -Stava andando tutto troppo bene
per essere vero, eh?-.
“Ecco un’altra frase ambigua”,
pensò
lei. “O forse sono solo io a cercare un significato nascosto
oltre ciò che
dice?”.
-Ma dai, non è successo nulla di
irrimediabile-, aggiunse Erza per rassicurarlo. -Ora ci godremo la
pizza e poi
torneremo a casa. Devi lavorare, domani?-.
-Solo la mattina. Ho il pomeriggio
libero. Tu?-.
-Mattina disimpegnata, pomeriggio
occupato. Mira ha deciso di cambiare l’orario di apertura del
pub, almeno per
la domenica-.
-Come mai?-.
-Perché il sabato la chiusura è
fissata intorno alle tre di notte. E non è particolarmente
comodo tornare a
lavoro alle otto della mattina seguente-.
-Capisco. Be’, ha fatto un’ottima
scelta-.
-Già-, convenne Erza. -Almeno nel fine
settimana posso dormire un po’ di più-.
Stavolta le fu spontaneo sorridere e
Simon credette di avere di nuovo davanti la sua amica. Non poteva
sapere che la
luce che le aveva improvvisamente illuminato gli occhi era stata
provocata dal
pensiero di poter stare insieme a Jellal per qualche ora in
più rispetto alle
normali nottate.
-E dimmi… Tutto bene a casa?-.
-Sono sola-, affermò lei, facendo
spallucce. -Di fatto, uso l’appartamento solo per avere un
tetto sulla testa.
Anche se non c’è nessuno ad aspettarmi, tornarci
mi dà l’impressione che quella
sia davvero casa-.
Il cameriere tornò al loro tavolo
portando la bottiglia richiesta e versando l’acqua nei
bicchieri.
-Ancora cinque minuti e le due pizze
saranno pronte-, li informò, dileguandosi di nuovo.
-Non hai pensato di condividere il
bilocale con Mira? O con qualche altra amica?-, le domandò
Simon. -Magari ti
sentiresti più…-.
-Da quando Millianna è partita, non ho
chiesto a nessuno di vivere con me. Non ci sono più spese da
dividere né
problemi di vita quotidiana. E questo un po’ mi manca. Ma
è anche giusto che
ciascuna di noi abbia la propria vita, no? Lei è a ottocento
chilometri da qui,
io ho messo su un’attività con Mira…
Non siamo più bambine. Quando si cresce si
fanno delle scelte; l’importante è non pentirsene-.
Erza sentì un groppo stringerle la
gola e fu costretta a bere dell’acqua, mentre Simon
continuava a guardarla.
-Non fissarmi così-, lo pregò lei. -Mi
metti a disagio-.
-Vorrei farti sentire meglio. È per
questo che sono felice che tu abbia accettato il mio invito-.
Le sorrise e allungò il braccio verso
di lei, finendo per poggiarle una mano sulla sua. Anche stavolta la
ragazza
sussultò.
-Fa freddo, qui dentro-, mentì
spudoratamente Erza, sottraendo la mano da quella dell’amico
e sfregandosi
energicamente le braccia. -Avevi ragione: mi converrà
comprare una giacca più
adatta alla stagione-.
Incrociò lo sguardo di Simon e notò
che i suoi occhi si erano improvvisamente spenti: un velo di malinconia
li
appannava.
-Sì-, concordò lui senza alcun
entusiasmo. -Sento freddo anch’io-.
Non proferirono parola per i tre
minuti successivi. Erza si sentì di nuovo in colpa
– aveva sicuramente ferito i
sentimenti del suo migliore amico. Ma cosa poteva farci?
Lei… Forse lo stava
immaginando, ma il ragazzo sembrava davvero essere diventato
improvvisamente
triste. E di colpo le tornò alla mente il dubbio di qualche
giorno prima,
quando si era chiesta sei lui provasse qualcosa di più
profondo della semplice
amicizia nei suoi confronti – ed evitò in tutti i
modi di dire qualcosa che
potesse peggiorare la situazione. Come erano arrivati a quel punto?
Stava
andando tutto a meraviglia, no? Poi…
-Le vostre pizze, signori-, annunciò
il cameriere, poggiando due piatti di fronte ai ragazzi. -Buon
appetito-.
Eccezion fatta per quell’interruzione,
il resto della cena non fu molto loquace. Erza e Simon masticarono
fetta dopo
fetta le succulente margherite che erano state servite loro e
interruppero il
silenzio solo quando chiesero il conto.
Trenta Jewels fu la somma richiesta
dalla cassa e Simon impedì che Erza pagasse per
sé.
-Lascia fare a me-, le disse,
facendole riporre il portafoglio in borsa. -Ti ho invitata io, no?-.
Avrebbero potuto iniziare una
discussione, su quell’ultimo punto, ma nessuno dei due aveva
voglia di
polemizzare, soprattutto dopo il gelo caduto sul loro tavolo. Dunque
uscirono
dal locale e si incamminarono di nuovo sul marciapiede, dirigendosi
all’auto
parcheggiata accanto al cinema.
Salirono in macchina nel più completo
silenzio e venti minuti più tardi Simon si
arrestò di fronte al condominio in
Green Lane. Spense il motore e rimase a fissare un punto davanti a
sé, oltre il
parabrezza.
-Grazie per la serata-, gli disse
Erza. Suonava abbastanza ironico, in realtà, ma la ragazza
non seppe trovare
parole migliori. -Potremmo vedere qualche altro film interessante,
quando avrai
del tempo libero-.
-Davvero?-.
-Sì. Tra due settimane uscirà…-.
-Erza, non mentirmi. Ti prego-.
Simon si voltò a guardarla. Il tono
della sua voce era indescrivibile: piatto, ma profondo. Probabilmente
stava
reprimendo ciò che sentiva davvero.
-Io non sto…-.
-Guarda in faccia la realtà-, le disse
lui. -Non hai detto una parola per tutta la cena e adesso vieni a dirmi
che non
vedi l’ora di uscire di nuovo insieme? Pensi che io sia
stupido?-.
Erza trasalì. Stava per iniziare la
resa dei conti; tutti i nodi sarebbero venuti al pettine lì,
in quell’auto.
Quella discussione non poteva essere più rimandata.
-Sto parlando seriamente-, affermò la
ragazza. -Ci conosciamo da una vita e non ti ho mai trattato come uno
stupido.
Di certo non comincerò adesso-.
-Allora dimmi: quanto è stato
difficile, per te, decidere di uscire con me, stasera?-.
-Ma cosa stai…?-.
-Credi che non me ne sia accorto?-,
alzò la voce. -Sono mesi che mi stai evitando. Mesi. Non ti
riconosco più-.
-Simon…-.
-Cos’è cambiato tra di noi? Perché non
vuoi più avere niente a che fare con me?-.
-Non ho mai detto una cosa del
genere-.
-Ma è quello che hai fatto e che
continui a fare-, proseguì lui.
-Non ti ho evitato. È come ti ho detto
prima: siamo cresciuti. Tutti quanti. Ognuno ha le proprie esigenze e
non
sempre è facile mettersi d’accordo. Pensi che io
sia diversa? Be’, potrei dire
la stessa cosa di te. Ma questo non cambia la nostra amicizia-.
-Amicizia…-, mormorò il ragazzo. -Sono
anni che non provo niente del genere verso di te-.
Erza ammutolì. Il cuore le si fermò.
-C-come?-.
-Già-, rise amaramente Simon.
-L’amicizia è sfumata in qualcosa di
più grande. All’inizio non riuscivo a
capire per quale motivo fosse diventato improvvisamente difficile
parlare con
te; guardarti da lontano, vederti sorridere… Erano tutte
cose che mi facevano
sentire bene. Al contrario, quando tu non c’eri, spariva
anche una parte di me.
E allora ho capito che qualcosa, nel mio animo, era cambiato per
sempre. Non
sarei potuto tornare indietro neanche volendolo. Ma non mi importava:
l’unica
cosa che contava era sapere che nel tuo cuore ci fosse un po’
di spazio per me.
Il tempo è passato, siamo andati avanti con le nostre
vite… Ed ora eccoci qui,
a parlare di un argomento che forse avremmo dovuto affrontare anni fa.
Quindi
te lo chiedo adesso: c’è qualche
possibilità che i tuoi sentimenti nei miei
confronti cambino e diventino più profondi?-.
Erza non sapeva più pronunciare una
singola sillaba. Quella rivelazione, seppur immaginata spesso
nell’ultimo
periodo, l’aveva colta comunque impreparata.
-I-io… Non posso prometterti niente-,
sussurrò.
Il viso del ragazzo si rabbuiò: -C’è
qualcun altro?-.
“Sì”, avrebbe voluto dirgli. Ma
sarebbe stato d’obbligo aggiungere “Solo
che non esiste”.
-No-, si risolse a dire, anche se il
cuore le diceva tutt’altro.
-Allora perché non mi dai una
possibilità? Tutto quello che voglio è renderti
felice-.
-Simon, ti prego, non insistere-,
supplicò lei con voce tremante. Avrebbe voluto piangere,
tanto era il
dispiacere che stava provando per l’amico.
-Lasciami almeno fare una cosa che
desidero da troppo tempo-.
Sganciò la cintura dalla sicura e si
sporse verso di lei, prendendole le mani e tendendo le labbra per
baciarla.
-Solo uno…-, fiatò debolmente, sperando con tutto
se stesso che Erza gli
concedesse quell’unica libertà.
Ma la ragazza non volle.
Si liberò a sua volta della cintura e
aprì lo sportello dell’auto, catapultandosi fuori.
-Mi dispiace-, gli disse, le lacrime
che ormai lei impedivano perfino di mettere bene a fuoco il volto di
Simon.
-Non posso-.
Richiuse il portellone con un tonfo e
salì i tre scalini d’ingresso del condominio,
ripescando in fretta le chiavi di
casa. Aveva paura che l’amico potesse seguirla, ma il ragazzo
non fece nulla di
ciò: rimase semplicemente seduto in macchina e attraverso il
finestrino la vide
sparire all’interno del palazzo, senza aggiungere una parola.
Batté con forza
le mani sul volante e si diede dello stupido, provando ad evitare di
piangere a
sua volta.
Quando rimise in moto, un quarto d’ora
dopo, si disse che non avrebbe mai più cercato Erza Scarlet.
***
Era
salita di corsa lungo le quattro
rampe di scale che portavano al suo appartamento.
Entrò come una furia in casa, si
strappò di dosso l’impermeabile e si
rifugiò nella propria stanza, affondando
il viso nel cuscino e bagnandolo di lacrime.
-Cosa ho fatto?-, si chiese,
singhiozzando.
Avrebbe dovuto chiedergli scusa.
Avrebbe dovuto spiegarsi meglio, non fuggire come una preda di fronte
al
cacciatore.
-Sono una vigliacca-, continuò a dire,
mentre le lacrime le inumidivano anche le labbra. -Ho rinunciato al mio
migliore amico-.
Chiuse gli occhi, ma il viso di Simon
fece capolino nell’oscurità, provocando
un’altra ondata di pianto che la fece
tremare da capo a piedi. Allora decise di stendersi, di provare a non
pensare a
nulla; era ancora troppo scossa per elaborare una soluzione a quel
problema.
Stava per infilarsi sotto le coperte
quando il computer, lasciato in stand-by poco prima che Simon venisse a
prenderla, si riattivò. Erza si asciugò le
lacrime e si avvicinò alla
scrivania, sedette e ne approfittò per controllare eventuali
messaggi.
Non aveva ricevuto posta. Ma in chat
c’era una comunicazione da parte di Millianna, che le
annunciava che sarebbe
tornata a Magnolia per le vacanze di Natale.
La ragazza ringraziò il Cielo per
quell’intervento provvidenziale: parlare con
l’amica l’avrebbe aiutata ad
uscire dalla spiacevole situazione creatasi con Simon. Erano tutti e
tre vecchi
compagni di scuola e si conoscevano abbastanza da capirsi
l’un l’altro.
“Eppure questo non è bastato a farmi
rendere conto di quanto lui tenesse a me”, pensò
Erza. “Non avevo considerato
il fatto che le cose tra noi potessero prendere questa piega”.
Rispose brevemente al messaggio di
Millianna – “Vengo a
prenderti alla
stazione. Dimmi l’ora per cui pensi di arrivare e mi
farò trovare lì” –
e
spense il computer. L’unica cosa di cui aveva davvero bisogno
in quel momento
era liberare la testa di tutti quei pensieri.
E sperò che dall’altra parte, nel
mondo dei sogni, ci fosse qualcuno a consolarla.
***
Stava piangendo
così tanto da non
ricordare neanche quando avesse iniziato a farlo.
Stavolta si era
immediatamente
ritrovata in riva al lago. Seduta per terra, sulle foglie bagnate dalla
brina
invernale, Erza aveva portato le ginocchia al petto e le aveva
circondate con
le braccia, nascondendovi il viso. Si stava vergognando di se stessa,
in
realtà, perché non avrebbe voluto che qualcuno
– che Jellal – la vedesse in
quello stato. Ma la tristezza era troppo grande per farle badare a
quegli aspetti.
Non aveva idea di
quanto tempo fosse
passato da quando si era materializzata lì; sapeva soltanto
di aver chiuso gli
occhi e di essersi abbandonata al fumo che annebbia la mente subito
prima di
addormentarsi. Forse, portando un altro po’ di pazienza,
Jellal sarebbe
arrivato. O forse quella notte non sarebbe venuto a farle visita.
-Perché
piangi?-.
La voce che aveva
ormai imparato a
conoscere le fece alzare la testa e Erza lo guardò dal basso
con occhi gonfi e
arrossati.
-Ho perso il mio
migliore amico-, sussurrò.
-Se è
tuo amico, tornerà. Gli amici
perdonano sempre, anche a costo di impiegarci anni-.
-Ma lui era
innamorato di me, obiettò
Erza. -Ed io non sono stata capace di accorgermene in tempo-.
Jellal si
inginocchiò al suo fianco e
le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio:
-Pensi che sia colpa tua?-.
-Lo è-.
-No-, le disse.
-Non hai
responsabilità-.
-Ma avrei potuto
comportarmi
diversamente!-, urlò la ragazza, coprendosi il volto con le
mani. -Non ti sei
mai sentito in colpa per qualcosa che hai fatto?-.
Jellal non rispose
subito. Si prese
qualche secondo per formulare nel modo migliore la frase successiva:
-È vero,
ho commesso azioni di cui non vado fiero. Ma con il tempo, seppur a
fatica, ho
capito che era inutile continuare a tormentarsi. Quel che è
fatto è fatto;
pensare a come sarebbero potute andare le cose ti fa stare solo peggio.
Bisogna
imparare a vivere, ma nessuno ha mai detto che è semplice
farlo-.
Si rimise in piedi
e le tese la mano:
-Alzati-, la incoraggiò. -Fidati di me-.
Erza raccolse
l’invito e l’attimo
seguente, colta di sorpresa, si ritrovò a premere una
guancia contro la spalla
sinistra dell’uomo.
-Va tutto bene-,
sussurrò lui,
accarezzandole i capelli per farla calmare. -Ti prego, non piangere
più.
Soffrirò anch’io, se queste lacrime continueranno
a bagnarti il viso-.
La ragazza si
strinse di più a lui,
poggiandogli entrambe le mani sul petto e ascoltando il battito
ovattato del
cuore. Per un secondo fu convinta che Jellal fosse più reale
che mai.
Altrimenti come avrebbe potuto percepire il suo ritmo cardiaco?
-Sai-, gli disse
dopo qualche minuto,
-stasera mi è sembrato di incontrarti-.
-Che vuoi dire?-.
-Stavo camminando
per strada e un
passante mi ha urtata. Andava così di fretta che non si
è neanche voltato per
scusarsi, ma… Lo so, sto per dire una scemenza… Ti assomigliava. Buffo, non credi?-.
-Già-,
mormorò lui di rimando.
-Buffo-.
-Avrei voluto che
fossi davvero tu-,
mormorò Erza. -Così finalmente non avrei
più dovuto aspettare la notte per
starti vicina-.
Jellal le
sollevò il mento con la
punta dell’indice e fissò i propri occhi in quelli
della ragazza: -Non hai
bisogno di desiderare il buio. Ogni volta che chiuderai gli occhi, mi
troverai
al tuo fianco-.
Una cappa di calore
calò sul viso
freddo di Erza. Le labbra le bruciarono a contatto con quelle di Jellal
e quel
bacio, durato per tutta la notte, la accompagnò fino al
risveglio.
La mattina
seguente, quando dischiuse
le palpebre, sentì di avere ancora il sapore
dell’uomo sulla bocca.
Niente era mai
stato reale come in
quel momento.